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Pattern Strumentali del Deficit Vestibolare Acuto: Implicazioni Cliniche e Riabilitative

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI PATOLOGIA CHIRURGICA, MEDICA,

MOLECOLARE E DELL’AREA CRITICA

Scuola di Specializzazione in OTORINOLARINGOIATRIA

Pattern strumentali del Deficit Vestibolare Acuto:

implicazioni cliniche e riabilitative

Relatore

Chiar.mo Prof. Augusto Pietro Casani

Candidato

Dr.ssa Chiara Re

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Sommario

INTRODUZIONE ... 5 1.1 CENNIDIANATOMOFISIOLOGIA ... 6 Vascolarizzazione ... 6 Innervazione ... 7 Organi otolitici ... 8 Canali semicircolari ... 9

Le vie vestibolari centrali ... 10

1.2 ILRIFLESSOVESTIBOLO-OCULOMOTORE ... 11

1.3 TESTPERLOSTUDIODELVOR ... 14

Head Impulse Test clinico (cHIT) ... 14

Video Head Impulse test (vHIT) ... 20

Bilancio vestibolare calorico (BVC) ... 24

I potenziali evocati vestibolari miogenici (VEMPs) ... 27

IL DEFICIT VESTIBOLARE ACUTO (DVA) ... 34

Evoluzione e prognosi ... 36

Terapia ... 37

TEST STRUMENTALI NEL DVA ... 39

VHIT NEL DEFICIT VESTIBOLARE ACUTO ... 39

VEMPS NEL DEFICIT VESTIBOLARE ACUTO ... 40

BVC NEL DEFICIT VESTIBOLARE ACUTO ... 40

IL NOSTRO STUDIO ... 42 3.1METODI ... 43 3.2RISULTATI ... 46 3.3DISCUSSIONE ... 48 3.4CONCLUSIONI ... 52 BIBLIOGRAFIA ... 53

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INTRODUZIONE

Il sistema vestibolare è l’apparato sensoriale deputato a raccogliere le informazioni relative a posizione e movimento della testa e del corpo nello spazio e ad integrarle a livello centrale con i segnali visivi e propriocettivi. Le informazioni così integrate concorrono a garantire l’equilibrio statico e dinamico, a generare la nostra percezione cosciente di movimento e orientamento della testa nello spazio e a produrre riflessi per un corretto equilibrio e per un’adeguata stabilizzazione dello sguardo durante i movimenti naturali del capo.

Il sistema vestibolare è formato da tre elementi: un apparato sensitivo periferico, un sistema centrale di elaborazione dei segnali sensitivi ed un meccanismo per l’uscita motoria.

L’apparato periferico è formato da sensori labirintici che registrano informazioni circa la velocità angolare, l’accelerazione lineare e la posizione della testa rispetto all’asse gravitazionale, e le inviano al sistema nervoso centrale (SNC), precisamente al complesso dei nuclei vestibolari nel tronco encefalico e al cervelletto. A tale livello gli stessi segnali sono integrati con altri di origine visiva e propriocettiva.

Gli output che ne derivano in parte raggiungono la corteccia cerebrale e contribuiscono a generare la percezione cosciente del nostro orientamento spaziale, mentre principalmente sono diretti ai muscoli oculari ed al midollo spinale a costituire tre importanti riflessi, ossia il riflesso oculomotore (VOR), il riflesso vestibolo-collico (VCR) ed il riflesso vestibolo-spinale (RVS).

Il VOR genera movimenti oculari che garantiscono la stabilità dello sguardo durante i movimenti del capo; il VCR agisce sulla muscolatura del collo al fine di stabilizzare il capo; il RVS genera movimenti compensatori corporei che garantiscono la stabilità posturale (Casani AP et al, 2013).

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1.1 CENNI DI ANATOMOFISIOLOGIA

Le strutture sensoriali periferiche dell’apparato vestibolare sono racchiuse in un labirinto osseo, scavato nell’osso temporale. Le cavità del labirinto osseo racchiudono un complesso sistema di canalicoli delimitati da membrane connettivali, chiamato labirinto membranoso. In esso si riconoscono tre canali semicircolari membranosi, l’utricolo, il sacculo, il condotto e sacco endolinfatico e il condotto cocleare.

Tali organi cavi contengono endolinfa e sono tra loro comunicanti.

Nel labirinto membranoso individuiamo cinque organi recettoriali sensitivi, cioè la porzione membranosa dei tre canali semicircolari ed i due organi otolitici, rappresentati dall’utricolo e dal sacculo.

Vascolarizzazione

Il labirinto è vascolarizzato dall’arteria uditiva interna (AUI), vaso che nasce più spesso dall’a. cerebellare antero-inferiore (AICA) e più raramente dall’a. basilare o dall’a. cerebellare superiore.

Entrata nell’orecchio interno dopo aver percorso il CUI, l’AUI si divide in due rami principali: l’arteria cocleare comune e l’arteria vestibolare anteriore. L’arteria cocleare comune si divide in arteria cocleare propriamente detta e nell’arteria vestibolo-cocleare. La seconda dà a sua volta un ramo cocleare (per il giro basale della chiocciola) ed un ramo vestibolare (arteria vestibolare posteriore) che garantisce l’apporto vascolare alla parte inferiore del sacculo ed ampolla del CSP. L’arteria vestibolare anteriore fornisce invece rami per l’utricolo, per il CSA, per il CSL e per una piccola parte del sacculo (Mazzoni 1990).

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Poiché la vascolarizzazione dell’orecchio interno è di tipo terminale, priva cioè di vasi collaterali che possano supplire eventuali deficit di irrorazione, tale organo appare estremamente suscettibile ad eventi ischemici.

Per quanto riguarda il drenaggio venoso, utricolo ed ampolla dei CSA e CSL fanno capo alla vena vestibolare anteriore. Il sacculo, il CSP ed il giro basale della chiocciola fanno capo alla vena vestibolare posteriore. Queste due vene confluiscono nella vena della finestra rotonda formando la vena vestibolo-cocleare che unendosi alla vena modiolare proveniente dalla coclea, forma la vena dell’acquedotto della chiocciola, che sbocca poi nel seno petroso inferiore.

Figura 2 Vascolarizzazione venosa del labirinto

Innervazione

L’innervazione è data dal ramo vestibolare del nervo vestibolo-cocleare (VIII nervo cranico). Il nervo vestibolare si divide a sua volta in una branca superiore che va ad innervare le creste ampollari del CSA e del CSL, la macula dell’utricolo e la parte antero-superiore della macula del sacculo, ed una branca inferiore che innerva la cresta ampollare del CSP e la gran parte della macula del sacculo. I neuroni vestibolari primari sono cellule bipolari del ganglio di Scarpa, contenuto all’interno del CUI.

Il nervo vestibolare sbocca dal CUI a livello dell’angolo pontocerebellare, dove penetra nel tronco e raggiunge i nuclei vestibolari; parte delle sue fibre si dirigono direttamente al cervelletto, a livello del lobo flocculo-nodulare.

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Organi otolitici

Il sistema vestibolare ha il compito di rilevare le forze associate alle accelerazioni angolari e lineari del capo attraverso cinque organi: le due macule, atte a rilevare le accelerazioni lineari che si generano durante i movimenti di flessione o di traslazione lineare della testa e l’accelerazione di gravità che esercita costantemente la sua azione sul corpo, e le tre creste ampollari, adibite a percepire le accelerazioni angolari.

L’utricolo ed il sacculo sono gli organi otolitici del labirinto, chiamati così per la presenza a livello dell’area sensoriale di questi organi (la macula), di cristalli di carbonato di calcio, gli otoliti, essenziali per la loro funzione (Anson e Donaldson, 1981).

La macula del sacculo ha forma reniforme ed è posta sul piano verticale, la macula dell’utricolo invece è leggermente più grande, è di forma ovalare ed è posta su un piano orizzontale. Le due macule quindi si trovano su due piani perpendicolari tra loro, quindi l’utricolo sarà più sensibile ai movimenti della testa sul piano orizzontale, il sacculo invece dovrà percepire le accelerazioni poste su di un piano sagittale e la forza di gravità che esercita costantemente la sua azione sul corpo (Rosenhall 1972).

Figura 3 Macula di utricolo e sacculo

Le macule di utricolo e sacculo hanno disposizione simmetrica, per cui all’eccitazione delle cellule recettrici di un lato corrisponde l’inibizione di quelle controlaterali.

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Le cellule ciliate delle macule sono disposte secondo uno schema regolare con una parte centrale curvilinea, la striola, che ne è priva. Nella macula dell’utricolo il chinociglio è orientato verso la striola, mentre l’opposto accade nel sacculo.

