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Nello stesso periodo in cui Filippo Cordova era eletto Gran Maestro, nasceva la loggia “Dante Alighieri”.

Ispirata da Crispi, la “Dante Alighieri” venne fondata grazie all’opera di Luigi Revelli, insegnante di stenografia e appartenente alla loggia “Progresso”. Fin dal- l’autunno del 1861 Revelli aveva frequentato con assiduità le logge torinesi, man- tenendo viva la fronda democratica. Al termine della sua opera di proselitismo raccolse dodici ‘ fratelli’ e diede vita alla loggia intitolata al sommo poeta.

La creazione di una loggia d’indirizzo progressista rese evidente il forte inte- ressamento da parte dei democratici nei confronti dell’Istituzione massonica. Essi fino a quel momento non avevano domandato ‘la vera luce’ per incompatibilità politica con la dirigenza del GOI, ma nel giro di pochissimo tempo aderì alla nuova officina il gotha della sinistra: Giuseppe Civinini, Francesco De Luca, Ago- stino Depretis, Saverio Friscia, Luigi La Porta, Mauro Macchi, Mattia Montecchi, Antonio Mordini, Francesco Pulszky, Timoteo Riboli, Mariano Ruggiero, Aurelio Saffi, Riccardo Sineo e Giuseppe Zanardelli. Da segnalare tra gli iscritti, per il ruolo svolto nell’evoluzione del Rito Scozzese con la costituzione del Supremo Consiglio di cui parleremo in seguito, il Principe Francesco Claudio Arpad di Crouy Chanel, pretendente al trono ungherese, Ferdinando Ghersi, massone di antica data iniziato in Spagna durante il trienio liberal, Pio Aducci e il già citato Francesco De Luca, futuro Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia.

La “Dante Alighieri” fu senza dubbio la meno ‘torinese’ delle quattro logge subalpine, in quanto i suoi membri per la stragrande maggioranza erano solo tem- poraneamente residenti a Torino essendo deputati o militari di carriera.54Notevole

anche la presenza di ungheresi, polacchi e romeni per la maggior parte militari. Solo tre giorni dopo l’elezione del Gran Maestro, in una riunione convocata dalla nuova officina, veniva messa in discussione la regolarità dell’assemblea ad- ducendo un suo svolgimento non conforme ai regolamenti. Venne fatta notare sia la mancata partecipazione all’assemblea55di alcune logge del GOI, sia il fatto

che alcune convocazioni non fossero arrivate nei quindici giorni previsti dai re- golamenti. Inoltre maturò nei confronti di Buscalioni l’accusa di aver esercitato pressioni su alcuni delegati affinchè essi non votassero il Generale per «gravissimi motivi».

Al termine di una dettagliata elencazione di presunte irregolarità procedurali e di insinuazioni del tenore che il Gran Maestro fosse stato eletto da una consor- teria e che il Grande Oriente stesso fosse una consorteria (frase pronunciata da Montanelli che provocò l’abbandono dell’assemblea da parte dei rappresentanti della loggia “Ausonia”), venne nominata una commissione d’inchiesta composta

da Montanelli, Mordini, Saffi, Revelli e Zambeccari per verificare le presunte ir- regolarità56.

La nomina di una commissione d’inchiesta venne recepita dal Gran Consiglio come una aperta sfida al suo operato, confermandogli che l’opposizione demo- cratica si stava organizzando e avrebbe potuto trovare nella “Dante Alighieri” il proprio centro d’aggregazione. A questo punto, invece di assecondare le richieste di alcuni fratelli esponenti della Sinistra parlamentare, come Depretis, Macchi e Levi, cercando così un punto d’accordo, i vertici moderati del GOI adottarono un atteggiamento di chiusura, imponendo alla loggia ribelle la consegna dei ver- bali. Un atto, quest’ultimo, che significava massonicamente la sospensione dei la- vori di loggia.

La richiesta naturalmente non venne accolta, e il 18 marzo la loggia “Dante Alighieri” deliberava di staccarsi dal Grande Oriente di Torino «per fare adesione al Grande Oriente d’Italia sedente in Palermo»57.

Il passaggio all’obbedienza del Supremo consiglio di Palermo della “Dante Ali- ghieri, il voto a favore dato da alcune officine subalpine a Garibaldi, il carisma esercitato da Levi, che continuava a mantenere ottimi rapporti con la “Dante Ali- ghieri”, e i segnali d’insofferenza lanciati dalle logge bolognesi e fiorentine, spin- sero Buscalioni a fondare, come abbiamo già visto, la loggia “Osiride”.

