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INDAGINE SULLA PATERNITÀ

M. Niccolò R manifestum

I. 2.7 «Traductions plutôt insolites» nel De elementis: il caso di ἀκριβῶς

I.2.8 Per concludere

Tirando le fila di questo ragionamento e passando dall'osservazione microscopica al quadro d'insieme, credo che sia indiscutibile la paternità burgundiana di questa versione e che ci siano solide basi per individuare con buona dose di verosimiglianza una datazione precisa per la traduzione del De elementis. Rimando a quanto scritto in precedenza, soprattutto a proposito delle particelle γε, γοῦν, δή, della coppia di particelle µὲν γάρ, degli avverbi ἔτι, οἷον e οὕτω(ς), per sostenere che con la traduzione del

De elementis siamo in una regione ancora nuova al primo Burgundio e più

acerba di quanto si possa già vedere nel De temperamentis.

Stando così le cose e al netto delle traduzioni burgundiane sin qui esaminate, ritengo che ci siano elementi sufficienti per riconoscere nel De

elementis il primo trattato galenico tradotto dall'erudito pisano e che proprio

con questo abbia avuto inizio la “stagione galenica” nella sua lunga e prolifica attività di traduttore. Le evidenze linguistico-stilistiche che lo accomunano alla “stagione aristotelica” suggeriscono di vedere in questa versione il momento di passaggio dal De generatione et corruptione al De

temperamentis, concretizzando sul piano formale quello che era già implicito

nella teoria: il trattato galenico sugli elementi a più riprese rimanda a quello aristotelico (che, secondo questa ricostruzione, lo precede) e costituisce il testo prodromico sia all'esposizione galenica sui temperamenti (che, sempre secondo questa mia ricostruzione, lo succede) sia alla riflessione

CVI

del Pergameno sulle facoltà naturali35; proprio su questi tre testi, infatti, si

fonda la fisiologia galenica.

Prende forma, così, quello che a tutti gli effetti sembra essere un progetto ben preciso. Se questo sia nato spontaneamente nella mente del Pisano o sia stato, per così dire, suggerito da un committente, forse Bartolomeo da Salerno, ancora non ci è possibile stabilirlo36.

35 Dei tre libri del De naturalibus facultatibus, la cui traduzione burgundiana dipende

ancora dal Laur. 74.5 [cfr. FORTUNA -URSO 2009, p. 171], non è stato ancora studiato

il tessuto linguistico-stilistico, ma sembrerebbe verosimile supporre che siano stati tradotti solo dopo il De temperamentis. Così, si ricomporrebbe un trittico di opere, tutte e tre tradotte da Burgundio e tràdite dallo stesso manoscritto, che era già tale nel progetto galenico.

36 Rapporti di collaborazione tra Burgundio e Bartolomeo Salernitano sono

documentati nel colofone della versione dell'Ars medica galenica tràdita dal ms. Vind. Lat. 2504 [cfr. FORTUNA - URSO 2009, p. 148]. Stefania Fortuna, ibid., scrive che

«Bartolomeo è dunque il committente almeno di una traduzione di Galeno di Burgundio; che lo sia anche delle altre non è per il momento evidente, ma è un'ipotesi suggestiva e stimolante che non escludo sia confermata da ulteriori ricerche». Sempre la stessa studiosa, nel 2010, aggiunge che «rimane incerto se Bartolomeo sia il committente non soltanto di questa [sc. la trad. del catalogo finale dell'Ars medica], ma anche di altre o addirittura di tutte le traduzioni medico-scientifiche di Burgundio, che (...) rispondono ad un preciso programma e sono coerenti con gli interessi dei maestri salernitani» (cfr. FORTUNA -URSO 2010, p. 139). Sul progetto di Burgundio nel suo complesso, si veda FORTUNA in FORTUNA-URSO 2009, pp. 139-149, in part. 141-149; URSO 2018. Su Bartolomeo e Burgundio si veda JACQUART 1988, pp. 417-424.

