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ANALISI COMPARATIVA

2. Perché loro

2.3 Deduzioni di carattere generale

Questo è quindi il quadro complessivo ricavabile dalla comparazione dei dati propri delle iscrizioni oggetto di questo lavoro; tuttavia quest'immagine, sebbene propria solo di Iulia Concordia, può essere estesa al più ampio orizzonte imperiale esterno a Roma, in quanto nel suo complesso la colonia nulla aveva di unico, nessuna sua caratteristica la rendeva particolarmente atipica: la sua società, la sua politica interna e il suo rapporto col centro del potere possono essere quindi visti come emblematici, e partendo da tale considerazione e da quanto finora affermato possono essere tratte ora ulteriori deduzioni.

Innanzitutto è possibile ipotizzare che il peso che le capacità personali dovevano avere nell'ascesa dei singoli era assai probabilmente maggiore in quelle regioni del mondo romano geograficamente lontane dal centro del potere dato che i grandi casati della capitale, rispetto alle famiglie proprie delle aristocrazie locali, dovevano quasi certamente godere di due assai rilevanti vantaggi: in primis un prestigio e una ricchezza assai maggiori di quelli posseduti dalle aristocrazie locali vista la loro più lunga storia e quindi il loro più continuo rapporto diretto con il governo dell'impero e con quel flusso di ricchezze che aveva appunto a Roma il suo centro, in secundis un accesso “privilegiato” alla persona dell'imperatore, accesso che, se ben sfruttato, poteva portare ovviamente a raccomandazioni e sostegni ai più alti livelli; pertanto, al fine di compensare questi pesanti ostacoli, risulta ovvio supporre che quegli individui di provenienza extraurbana che desiderassero fare carriera nella politica e

nell'amministrazione imperiale si trovassero a contare solo sulle loro capacità personali, le quali andavano quindi ad assumere un'importanza parecchio più intensa di quella che rivestivano per coloro che invece provenivano dalla capitale stessa, e di conseguenza non deve stupire che solo i migliori e i più dotati potessero alla fine emergere. Questo sistema aveva poi un ulteriore effetto, garantire il continuo successo e la sopravvivenza stessa dell'ordo equestre e senatorio: come le iscrizioni qui in esame hanno dimostrato, infatti, i “provinciali” che più degli altri si contraddistinguevano e le loro famiglie erano spesso premiati con l'accesso a queste due classi sociali; ora, questa mobilità sociale era un processo assai importante per la società romana poiché il continuo ricambio nella composizione dei due ordines stessi portava da un lato ad una sempre più stretta integrazione tra le aristocrazie locali e il centro del potere, dall'altro ad un costante rinnovamento di queste due classi sociali, necessario per evitarne la stagnazione e il futuro declino. Una indiretta conferma di quanto sino ad ora affermato può essere trovata all'interno di uno studio compiuto da Chastagnol420 e incentrato appunto

sull'evoluzione nella composizione del senato e sullo statuto dei suoi membri durante l'intera età imperiale: i risultati di tale lavoro, infatti, mettono chiaramente in luce il già citato processo di progressiva integrazione delle élites periferiche all'interno dell'ordo senatorio, e tuttavia la realtà di tale evoluzione può essere estesa anche a quello equestre, in quanto l'aristocrazia della capitale era formata da entrambe questa classi sociali. Concentrandosi sull'origine dei membri dell'ordo sino al II secolo d. C. (periodo cui vanno ricondotte quasi tutte le iscrizioni studiate all'interno di questo lavoro) piuttosto che sulle modalità di reclutamento, il testo di Chastagnol fornisce infatti un quadro sufficientemente chiaro: cominciando dal periodo repubblicano esso vide due principali “riforme” nella composizione del Senato, una ad opera di Silla tra l'82 e il 79 a. C. e una di Cesare nel 49 a. C.; in entrambi i casi, in virtù dell'aumento del numero dei senatori (dai 300 originari ai 600 sillani sino ai 900 cesariani) e delle purghe di elementi ostili decretate dai due dittatori, si ebbe l'ingresso nell'assemblea di nuovi membri a fianco di quelli tradizionali, solitamente di origine italiana come voleva la tradizione, anche se lo studioso ammette la possibilità di una assai ridotta presenza provinciale (come si vedrà meglio in seguito), la quale andrebbe però vista come eccezione piuttosto che regola421. Il primo rinnovamento dell'età imperiale avvenne poi