Negli organi otolitici le estremità del chinociglio e delle stereociglia sono immerse in una sostanza gelatinosa, ricoperta da uno strato di cristalli di carbonato di calci, gli otoliti, definita nel suo insieme “membrana otolitica” (Kondrachuk 2001). L’attivazione dei recettori sensoriali delle macule è quindi provocata dallo scivolamento della membrana otolitica sulla guarnitura ciliare delle cellule stesse, con la creazione di “forze tangenziali”.

A differenza dei recettori ampollari che hanno tutti la stessa polarizzazione, i recettori una macula vengono attivati in modo diverso tra loro da una stessa forza agente in una data direzione. La stimolazione maculare è costante, venendo a mancare solo in condizioni di assenza di gravità, e varia in rapporto alla diversa posizione assunta dalla testa, dal momento che si modificano i rapporti della stessa con il vettore gravitazionale. Canali semicircolari

I canali semicircolari sono tre sottili condotti di forma circolare che si aprono nell’utricolo. Sono disposti su tre piani perpendicolari tra loro, inclinati di circa 30° rispetto al piano orizzontale. Ciascun canale sbocca nell’utricolo tramite un orificio dilatato, chiamato ampolla ed un orificio semplice (in comune per i canali semicircolari anteriore e posteriore).

A livello delle ampolle si trova la cresta ampollare, sulla quale sono situati i recettori, cioè le cellule ciliate che sono disposte con il chinociglio rivolto verso il canale nei canali verticali e verso l’utricolo nei canali laterali. Le cellule protrudono nella cupola, una struttura che ha la stessa densità dell’endolinfa, pertanto le accelerazioni lineari non determinano alcuno spostamento relativo della cupola stessa rispetto al mezzo circostante. I recettori invece appaiono sensibili alle accelerazioni angolari alle quali è sottoposta la testa nel corso di movimenti rotatori.

Ogni canale semicircolare è funzionalmente accoppiato ad uno controlaterale. Inoltre i piani dei canali semicircolari sono analoghi ai piani dei muscoli extraoculari. Grazie alla disposizione appaiata il sistema opera in maniera coordinata durante i movimenti del capo con un meccanismo di push-pull: quando si ha un’accelerazione

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angolare del capo secondo il piano condiviso, l’endolinfa nel piano dei canali complanari è mossa in direzioni opposte rispetto alle relative ampolle, e la scarica neurale aumenta nel nervo vestibolare di un lato e diminuisce nel lato opposto.

Fondamentali per comprendere la fisiologia dei canali semicircolari sono le leggi di Ewald: 1) il movimento della testa e degli occhi avviene sul piano del canale stimolato e nella direzione del flusso endolinfatico;

2) nel CSL il flusso ampullipeto determina una risposta maggiore del flusso ampullifugo (l’opposto avviene nei canali verticali) (Ewald,1892).

Le vie vestibolari centrali

Le afferenze trasportate dal nervo vestibolare, entrano nel tronco encefalico a livello della fossetta laterale del bulbo, dividendosi in due contingenti di cui uno, minore, si porta direttamente al vestibolocerebello ed alla formazione reticolare, mentre l’altro, tramite una branca ascendente ed una discendente si distribuisce ai nuclei vestibolari. Il cervelletto quindi riceve fibre afferenti sia dal complesso dei nuclei vestibolari, ma anche direttamente dal nervo vestibolare. I CS proiettano a flocculo, nodulo ed uvula, mentre sacculo ed utricolo sono a nodulo ed uvola.

Il complesso dei nuclei vestibolari è formato da quattro nuclei principali e da almeno sette nuclei minori collocati principalmente sotto il pavimento del quarto ventricolo. Oltre alle afferenze del labirinto, essi presentano connessioni afferenti ed efferenti con i nuclei vestibolari controlaterali, con la formazione reticolare per il controllo posturale, con il vestibolocerebello, il midollo spinale, con il talamo e la corteccia cerebrale.

Il nucleo vestibolare superiore (NVS)e il nucleo vestibolare mediale (NVM) sono quelli maggiormente implicati nel mediare il VOR. Il NVM prende anche parte insieme al nucleo vestibolare laterale (NVL), ai riflessi vestibolospinali. Il nucleo vestibolare inferiore (NVI) è connesso a tutti gli altri nuclei ma non ha nessuna uscita primaria privilegiata.

Quindi i nuclei vestibolari integrano le afferenze vestibolari con quelle propriocettive, corticali, cerebellari, spinali ed ancora con le informazioni provenienti della formazione reticolare e dai nuclei vestibolari controlaterali, al fine di controllare le uscite motorie complesse sia involontarie riflesse sia volontarie.

Dall’integrazione di queste informazioni nascono i segnali che portano alla creazione di movimenti compensatori degli occhi in seguito ai movimenti della testa (VOR), alla

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creazione di risposte posturali statiche e dinamiche in seguito ai movimenti dell’intero corpo (RVS) e segnali che, giungendo alla corteccia cerebrale, contribuiscono a generare la nostra sensazione di orientamento nello spazio.

1.2 IL RIFLESSO VESTIBOLO-OCULOMOTORE

Il sistema vestibolare ed il sistema oculomotore cooperano nella stabilizzazione dell’immagine retinica con lo scopo di permettere una visione chiara dal mondo che ci circonda anche mentre ci muoviamo (Cohen, 1974).

Tale finalità è raggiunta attraverso il VOR, che mira a stabilizzare lo sguardo in seguito a stimoli di tipo rotazionale, traslazionale, o a stimoli risultanti da una combinazione dei suddetti e che può avere la funzione di stabilizzare l’immagine durante i movimenti del capo (riflesso dinamico) o dopo un cambiamento di posizione dello stesso (riflesso statico).

Se gli occhi seguissero passivamente il movimento della testa, l’immagine del mondo esterno scivolerebbe sulla retina (retinal slip) rendendo impossibile la visione (Lorente de Nò, 1932). Tale condizione è nota come oscillopsia.

Esistono due vie di connessione tra i nuclei vestibolari ed i neuroni oculomotori:

una via diretta che si attua per lo più nell’ambito del fascicolo longitudinale mediale (FLM), mentre la via indiretta, multisinaptica, è atta a modulare i movimenti oculari indotti dalle stimolazioni vestibolari.

Ci sono due situazioni in cui è messa in atto una attività riflessa oculomotoria: un soggetto in movimento tenta di stabilizzare lo sguardo su un bersaglio fisso, oppure un soggetto immobile tenta di seguire con gli occhi un bersaglio in movimento. Contribuiscono a garantire la stabilità dello sguardo rispettivamente il VOR ed il sistema visuo-oculomotore (Precht 1979).

Il VOR è attivato dall’azione (in senso sia eccitatorio che inibitorio) di una coppia di canali semicircolari in risposta ad un’accelerazione angolare localizzata sul loro stesso piano e prevede un movimento dei globi oculari compensatorio a quello della testa, quindi di equivalente ampiezza e velocità ma di direzione opposta.

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Tale arco riflesso è costituito da 3 neuroni: i neuroni vestibolari primari, i neuroni dei nuclei vestibolari e i motoneuroni che innervano i muscoli extraoculari.

Poiché gli stimoli fisiologici stimolano entrambi i labirinti, il VOR è controllato dal meccanismo di push-pull già citato.

Lo stimolo del CSA causa la contrazione del muscolo retto superiore omolaterale e dell’obliquo inferiore controlaterale, con conseguente movimento degli occhi rotatorio e verso l’alto; lo stimolo al CSP porterà alla contrazione del muscolo retto inferiore controlaterale e dell’obliquo superiore omolaterale, con conseguente movimento degli occhi rotatorio e verso il basso.

La stimolazione del CSL porta all’attivazione dei nuclei vestibolari del NVL e del NVM omolaterali. Da qui originano proiezioni che attraversano la linea mediana e raggiungono il nucleo dell’abducente (VI n.c.) controlaterale. Da questo nucleo alcune efferenze raggiungono direttamente il muscolo retto laterale controlaterale, altre decorrono nel FLM e raggiungono il nucleo dell’oculomotore (III n.c.) omolaterale al lato stimolato. Il nervo oculomotore a partenza da questo nucleo determina la contrazione del muscolo retto mediale.

Figura 4 Schema del VOR sul piano orizzontale

La sola via riflessa costituita da tre neuroni realizza un movimento degli occhi compensatorio alla rotazione della testa che non risulta del tutto preciso.

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Per aumentare la precisione di tale movimento è necessario l’intervento di un integratore neurale (via indiretta del VOR), localizzabile in una serie di interneuroni posti nei nuclei vestibolari e nella formazione reticolare, che agisca in parallelo con il FLM (via diretta del VOR).

In pratica, lo stimolo naturale dei canali semicircolari, ossia l’accelerazione del capo, subisce una duplice integrazione: una periferica a livello del sistema cupola-endolinfa, ed una centrale a livello del tronco encefalico.

La risposta del sistema cupola-endolinfa ad un movimento complesso quale quello naturale della testa, è legata alla somma delle risposte ai singoli movimenti elementari che compongono il movimento stesso.