CVII

I.3

INDAGINE SUL MODELLO GRECO DELLA

VERSIONE GRECO-LATINA DEL

CIX I.3.1 Premessa

Rintracciare il modello di una traduzione significa, in qualche misura, tentare di ricostruire - ove possibile - alcune vicende biografiche del traduttore che riescano a spiegare tempi e modalità di recupero del modello stesso. Fortunatamente, la biografia di Burgundio è stata dettagliatamente ricostruita grazie all'accurata ricerca tra carte d'archivio condotta da Peter Classen, il cui volume, a quasi cinquant'anni dalla sua pubblicazione, s'impone ancora come testo di riferimento1.

Anche se poco o nulla si sa sulla sua formazione culturale, è assodato che Burgundio fu avvocato e uomo di legge e che, a partire dal 1150 ca., ricoprì il ruolo di sacri Lateranensis palacii iudex2, carica grazie alla

quale gli fu possibile assolvere a funzioni diplomatiche per la sua Pisa e soggiornare per almeno due volte a Costantinopoli: il primo soggiorno si colloca all'altezza degli anni '30 del XII secolo (1136-1140), quando nella capitale bizantina tra Chiesa d'Occidente e Chiesa d'Oriente - rispettivamente rappresentate dal vescovo Anselmo di Havelberg e da Niceta, arcivescovo ortodosso di Nicomedia - si svolse un confronto in merito alla processione dello Spirito Santo cui il giudice pisano, insieme con Giacomo Veneto e Mosè di Bergamo, presenziò in veste di interprete ufficiale3; il secondo soggiorno costantinopolitano si colloca invece tre

1 CLASSEN 1974. Sulla biografia di Burgundio, si vedano anche la voce relativa nel

DBI a cura di F. Liotta (LIOTTA 1972) e la recente sintesi in SACCENTI 2016, pp. 27- 39.

2 Questo titolo è attribuito a Burgundio a partire da un atto di giudizio datato al 30

agosto 1152: cfr. Pisa, Archivio Arcivescovile 376, documento edito per la prima volta nelle Antiquitates Italicae Medii Aevi di Ludovico Alberto Muratori (vol. III, f. 1167) e poi ripubblicato da CLASSEN 1974, p. 72.

3 Cfr. Anselmo di Havelberg, Dial. II, 1 = PL 188, coll. 1163 a-c Igitur cum essem

CX

decadi più tardi (1168/1169-1171) 4 e si inquadra nel progetto

dell'imperatore bizantino Manuele Comneno di ristabilire rapporti amichevoli con la città di Pisa in seguito alla rottura diplomatica intercorsa tra il Comneno stesso e Federico I Hohenstaufen, di cui Pisa stessa era alleata strategica. Verosimilmente, fu proprio durante questi suoi soggiorni a Costantinopoli che Burgundio ebbe modo di procurarsi manoscritti greci di testi filosofici e scientifici, di cui in seguito avrebbe realizzato una versione latina; probabilmente, grazie a queste occasioni egli ebbe modo di perfezionare la propria conoscenza del greco, benché già Anselmo di Havelberg nel passo ciato (n. 3) presentando il Pisano, Giacomo Veneto e Mosé di Bergamo dica che fossero «tres viri sapientes, in utraque lingua periti, et litterarum doctissimi»5.

Le indagini codicologiche e paleografiche di Nigel Wilson6 e quelle

filologiche di Richard J. Durling7 condotte nell'ultimo ventennio del XX

secolo hanno portato alla luce lo stretto legame tra Burgundio e l'atelier

proponerem, placuit imperatori piissimo Kalojoanni, placuit etiam patriarchae civitatis N. viro religioso, ut publicus conventus fieret; et statuta est dies, ut in audientia omnium ea sonarent, quae hinc et inde dicerentur. Convenientibus itaque quamplurimis sapientibus in vico qui dicitur Pisanorum, juxta ecclesiam Agie Irene, quae lingua Latina Sanctae Pacis nuncupatur, mense Aprili, die decimo, si tamen bene memor sum, positisque silentiariis, sicut ibi mos est, et datis arbitris, et sedentibus notariis, qui omnia quae hinc inde dicerentur, fideliter exciperent et scripto commendarent, universa multitudo, quae ad audiendum avida convenerat, conticuit. Aderant quoque non pauci Latini, inter quos fuerunt tres viri sapientes, in utraque lingua periti, et litterarum doctissimi: Jacobus nomine, Veneticus natione; Burgundio nomine, Pisanus natione; tertius inter alios praecipuus, Graecarum et Latinarum litterarum doctrina apud utramque gentem clarissimus, Moyses nomine, Italus natione ex civitate Pergamo; iste ab universis electus est, ut utrinque fidus esset interpres. Qui, sia pur per fini diversi, è attestato

