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1. Pisa, Museo Nazionale di San Matteo, rotolo del Compendium historiae in genealogia Christi di Pietro di Poitiers, inv. 5689-5697, ricostruzione

2-10. Pisa, Museo Nazionale di San Matteo, rotolo del Compendium historiae in genealogia Christi di Pietro di Poitiers, inv. 5689-5697, particolari

Library, databile fra il 1208 e il 121621– o dall’interpolazione

con l’Historia Scolastica di Pietro Comestore22.

L’appartenenza della pergamena pisana a questa tradizione e la derivazione da un suo esemplare precoce non sono discu- tibili. Per la disposizione delle tribù intorno al tabernacolo, trac- ciata in rosso e verde, un soggetto di lunga e varia tradizione23,

è ad esempio patente la derivazione da un modello comune al

Compendium di Cleveland e, soprattutto per la cromia, a quel-

lo di collezione privata esposto alla mostra newyorkese Pen and

Parchement del 200924. La pianta della città di Gerusalemme,

costituita da cerchi concentrici e aperta dalla scansione di sei porte, corrisponde anch’essa a quella dei due manoscritti appe- na menzionati – ancorché con una ancor maggiore deroga dalla loro modularità geometrica – e così si mostra aggiornata sulla

forma urbis gerosolomitana più frequentata nel XII e XIII seco-

lo, circolare in analogia alla Gerusalemme celeste e ricca di valen- ze simboliche25.

Il rotolo è incompiuto e i suoi pezzi furono realizzati sepa- ratamente e in un ordine diverso da quello di montaggio, come dimostra il disomogeneo uso della cromia26. I grafici furono trac-

ciati congiuntamente al testo, vergato da una mano accurata e competente27, ma la loro coloritura e le figure sono certamen-

te seriori. In un momento diverso e imprecisato, alcune inizia-

17. Cambridge MA, Harvard University, Houghton Library, rotolo del

Compendium historiae in genealogia Christi di Pietro di Poitiers, Ms. Typ 216H, particolare

18. Cleveland, Museum of Art, rotolo del Compendium historiae in genealogia Christi di Pietro di Poitiers, ms. 73.5, particolare

19. Assisi, Chiesa nuova, rotolo del Compendium historiae in genealogia Christi di Pietro di Poitiers, ms. 28, particolare

11. Pisa, Museo Nazionale di San Matteo, rotolo del Compendium historiae in genealogia Christi di Pietro di Poitiers, inv. 5689-5697.

Particolare della Menorah 12. Particolare del Peccato originale 13. Particolare dell’Offerta di Abramo

14 . Particolare con Isacco e Giacobbe 15. Particolare di David in trono 16. Particolare della Crocifissione

riscontri di nuovo nella cultura anticheggiante di fine XII: il can- delabro Trivulzio del Duomo di Milano (fig. 22), che insieme ai diversi altri possibili offre un confronto suggestivo per l’in- sieme della scena, o anche i fondativi archivolti di Laon (fig. 23)35. Di contro però la riduzione del numero delle pieghe e la

loro attenzione a descrivere il movimento più che il corpo, pre- supporrebbe una consapevolezza ulteriore. I sottostanti Isac- co e Giacobbe confermano tale orientamento “classicheggian- te”: li si possono infatti agevolmente confrontare con i bron- zetti di profeta dell’Ashmolean Museum di Oxford, o con quel- le dell’Albero di Jesse sullo stipite destro del portale del Duomo di San Lorenzo di Genova (fig. 24)36.

È in particolare significativo come il disegnatore attinga alle sue disponibilità morfologiche per derogare alla rigidità dia- grammatica, la “data forma”, che era stata sempre meglio rispet- tata negli esemplari del Compendium. Le due figure di profe- ta includono il clipeo del nome, esorbitano rispetto al locus ori- ginario e, pur valorizzando l’orientamento semantico ed ottico della banda centrale, si compongono come se fossero un Albe-

ro di Jesse. Evocativamente Alberico delle Tre Fontane già chia-

mava le invenzioni di Pietro di Poitiers “arbores” e fra le costru- zioni che ne sfruttavano il simbolismo l’Albero di Jesse fu certo la più diffusa37. Nel nostro caso, il precipuo inserimento della

caratteristica disposizione in pila di figure sedute ne conferma la vis formalis, per una rara deroga alla tradizione tipologica attuata con immagini allogene e in sé significanti.

