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L’applicazione della pena su richiesta delle parti

Il rito dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, detto anche “patteggiamento”, data la sua funzione prevalentemente deflattiva, prevede numerosi benefici per l’imputato in presenza di reati di non particolare gravità che ne hanno assicurato un’ampia attuazione nella prassi quotidiana. Il pubblico ministero e l’imputato manifestano la volontà di definire anticipatamente il procedimento formulando una richiesta di applicazione di una pena da loro individuata. Si ritiene che il patteggiamento sia il più complesso tra i riti speciali “perché la richiesta che introduce il procedimento è una proposta di “transazione” che concerne in primo luogo il merito e non solo il rito”118.

Il patteggiamento prevede che la decisione del giudice avvenga allo stato degli atti, e cioè sulla base del fascicolo delle indagini e dell’eventuale fascicolo del difensore. Si tratta, tuttavia, “di un forma procedimentale del tutto compatibile con i principi del giusto processo sanciti dalla Carta fondamentale, posto che l’instaurazione del procedimento di applicazione della pena su richiesta dipende da una manifestazione di volontà dell’imputato, il quale – con la sua istanza o con la formulazione del consenso alla richiesta della parte pubblica –

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accetta così di essere giudicato sulla base dei risultati delle attività di indagine svolte dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria”119.

Il patteggiamento, dunque, da un lato comporta una semplificazione del rito poiché permette al giudice di decidere sulla base degli elementi raccolti dal pubblico ministero, dall’altro prevede numerosi benefici per l’imputato per incentivarlo a scegliere tale rito.

La legge 12 giugno 2003 n. 134 ha introdotto rilevanti modifiche alla disciplina dell’istituto, ampliandone l’ambito di applicazione con la previsione, oltre a quello “tradizionale”, del patteggiamento “allargato”. Ai sensi dell’art. 444 comma 1 c.p.p., quest’ultimo consente al pubblico ministero e all’imputato di accordarsi su di una sanzione da due anni e un giorno fino a cinque anni di pena detentiva, al netto della riduzione fino ad un terzo, sola o congiunta a pena pecuniaria.

Il patteggiamento tradizionale prevede come unico requisito il tetto di due anni di pena detentiva soli o congiunti con pena pecuniaria come pena detentiva massima sulla quale il pubblico ministero e l’imputato possono accordarsi, al netto della riduzione fino a un terzo.

Per quanto riguarda i benefici, oltre alla riduzione di pena, l’imputato può subordinare l’efficacia dell’accordo alla concessione della sospensione condizionale della pena. La sentenza che applica la pena, inoltre, non comporta né la condanna al pagamento delle spese del

119 E. M. Dell’ Andro, Manuale dei procedimenti speciali: aggiornato con la Legge 16 giugno 2003 n. 134 sul “patteggiamento allargato”, La Tribuna, Piacenza, 2003, p.

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procedimento né l’irrogazione di pene accessorie né l’applicazione di misure di sicurezza. Infine, se l’imputato non commette un delitto o una contravvenzione della stessa indole entro il termine di cinque anni (in caso di delitto) o di due anni (in caso di contravvenzione), il reato è estinto.

Il patteggiamento allargato è escluso, sotto un profilo oggettivo, per i delitti di associazione mafiosa e assimilati, per quelli di terrorismo e per alcuni delitti di violenza sessuale e assimilati. Sotto un profilo soggettivo è escluso per imputati che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali, per tendenza ed i recidivi reiterati di cui all’art. 99 comma 4 c.p.

L’iniziativa può essere presa sia dall’imputato, sia dal difensore munito di procura speciale, sia dal pubblico ministero nell’udienza preliminare e il termine finale per la presentazione della richiesta di patteggiamento è la presentazione delle conclusioni nell’udienza preliminare120. Il giudice, quindi, sulla base degli elementi raccolti nel corso delle indagini e dell’eventuale investigazione difensiva, deve valutare la fondatezza dell’accordo tra le parti e la congruità della pena chiesta dalle parti al fine di poterne disporre l’applicazione. Se non ritiene applicabile la pena, rigetta la richiesta con ordinanza e ordina il proseguimento del rito ordinario. Il giudice, infine può prosciogliere

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l’imputato in presenza di una delle cause di non punibilità indicate nell’art. 129 comma 1 c.p.p.