La risposta della cupola ad uno stimolo sinusoidale sarà ancora una oscillazione sinusoidale della stessa ampiezza; essa mostra un guadagno (gain), definito come il rapporto tra la velocità dell’occhio e la velocità della testa, ed una fase, che dipendono dalla frequenza di stimolazione.

Affinché il VOR sia efficace, è necessario che nel momento in cui il capo ruota, gli occhi si muovano con medesima direzione, ma verso opposto, e soprattutto con pari velocità. Nel momento in cui questo goal viene raggiunto il gain è uguale a 1.

Grazie all’arco elementare trineuronale e all’integratore centrale il VOR è in grado di raggiungere performance di questo tipo per frequenze di rotazione della testa comprese tra 0,1 e 3-5 Hz.

In condizioni di assenza di stimolazioni del labirinto ed in assenza di movimenti del capo, il tono dei due emisistemi vestibolari, è simmetrico e gli occhi mantengono una posizione al centro dell’orbita. Al contrario, la lesione di un labirinto o del nervo vestibolare di un lato provoca un non corretto bilanciamento, un mismatch tra gli input provenienti dai due emisistemi; da tale mismatch origina un nistagmo vestibolare spontaneo, dato da una componente lenta dovuta al VOR, che devia gli occhi verso il lato ipofunzionante, ed una componente rapida avente direzione opposta.

Questo nistagmo, indistinguibile dal quello dato dalla rotazione del capo, persiste fino a che i processi di compenso non ripristinano un normale bilanciamento tra gli emisitemi vestibolari dei due lati.

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1.3 TEST PER LO STUDIO DEL VOR

La perdita della funzione vestibolare periferica unilaterale determina due tipi di alterazione della funzionalità del Riflesso Vestibolo-Oculomotore di rotazione (VOR): a. Uno squilibrio statico dovuto al diverso input periferico sui nuclei vestibolari; la scarica di base dei neuroni di tipo I è assente dal lato leso, mentre dal lato sano l‘attività dei neuroni nucleari è incrementata in virtù dell’inattivazione delle vie commissurali inibitorie. Il risultato di questo squilibrio è il nistagmo spontaneo, la cui intensità è destinata a ridursi nel tempo per l’instaurarsi del compenso centrale.

b. Una perdita della sensibilità dinamica del VOR durante lo stimolo fisiologico (rotazione della testa) causato dalla perdita del meccanismo di push-pull che comporta un ridotto guadagno del VOR (Casani AP et al, 2013).

Head Impulse Test clinico (cHIT)

L’HIT clinico sfrutta soprattutto la via diretta del VOR che, dai canali semicircolari, proiettano ai nuclei dei muscoli oculari estrinseci; in effetti le vie polisinaptiche che coinvolgono il cervelletto sono molto meno efficienti nella trasmissione di impulsi vestibolari indotti da elevate accelerazioni. Le basi fisiopatologiche dell’HIT sono riconducibili alla seconda legge di Ewald secondo la quale nel CSL a elevate intensità di stimolazione – come quelle dell'HIT – il flusso endolinfatico ampullipeto provoca una attività del VOR maggiore rispetto a un analogo flusso ampullifugo. Vuol dire che Dagli 80 spike/s dell'attività di base una rotazione sul piano laterale determina una corrente ampullipeta da un lato e in quel CSL comporta un incremento della frequenza di scarica del recettore (da 80 spike/s fino a 240 spike/s), mentre la corrente ampullifuga nel CSL controlaterale determina una riduzione di scarica del recettore (da 80 spike/s a 0 spike/s): ne consegue che il range di stimolo eccitatorio è più ampio del range di stimolo inibitorio. Quando noi andiamo a stimolare il vestibolo patologico, ruotando velocemente la testa del paziente verso il lato leso, abbiamo uno stimolo eccitatorio perso (perché quel recettore non funziona più) e quindi la risposta del VOR si basa solo sullo stimolo inibitorio rimasto dal lato sano che riesce a compensare la rotazione cefalica solo fino ad un certo punto potendo diminuire l'attività di base fino allo zero, oltre lo zero non si può rallentare la scarica. Perciò non si riesce a compensare adeguatamente il movimento della testa con un'adeguata velocità dell'occhio perché in

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caso di UVL funziona solo un emisistema: gli occhi hanno quindi bisogno di saccadi correttive per raggiungere la mira (Palla and Straumann 2004) che battono verso il lato sano. Nonostante lo stimolo (rotazione) verso un lato dia sempre una rivelazione e una trasmissione bilaterale dello stesso (eccitatorio ipsilaterale e inibitorio controlaterale), noi riusciamo a studiare con il cHIT comunque un canale alla volta, perché annulliamo con l'alta frequenza dello stimolo l'informazione inibitoria e saggiamo soltanto l'efficacia del recettore e del nervo ipsilaterale al verso dello stimolo (Casani AP et al, 2013).

Figura 5 Head Impulse test clinico

Il test si presenta di apparente facile esecuzione, ma nella pratica richiede una certa curva di apprendimento per essere eseguito ed interpretato nel migliore dei modi. L’ambiente deve essere ben illuminato, in modo da garantire una visione ottimale dell’occhio del paziente da parte del medico. La testa del paziente è tenuta fra le mani dell’operatore. Il paziente guarda in avanti sul viso dell’operatore e gli viene chiesto di tenere sempre gli occhi fissi su un bersaglio, definito fisso al suolo, “earth-fixed target”, costituito dal naso dell’esaminatore; pertanto pazienti ipovedenti, iporeattivi, con deficit

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cognitivo o con gravi disturbi di rifrazione sono impossibili da valutare mediante questo test. L'esaminatore procede all’esecuzione di brusche rotazioni passive della testa rispetto al tronco sul piano orizzontale sia verso destra sia a sinistra (studiando così i canali lungo il piano HSCCs) in maniera casuale in modo da risultare non prevedibili. Le rotazioni devono essere di piccola ampiezza (10-20°) con velocità angolare massima di 200°/400°/s, rapide in quanto l’accelerazione può arrivare a 2000-4000°/s2 . Circa 3 impulsi per canale bastano a dare un giudizio clinico del VOR (cVOR) (Halmagyi and Curthoys 1988).

Si possono studiare anche i canali semicircolari verticali attraverso i movimenti lungo il piano LARP e RALP. In pratica la testa è sottoposta ad un movimento direttamente dalla posizione centrale verso uno di questi due piani; oppure la testa è prima ruotata di circa 45° a destra (LARP) o sinistra (RALP) per poi essere rapidamente inclinata in basso ed in alto (Cremer 1998).

Se il sistema vestibolare è intatto, e di conseguenza il VOR funziona correttamente, gli occhi del paziente rimangono fissi sulla mira: si genera un movimento compensatorio degli occhi durante l'Head Impulse, che permette di mantenere il bersaglio sia prima sia durante che a fine rotazione del capo.

Se ci troviamo di fronte ad un deficit vestibolare unilaterale da cui deriva una riduzione del guadagno del VOR da quel lato leso, gli occhi perderanno la mira durante il movimento verso il recettore danneggiato: la velocità della testa non può essere compensata da una corrispondente velocità dell’occhio a causa del deficit del VOR. Prima dell'Head Impulse mantiene gli occhi sul bersaglio, durante la rotazione del capo gli occhi “vanno con la testa” fuori bersaglio e a fine rotazione l’occhio del paziente non sarà puntato sul bersaglio, perciò dovrà compiere un saccadico di correzione (Catch-up Saccades CSs o di rifissazione) al fine di riportare la fissazione sul naso dell’esaminatore (Schmid-Priscoveanu et al. 2001).

Questo movimento saccadico di correzione è il segno della ridotta (o assente) funzione vestibolare dal lato dal quale è stata effettuata la rotazione. Un saccadico correttivo in una direzione diversa rispetto al piano stimolato (ad esempio verticale dopo una rotazione orizzontale) è indicativo di una lesione centrale.

L'Head Impulse Test deve essere preferibilmente passivo anziché attivo, altrimenti il paziente può generare delle saccadi durante il movimento volontario che

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inquinerebbero in parte il risultato. È noto che, rispetto alla rotazione della testa passiva, impulsi della testa attivi (cioè, rotazioni della testa avviati dal paziente invece che dall'esaminatore) risultano avere VOR gain superiori. Inoltre, la stabilità dello sguardo durante gli Head Impulse attivi è migliore di quella durante le rotazioni passive e la latenza del VOR è inferiore.

È stato fatto uno studio sull'individuazione clinica delle saccadi in pazienti con deafferentazione unilaterale chirurgica conducendo il cHIT con impulsi inward (inward-HIT, l'operatore conduce gli impulsi ruotando rapidamente la testa del soggetto dal lato periferico verso la posizione neutrale centrale) e con impulsi outward (outward-HIT, dove l'operatore conduce ruotando rapidamente la testa del paziente dalla posizione neutrale centrale verso uno dei due lati) (Mantokoudis et al. 2016).

