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L’improvvisa perdita di funzione di uno dei due sistemi vestibolari è una condizione patologica nota come “neurite vestibolare”. Termine non del tutto corretto poiché implica una condizione patologica non provata, cioè l’infiammazione del nervo vestibolare. Nella letteratura internazionale viene spesso adottato il termine di Vestibular Neuritis, attribuendo questa forma di deficit vestibolare acuto unilaterale (DVA) agli effetti diretti o indiretti di una infezione virale (Baloh 2003).

Ci sono varie ipotesi riguardo l’eziologia del DVA. Gli studi anatomo-patologici condotti sulle ossa temporali dei pazienti che in vita avevano sofferto di DVA sembrano supportare l’ipotesi dell’esistenza di una infezione/infiammazione virale.

Il rilievo più caratteristico è la presenza di lesioni degenerative di porzioni del nervo vestibolare, con variabile coinvolgimento del neuroepitelio recettoriale (Nadol 1995). Il DNA del virus HSV-1 è stato più volte identificato autopticamente nei gangli vestibolari umani, tramite PCR.

Tale patologia si presenta non di rado in forma epidemica ed è spesso preceduta da un episodio influenzale.

È quindi probabile che il virus HSV-1 risieda in modo latente nei gangli vestibolari e che, in determinate situazioni, si replichi improvvisamente determinando infiammazione ed edema nelle cellule dei gangli e negli assoni contenuti all’interno dei canali ossei o nei recettori periferici.

La predilezione per il nervo vestibolare è attribuita alla sua maggiore lunghezza rispetto alla branca inferiore.

Non esiste comunque una conferma immunoistochimica che le rilevata degenerazione del nervo vestibolare sia dovuta effettivamente ad un insulto virale. Altre considerazioni riguardano la difficoltà a comprendere il risparmio da parte del virus delle altre porzioni del nervo vestibolare o del nervo acustico, l’assenza, in molti pazienti, di altri sintomi tipici di una virosi e la particolare prevalenza nell’età matura.

Per tale ragione altri attribuiscono infatti il DVA ad una causa ischemica, in considerazione del fatto che l’orecchio interno è irrorato da una arteria terminale. Particolarmente vulnerabile ad ischemia sarebbe il territorio dipendente dalla arteria

vestibolare superiore, che è lo stesso innervato dal nervo vestibolare superiore: utricolo ed i canali semicircolari anteriore (CSA) e laterale (CSL).

L’ipotesi vascolare veniva anche proposta da Lindsay ed Hemenway (1956) i quali descrissero alcuni pazienti con un complesso di sintomi caratterizzati da un episodio prolungato di vertigine, senza compromissione uditiva e senza altri segni neurologici, che si risolveva nell’arco di qualche settimana per dare successivamente origine a crisi vertiginose di tipo posizionale. L’ipotesi patogenetica prevedeva che il primo episodio vertiginoso fosse dovuto ad una occlusione della arteria vestibolare superiore con risparmio del canale posteriore e del sacculo, irrorati dall’arteria vestibolare posteriore. La vertigine posizionale successiva sarebbe dovuta al distacco otoconico conseguente all’episodio ischemico e ad una canalolitiasi del canale semicircolare posteriore (CSP). Un meccanismo ischemico deve comunque essere sospettato nei pazienti con evidenti fattori di rischio quali ipertensione, obesità, diabete e precedenti fenomeni ischemici cerebrovascolari.

Fra le altre ipotesi eziopatogenetiche ricordiamo anche la possibilità di una genesi autoimmunitaria, che peraltro dovrebbe più facilmente colpire entrambi i labirinti. È comunque possibile che nelle forme unilaterali la lesione consegua ad una turba immunologica attivata da un insulto virale.

Il DVA è caratterizzato da una acuta e grave vertigine rotatoria con nausea, ad esordio acuto o subacuto, persistente per oltre 24 ore, atassia statica e dinamica, nistagmo spontaneo unidirezionale diretto verso il lato sano, persistente per oltre 24 ore, paralisi o paresi calorica unilaterale significativa, HIT positivo verso il lato patologico, assenza di sintomatologia uditiva associata alla vertigine ed assenza di altri deficit neurologici. L’improvvisa diminuzione della frequenza di scarica del nervo vestibolare o dell’organo vestibolare periferico, determina uno squilibrio nel tono vestibolare che è la causa del segno patognomonico del DVA in fase acuta: il nistagmo spontaneo. Questo è orizzontale-rotatorio, con una minima componente verticale in alto, per il coinvolgimento dei CSL e CSA. Sia la componente orizzontale che quella torsionale sono dirette verso il lato sano.

Come sempre nelle lesioni periferiche il nistagmo è unidirezionale, cioè batte in direzione del lato sano in qualsiasi posizione della testa e dello sguardo esso venga osservato e

segue la legge di Alexander (il nistagmo spontaneo periferico aumenta di intensità con gli occhi girati in direzione della fase rapida e diminuisce in direzione della fase lenta). Il nistagmo spontaneo si attenua gradualmente con il passare del tempo. Nella maggior parte dei casi scompare nell’arco di un mese, se osservato con gli occhiali di Frenzel. In caso di lesioni vestibolari incomplete, o comunque reversibili, si può assistere al fenomeno del recovery nystagmus, o nistagmo di recupero, che ha la peculiarità di battere verso il lato patologico.