l'incontro tra Burgundio e un altro importante traduttore medievale di opere aristoteliche, Giacomo Veneto, e non è da escludere che i due possano essersi confrontati sulle modalità di trasposizione in latino di opere scientifiche e sull'eventuale apparato di note che li correda: per questa questione cfr. CLXXIV ssq. di questo lavoro.

4 Cfr. CLASSEN 1974, 24-29.

5 Anselmo di Havelberg, Dial. II, 1 = PL 188, 1163 a-c. 6 Cfr. WILSON 1983; ID. 1986; ID. 1987; ID. 1991. 7 Cfr. DURLING 1993; ID. 1994.

CXI

costantinopolitano di Ioannikios, luogo in cui furono vergati tutti gli undici manoscritti (superstiti) utilizzati dal Pisano per realizzare le proprie versioni di testi aristotelici e galenici8. Nei margini di sei degli undici

manoscritti Nigel Wilson ha individuato note latine autografe di Burgundio che, in qualche modo, rassomigliano a note di lavoro preparatorie al processo di traduzione9: si tratta dei mss. Laur. Plut. 74.5,

74.18, 74.22, 74.25, 74.30 e del Par. Gr. 184910. A questi se ne aggiunge un

settimo segnalato da Stefania Fortuna, il Laur. Plut. 75.511.

Uno di questi sei manoscritti, il Laur. Plut. 74.5, è il più antico testimone del De elementis galenico: marginalia burgundiani si possono apprezzare nei margini del De temperamentis, del De naturalibus facultatibis, del

De inaequali intemperie e del De tumoribus praeter naturam, tutti testi tradotti dal

Pisano nell'arco della sua vita12. E proprio questo è il manoscritto che,

8 Già nel 1983, Nigel Wilson scriveva che «it is extraordinary that no study should

have been devoted to this scriptorium, since we are now in a position to attribute to it seventeen manuscripts. No other scriptorium active during the middle Byzantine period produced a larger number of surviving books» (WILSON 1983, p. 161). Anche se Wilson

scrive di diciassette manoscritti, oggi il numero dei mss. sottoscritti da Ioannikios è salito a diciannove, i seguenti: Paris, BNF, Par. Gr. 1849 e 2722, ff. 16-32; Città del Vaticano, BAV, Barb. Gr. 591, ff. 1-22; Vat. Gr. 1319; Firenze, BML, Conv. Soppr. 192; Plut. 31.10, 74.5, 74.18, 74.22, 74.25, 74.26, 75.5, 75.7, 75.17, 75.18, 75.20, 81.18, 87.4, 87.7. I dati li derivo da DEGNI 2008, p. 182. «A questo elenco bisogna aggiungere i due Plut. 31.39 e

32.24, i quali, pur copiati in età precedente a quella di Gioannicio, ebbero a che fare con la sua ‘cerchia’, come dimostrano le note aggiunte nei margini, eseguite da uno dei collaboratori dello scriba, convenzionalmente indicato con B» (cfr. DEGNI 2008, pp.

182-183).

9 Cfr. WILSON 1986, pp. 113-115; ID. 1987, p. 54.

10 Sul ms. Par. gr. 1849 che oggi si trova a Parigi, ma che a lungo fu conservato presso

la Biblioteca Medicea Laurenziana a Firenze si veda FORTUNA 2006.

11 Cfr. Fortuna in FORTUNA-URSO 2009, p. 144. Un elenco completo delle opere

annotate dal traduttore pisano in questi manoscritti è stato pubblicato ibid., pp. 144-145.

12 Per la descrizione di questo manoscritto, oltre a quella canonica di BANDINI, 1764-

1770, III, cc. 51-53, si veda quella dettagliatissima in DEGNI 2008, pp. 197-200. Si veda anche TOUWAIDE 2016, p. 75.