Esistono delle differenze tra inward-cHIT e outward-cHIT in rapporto alla legge di Alexander : gli impulsi inward possono permettere di verificare la presenza della saccade in pazienti con nistagmo spontaneo battente da un lato, infatti, la posizione centrale degli occhi al momento della fine dell'impulso ridurrebbe l'intensità del nistagmo spontaneo confondente con la saccade di recupero overt; al contrario gli impulsi outward, facendo terminare l'esame con gli occhi in posizione eccentrica, non avvantaggiano il clinico quando gli occhi si volgono verso il lato battente del nistagmo spontaneo. L'esame condotto con stimolo inward concede al paziente la possibilità di prevedere il movimento della testa, al contrario lo stimolo outward è difficilmente predicibile. La maggiore prevedibilità dell'inward favorisce – forse per un input propriocettivo e/o visivo – una ridotta latenza della saccade8 , che potrebbe determinare ad una mala interpretazione dell'esame.

La scarsa predicibilità favorisce quindi la tecnica outward, in quanto si riduce il rischio della presenza di saccadi covert.

Le differenze tra inward e outward scompaiono nel trentesimo giorno postoperatorio (POD 30), suggerendo che l'adattamento centrale ha un ruolo importante nella latenza della saccade di compensazione indipendentemente dalla posizione di partenza del collo. Questi risultati hanno importanti implicazioni cliniche, suggerendo che in caso di deafferentazione vestibolare acuta si ha maggiore rischio di falsi negativi utilizzando l'inward-cHIT. Ciò può avere importanti implicazioni sia nel reparto di emergenza, dove i medici hanno la difficile responsabilità di distinguere vertigini centrali da vertigini

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periferiche, che in ambulatorio dove si hanno vestibolopatie croniche. Di certo sappiamo di avere tre svantaggi nell'eseguire l'outward-cHIT: – il rischio più elevato dell'effetto di “rimbalzo della testa”, che è l'errore più comune che si verifichi con i colpi registrati con sistemi di tracking oculare. Non è un artefatto, piuttosto è un errore nella tecnica dell'operatore: l'esaminatore induce una ipercorrezione spingendo la testa indietro alla posizione di partenza a seguito di un Head Impulse durante il movimento della testa verso l'esterno. Tali movimenti supplementari e indesiderati della testa nel verso opposto alla fine della head Impulse potrebbero indurre compensativi anti-saccadi e, pertanto, influenzare l'interpretazione del cHIT. – in caso di un gazeNy asimmetrico potrebbe portare alla mala interpretazione dell'outwardHIT, come abbiamo visto. – con gli impulsi verso l'esterno da parte di un esaminatore troppo zelante, si rischiano le iper-rotazioni e, in teoria, lesioni dell'arteria vertebrale. Di conseguenza in acuto la presenza di saccadi covert è controbilanciata da altre considerazione da fare: mentre un falso-negativo condurrebbe a workup per ictus inutili e costosi (inward-cHIT); un falso-positivo da troppe saccadi overt (outward-cHIT) condurrebbe a non indagare per ictus, anche se a tal proposito bisogna sempre applicare la batteria di esami HINTS, che aumentano la sensibilità e garantistico la specificità e l'affidabilità dell'outward-cHIT in acuto. Nei pazienti con sintomi vestibolari cronici (dove il nistagmo spontaneo è scomparso e non è più confondente), i medici potrebbero in teoria migliorare la sensibilità della HIT eseguendo i meno prevedibili impulsi outward, per ridurre la probabilità di saccadi covert. Questi risultati, tuttavia, suggeriscono che la differenza tra gli impulsi verso l'interno e quelli diretti verso l'esterno svanisce 30 giorni dopo una deafferentazione acuta. Secondo Mantokoudis e gli altri autori è probabile che la tecnica outward non aggiunga molto, ma anzi rimane ancora il rischio di “rimbalzo” (errore dell'operatore) e di una iper-rotazione del collo da iper-zelo dell'operatore (Mantokoudis et al. 2016). Il cHIT permette uno studio dinamico del High Frequencies VOR (HF-VOR) perché è utilizzato uno stimolo ad alta frequenza (high frequency). Al contrario il BVC studia il Low Frequencies VOR (LF-VOR) perché viene utilizzato uno stimolo a bassa frequenza (low frequency). I vari test diagnostici si possono distinguere in base alle frequenze di stimolazione saggiate dai recettori vestibolari.

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Figura 6 Studio del VOR a diverse frequenze

I movimenti naturali della testa si compiono a frequenze che vanno dallo 0,5 ai 5Hz, con il cHIT diamo uno stimolo maggiormente fisiologico che oscilla tra i 3 e i 5Hz. Alle varie frequenze di stimolo il VOR ha fisiologicamente delle risposte diverse in termini di guadagno e latenza. Appare ben evidente che le informazioni degli esami non sono ridondanti ma complementari (Casani AP et al, 2013). Tuttavia è utile valutare e, seppure problematico, comparare i risultati di questi esami per comprendere l'efficacia diagnostica. L’HIT è volto ad individuare un deficit dinamico del VOR angolare per le alte frequenze ed è adoperato al fine di ricercare un deficit labirintico. La positività del test è tuttavia correlata all’entità del danno vestibolare. Se in caso di deficit vestibolare unilaterale completo (UVL) la sensibilità e la specificità del cHIT raggiungono quasi il 100%, laddove invece il deficit risulti parziale, i valori di sensibilità scendono significativamente, poiché la funzione vestibolare residua comporta un minor livello di asimmetria del VOR, non evidenziabile con le accelerazioni indotte dal test impulsivo clinico (Nuti et al. 2005).

In effetti si ritiene che per ottenere un HIT positivo sia necessario un livello di deficit vestibolare superiore al 50% (Hamid 2005). Al di sopra di un valore di preponderanza labirintica del 42.5% la sensibilità del cHIT sale al 78%, confermando quindi una certa discrepanza tra BVC e HIT che permette di concludere che questi due test non debbano essere considerati ridondanti, bensì complementari (Perez and Rama-Lopez 2003). È vero che l’HIT e il BVC forniscono informazioni diverse circa la funzionalità labirintica, ma il cHIT può essere considerato una valida alternativa al BVC in quanto un’attenta bedside

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examination (studio del gazeNy, del Ny di posizione e di posizionamento, HIT, HHT, HST, test vibratorio) permette di svelare nella quasi totalità dei casi una UVL in fase acuta laddove il test calorico è difficilmente eseguibile – di particolare importanza specie quando il paziente viene valutato in ambito di una emergenza – (Mandalà M et al, 2008). Inoltre con la progressiva riduzione della sintomatologia, dovuta sia al recupero della funzione periferica e/o del realizzarsi del compenso vestibolare, si assiste ad una riduzione fino alla scomparsa del nistagmo spontaneo: durante questa fase la sensibilità della bedside examination appare del tutto simile a quella del BVC (Mandalà et al. 2008).

Video Head Impulse test (vHIT)

Il video Head Impulse Test, ovvero l'HIT clinico condotto sul paziente che indossa una apparecchiatura VOG (sistema video-oculo-grafico), è un nuovo indicatore di tipo oggettivo, in grado di fornire all’operatore una prova “stampata su carta” della performance del paziente, grazie ad un software integrato di videoregistrazione. L'intero sistema vHIT è stato ideato da Hamish G. MacDougall ricercatore del Vestibular Research Laboratory presso la School of Psychology della University of Sydney, NSW, Australia. La procedura è essenzialmente quella descritta sopra, come originariamente proposta nel 1988 per l’Head Impulse Test (Halmagyi and Curthoys 1988), salvo che il paziente indossa un paio di occhiali super leggeri (goggles) su cui è montata una piccola, ultra-leggera, super veloce, videocamera ad altissima velocità (250Hz) e un mezzo specchio argentato che riflette l’immagine dell’occhio del paziente alla telecamera. Un piccolo sensore– accelerometro è posto sugli occhiali ed ha il compito di misurare e quantificare il piano ed il movimento della testa. L’intero sistema (maschera) è leggero (pesa circa 60 g) e deve essere fissato saldamente alla testa del paziente tramite una piccola cinghia, per ridurre al minimo la possibilità di slittamento/scivolamento.

