Il procedimento per decreto, prevedendo l’eliminazione dell’udienza preliminare e di quella dibattimentale, è il rito speciale con la maggiore efficacia deflattiva. Il pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari, presenta al giudice una richiesta motivata di applicazione della pena. L’imputato viene informato solo successivamente ed ha la possibilità di presentare opposizione entro quindici giorni dalla notificazione del decreto, a pena di inammissibilità. Qualora l’opposizione non venga presentata o non sia ammissibile, il giudice ordina l’esecuzione del decreto. Unitamente all’opposizione, l’imputato può chiedere il patteggiamento, il giudizio immediato, la sospensione del procedimento con messa alla prova, l’oblazione o il giudizio abbreviato. In mancanza di tale specifica richiesta, a seguito dell’opposizione, il giudice revoca il decreto penale e instaura il giudizio immediato113.
Ai sensi dell’art. 459 c.p.p., affinché il rito sia ammissibile è necessario che il pubblico ministero richieda al giudice l’irrogazione della sola pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di una pena detentiva, indicandone la misura. La richiesta per essere ammissibile deve essere presentata entro sei mesi dalla data in cui il nome della
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persona alla quale il reato è attribuito è iscritto nel registro delle notizie di reato, previa trasmissione del fascicolo e in assenza della necessità di applicare una misura cautelare personale. Il giudice può anche non accogliere la richiesta e in questo caso, se non ritiene di dover prosciogliere l’imputato a norma dell’art. 129 c.p.p., restituisce gli atti al pubblico ministero.
Il decreto penale di condanna comporta la condanna ad una pena pecuniaria che può essere diminuita sino alla metà rispetto al minimo edittale, non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo e non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento né l’applicazione di pene accessorie. Inoltre ai sensi dell’art. 460 comma 5 c.p.p. il reato si estingue se “nel termine di cinque anni, quando il decreto concerne un delitto, ovvero di due anni, quando il decreto concerne una contravvenzione, l’imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole”.
Nell’applicazione concreta del decreto penale di condanna, la richiesta del pubblico ministero molto spesso è slegata dal principio di completezza delle indagini preliminari, ma fa riferimento agli elementi che provengono dalla notizia di reato.
Un quadro investigativo completo, in realtà, dovrebbe essere indispensabile per lo svolgimento di tale procedimento poiché permetterebbe all’indagato di effettuare una più accurata valutazione circa l’opposizione e le relative modalità previste. Consentirebbe,
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inoltre, al giudice di verificare effettivamente la presenza o meno di una causa di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.114
A ben vedere, anche l’indicazione del termine di sei mesi a disposizione del pubblico ministero per la richiesta del decreto, soprattutto se affiancata alla non particolare complessità delle indagini per i reati a cui il procedimento può essere applicato, suggerisce il necessario svolgimento di indagini complete. La portata deflattiva del
114 M. L. Di Bitonto, Le indagini del pubblico ministero dopo l’esercizio dell’azione penale: linee generali e recenti modifiche. In Indice pen., 2001. In proposito si segnala
la sentenza della Corte di Cassazione penale a sezioni unite del 1995. Il giudice per le indagini preliminari a seguito di richiesta del p.m. di decreto penale di condanna proscioglieva l’imputato poiché non poteva dirsi raggiunta la prova certa della sussistenza dell’illecito. Il Procuratore generale proponeva ricorso in cassazione, deducendo “violazione dell’art. 129 c.p.p”. Egli rilevava che “questa norma può trovare applicazione in ogni stato e grado del processo solo quando gli atti offrono la prova positiva che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non è previsto dalla legge come reato o non costituisce reato o che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, sicché deve escludersi che possa valere in una situazione processuale in cui la prova appare insufficiente e le parti hanno ancora la possibilità di colmare l’insufficienza. Il procedimento per decreto, del resto, è strutturato in modo tale da garantire pienamente i diritti dell'imputato, il quale, ove ritenga le prove acquisite insufficienti per un giudizio di responsabilità quale quello sotteso al decreto penale, può proporre opposizione. Il giudice per le indagini preliminari, anticipando una possibile ragione di opposizione, si è posto, dunque, al di fuori del processo monitorio. Il ricorso è stato assegnato alla terza sezione, la quale ha ravvisato l'opportunità di rimetterlo alla sezioni unite, a norma dell'articolo 618 c.p.p., avendo rilevato un contrasto giurisprudenziale sulla possibilità, per il giudice delle indagini preliminari, richiesto dal p. m. di emissione di decreto penale, di pronunciare sentenza di proscioglimento soltanto a norma dell'articolo 129 c. p. p., ovvero anche per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova ai sensi dell'articolo 530, comma 2, del c.p.p. Secondo la corte è “astrattamente possibile che il giudice, richiesto della emissione del decreto penale o dell'applicazione della pena, colga, come lo ha colto il giudice della fattispecie, che, gli atti, pur non offrendo la prova positiva della innocenza, offrono la prova negativa della colpevolezza, nel senso, radicale, della impossibilità di acquisirla”. “In casi come questo, ove si verifichino, casi, va rilevato, nei quali il confine con le ipotesi del comma 1 dell'articolo 129 è davvero molto sottile, per non dire evanescente - evidenti ragioni di economia processuale - sembra indiscutibile - impongono che gli atti non vengano restituiti al pubblico ministero, il quale, peraltro, ha la possibilità di ottenere una nuova riflessione sul tema proponendo ricorso per cassazione”. (Cass., sez. un., 9 giugno 1995, n. 18, Cardoni, in Cass. pen., 1996).
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procedimento deriva, infatti, dalla possibilità della non celebrazione della fase processuale e non certo dalla riduzione della fase investigativa conseguente allo svolgimento di indagini incomplete. L’imputato, riconoscendo la completezza investigativa attraverso la mancata opposizione, permette che le risultanze delle indagini vengano utilizzate come prove115. Un’indagine incompleta, invece, potrebbe condurre l’imputato all’opposizione o, comunque, non permettergli un’effettiva valutazione circa la scelta più vantaggiosa.
L’art. 459 comma 1, inoltre, dispone che il pubblico ministero, nel richiedere l’emissione del decreto penale di condanna, deve anche indicare la misura della pena. “Il pubblico ministero deve essere nelle condizioni non solo di formulare l’imputazione, ma anche di determinare specie e misura della pena principale ed, eventualmente, della pena accessoria”116.
“Sarebbe davvero irragionevole imporre al pubblico ministero una tale operazione, prima che il materiale raccolto nel rispetto del termine di sei mesi dall’iscrizione del nome dell’imputato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., abbia consentito un’adeguata valutazione del fatto alla stregua dell’art. 133 c.p”117.
115 M. L. Di Bitonto, Profili dispositivi dell’accertamento penale, Giappichelli, Torino,
2004.
116 F. Siracusano, La completezza delle indagini nel processo penale, cit., p. 163.
117E. Marzaduri, voce Azione. IV) Diritto processuale penale, in Enc. giur. Treccani,
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