La proposta di Buscalioni venne discussa nella riunione del Gran Consiglio del 4 aprile e l’8 aprile il Gran Maestro firmava la bolla di fondazione58.

Oltre ai membri del Gran Consiglio – Anfossi, Borani, Buscalioni, Cordey, Cordova, Elena, Gallinati, Gallo, Govean, Peroglio e Piazza – entrarono a far parte della neonata struttura noti esponenti della destra storica torinese, come il senatore Vincenzo Sylos-Labini, i deputati Francesco Camerata-Scovazzo, Euge- nio Pelosi, Luigi Selvestrelli, il marchese Carlo Luzi e una dozzina di conti e ba- roni. Ad essi si aggiunsero vari esponenti dell’élite imprenditoriale e dirigenziale subalpina, oltre ai noti La Farina, Nigra, Casalis, Coppino, Frescot. Da segnalare inoltre, per il ruolo che svolsero negli anni seguenti, le iniziazioni di Ermanno Buscalioni (fratello di Carlo Michele, esponente di primo piano della Società Na- zionale) e di Pietro Sbarbaro.

L’appartenenza di dodici dei sedici membri del Gran Consiglio alla “Osiride”, favorì l’assunzione, a partire dall’aprile del 1862, della guida del GOI dalla loggia di Buscalioni, che venne immediatamente eletto Venerabile. Questo nuovo assetto organizzativo all’interno della componente moderata, consacrò definitivamente la leadership di Buscalioni che, in presenza di un Gran Maestro di cagionevole sa- lute e impegnato in incarichi governativi, divenne di fatto il facente funzioni di Gran Maestro.

espressa, fu caratterizzata da un lato da un consolidamento della struttura orga- nizzativa sia a livello torinese che nazionale, dall’altro da un brusco irrigidimento nei confronti delle altre componenti massoniche nazionali.

Dalla lettura dei verbali del Gran Consiglio del GOI, la sola loggia capace di comprendere chiaramente la gravità della situazione fu la “Cavour”, che pose la questione di riformare le Costituzioni superando il vincolo del riconoscimento dei soli primi tre gradi liberomuratori. La sua proposta di trasformarsi in loggia «capitolare» non venne accolta dal Gran Consiglio, ma rimase una problematica che molti ‘fratelli’, seppure politicamente moderati, vedevano favorevolmente come una possibilità per accedere a gradi superiori. La creazione di un Supremo Consiglio del RSAA da parte della “Dante Alighieri”, provocò proprio a Torino una crisi che mise a nudo le debolezze strutturali della dirigenza moderata subal- pina che, ancorata ostinatamente alla politica cavouriana (ma che senza Cavour non riuscì a produrre un valido programma dando spazio alla rivalità tra i suoi esponenti e ad antagonismi regionali59), non seppe cogliere i cambiamenti politici

e sociali di quel periodo trovandosi, massonicamente parlando, impreparata al fa- scino rituale del Rito Scozzese Antico Accettato, e al controllo esercitato sulla base grazie alla sua struttura piramidale.

Altro fattore che risultò chiaro fu lo scollamento tra il gruppo dirigente (im- bevuto di una profonda e radicata avversione verso le correnti democratiche) e le logge che rappresentarono invece un punto d’incontro e di mediazione tra le cor- renti politiche nazionali e costituirono un laboratorio dove discutere e ragionare su caratteri, contenuti e scopi da imprimere nel patrimonio culturale della società italiana.

Immaginando una maggioranza di democratici e garibaldini dell’Assemblea del GOI – prevista a Firenze per il giugno 1863 e spostata in seguito ad agosto per consentire ai deputati massoni di parteciparvi sfruttando la chiusura dei lavori parlamentari – la maggioranza dei membri del Gran Consiglio, compresi Cordova e Govean, si dimise60 delegando a Celestino Peroglio, 2° Gran Sorvegliante, la

rappresentanza nell’assemblea fiorentina.