Questa adozione, ancorché incompiuta, qualifica l’uso delle immagini nel rotolo pisano. Per la loro forza intrinseca mi pare anche rimarchevole che al di sotto dei due profeti, e prima della

Crocifissione, l’unica figura disegnata sia quella di David, forse

proprio perché presenza costante nell’Albero di Jesse. Nel campo figurativo che segue la pianta di Gerusalemme è omessa la rap-

presentazione della Natività, nonostante la probabile disponi- bilità del modello che per l’andamento quadrotto avrebbe dovu- to seguire uno schema analogo a quello del Metropolitan di New York (The Cloisters Collection, 2002.433)38 o dei codici “ita-

liani” di Napoli e Pluteo 15.11 della Laurenziana.

Fra le sue parti figurate spicca la Crocifissione, che chiude la sequenza avviata dalla Menorah; e ne conferma il significato di allegoria cristologica e simbolo dell’indissolubilità della sacra scrittura, per la continuità che incarna fra la nuova chiesa e il Tempio di Salomone39. Basti dire che la Crocifissione è l’unica

immagine policromata. E anche se nei testimoni sopravvissuti la presenza del colore non è rara40, precipua è invece la sua con-

nessione ad uno solo dei loci figurativi, peculiare già per dispo- sizione e iconografia. La scena non è infatti delimitata e si esten- de per tutta la larghezza del rotolo, mentre solitamente era costretta entro polilobi e constava delle sole figure del Croci- fisso e dei dolenti: si pensi al ms. Cotton Faustina B VII o al manoscritto oxoniense (Bodleian Library, Ashmole 1524) incompiuto ma già con il quadrilobo tracciato41. Quanto lo sche-

ma fosse radicato lo esemplifica la scena della cosiddetta Genea-

logia Christi di Ginevra, un esemplare senese ormai del XIV

secolo, nel quale la cornice della scena occupa tutto lo spazio di scrittura e le uniche altre figure sono gli apostoli in clipeo42.

A Pisa, sotto le traverse della croce di Cristo, i dolenti si com- pongono con Longino, di proporzioni ridotte sulla sinistra vici- no al montante, e con Stephaton sulla destra, dietro a Giovan- ni e vicino ad altri soldati. Al di sopra della grande lacuna che ne taglia il busto spunta la più piccola croce di Gesta, il catti- vo ladrone, visitato da un diavolo; Dismas è ridotto lungo il mar- gine verticale della pergamena. Entro il profilo declinante della collina si riconosce inoltre un gruppo di otto donne, sulla destra del teschio di Adamo a piè di croce, i giudei, fra cui i sommi

22. Milano, Duomo, Candelabro Trivulzio, particolare dell’Offerta di Abramo

23. Laon, cattedrale di Notre-Dame, portale laterale sinistro, archivolto, particolare del Sonno dei magi.

li sarebbero state ripassate più grossolanamente, alcuni tratti delle figure rinforzate e forse aggiunte brevi iscrizioni28.

Tali vicissitudini non nascondono comunque la specificità e la rilevanza dell’allestimento originario rispetto alla tradizio- ne tipologica. Le Mansiones, ad esempio, collocate sopra la distri- buzione delle tribù e pure colorate di rosso e verde, adottano una disposizione che ricorda le tavole eusebiane, ma dalla spa- zialità dei loro intercolunni è derivata una griglia che accentua la compartimentazione grafica.

David che si curva sulla sua arpa, è una costante dei Com- pendia e non c’è bisogno di censire i precedenti iconografici,

data la sua diffusa presenza nei codici29. Si dovrà invece nota-

re come la sua figura abbia una inclinazione e una individua- lità distaccata che ricordano una scultura, come ad esempio già quelle dell’archivolto del portale occidentale di Senlis, ma altre- sì che sia inscritta in uno spazio riquadro cuspidato, precipuo e “italianissimo”. L’adattamento del testo sulla sinistra eviden- zia come la cornice le preesistesse, ma solo nella sua valenza sche- matica, percorsa dalla banda centrale e sfruttata per il disegno, come altresì rivela la sua colorazione parziale.

Il Peccato originale è pressoché sempre presente. Ma se nei testimoni precoci di Cambridge e di Cleveland Adamo ed Eva abitano campi distinti (come anche nel ms. 28 della Chiesa Nuova di Assisi, un esemplare umbro della prima metà del seco- lo, fig. 19)30, nel nostro l’unità della scena è ricomposta; come

inoltre si osserva nel Pluteo 15.11 della Biblioteca Laurenzia- na (fig. 20), prodotto nella Francia nord-orientale nei primi decenni del secolo31. Il disegno è tanto labile da lasciar solo osser-

vare che le figure sono scandite da tre alberi a foglie dai gran- di lobi stilizzati, e riconoscere lo schema più diffuso dalla secon- da metà del XII secolo, con l’aiuto delle iscrizioni per posizio- nare i progenitori32.