CXII

secondo Richard J. Durling, fu utilizzato da Burgundio come modello per la propria versione latna del trattato sugli elementi13.

Nei margini dei fogli che in questo manoscritto tramandano il De

elementis non si rintracciano note latine. Cionononostante, credo che sia

utile indugiare ancora un attimo sulla questione di questi margini nel Laurenziano per almeno tre ragioni. In primis, il De elementis, la prima delle opere tràdite dal Laur. Plut. 74.5, è mutilo dei primi due (?) fogli del trattato (vd. infra)14 e questa non sembrerebbe essere situazione isolata tra i

manoscritti laurenziani: Paola Degni, infatti, osserva che

non è agevole ricostruire attraverso quali fasi i manoscritti laurenziani siano pervenuti alla attuale sede di conservazione (...). Questa complessa operazione è resa ardua, da una parte dalla perdita dei fogli iniziali e finali in molti codici che conservano note e vecchi numeri di inventario, dall'altra dalla vaghezza che spesso contraddistingue le indicazioni offerte dagli antichi inventari»15

È, inoltre, evidente che soprattutto nei primi fogli del De elementis i margini sono estremamente danneggiati e, in alcuni casi, pressocché inesistenti: alcuni fogli sono stati sottoposti ad un'accurata opera di rifilatura e per questo la fine dello specchio di scrittura talvolta coincide

13 Tale questione è sinteticamente discussa e documentata dallo studioso in DE LACY

1996, pp. 26-27.

14 Il testo mancante corrisponde a DE LACY 56, 1 - 66, 22 (= K 413-424). «Lo stato

di conservazione del foglio 3, peggiore dei primi due, soprattutto lungo i margini, rientra nella media dei danni che potevano subite i codici nei fascicoli inziale e finale» (DEGNI

2008, p. 199).

CXIII

con quella del foglio stesso (ff. 2r-3v)16. Infine, una prova che le fasi di

restauro cui il manoscritto è stato sottoposto possano in qualche modo aver determinato la caduta di note marginali giunge dai margini stessi di f. 5v, ove alcuni notabilia marginali sono stati intaccati, ma soprattutto dai ff. 7r, 8v e 16v, ove note marginali in greco sono state lievemente danneggiate17.

Comunque stessero le cose in origine, l'assenza di note burgundiane nei margini del De elementis non è elemento che di per se stesso, se non suffragato da dimostrazioni filologiche, possa ostare al riconoscimento di questo manoscritto come modello greco per la sua versione del De elementis perché «sembra (...) che Burgundio abbia letto e annotato in latino opere di Galeno da lui non tradotte, e d'altra parte che abbia tradotto opere di Galeno da lui non annotate, come nel caso delle due traduzioni di Aristotele [sc. il De generatione et corruptione e l'Ethica

Nicomachea]», come opportunamente segnala Stefania Fortuna18, ma anche

perché «tra i manoscritti con note di Burgundio, i Plutei 74.5 e 74.30 sono gli esemplari nei quali la sua attività di lettura è stata sicuramente la più intensa, dal momento che vi figurano le annotazioni quantitativamente più numerose e più estese», come recentemente ha fatto notare Paola Degni19.

16 Ai ff. 3r-v il margine esterno non è quello originario, ma evidentemente frutto del

restauro.

17 Cfr. DEGNI 2008, p. 183 «Negli anni precedenti a questa data [sc. 1571, anno

d'apertura al pubblico della Laurenziana ad opera di Cosimo I] essi [sc. i mss. confezionati nell'atelier di Ioannikios e annotati da Burgundio], al pari degli altri manoscritti della collezione, furono fatti oggetto di una drastica opera di restauro; ad essi fu attribuita l'attuale legatura, in cuoio rossiccio, con cantonali e borchie, e munita di catena con la quale erano ancorati ai plutei».