Dal 1° al 6 agosto 1863, nella sede della loggia fiorentina “La Concordia”, si riunirono i delegati di 42 logge per dare vita alla III Assemblea costituente del GOI.61

Le dimissioni di Cordova e Govean non contribuirono a rasserenare gli animi e, secondo quanto si evince dalla lettura dei verbali62, le assisi furono alquanto

agitate. È però opportuno sottolineare, come l’assemblea fiorentina fallì comple- tamente il proprio obiettivo principale, e cioè quello di «provvedere alla più per- fetta costituzione ed alla unificazione della famiglia massonica italiana»63.

torì una confusa divisione di poteri: pur accettando le dimissioni del Gran Mae- stro e del Gran Maestro Aggiunto, confermò al centro torinese le funzioni am- ministrative del GOI, nominando al contempo una Giunta composta dai massoni fiorentini Giacomo Alvisi, Giuseppe Dolfi, Neri Fortini, Cesare Lunel e Ettore Papini, tutti della loggia “Concordia”, con il compito di studiare la situazione, contattare tutti gli organismi massonici esistenti in Italia e preparare una nuova Assemblea costituente.

L’elemento di curiosità è dato dal fatto che a tale assemblea, il cui svolgimento segnò l’inizio dell’agonia del gruppo dirigente moderato torinese, non partecipa- rono gli attori della contesa che avevano dominato il panorama massonico italiano nei tre anni precedenti. Un’assenza grazie alla quale i massoni toscani assunsero un ruolo guida, mantenendolo fino all’avvento del fascismo.

La bicefalia di potere provocò, come prevedibile, uno scontro per il controllo politico, senza esclusione di colpi, tra il gruppo torinese, raccolto attorno a Bu- scalioni, e quello fiorentino.

Anche se a Gran Reggente facente funzioni di Gran Maestro venne eletto Pe- roglio (che aveva avuto il merito di impedire la totale disfatta dei “torinesi” pre- siedendo con passione i lavori dell’assemblea fiorentina) ancora una volta il ruolo d’eminenza grigia, in assenza dell’infermo Cordova e di Govean, venne assunto da Buscalioni,64che tramite l’aiuto del fratello (di sangue) Ermanno riannodò le

conoscenze e le amicizie maturate all’interno della Società Nazionale per guada- gnare adesioni alla propria politica.

Lo scontro politico generatosi sulla questione del trasferimento della capitale da Torino a Firenze (previsto in una speciale clausola del trattato italo-francese conosciuto come ‘Convenzione’) andato in scena tra coloro che caldeggiavano, in attesa della liberazione di Roma, una capitale più ‘italiana’ e coloro che invece erano tesi a difendere il ‘primato piemontese’, maturò con un anno di anticipo nelle file massoniche italiane.

Buscalioni, anche se molto indebolito dalle risoluzioni votate a Firenze, non si diede per vinto ed elaborò una strategia che prevedeva due linee d’intervento: in prima battuta una meticolosa e ostruzionistica verifica procedurale e metodo- logica delle risoluzioni dell’Assemblea per contrastare il potere della giunta fio- rentina ed acquisire il controllo politico della massoneria; in un secondo momento, attraverso un ambizioso progetto, lavorare per l’ampliamento delle re- lazioni e della base massonica anche a costo di scendere a compromessi con av- versari come il Supremo Consiglio palermitano e i massoni ruotanti nell’orbita della “Dante Alighieri” e di Frapolli.

La bocciatura di quest’ultimo tentativo di riunificazione della massoneria at- traverso i vertici e non attraverso una costituente al cui interno gli organismi pree-

sistenti si fossero disciolti accettando la nuova struttura unitaria votata dall’as- semblea delle logge svincolate da ogni legame di appartenenza, costrinse Busca- lioni alle dimissioni nella seduta del 22 marzo65. Un passaggio cui fecero seguito

le dimissioni, quattro giorni più tardi, di tutti i consiglieri, tranne Levi, che ri- tennero, essendo l’unificazione della massoneria «un vano desiderato», di lasciare l’assemblea di Firenze arbitra assoluta della sorti della massoneria italiana66.

Con questi allontanamenti terminava dopo quattro anni la dirigenza moderata subalpina e cessava lo straordinario sviluppo delle logge torinesi, il cui numero tra quelle all’obbedienza del GOI e quelle orbitanti intorno alla “Dante Alighieri” erano arrivato a dieci.

Alcuni, come Buscalioni, uscirono dalla massoneria, altri come Govean e Cor- dova ripresero il posto tra le ‘colonne’ delle loro logge.