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Attraverso un software dedicato è possibile ottenere in tempo reale una misurazione quantitativa della funzionalità VOR riuscendo a evidenziare tutte le saccadi, non solo le saccadi overt ma anche le covert (MacDougall et al. 2009); permette dunque di superare la soggettività in termini di esecuzione e interpretazione del test. L'introduzione del vHIT fornisce una nuova dimensione nella diagnostica vestibolare, potendo compiere uno studio di questi parametri: Catch-up Saccades o saccadi di rifissazione o di recupero (CSs): PRESENZA/ASSENZA: Se si manifestano o meno nelle stesse direzioni dell'Head Impulse. TIPOLOGIA: se sono Saccadi Overt (visibili ad occhio nudo, che compaiono a fine del movimento della testa), oppure Saccadi Covert (la videocamera a 250Hz è sufficientemente e veloce per garantire che le covert saccades possano essere rilevate e rese visibili) oppure se sono presenti entrambe (Saccadi Miste). CONSISTENZA: Indichiamo in quale percentuale di Head Impulses sono presenti le CSs. VERSO: Verso della CSs rispetto al verso del VOR. LATENZA: Tempo di comparsa delle CSs rispetto all'inizio dell'impulso. AMPIEZZA: Velocità di ogni CSs.

VORgain o guadagno del VOR o semplicemente guadagno (movimento oculare/movimento della testa): rapporto tra velocità degli occhi e velocità della testa. Questo rapporto dovrebbe essere idealmente pari a 1,0. In pratica però non è proprio così; infatti volontari sani hanno tipicamente un guadagno del VOR inferiore ad 1,0 (ovvero un valore di circa 0,8-0,9). Con il vHIT una risposta insufficiente o asimmetria di risposta VOR è facilmente visibile. Il VORgain cut-off per considerarlo patologico è meglio calcolati di quelli a sinistra (Mantokoudis et al. 2016). I risultati mostrano che il normale e l'anormale funzione del VOR può essere distinta valutando la riduzione del guadagno (VORgain) e la comparsa di CSs. Se abbiamo un deficit del VOR canalare, gli occhi non sono in grado di mantenere la mira durante la rotazione della testa a differenza di quanto succede se il circuito del VOR è sano. E così questa differenza di posizione tra la testa e l'occhio diviene il trigger delle catch-up saccades. Il tempo necessario perché si compia la saccade (tempo di latenza della saccade) è uguale al: tempo di predizione della differenza testa-occhi + il tempo per iniziare la saccade correttiva. Nel caso delle Saccadi Overt siamo di fronte ad un aumento o del tempo di predizione o del tempo di inizio della saccade; per compiere una Saccade Covert è necessario che entrambi i tempi siano ridotti, in modo tale che la saccade si compia all'interno del movimento della testa. Il tempo per iniziare la saccade può essere ridotto solo fino ad un certo punto; mentre è il

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tempo di predizione della differenza testa-occhi che maggiormente condiziona la possibilità di generare saccadi overt o covert. Per questo motivo alcuni pazienti riescono a compiere saccadi covert ed altri no. La saccade è quel movimento oculare che permette di colmare la differenza testa-occhi. Se una sola saccade non riesce a colmare quel miss-match posizionale si genererà una seconda saccade e così via fino a che le posizioni non combaciano.

Sebbene l'anamnesi e l'esame obiettivo otoneurologico costituiscano un momento fondamentale della diagnostica vestibolare, l'inquadramento strumentale del paziente è comunque imprescindibile in alcune patologie: in quanto ci permette di confermare il sospetto diagnostico, di valutare la progressione di una eventuale patologia, la risposta alla terapia. I singoli esami a disposizione nella diagnostica vestibologica, opportunamente combinati, forniscono informazioni per inquadrare la patologia che affligge il paziente. Il vHIT può essere utilizzato come primo test strumentale, dopo la valutazione della motilità oculare spontanea e indotta dalle manovre di posizione-posizionamento, per valutare i pazienti con dizziness (sensazione di instabilità, testa leggera, capogiri) e vertigine (la vera vertigine rotatoria). Nei reparti ambulatoriale può così ridurre il tempo e il costo, dovuto al ricorso ad altri esami, per determinare la diagnosi. Quando il test è eseguito in batteria con i Potenziali Evocati Vestibolari Miogeni oculari e cervicali (oVEMP e cVEMP), il vHIT permette la valutazione di ogni recettore vestibolare dell'orecchio interno.

Nella situazione di emergenza può aiutare la diagnosi differenziale tra lesione vestibolare periferica e stroke centrale nei pazienti con vertigine acuta e sintomi associati.

Può essere utilizzato per lo studio nel tempo dell'andamento della funzione vestibolare: durante una terapia vestibolare (ad esempio steroidi nella nevrite vestibolare), durante un trattamento vestibolo-tossico nell'ambito di malattie sistemiche (gentamicina sistemica, altra chemioterapia) o più specifiche vestibolari come la malattia di Ménière (iniezioni intratimpaniche di gentamicina). lo stato di adattamento e compensazione del sistema vestibolare in caso di deficit.

Può essere utilizzata prima e dopo la pianificazione di un intervento a livello dell'orecchio interno, in particolare per procedure di chirurgia per Schwannoma dell'VIII paio dei nervi cranici o per impianto cocleare. Infine vHIT può essere utilizzato per identificare e quantificare la presenza di una Lesione Vestibolare Bilaterale.

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In un paziente in cui è sospetta la diagnosi di neurite vestibolare il vHIT può fornire informazioni. La neurite vestibolare può colpire il nervo vestibolare superiore, danneggiando la funzionalità del CSA (LA o RA) e del CSL (-L o -R) e l'utricolo, il nervo vestibolare inferiore, danneggiando la funzionalità del CSP (LP o RP) e del sacculo, o entrambe le branche, infine anche solo un recettore ampollare determinando la nevrite ampollare (Magliulo et al. 2012). Così se si ha il sospetto di DVA il vHIT può identificare un coinvolgimento parziale del labirinto e/o nervo vestibolare.

Figura 8 Esempio di vHIT in soggetto con DVA sinsitro

VEMPs e vHIT sono stati confermati come strumenti diagnostici validi per diagnosticare danni selettivi del nervo vestibolare in pazienti affetti da DVA. Rendono possibile l'osservazione dei pazienti con DVA ampollare, non identificabile con altri tipi di esami vestibolari. L'arco riflesso degli o-VEMP è crociato: vuol dire che con gli elettrodi posti all'occhio di sinistra registro il vestibolo di destra. L'arco riflesso dei c-VEMP è diretto (per la maggior parte delle fibre): vuol dire che a sinistra registro il vestibolo di sinistra. In ambiente ambulatoriale è importante l'associazione di vHIT e BVC, dal momento che sondano diverse frequenze del VOR e forniscono informazioni complementari per quanto riguarda la funzione di canale laterale. Il BVC deve essere sempre usato per sondare la bassa frequenza mentre il vHIT fornisce una misurazione oggettiva della gamma ad alta frequenza della funzione di canale di disturbi vestibolari (Bartolomeo et al. 2014). Si stanno formulando ipotesi sulla dissociazione dei risultati tra BVC e vHIT per la ricerca di un profilo strumentale di patologia e quindi anche una possibile diagnosi

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strumentale delle patologie vestibolari a seconda del tipo di frequenza, alta o bassa, coinvolta, in particolare nella Malattia di Ménière e Vestibular Migraine.

Il vHIT non può essere utilizzato su tutti i soggetti. Alcune persone hanno il collo molto rigido (patologie, traumi o interventi chirurgici al collo) e non riescono a rilassare i muscoli del collo in misura sufficiente affinché il clinico possa imporre una rotazione imprevedibile alla testa. Se i problemi a livello del collo sono moderati, bisogna avere cautela nella velocità e nell'ampiezza con cui si compiono gli Head Impulse. Talvolta vi è una scarsa compliance a causa del discomfort provato soprattutto sui piani LARP e RALP. Può accadere poi che il paziente ammicchi frequentemente. Questo può costituire un problema per la registrazione – il paziente perciò deve essere invitato a tenere gli occhi ben aperti durante ogni rotazione della testa e cercare di continuo con lo sguardo il bersaglio di fissazione. Allo stesso modo se il paziente non riesce ad eseguire i comandi dell'operatore, si distrae e non mantiene la fissazione del bersaglio non si può compiere un valido vHIT. Questo capita soprattutto per lo studio dei piani verticali. Infine, gli occhi piccoli, soprattutto negli asiatici, possono ostacolare la registrazione dei movimenti oculari, in particolare i movimenti verticali. Il trucco sugli occhi può limitare la possibilità del software di riconoscere il segnale pupillare e di poter eseguire un adeguato tracking oculare. Patologie dell'oculomozione (paralisi internucleari) rendono impossibile l'applicazione del vHIT. Tuttavia, la maggior parte di questi problemi possono essere superati con la pratica dell'operatore. Molto importante è il training dell'operatore che deve ben istruire il paziente a tentare di mantenere la fissazione sul bersaglio e che deve eseguire correttamente il test compiendo gli Head Impulse con la giusta tecnica. Gli occhiali devono essere saldamente fissati al capo, perché il loro scivolamento altera il test. Infatti qualsiasi slittamento degli occhiali sarebbe registrato come un movimento degli occhi ed in tal modo si potrebbero generare e registrare artefatti.