Già le varianti fin qui osservate impediscono di compren- dere il rotolo pisano in una recensione riconoscibile e ne qua- lificano la peculiarità, confermata anche dal Sacrificio d’Isacco, certo una delle porzioni più interessanti e che sarebbe più cor- retto definire l’Offerta di Abramo (è Abramo che occupa la posi- zione diagrammaticamente rilevante nella banda assiale). Il gesto di brandire la spada è quello consueto nella tradizione paleo- cristiana ed occidentale, altresì era diffusa la posizione del capro sulla sinistra, insieme ad un elemento vegetale come era inval- so più recentemente, pendant dell’altare, sul quale Isacco, anco- ra vestito, non è adagiato. L’angelo appare sulla destra ma non afferra la spada di Abramo come, ad esempio, nel Pluteo 15.11 della Laurenziana o nel codice VIII.C.3 della Biblioteca Nazio- nale di Napoli (fig. 21), un altro prodotto parigino del primo decennio del secolo XIII33.

Al volto vivace del figlio – non trova riscontro che Isacco si rivolga direttamente al padre34– corrisponde la nobiltà antica

del tipo della testa di Abramo, a suggerire un’articolazione cul- turale che sembra di poter scorgere anche nei panneggi. La com- binazione di pieghe lunghe e ritorte con la marcatura del manto fasciante sotto l’ascella, già comnena, suggerisce di cercare

20. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Compendium historiae in genealogia Christi di Pietro di Poitiers, Plut. 15.11, fol. 5v, particolare del Peccato originale

21. Napoli, Biblioteca Nazionale, Compendium historiae in genealogia Christi di Pietro di Poitiers, ms. VIII.C.3, fol. 2r, particolare dell’Offerta di Abramo

sacerdoti che all’estremità sinistra si interrogano sul Crocifis- so con gesti eloquenti, e altri gruppetti di astanti a testa coper- ta e armati; la spada impugnata dal soldato di spalle sembra minacciare la tunica da disputare.

Si è detto che l’allestimento articolato della scena si allon- tana dalla tradizione tipologica, ma è altresì rimarchevole che esso fosse inconsueto nella Francia settentrionale al tempo nel quale fu messo a punto l’archetipo. Dunque, se la disposizio- ne e l’iconografia della Crocifissione non erano comprese nel- l’archetipo tipologico e non paiono essere “gotiche”, si dovrà presupporre la deliberata adozione di modelli alternativi.

La presenza e la composizione dei ladroni con Longino e Stephaton, ad esempio, avevano tutt’altra e nobile tradizione medievale: dai primi secoli43all’epoca carolingia44, prima di esse-

re riattivata nel mondo romanico, ad esempio a Tours con i cele- bri disegni della Crocifissione e della Maiestas della cattedrale di Auxerre45. Come in Francia tali modelli erano disponibili in

Italia. I ladroni sono ad esempio attestati nel Sacramentario Mor- gan46e caratterizzano il tipo figurale delle croci dipinte lucchesi,

a partire da quella di San Michele in Foro47. Nei secoli XI e XII,

la Toscana occidentale era dunque già aperta alla cultura oltral- pina48 e d’altronde la chiamata in causa di un simile modello

sarebbe suggerita anche dalla sola slogatura del collo di Dismas, caratteristica del disegno di Auxerre ben prima di essere adot- tata a fini espressivi da Giovanni Pisano nel cattivo ladrone del solo pergamo del Duomo di Pisa49.

Presupponendo il ricorso a modelli più antichi, di proba- bile ascendenza carolingia, ad esempio omologhi ad avori delle scuole di Metz o Reims della metà del IX secolo (fig. 25), par- rebbe meglio orientarsi anche la nobiltà antica del corpo di Cri- sto e la posizione e i tipi dei volti dei dolenti (figg. 26, 27)50;

nonché l’allestimento dei gruppi in primo piano, con la presenza ricorrente delle pie donne, nel nostro rotolo figure troppo tozze per non essere tratte da un modello, come nella coperta del Libro

delle Pericopi di Enrico II51.