In riferimento al patteggiamento, il principio di completezza assume un ruolo diverso a seconda del momento in cui si concretizza l’accordo sulla pena tra le parti. Questo, infatti, può essere raggiunto nel corso delle indagini preliminari (art. 447 c.p.p.) oppure nell’udienza preliminare (art. 446 comma 1 c.p.p.). Nel primo caso incide sia sulla scelta del pubblico ministero circa le modalità di esercizio dell’azione penale, sia sulla scelta del patteggiamento da parte dell’indagato. Nell’udienza preliminare, invece, influisce soltanto sulla scelta di tale procedimento per entrambe le parti.

La completezza delle indagini preliminari, inoltre, risulta fondamentale anche per la valutazione che il giudice deve effettuare circa la congruità della pena concordata dalle parti, utilizzando i parametri fissati dall’art. 133 c.p. L’art. 32 della legge n. 479 del 1999, infatti, ha sostituito il secondo comma dell’art. 444 c.p.p., disponendo, tra le altre cose, il necessario controllo da parte del giudice sulla congruità della pena indicata. Questa novella ha recepito quanto era già stato espresso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 313 del 1990121. L’instaurazione di tale rito, perciò, deve necessariamente avvenire in presenza di un quadro investigativo il più completo

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possibile, in ordine anche agli elementi che servono a determinare la pena.

D’altra parte, però, l’incompletezza investigativa potrebbe essere sanata proprio attraverso l’accordo tra le parti che, invogliate dai vantaggi derivanti dal patteggiamento, potrebbero scegliere l’instaurazione di tale procedimento nonostante le lacune dell’indagine preliminare, delineando, quindi, un’ampia discrezionalità per la scelta del pubblico ministero. In realtà, egli ha l’obbligo di non prestare il proprio consenso quando l’imputazione non è sostenuta da un solido e completo quadro investigativo122. La richiesta o il consenso del pubblico ministero, infatti, coincidono con l’esercizio dell’azione penale e contengono l’imputazione; devono, perciò, necessariamente basarsi su indagini preliminari complete comprendenti anche gli elementi capaci di incidere sulle determinazioni circa la pena.

Spostando il discorso sul controllo giurisdizionale, questo sembra operare soltanto sulla corretta qualificazione del fatto, sull’equa applicazione e comparazione delle circostanze e sulla congruità della pena, non anche sulla ricostruzione del fatto, sganciandosi, così, dalla verifica circa la completezza dell’indagine. Tuttavia, tale impostazione non è esente da critiche. “Pure se il giudice dispone l’applicazione della pena in seguito all’attività negoziale delle parti, è indubbio che la

122 R. Orlandi, Procedimenti speciali, in G. Conso – V. Grevi (a cura di), Compendio di procedura penale, Cedam, Padova, 2003, p. 553.

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sentenza ex art. 444 c.p.p. è esercizio di giurisdizione sull’azione proposta dal pubblico ministero. La completezza delle indagini, quale supporto indispensabile dell’azione penale, riemerge, così, in tutta la sua consistenza. Con una giurisdizione esercitata attraverso il controllo della fondatezza dell’azione”123.

Dunque, la prassi odierna di sanare l’incompletezza dell’indagine attraverso l’accordo tra le parti circa l’applicazione della pena, in funzione di una sempre più sentita esigenza di deflazione dibattimentale, spesso comporta la disposizione del patteggiamento da parte del giudice anche in assenza di un quadro probatorio completo.

Il bilanciamento tra deflazione dibattimentale e completezza investigativa sembra essere anche alla base dell’individuazione del momento antecedente alle conclusioni nell’udienza preliminare, da parte dell’art. 33 della legge n. 479 del 1999, come termine ultimo per poter presentare richiesta di patteggiamento. Il legislatore ha fatto questa scelta al fine di “consolidare la funzione deflattiva del rito, legandola alla tendenziale completezza del materiale probatorio – di quello introdotto dalle parti ovvero di quello acquisito d’ufficio – in modo da

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invogliare richieste meditate e da prestare convinte adesioni o motivati dissensi”124.

124 G. Spangher, L’applicazione della pena su richiesta delle parti, in R Normando (a

cura di), Le recenti modifiche al codice di procedura penale, vol. III, Le innovazioni

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