Bilancio vestibolare calorico (BVC)

Il BVC è una metodica strumentale largamente utilizzata nella pratica clinica per due motivi principali: la facilità di esecuzione e la possibilità di stimolare separatamente i due emisitemi vestibolari, per evidenziare una eventuale asimmetria.

Ha però alcuni limiti non meno importanti: non può essere eseguita nel caso di flogosi dell’orecchio medio, ha una notevole variabilità di risposta anche nei soggetti normali, la

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risposta è l’espressione prevalentemente della funzionalità del CSL ed infine lo stimolo calorico è senza dubbio uno stimolo non fisiologico, esso misura la funzionalità del CSL con un range di frequenze piuttosto basso (0,003 Hz), quando generalmente un normale stimolo rotatorio risulta superiore a 0,01 Hz.

Il CSL risulta essere il più stimolato poiché si trova con la parte media del braccio semplice tra il processo corto dell’incudine ed in nervo facciale, quindi relativamente vicino al quadrante posteriore della membrana timpanica.

La variazione di temperatura causata dall’acqua calda o fredda determina una variazione dell’aria presente nell’orecchio medio, come conseguenza viene a realizzarsi un gradiente termico che risulta alla base della generazione del nistagmo calorico in virtù della comparsa di correnti convettive indotte nell’endolinfa (teoria idrodinamica di Barany).

Affinché la stimolazione calorica dia luogo ad una risposta nistagmica, deve essere eseguita ponendo il CSL in posizione verticale e ciò si realizza con il paziente supino con la testa flessa in avanti a 30° sul piano orizzontale. In questa posizione l’amopolla del CSL è rivolta verso l’alto.

Una corrente endolinfatica si realizza pertanto per l’insorgenza di una differenza di peso specifico dell’endolinfa in due diverse aree del CSL e per l’azione della forza di gravità. Utilizzando uno stimolo caldo, l’endolinfa più vicina al canale osseo subisce una riduzione del suo peso specifico e tenderà quindi a risalire determinando una deflessione ampullipeta della cupola generando un nistagmo

orizzontale battente verso il lato irrigato (nistagmo eccitatorio). Il fenomeno opposto accadrà invece utilizzando uno stimolo freddo. É facilmente intuibile che l’intensità del nistagmo calorico sarà direttamente proporzionale al gradiente termico indotto, che porterà a modificazioni dell’attività elettrica del nervo vestibolare che aumenta, dopo una breve latenza, fino ad arrivare alla culmination in 35-50 secondi per poi decrescere lentamente fino alla frequenza

Figura 9 Gli effetti delle variazioni di temperatura sull'endolinfa del CSL

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di scarica basale in 100-200 secondi dopo la fine dello stimolo.

Dopo uno stimolo calorico la temperatura del labirinto varia fino a 1,6°C per tornare ai valori inziali in circa 10 minuti.

Ad oggi, nel nostro laboratorio, eseguiamo la tecnica di Fitzgerald-Hallpike modificata. I condotti uditivi esterni vengono separatamente irrigati con 125 ml di acqua calda (44°) e fredda (30°) in 30 secondi (con 7 minuti di intervallo tra un test e l’altro) con il paziente posto supino con la testa flessa in avanti di 30°.

La maggior parte degli Autori considera la velocità angolare della fase lenta (VAFL) quale migliore espressione della funzione del VOR, in virtù della sua diretta correlazione con il grado di deflessione cupolare.

La VAFL può essere calcolata come velocità angolare massima della fase lenta del nistagmo che corrisponde alla media della VAFL delle 3 scosse di maggiore ampiezza durante la culmination.

Nella pratica clinica però la frequenza è il parametro più spesso utilizzato; essa ha il vantaggio di poter essere calcolata anche senza ENG. All’opposto l’ampiezza della scossa può essere calcolata solo utilizzando la registrazione ENG.

Per eseguire una corretta valutazione delle condizioni vestibolari è necessario eseguire una prova calorica con le 4 stimolazioni, 2 calde e 2 fredde che, attraverso le formula di Jongkees (1946) permettono di ottenere i valori di preponderanza labirintica (PL) ovvero la risposta di un vestibolo significativamente maggiore rispetto all’altro, la preponderanza direzionale (PD) ovvero la presenza di una condizione in cui il nistagmo evocato battente in una certa direzione è significativamente più intenso rispetto a quello battente in senso opposto e la reflettività totale ovvero la risposta globale del sistema vestiboalre.

La ipo/areflessia monolaterale (paresi canalare) corrisponde ad una asimmetria nistagmica che per essere considerata significativa deve essere superiore al 15% (utilizzando le formule di Jongkees) o al 30% utilizzando le sole prove calde.

Quando alla ipo/areflessia (valutabile in termini di PL) si associa anche una PD patologica, i risultati del BVC indicheranno l’esistenza di una lesione periferica non compensata. Dal momento in cui si realizza il compenso la lesione sarà evidenziata al BVC con la presenza di PL patologica e PD normale. Talvolta è possibile che si verifichi un parziale recupero

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del labirinto danneggiato, per cui avremo al BVC una PL patologica ed una PD patologica nel lato sano.

Figura 10 Andamento temporale del nistagmo in caso di DVA sinistro

I potenziali evocati vestibolari miogenici (VEMPs)

Sono un test di recente introduzione. Per quanto concerne le basi anatomiche del riflesso, sono ormai sufficienti gli studi fisiologici che hanno dimostrato che i recettori coinvolti sono quelli maculari. In particolare, si tratta del sottogruppo delle cellule di tipo I (cosiddette fasiche) confinate nella porzione peristriolare delle macule. Queste cellule, dotate di polarità anatomo-funzionale e connesse a neuroni afferenti caratterizzati da frequenza di scarica irregolare, vengono eccitate sia da stimoli di tipo acustico particolarmente intensi che da stimoli di tipo meccanico impulsivo.

Lo stimolo acustico è in grado di eccitare prevalentemente il sacculo. I neuroni afferenti percorrono il nervo vestibolare inferiore e trovano connessione sinaptica con gli alfa-motoneuroni che innervano la mu- scolatura cervicale ipsilaterale. Si tratta di un riflesso inibitorio ipsilaterale che viene registrato solitamente sul muscolo sternocleidomastoideo (SCM). Lo stimolo acustico ha il vantaggio della stimolazione selettiva monolaterale, ma anche lo svantaggio della necessità di una ottimale funzione trasmissiva dell’orecchio esterno-medio.

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Lo stimolo meccanico, erogato con specifici vibratori a membrana o piezoelettrici, invece, è in grado di eccitare sia il sacculo che l’utricolo. I neuroni afferenti dal sacculo sono gli stessi che vengono eccitati dallo stimolo acustico (via discendente). I neuroni afferenti dall’utricolo, per contro, percorrono il nervo vestibolare superiore e trovano connessione sinaptica con i motoneuroni dei nuclei oculomotori (via ascendente) controlaterali. Purtroppo, non sono del tutto note le modalità di distribuzione delle fibre irregolari all’interno dei nuclei oculomotori, ma si ritiene che il contingente maggiore sia destinato al controllo dei muscoli retto inferiore ed obliquo inferiore. A differenza di quanto avviene per la via discendente “sacculare”, in questo caso la stimolazione dell’utricolo evoca un riflesso di tipo eccitatorio e crociato. Lo stimolo meccanico ha il grande svantaggio di non consentire una stimolazione esclusivamente monolaterale dei recettori maculari ma, per contro, ha il grande vantaggio di poter essere “opportunamente manipolato” per ottenere le caratteristiche frequenziali e direzionali idonee per rendere più selettivo lo stimolo nei confronti non solo di uno specifico recettore (sacculo od utricolo), ma anche di specifiche aree all’interno dello stesso. Si ricorda, infatti, che i recettori maculari giacciono prevalentemente su uno specifico piano (orizzontale per l’utricolo e verticale per il sacculo) e che possiedono verosimilmente una frequenza di risonanza meccanica intrinseca diversa (centrata sulle basse frequenze per l’utricolo e sulle alte frequenze per il sacculo). È per questo motivo che sono state proposte diverse modalità di stimolazione meccanica che differiscono non solo per la direzione dello stimolo (ad incidenza frontale, piuttosto che laterale o verticale, ecc.), ma anche per le caratteristiche frequenziali dello stimolo (stimoli ripetitivi centrati sulle frequenze medio gravi piuttosto che sulle frequenze acute o stimoli asimmetrici impulsivi in grado di eccitare piuttosto che inibire una specifica area del recettore maculare). È intuibile come il grado elevato di complessità di queste problematiche e l’ancora scarsa conoscenza delle vie anatomiche di questi riflessi non facilita il processo di standardizzazione della metodica (essenzialmente per quanto concerne lo studio degli o-VEMPs da stimolo meccanico). Da un punto di vista clinico, comunque, ha ormai preso il sopravvento una modalità di stimolazione meccanica basata su uno stimolo ripetitivo (tone-burst centrato sui 500 Hz) erogato in senso antero- posteriore (punto di applicazione sulla zona centrale della fronte, Fz).