Se non è una novità che brogliacci desueti siano usati per rinnovati fini rappresentativi, in essi soli non possono trovare spiegazione le notazioni naturalistiche dei volti, specie dei grup- pi in basso (fig. 28). Arbitrariamente sono stati legati alla più tarda rivisitazione del rotolo, che certo ci fu, ma non ha inciso sui valori figurativi fondamentali. È stata aggiunta in un secon- do momento, ad esempio la coloritura dei volti di Giovanni, delle pie donne e dei soldati sulla destra52, ma in generale i trat-

ti originari emergono rafforzati dalla consunzione. Essi costrui- scono e descrivono autonomamente le forme, entro una ben nota tradizione che usava il disegno calligrafico a fini rappresenta- tivi, e segnatamente di caratterizzazione espressiva53. Nel

primo sacerdote sulla sinistra si riconosce ad esempio un tipo fisiognomico propriamente gotico, piatto dalla fronte ampia, che da Sens e dal cantiere del transetto chartriano ebbe vasta dif- fusione europea54. Qui pare da rivelare una ulteriore stilizzazione

grafica, che si stabilizzerà nei decenni centrali del Duecento (fig. 29), volta appunto a definire espressioni e fisionomie. Ovverosia,

26. Pisa, Museo Nazionale di San Matteo, rotolo del Compendium historiae in genealogia Christi di Pietro di Poitiers, inv. 5689-5697,

Crocifissione, particolare

27. Scuola di corte di Carlo il Calvo, 860-870 ca., Crocifissione. Londra, Victoria & Albert Museum, inv. n. 250.1867.

24. Genova, cattedrale di San Lorenzo, portale maggiore, particolare dell’Albero di Jesse sullo stipite destro.

25. Metz, 860-890 circa, Crocifissione. Londra, Victoria & Albert Museum, inv. n. 30367.

pagnata da brevi estratti testuali, a celeberrime serie veterote- stamentarie come quella della Bibbia Morgan 63861.

Si è detto come sia l’immagine diagrammatica a caratteriz- zare ed imporre i tempi di lettura, e rispetto ad essa i testi appaia- no come glosse. Non sarà allora irrilevante notare anche che la loro posizione marginale è analoga proprio a quella delle chio- se nelle Bibbie glossate, il cui uso si era diffuso col procedere del XII secolo proprio nell’ambito delle scuole di teologia pari- gine62. Stavolta al centro non si trovano però i brani della sacra

scrittura ma il diagramma, cioè l’immagine.

Anche in questa prospettiva, è bene rimarcarlo, il rotolo di Pisa è particolarmente interessante perché combina all’auto- nomia e a dinamiche di derivazione tipologica una qualifica- tiva libertà formale. Con l’inserimento dei profeti sovrapposti nella disposizione di un albero di Jesse dimostra come la codi- fica diagrammatica sia superata da una propriamente figura- tiva. Finché nella Crocifissione la rappresentazione assume libertà piena e inedita, nel mettere a frutto morfemi e reper- tori, anche molto antichi, per allestire una scena che nella sua realtà formale risponda alla rinnovata ricerca di naturalità63. In

ciò è evidente come le immagini stiano cambiando natura e accanto al valore mnemonico vadano assumendone uno pro- priamente formale e quindi specificamente conoscitivo: nella terminologia mnemotecnica non più soltanto la vis memorati-

va ma anche la vis imaginativa64.

Mi permetto solo di ricordare che nello stesso scorcio di seco- lo nel quale Petrus Pictaviensis allestiva il suo archetipo, Gioac- chino da Fiore va mettendo a punto le tavole che a partire da Salimbene de Adam saranno note come Liber figurarum (fig. 31). In esse la distinzione in tre età del suo pensiero escatolo- gico, ad esempio, è rappresentata attraverso la metafora arbo- rea e le immagini sono parte integrante di un procedimento di elaborazione teologica nel quale ha grande rilevanza il pensa- re per figure; lo stesso monaco sosterrà ad esempio che “per ea [figura] quod exterior cernit oculus, interior acies illustre- tur” (Liber Concordie)65.

Infine non si può prescindere dal considerare l’opera per lo spe- cifico ambito pisano66. Va detto con chiarezza che non si hanno

elementi per circostanziare la committenza e la produzione. Le sue caratteristiche, anche qualitative, lo rendono difficilmente confrontabile con le poche testimonianze sopravvissute della produzione grafica o miniaturistica, ma allo stato delle ricer- che la localizzazione pisana ab antiquo non pare discutibile e perfettamente coerente con i caratteri paleografici: tutto som- mato, la Toscana occidentale della prima metà del XIII secolo offre il contesto meglio atto per spiegare i caratteri e i modi della realizzazione appena analizzati; piuttosto, la scrittura corsiva con elementi come la A semplificata o i ritocchi discendenti al ter- mine di M o N, potrebbero lasciar adito ad una datazione più inoltrata67.