Evoluzione e prognosi

La evoluzione dei segni e dei sintomi della neurite vestibolare è fortemente condizionata da due elementi principali: la restitutio ad integrum ed il compenso vestibolare. L’evento più auspicabile è il perfetto recupero della funzione vestibolare grazie all’intervento terapeutico o per evoluzione naturale, analogamente a quanto avviene nella paralisi di Bell o nella ipoacusia improvvisa. Oppure è possibile che si realizzi un compenso statico, in cui non è più rilevabile nistagmo spontaneo ma almeno uno dei test dinamici (HST, HIT, vibrazione mastoidea) persiste alterato. Altra possibilità è quella di un compenso statico e dinamico, dove i test dinamici sono negativi ma il test calorico risulta ancora alterato.

Infine, in pochi pazienti si assiste ad un mancato compenso, indicato dalla persistenza del nistagmo spontaneo. La evoluzione più frequente nei pazienti che non guariscono è quella del compenso statico, cioè la persistenza di uno o più segni dinamici, senza nistagmo spontaneo. Solo il 7% dei pazienti manifesta, a distanza di un anno, un mancato compenso centrale (Mandalà et al. 2010).

Per quanto concerne la prognosi e la normalizzazione dei sintomi, l’HIT possiede un elevato valore prognostico in quanto tutti i pazienti in cui il test risulta normale all’esordio della malattia guariscono nell’arco di tre mesi (Nuti et al. 2005).

La persistenza, d’altra parte, di una positività del HIT rende molto più probabile i disturbi sintomatologici persistano nel tempo, probabilmente perché il danno iniziale è più grave e difficile da compensare. È stato anche osservato che la persistenza della positività del HIT e del test di vibrazione mastoidea ben si correlano, a differenza del test calorico, con la disabilità che può residuare anche a distanza di anni dall’evento acuto, smentendo, almeno in parte, una genesi somatopsichica (Mandalà and Nuti 2009).

Terapia

L’incertezza eziopatogenetica della neurite vestibolare non consente di utilizzare un trattamento farmacologico causale che sia universalmente riconosciuto. La terapia fisica riabilitativa fornisce, per contro, risultati funzionali che sono comprovati da studi controllati. Il recupero da un deficit vestibolare unilaterale dipende dal ripristino della funzione vestibolare, che può essere totale, parziale o nullo, e dal compenso centrale dello squilibrio del tono vestibolare.

È abbastanza frequente il caso di pazienti che tornano ad una vita normale anche senza aver recuperato la funzione vestibolare. I tempi di recupero variano da soggetto a soggetto, essendo anche condizionati dall’età e dalla coesistenza di alterazioni a carico del SNC o del sistema visivo e somatosensoriale.

Si ritiene che il compenso vestibolare si realizzi più velocemente con un inizio precoce della terapia fisica riabilitativa, ma non esistono dati certi se questo influisca anche sul livello finale di recupero. Appare certo che il compenso sia ritardato dai farmaci ad azione sedativa.

La terapia medica sintomatica è consigliabile nelle prime fasi, quando i sintomi vagali e la vertigine sono invalidanti. Le principali classi terapeutiche adottate per la vertigine acuta includono gli antiistaminici, gli agenti anticolinergici, antidopaminergici ed i GABAergici. Questi generalmente agiscono sui neurotrasmettitori coinvolti nella propagazione degli impulsi dai neuroni vestibolari primari a quelli secondari, sul mantenimento del tono a livello dei nuclei vestibolari e sui centri di controllo del vomito. Le condizioni del paziente richiedono spesso una somministrazione parenterale la cui efficacia è dose dipendente.

I segni statici della neurite vestibolare, come il nistagmo spontaneo, scompaiono per il recupero spontaneo della funzione vestibolare o per l’intervento del compenso centrale, cioè con il ribilanciamento della attività neurologica a livello dei nuclei vestibolari. Tale evento avviene per riattivazione da afferenze extralabirintiche, principalmente di tipo propriocettivo. È per tale motivo che occorre mobilizzare quanto prima il paziente e sospendere precocemente la terapia ad azione sedativa. Il recupero dei segni dinamici dipende invece principalmente da processi di adattamento o di sostituzione che vengo- no attivati in particolare dalle interazioni visuo-vestibolari. Ad esempio lo scivolamento delle immagini sulla retina durante i movimenti della testa costituisce il cosiddetto

segnale di errore che guida l’adattamento vestibolare. La terapia fisica riabilitativa del DVA dovrebbe quindi iniziare entro le prime 48 ore dall’esordio dei sintomi. Nella fase iniziale è inevitabile ricorrere ai sedativi vestibolari ma è preferibile mantenere l’ambiente illuminato per favorire le afferenze visive. Non appena possibile si sospendono i farmaci e si cerca di mobilizzare il paziente per fornire quanto prima impulsi propriocettivi indispensabili per dare inizio ai processi di compenso vestibolare.

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