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Questo stimolo sarebbe in grado di determinare una distorsione meccanica del cranio in grado di translare lateralmente in direzione op- posta le aree laterali dove giacciono le macule utricolari. Il tutto si tradurrebbe in una stimolazione eccitatoria sul piano orizzontale (stimolo non fisiologico) di uguale intensità di entrambi gli utricoli che favorirebbe pertanto il riconoscimento di un eventuale stato di asimmetria funzionale tra i due recettori (S. Iwasaki et al. 2008).

Da un punto di vista metodologico, per acquisire i VEMPs è sufficiente disporre della stessa strumentazione utilizzata per lo studio dei potenziali uditivi del tronco. Trattandosi di potenziali miogenici, ovvero variazioni dell’attività elettromiografica di base, è fondamentale la collaborazione attiva del paziente nel mantenere un livello costante di contrazione del distretto muscolare analizzato, rappresentato dai SCM per quanto concerne i c-VEMPs (Colebatch, Halmagyi, and Skuse 1994) e dai muscoli obliquo inferiore (OI) e retto inferiore (RI) per gli o-VEMPs (Rosengren et al. 2008).

È stata infatti dimostrata l’esistenza, oltre che di un intuitivo rapporto diretto tra intensità dello stimolo applicato ed ampiezza del potenziale, anche di un rapporto lineare tra quest’ultima ed entità della contrazione muscolare (Colebatch, Halmagyi, and Skuse 1994): da qui nasce il reale limite clinico di questa metodica rappresentato dell’ampia variabilità intra- ed inter-individuale dei parametri quantitativi della risposta (soprattutto per quanto concerne i c-VEMPs), anche considerando il processo di normalizzazione ottenibile rapportando l’entità della risposta all’attività mioelettrica di base (ovvero il valore medio calcolato sul tracciato rettificato prestimolo).

Le caratteristiche fondamentali per l’assetto di esecuzione sono:

a. posizione del paziente supino su un lettino (l’esecuzione dell’esame è possibile comunque anche a paziente seduto);

b. 5 elettrodi (Ag/AgCl) pregelificati ad impedenza bassa e costante, per uniformare i tracciati a quelli presenti in letteratura, è utile che la posizione degli elettrodi segua i seguenti schemi:

c-VEMPs: 1 elettrodo (attivo) sul terzo medio di ciascun SCM (utile far ruotare controlateralmente il collo per palpare il ventre muscolare), 1 elettrodo (indifferente) sul terzo medio di ciascuna clavicola, 1 elettrodo di terra posto centralmente sulla parte superiore dello sterno, poco al di sotto della fossetta giugulare;

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o-VEMPs: 2 coppie di elettrodi disposti simmetricamente al di sotto di ciascun occhio (l’elettrodo attivo 1 cm sotto la palpebra, quello indifferente a 2 cm), con un quinto elettrodo (di terra) posto sempre sulla porzione superiore dello sterno (Chihara et al. 2007)

c. due cuffie per erogazione di stimoli acustici per via aerea ed un oscillatore a conduzione ossea per applicazione di stimoli acustici per via ossea.

d. segnale di feedback acustico o visivo utile all’esaminatore ed al paziente per monitorare il grado di contrazione muscolare durante l’esecuzione del test.

Per quanto concerne lo stimolo utilizzato, possono essere erogati: stimoli acustici condotti per via aerea(VA) o per via ossea(VO);stimoli meccanici (head tapping; stimolazione galvanica, meno diffusa.

Lo stimolo acustico per VA (erogato per via monoaurale o binaurale) deve essere particolarmente intenso (superiore ai 120 dB SPL) sottoforma di un click (0.1 ms) monopolare in condensazione o rarefazione, o di un tone burst (onda sinusoidale di 4-6 ms), eventualmente filtrato (logon) ripetuto con una frequenza di 3-5 Hz fino ad ottenere una risposta miogenica che rappresenta la sommazione di almeno 50- 100 stimoli. Essendo l’ampiezza degli o-VEMPs all’incirca di un ordine di grandezza inferiore rispetto a quella dei potenziali cervicali, l’amplificazione non deve essere eccessiva per questi ultimi (50 μV/div), e la finestra temporale di analisi può essere impostata sui 50-100 ms per l’idonea visualizzazione dei potenziali cervicali e perioculari, che oc- corrono normalmente entro i primi 30 ms dall’inizio dello stimolo. Rispetto ai potenziali evocati da click, i VEMPs in risposta a tone burst risultano tipicamente di ampiezza maggiore per via della maggior durata di stimolazione e, di conseguenza, della maggiore energia acustica trasmessa con quest’ultima metodica. Analoghe considerazioni si possono riservare per la stimolazione condotta per via ossea, ricordando che essa può essere erogata sia in maniera simmetrica a direzione frontale, applicando il vibratore su Fz (S. Iwasaki et al. 2008), che a livello mastoideo (Todd et al., 2008) ottenendo così uno stimolo impulsivo laterale asimmetrico, ma sicuramente in grado di attivare i recettori maculari più fisiologicamente.

Mentre la frequenza di stimolo più idonea per evocare i VEMPs per VA tramite burst risiede tra i 500 ed i 700 Hz (Murofushi et al. 1996), quella in grado di evocare i

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potenziali ad ampiezza maggiore in risposta a stimoli vibratori (VO) appartiene sicuramente ad un range frequenziale inferiore (125-250 Hz o inferiori).

Per ottenere una corretta attivazione della muscolatura in esame, è necessario istruire il paziente utilizzando le seguenti indicazioni: per quanto riguarda i c-VEMPs, nella stimolazione acustica monoaurale si invita il paziente a ruotare la testa in direzione opposta al lato stimolato, in modo da mantenere contratto lo SCM omolaterale allo stimolo. Nella stimolazione simultanea binaurale si richiede, invece, di sollevare la testa centralmente di circa 5 cm rispetto alla posizione di riposo, per attivare entrambi gli SCM in modo simmetrico. L’elevazione del capo non deve essere eccessiva per evitare l’instaurarsi di un tremore muscolare che può inficiare la corretta acquisizione del tracciato; nel rilevamento degli o-VEMPs, si invita semplicemente il soggetto a dirigere lo sguardo supero-medialmente mantenendo il capo fermo. Tali contrazioni devono essere chiaramente man- tenute costanti per tutta la durata della stimolazione.

Nel soggetto sano i VEMPs si caratterizzano per la presenza di un complesso polifasico di onde, rappresentato da oscillazioni ondulatorie rispetto alla linea isoelettrica a polarità negativa (dette “n”, per convenzione dirette verso l’alto rispetto all’isoelettrica) e a polarità positiva (“p”, verso il basso), ognuna delle quali si contraddistingue per una specifica latenza dall’inizio dello stimolo. I suffissi possono essere ordinali (p1, n1, ecc.) oppure sostituiti dal valore della latenza, espressa in ms, in cui si registra il picco (n10, p13, ecc.).

Per quanto concerne i c-VEMPs si registra un’iniziale positività (p13) seguita da un’onda negativa (n23). Le componenti più tardive (n34, p44), più incostanti, sono invece ritenute di origine extra- vestibolari(Colebatch, Halmagyi, and Skuse 1994).

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Figura 11 Posizionamento elettrodi nei VEMPs

La stimolazione acustica per VO (click o tone burst a frequenza < 1 kHz), bypassando le strutture dell’orecchio medio-esterno, rappresenta senza dubbio una valida alternativa. Per quanto concerne gli o-VEMPs, l’aspetto che maggiormente li differenzia dalle risposte colliche è la presenza di una risposta crociata eccitatoria, caratterizzata da una serie di picchi a polarità positiva e negativa la cui espressione principale è l’onda negativa a la- tenza di circa 10 ms (n10 o n1) rilevabile in corrispondenza del lato controlaterale a quello stimolato (Chihara et al. 2007). Questa risposta, rilevabile quindi a livello dei muscoli dell’occhio controlaterale, può essere evocata da stimolazioni acustiche sia per VA che per VO ed è mediata verosimilmente da vie sacculo-oculari (Chihara et al. 2007) ed utricolo-oculari (S. Iwasaki et al. 2008), rispettivamente. Chiaramente, anche nel caso dei potenziali perioculari per VA, è indispensabile l’integrità del sistema di conduzione dell’orecchio.

Utile infine ricordare che, per meglio riconoscere le componenti significative del tracciato, è sempre conveniente effettuare il re-test, per verificarne la ripetibilità e quindi la validità in termini elettrofisiologici, ed eventualmente ridurre la finestra del filtro passa banda sui 10 Hz - 1 kHz.