Inoltre, non può sorprendere che a Pisa sia giunto un esem- plare precoce del Compendium historiae in genealogia Christi:

29. Parigi, Musée de Cluny, San Paolo, particolare da una vetrata del Castello reale di Rouen

30. Oxford, Corpus Christi College, Ms. 255°, Gioacchino da Fiore, Liber figurarum, fol. 10r

in queste figure non è necessario riconoscere (semplicistica- mente) il cosiddetto naturalismo della fine del secolo: come nella formalizzazione oltralpina della sua prima metà, si risponde alla montante esigenza di naturalità non in termini ottico-percetti- vi diretti, ma attraverso morfemi codificati per rappresentare nei caratteri esteriori inclinazioni intime e individuali, in ana- logia con i dettami della phisionomia. La pergamena va quindi considerata entro le dinamiche di quel fenomeno rilevantissi- mo che nelle diverse tecniche qualificò la riappropriazione for- male della natura dai primi decenni del XIII secolo, e che mi limito ad evocare accostando i nostri disegni ai frammenti del Giudizio universale dell’abbazia di Fontevraud55.

Tutti i confronti che si potrebbero addurre, non avrebbero necessariamente che valore orientativo, tuttavia mi pare indu- bitabile che il disegnatore della nostra scena avesse un atteg- giamento figurativo analogo a quello che si era imposto Oltral- pe: ovverosia, che della cultura europea conoscesse le forme – e anche i modelli – ma soprattutto, e indipendentemente dalla tradizione tipologica, ne condividesse l’uso e la fiducia nella capacità dell’immagine di dare forma all’attenzione per la natu- ra, che fu la più grande novità della prima metà del Duecento. Relativamente alla funzione, è l’introduzione ad avvertirci che la composizione è usata a fini didattici nei suoi caratteri gra- fici e figurativi. Le immagini “didattiche” attraversano il Medioe- vo, come l’allestimento di diagrammi per visualizzare la storia biblica56. Da questo punto di vista il Compendium alimenta la

diffusione che le rappresentazioni schematiche conobbero nel XII secolo, con l’affermarsi della filosofia scolastica e preci- puamente per le esigenze dell’insegnamento. Nel momento in cui il sapere da dottrina si avviava a diventare scienza, infatti,

per un verso la scrittura si fece più semplice e chiara, per l’al- tro furono allestite numerose immagini che combinavano gra- fici e figure57. Già Ugo di San Vittore, recuperando la tradizione

dell’ars memorativa classica, descrive nel Libellus de formatio-

ne arche58un’immagine mnemonica, calcata sul funzionamen-

to della memoria che illustra nel De tribus maximis circumstantiis

gestorum: ovverosia, il classificare per numero, luogo e tempo

elementi che si imprimono nella memoria “secundum modum et formam”, quindi anche attraverso la loro caratterizzazione formale. In generale, se per colui che terminò il processo di chia- rificazione del testo scritto “dispositio ordinis, illustratio est cognitionis”, già le immagini avevano valore mnemonico, “que- madmodum marsupium”59.

L’espressione è evidentemente omologa al “quasi in saccu- lo” di Pietro di Poitiers, che si è citato all’inizio. Le sue indi- cazioni sul ruolo delle immagini come strumento di memoria devono pertanto essere inserite in questa tradizione (la stessa pianta dell’arca ha forti analogie con la descrizione del disegno di Ugo di San Vittore). Oltre a ciò, mi pare però rimarchevo- le che il Compendium, come immagine didattica e rispetto alle singole imagines agentes, si stenda lungo tutto un rotolo, in modo tale da poter essere significativo al colpo d’occhio – ovvero “ut cum totum videris, que deinde de parte dicuntur facilus intel- ligere potest”, come si legge nel De Archa di Ugo di San Vit- tore60– ma implicando anche una diacronia nella lettura for-

male. Da questo punto di vista la manifestazione diagramma- tica è un prodromo della continuità rappresentativa, che, com’è noto, è un altro dei grandi temi che si svilupperanno nel corso del XIII secolo: restando ai manoscritti, basti pensare alle Bibles