420CHASTAGNOL 1992.

in virtù delle riforme di Augusto422, le quali ebbero come conseguenza un nuovo

rinnovamento nella composizione del Senato stesso, la cui origine però solo parzialmente di differenziò da quella del periodo precedente: i senatori, infatti, anche in quest'epoca erano quasi tutti di origine italiana, ma se l'Italia repubblicana era delimitata dal pomerium fissato da Silla al Rubicone quella augustea andò a includere anche la

Cisalpina, ora parte dell'Italia stessa anche dal punto di vista amministrativo; pure in

questo caso però lo studioso evidenzia la possibile ma eccezionale presenza di elementi di origine provinciale, da lui ripartiti all'interno di quattro categorie (provinciali o figli di questi entranti nel Senato nel periodo precedente, provinciali che ottennero la cittadinanza prima delle nuove norme restrittive, cittadini provinciali che riuscirono ad entrare nell'ordo equestre e cittadini originari di colonie e municipi di diritto romano)423.

Tali prime avvisaglie non furono però che l'inizio di un lungo processo di integrazione dei provinciali nel Senato causato, oltre che dalle ragioni precedentemente esposte all'interno di questo paragrafo, anche da un lento declino dell'aristocrazia romana e italica tradizionale: volendosi ora concentrare su un periodo prossimo le iscrizioni oggetto di questo lavoro, come Chastagnol evidenzia all'inizio del regno di Domiziano i provinciali costituivano il 24% dell'assemblea, sotto Traiano il 35%, sotto Adriano il 43- 46% e infine alla morte di Caracalla addirittura il 57%; andando ancor più nel dettaglio lo studioso evidenzia poi le differenti velocità, determinate dal loro diverso grado di romanizzazione, delle varie aree geografiche dell'impero, le quali giunsero a disegnare al tempo di Marco Aurelio e Commodo (ossia un momento storico più o meno coincidente con le epigrafi studiate nel corso di questa opera) un Senato composto complessivamente per la metà da Orientali, per un quarto da Africani e per un quarto da Galli e Ispanici424.

In secondo luogo si può procedere con una interessante analisi della corruzione nella Roma imperiale: nel complesso il quadro sino ad ora ricostruito sembrerebbe fornire l'immagine di un'amministrazione fondata su un costante equilibrio tra meritocrazia e nepotismo/clientelismo: l'accesso alle varie cariche proprie del governo imperiale, come si è visto, era infatti determinato sia dalle abilità dei singoli individui sia dalle loro relazioni personali e familiari, e quest'ultimo è un atteggiamento che secondo un'ottica 422CHASTAGNOL 1992, pp.23-56.

423CHASTAGNOL 1992, pp.42-43. 424CHASTAGNOL 1992, pp.155-168.

moderna è visto come profondamente iniquo oltre che formalmente criminoso. Questo tuttavia è per l'appunto un giudizio odierno: nel mondo romano, come già in precedenza accennato, questa rete di contatti era non solo fondamentale nella carriera politica ma era anche riconosciuta come tale in quanto parte basilare della stessa vita sociale e appunto politica, e pertanto l'essere supportato da amici e familiari durante la personale ascesa politico-sociale non era assolutamente motivo di condanna da parte della società e della stessa legge romana. Piuttosto all'epoca erano i casi di corruzione a causare scandali e processi, ma nel complesso essi non furono assai numerosi dato che, come illustrato nella scheda epigrafica n°7, a partire dal periodo imperiale i dipendenti pubblici iniziarono a percepire un regolare stipendio, generalmente assai elevato, e questo portò ad un deciso calo nel numero dei casi di corruzione rispetto al periodo repubblicano.