Una volta terminato l’esame, in ogni tracciato viene valutata in primo luogo la presenza o meno del potenziale miogenico (il complesso p13- n23 per i c-VEMPs ed il potenziale n10 per gli oculari), la latenza (ms) e l’ampiezza (cioè la grandezza,

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espressa in μV, dell’oscillazione elettrica tra un picco e l’altro). Per quantificare la differenza inter-aurale di ampiezza del potenziale viene utilizzato il parametro di asymmetry ratio (AR), ovvero il rapporto percentuale tra la differenza di ampiezza tra i 2 lati (A1 e A2) e la loro somma: AR = (A1 – A2) / (A1 + A2) x 100 dove A1 > A2. È da considerarsi francamente patologica una AR > 35% (Welgampola and Colebatch 2001).

Oltre a questi parametri convenzionali, conviene sempre analizza- re, soprattutto per stimolazioni per VA, la soglia di detezione del potenziale, ovvero l’intensità minima sufficiente ad evocare una risposta morfologicamente stabile. Deve essere considerata patologica una soglia del complesso polifasico a valori < 105 dB SPL per stimo- lazione con tone burst 500 Hz ed inferiori a 120 dB SPL per i click (Welgampola and Colebatch 2001).

In caso di assenza del potenziale dopo stimolazione per VA o per VO, un accurato studio dei recettori maculari imporrebbe la ricerca della risposta elettromiografica modificando il contenuto frequenziale dello stimolo. Effettuando cioè la cosiddetta tuning curve, si va a ricercare la frequenza alla quale il potenziale risulta piu’ evidente (shift frequenziale) in termini di ampiezza, o eventualmente, ricercando la so- glia di detezione del potenziale per ogni frequenza (Murofushi et al. 1996).

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IL DEFICIT VESTIBOLARE ACUTO (DVA)

L’improvvisa perdita di funzione di uno dei due sistemi vestibolari è una condizione patologica nota come “neurite vestibolare”. Termine non del tutto corretto poiché implica una condizione patologica non provata, cioè l’infiammazione del nervo vestibolare. Nella letteratura internazionale viene spesso adottato il termine di Vestibular Neuritis, attribuendo questa forma di deficit vestibolare acuto unilaterale (DVA) agli effetti diretti o indiretti di una infezione virale (Baloh 2003).

Ci sono varie ipotesi riguardo l’eziologia del DVA. Gli studi anatomo-patologici condotti sulle ossa temporali dei pazienti che in vita avevano sofferto di DVA sembrano supportare l’ipotesi dell’esistenza di una infezione/infiammazione virale.

Il rilievo più caratteristico è la presenza di lesioni degenerative di porzioni del nervo vestibolare, con variabile coinvolgimento del neuroepitelio recettoriale (Nadol 1995). Il DNA del virus HSV-1 è stato più volte identificato autopticamente nei gangli vestibolari umani, tramite PCR.

Tale patologia si presenta non di rado in forma epidemica ed è spesso preceduta da un episodio influenzale.

È quindi probabile che il virus HSV-1 risieda in modo latente nei gangli vestibolari e che, in determinate situazioni, si replichi improvvisamente determinando infiammazione ed edema nelle cellule dei gangli e negli assoni contenuti all’interno dei canali ossei o nei recettori periferici.

La predilezione per il nervo vestibolare è attribuita alla sua maggiore lunghezza rispetto alla branca inferiore.

Non esiste comunque una conferma immunoistochimica che le rilevata degenerazione del nervo vestibolare sia dovuta effettivamente ad un insulto virale. Altre considerazioni riguardano la difficoltà a comprendere il risparmio da parte del virus delle altre porzioni del nervo vestibolare o del nervo acustico, l’assenza, in molti pazienti, di altri sintomi tipici di una virosi e la particolare prevalenza nell’età matura.

Per tale ragione altri attribuiscono infatti il DVA ad una causa ischemica, in considerazione del fatto che l’orecchio interno è irrorato da una arteria terminale. Particolarmente vulnerabile ad ischemia sarebbe il territorio dipendente dalla arteria

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vestibolare superiore, che è lo stesso innervato dal nervo vestibolare superiore: utricolo ed i canali semicircolari anteriore (CSA) e laterale (CSL).

L’ipotesi vascolare veniva anche proposta da Lindsay ed Hemenway (1956) i quali descrissero alcuni pazienti con un complesso di sintomi caratterizzati da un episodio prolungato di vertigine, senza compromissione uditiva e senza altri segni neurologici, che si risolveva nell’arco di qualche settimana per dare successivamente origine a crisi vertiginose di tipo posizionale. L’ipotesi patogenetica prevedeva che il primo episodio vertiginoso fosse dovuto ad una occlusione della arteria vestibolare superiore con risparmio del canale posteriore e del sacculo, irrorati dall’arteria vestibolare posteriore. La vertigine posizionale successiva sarebbe dovuta al distacco otoconico conseguente all’episodio ischemico e ad una canalolitiasi del canale semicircolare posteriore (CSP). Un meccanismo ischemico deve comunque essere sospettato nei pazienti con evidenti fattori di rischio quali ipertensione, obesità, diabete e precedenti fenomeni ischemici cerebrovascolari.

Fra le altre ipotesi eziopatogenetiche ricordiamo anche la possibilità di una genesi autoimmunitaria, che peraltro dovrebbe più facilmente colpire entrambi i labirinti. È comunque possibile che nelle forme unilaterali la lesione consegua ad una turba immunologica attivata da un insulto virale.

Il DVA è caratterizzato da una acuta e grave vertigine rotatoria con nausea, ad esordio acuto o subacuto, persistente per oltre 24 ore, atassia statica e dinamica, nistagmo spontaneo unidirezionale diretto verso il lato sano, persistente per oltre 24 ore, paralisi o paresi calorica unilaterale significativa, HIT positivo verso il lato patologico, assenza di sintomatologia uditiva associata alla vertigine ed assenza di altri deficit neurologici. L’improvvisa diminuzione della frequenza di scarica del nervo vestibolare o dell’organo vestibolare periferico, determina uno squilibrio nel tono vestibolare che è la causa del segno patognomonico del DVA in fase acuta: il nistagmo spontaneo. Questo è orizzontale-rotatorio, con una minima componente verticale in alto, per il coinvolgimento dei CSL e CSA. Sia la componente orizzontale che quella torsionale sono dirette verso il lato sano.

Come sempre nelle lesioni periferiche il nistagmo è unidirezionale, cioè batte in direzione del lato sano in qualsiasi posizione della testa e dello sguardo esso venga osservato e

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segue la legge di Alexander (il nistagmo spontaneo periferico aumenta di intensità con gli occhi girati in direzione della fase rapida e diminuisce in direzione della fase lenta). Il nistagmo spontaneo si attenua gradualmente con il passare del tempo. Nella maggior parte dei casi scompare nell’arco di un mese, se osservato con gli occhiali di Frenzel. In caso di lesioni vestibolari incomplete, o comunque reversibili, si può assistere al fenomeno del recovery nystagmus, o nistagmo di recupero, che ha la peculiarità di battere verso il lato patologico.

Evoluzione e prognosi

La evoluzione dei segni e dei sintomi della neurite vestibolare è fortemente condizionata da due elementi principali: la restitutio ad integrum ed il compenso vestibolare. L’evento più auspicabile è il perfetto recupero della funzione vestibolare grazie all’intervento terapeutico o per evoluzione naturale, analogamente a quanto avviene nella paralisi di Bell o nella ipoacusia improvvisa. Oppure è possibile che si realizzi un compenso statico, in cui non è più rilevabile nistagmo spontaneo ma almeno uno dei test dinamici (HST, HIT, vibrazione mastoidea) persiste alterato. Altra possibilità è quella di un compenso statico e dinamico, dove i test dinamici sono negativi ma il test calorico risulta ancora alterato.

Infine, in pochi pazienti si assiste ad un mancato compenso, indicato dalla persistenza del nistagmo spontaneo. La evoluzione più frequente nei pazienti che non guariscono è quella del compenso statico, cioè la persistenza di uno o più segni dinamici, senza nistagmo spontaneo. Solo il 7% dei pazienti manifesta, a distanza di un anno, un mancato compenso centrale (Mandalà et al. 2010).

Per quanto concerne la prognosi e la normalizzazione dei sintomi, l’HIT possiede un elevato valore prognostico in quanto tutti i pazienti in cui il test risulta normale all’esordio della malattia guariscono nell’arco di tre mesi (Nuti et al. 2005).

La persistenza, d’altra parte, di una positività del HIT rende molto più probabile i disturbi sintomatologici persistano nel tempo, probabilmente perché il danno iniziale è più grave e difficile da compensare. È stato anche osservato che la persistenza della positività del HIT e del test di vibrazione mastoidea ben si correlano, a differenza del test calorico, con la disabilità che può residuare anche a distanza di anni dall’evento acuto, smentendo, almeno in parte, una genesi somatopsichica (Mandalà and Nuti 2009).

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