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La ricostruzione del GOd’I nel secondo dopoguerra

4. A NCORA UNA VOLTA LA “C AVOUR ” RINASCE

4.1 La ricostruzione del GOd’I nel secondo dopoguerra

Dopo vent’anni di oblio, con la caduta del regime fascista, la massoneria rie- mergeva all’interno della scena italiana.

Già nel febbraio 1945, un rapporto confidenziale americano sosteneva che la liberamuratoria italiana sembrava orientata a creare una sorta di partito demo- cratico, rappresentante tutti coloro che si riconoscevano nella tradizione demo- cratica post-risorgimentale. Il documento, sottolineava inoltre le differenze esistenti tra coloro che si richiamavano alla tradizione laicista e progressista del Grande Oriente di Palazzo Giustiniani, e quelli che si rifacevano alle posizioni conservatrici della Gran Loggia di Piazza del Gesù.

I primi erano, secondo il rapporto, di spiccate tendenze repubblicane, con una componente favorevole al Movimento Federalista Europeo, e avevano formato, fin dal luglio 1943, un provvisorio «Governo dell’Ordine Massonico Italiano», che aveva riattivato le logge ‘dormienti’ e dichiarato la volontà di combattere tutti i dispotismi, in base ai principi di uguaglianza e fratellanza. Il 10 giugno 1944 veniva diffuso a Roma un manifesto che annunciava la rinascita del Grande Oriente d’Italia, firmato da Umberto Cipollone, Giuseppe Guastalla ed Ermanno Solimene, e immediatamente dopo si costituì un «Comitato di Gran Maestranza», composto da Cipollone, Guido Laj, prosindaco di Roma, e Gaetano Varcasia, consigliere di Cassazione. Questo ‘triumvirato’ assegnò la carica di Gran Maestro a Giuseppe Guastalla, primo Gran Sorvegliante nel 1925, e quella di Gran Mae- stro onorario a Enrico Presutti, rimarcando in tal modo il collegamento con la massoneria dell’età liberale. In quei mesi il Grande Oriente d’Italia aveva inten- sificato la sua attività nella parte del paese liberata dagli alleati, arrivando a contare circa trenta logge, di cui sei a Roma. Ciò fa presupporre che, malgrado la repres- sione del ventennio, alcuni esponenti del Grande Oriente avessero in qualche modo mantenuto i contatti tra loro.

Un altro elemento caratterizzante l’indirizzo ‘giustinianeo’, impresso alle logge che si stavano ricostituendo, fu il dibattito sul comportamento da assumere nei confronti degli aderenti che professavano la religione cattolica. Si arrivò alla con- clusione che ciò non avrebbe precluso l’entrata nell’organizzazione e, considerato lo specifico caso italiano, si chiedeva agli iniziati di essere cattolici non professanti. Per quanto riguarda, invece, l’eventuale rapporto con esponenti del decaduto re- gime fascista, venivano considerati inammissibili coloro che avevano ricoperto cariche all’interno del partito o svolto attività di primo piano nella vita pubblica.

Per ciò che concerne la riorganizzazione di coloro che si rifacevano all’espe- rienza della massoneria di Piazza del Gesù, la situazione appariva più confusa e intrisa di contrasti, dovuti principalmente alla discussa figura di Raoul Palermi, il quale, tenutosi in disparte fino alla liberazione di Roma, aveva ripreso a distri- buire tessere e diplomi massonici, attestandosi su posizioni monarchiche.

Molti massoni lo accusavano per il comportamento tenuto durante il regime fascista e, in particolare, di avere fondato, nel 1926, un’associazione paramasso- nica, intitolata a San Giovanni di Scozia, la cui presidenza era stata offerta a Mus- solini. Non mancarono le insinuazioni sui vantaggi personali avuti durante il ventennio, quando, stando agli accusatori, gli venne affidato un impiego di ispet- tore marittimo presso il Ministero delle Comunicazioni, mentre molti altri, per il solo fatto di essere massoni, venivano mandati al confino.