18 Cfr. FORTUNA-URSO 2009, p. 145. 19 Cfr. DEGNI 2013, p. 807.

CXIV

Inoltre, che il Laur. Plut. 74.5 sia stato utilizzato da Burgundio per il De elementis sembrerebbe suggerito anche dalla storia delle traduzioni del Pisano: questo stesso manoscritto, infatti, contiene l'ipotesto greco delle sue versioni del De complexionibus20 e dei tre libri del De naturalibus facultatibus21, due trattati contenutisticamente a esso consequenziali e con

cui Galeno stesso fondò i princìpi della propria fisiologia. Risulterebbe quanto meno strano che, pur avendo sicuramente a sua disposizione un manoscritto da lui certamente utilizzato contenente il testo greco del De

elementis, egli abbia avvertito la necessità di procurarsi un nuovo

manoscritto con questo testo. L'unica ragione che potrebbe averlo spinto a ciò è da rintracciarsi nella caduta dei primi fogli del trattato, ma in seguito proveremo a dimostrare che quando Burgundio realizzò la sua versione nel Laur. Plut. 74.5 il testo era ancora verosimilmente integro.

Dal punto di vista della ricostruzione storico-culturale, quindi, tutto sembra concorrere a sostegno di questa tesi. L'ultima parola, però, spetta sempre all'esame filologico. Procediamo con ordine.

Nell'edizione del trattato galenico Περὶ τῶν καθ` Ἰπποκράτην στοιχείων pubblicata nel 1996 per le cure di Phillip de Lacy nella serie del

Corpus medicorum Graecorum, qualche pagina dell'Introduction è dedicata alla

tradizione arabo-latina e greco-latina dell'opera. Qui R. J. Durling sentenzia che «the translator used Greek manuscript L» (= Laur. Plut. 74.5)22: questa conclusione si fonda su ventidue luoghi, in cui il testo

tràdito dal Laurenziano presenta errori singolari (errori, omissioni, aggiunte o inversioni dell'ordo verborum) che sono specularmente riflessi nella nostra traduzione latina. In seno allo stemma codicum tracciato da de

20 DURLING 1976, pp. XX-XXIII.

21 Cfr. Annese in FORTUNA-URSO 2009, p. 171. 22DE LACY 1996, pp. 26-28.

CXV

Lacy, il Laur. Plut. 74.5 è il più antico dei testimoni sopravvissuti23, è copia

diretta dell'archetipo e non è mai stato copiato (o, se lo è stato, nessun suo apografo è sopravvissuto): tutto questo rende naturalmente più agevole riconoscerne il ruolo di ipotesto della versione greco-latina24.

Non avendo a disposizione un'edizione della versione burgundiana del De elementis né apparati critici da compulsare, Durling confronta questi luoghi solo con quanto emerge dal consensus di due dei sette manoscritti latini allora noti (segnatamente, Avranches, Bibliothéque Municipale, 232 e Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 2375). Al termine dell'indagine, lo studioso ritiene che ci siano elementi più che fondati per tale identificazione ma che, dati i termini della sua analisi filologica, la lista di errori congiuntivi da lui pubblicata risulta «by no means exhaustive»25, affidando così al futuro editore del testo latino il

compito di portarla a termine. Durling, inoltre, sottolinea che l'esame della versione greco-latina ha un valore filologicamente maggiore per quanto concerne la prima parte del testo greco, poiché il Laur. Plut. 74.5, essendo il manoscritto greco più antico tra quelli superstiti e copia diretta dell'archetipo, è mutilo proprio dei primi due (?) fogli del trattato.

Primo interrogativo al quale ho cercato di dare una risposta è stato quello di verificare la dipendenza suggerita da Durling. Dal momento che lo stesso studioso definì la propria indagine «by no means exhaustive», pur tenendo contestualmente in debita considerazione quanto già da questi sostenuto ho deciso di effettuare controlli su tutta la tradizione greca, così

23 La retrodatazione dei manoscritti vergati da Ioannikios si deve a WILSON 1983, p.

168 ssq.

24 La seriorità rispetto al resto della tradizione manoscritta greca era già stata intuita

da Diels, benché lo dati ancora al XIV secolo (cfr. DIELS 1906, p. 63). Sul valore filologico di questi manoscritti per i testi galenici, cfr. WILSON 1983, p. 166.

CXVI

da assottigliare quanto più possibile la percentuale d'errore nell'identificazione del modello. Il confronto tra testo greco e testo latino è stato integrale. Qui di seguito, i risultati di quest'indagine.

I.3.2 Esame preliminare dell'intera tradizione manoscritta greca