Malgrado i precedenti filo-fascisti, nel gennaio del 1945, egli stampò un ma- nifesto in cui affermava lealtà e fiducia verso gli Alleati auspicando un plebiscito per la scelta della forma istituzionale, augurandosi il rispetto dei Patti lateranensi e ritenendo l’autorità della Chiesa essenziale per il futuro della Nazione e del- l’Umanità.

Anche se le polemiche contro Palermi generarono la nascita di almeno cinque gruppi massonici, non mancarono spinte per l’unificazione. Era però necessario conciliare le posizioni dei giustinianei, sostenitori della repubblica e contrari ad un accordo con il Vaticano, con quelle degli affiliati a Piazza del Gesù, la cui mag- gioranza era favorevole alla monarchia e a una apertura verso la Chiesa cattolica. Secondo un rapporto del Ministero degli Interni, ancor prima della fine della guerra, operavano una decina di obbedienze, in feroce polemica tra loro. Tale do- cumento, indicava come organizzazione di riferimento per l’universo massonico quella di Cipollone, al cui gruppo appartenevano diversi ministri del governo Bo- nomi: Marcello Soleri, ministro del Tesoro, Meuccio Ruini, dei Lavori pubblici e Francesco Cerabona dei Trasporti. Il 21 giugno 1945, con la nomina a presi- dente del Consiglio di Parri, Soleri mantenne il suo ministero e Ruini passò alla Ricostruzione.

Anche se l’attività liberomuratoria si stava espandendo su tutto il territorio na- zionale, rimaneva fondamentale l’inserimento nel circuito massonico internazio- nale; da qui la necessità di stringere rapporti con le Gran Logge statunitensi.

Il riconoscimento internazionale fu un ulteriore terreno di contrasto tra le varie obbedienze di Piazza del Gesù e il Grande Oriente d’Italia. Vennero seguite due strade ben distinte: i primi tentarono contatti ufficiali con le organizzazioni ame- ricane del Rito Scozzese, mentre i ‘giustinianei’ iniziarono a stringere rapporti personali con i confratelli statunitensi e inglesi sin dallo sbarco degli alleati in Si- cilia. Un passaggio che contribuì ad alimentare le relazioni, parallelamente al-

l’avanzare dell’esercito alleato verso il nord della penisola: infatti i massoni inglesi e statunitensi, non solo cominciarono a frequentare le logge italiane, ma si orga- nizzarono nella “Tibet River Masonic Club”, che aveva come primo iscritto Mark W. Clark, comandante della V armata.

Tali relazioni facilitarono il riconoscimento del GOd’I, avvenuto in seguito alla visita di una delegazione, autorizzata dal Presidente degli Stati Uniti, Harry Truman. In una relazione inviata alla Masonic Service Association (organo di col- legamento delle cinquanta Gran logge nazionali statunitensi), la commissione sta- bilì che l’unica organizzazione affidabile fosse il Grande Oriente, dal momento che il gruppo di Palermi sembrava troppo compromesso con il passato regime; e ciò, nonostante, gli statunitensi auspicassero l’unificazione delle forze massoniche in Italia.

Il riconoscimento statunitense e la frequentazione nelle officine italiane di sol- dati e funzionari alleati, accelerarono il processo di trasformazione della masso- neria italiana.

Il Presidente Truman (già Gran Maestro della loggia del Missouri) abbandonò la politica internazionale del suo predecessore, passando dal dialogo al confronto tra le superpotenze. Nell’ottica di una politica di scontro, al fine di contrastare l’influenza sovietica in Europa, la massoneria, secondo l’amministrazione ameri- cana, poteva svolgere un ruolo importante all’interno della società italiana, affin- ché «non permett[essero] l’infiltrazione ai vertici dell’Italia di comunisti al servizio del materialismo».

È in tale contesto che il Grande Oriente ottenne il riconoscimento, anche gra- zie alla fusione con uno dei tanti gruppi ‘scozzesisti’, guidato da Tito Signorelli, esponente di primo piano della Chiesa Metodista in Italia.

Non riuscirono invece a ottenere legittimità internazionali i diversi gruppi che si rifacevano alla tradizione di Piazza del Gesù, sia perché si sospettava che Palermi fosse stato un confidente dell’OVRA fino al settembre 1943, sia perché era stato radiato dal ruolo di membro onorario del Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico ed Accettato (Giurisdizione Sud – Washington), per aver pubblicato «...a letter...in which he stated that he had quit Freemasonry in 1926, and was a firm supporter of Premier Mussolini and that he must sacrifice his association with Freemasonry». Nel 1949 alcune obbedienze autodenominatesi di Piazza del Gesù si unirono in un unico organismo, facendo nuovamente richiesta di riconosci- mento a John H. Cowless, capo della potentissima Giurisdizione Sud, che ancora una volta espresse un parere negativo, mantenendo la propria diffidenza.

Per ciò che concerne gli orientamenti politici assunti dalle diverse organizza- zioni liberomuratorie, continuava a persistere, nonostante le dichiarazioni di apar- titicità e apoliticità, una sostanziale divergenza di posizione tra il Grande Oriente

e la maggioranza dei gruppi di Piazza del Gesù, sia sull’ordinamento istituzionale da dare allo Stato, sia sui rapporti con la Chiesa cattolica.

Relativamente al dibattito sui rapporti tra Stato e Chiesa, i vertici del GOd’I indirizzarono una circolare alle logge aderenti, chiedendo loro di battersi per la laicità dello Stato e per l’aconfessionalità della scuola. In tale ottica, il Gran Mae- stro Guido Laj tentò di costituire una strategia di convergenza con la sinistra ba- sata sulla lotta anticlericale, l’istituzione del divorzio e la difesa della scuola laica, ottenendo però un netto rifiuto da parte dei dirigenti comunisti, i quali ribadirono il loro antimassonismo, che affondava le radici nel massimalismo socialista e, in seguito, nell’Internazionale Comunista.

Questa rigida pregiudiziale, unitamente all’approvazione dell’articolo 7 della Costituzione sui rapporti Stato-Chiesa, votato anche dal Partito comunista ita- liano in nome della pace religiosa, sancì definitivamente le scelte filoccidentali e anticomuniste dei liberomuratori, dando vita ad una massoneria molto diversa, almeno fino alla metà degli anni sessanta, da quella operante nel periodo liberale, senza velleità politiche e fortemente in crisi per quanto riguarda nuove adesioni. Nei decenni successivi il GOd’I, in quanto portatore di valori laici e liberal democratici, subì l’ostilità della cultura cattolica e di quella comunista: in tal senso venne inserito nell’articolo 18 della Costituzione il divieto di dare vita ad asso- ciazioni segrete con il fine recondito di colpire la massoneria, ignorando che quest’ultima, come gli stessi partiti politici che sedevano nell’assemblea costi- tuente, aveva dismesso la propria struttura, necessariamente segreta, per resistere alla tirannia fascista. Si trattava di un articolo che, fortunatamente, non provocò sulla stessa massoneria alcuna ricaduta repressiva.

Le simpatie per la sinistra di buona parte dei giustinianei servirono, almeno fino al 1948, da pretesto per altri gruppi massonici, come ad esempio quello fon- dato a Bari da Liborio Granone, per lanciare l’accusa di comunismo contro il GOd’I al fine di indurre le Gran Logge statunitensi a negare il proprio riconosci- mento. Un grande sforzo fu messo in atto dalla dirigenza giustinianea per correre ai ripari e, a tal proposito, si rivelò fondamentale la missione compiuta nel 1948 dal gran tesoriere Publio Cortini presso i Grandi maestri d’oltre oceano: la difesa di quest’ultimo dell’operato del GOd’I ebbe buon esito e i riconoscimenti vennero confermati.

Malgrado il clima sfavorevole che si era venuto a determinare, il GOd’I portò a compimento la propria riorganizzazione interna. Nel 1949 fu approvata la nuova Costituzione anche grazie all’impegno profuso dal Gran Maestro Guido Laj, che non riuscì tuttavia a portare a termine la propria opera a causa della morte, avve- nuta il 5 novembre 1948.