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Tensioni allegoriche e suggestioni naturalistiche nel giardino medievale Su alcuni esemplari illustrati del Roman de la Rose

3. Baltimore, Walters Art Museum, ms. W 143, f. 1r

grate. Una recinzione lignea lo divide in due zone, una con sedi- li, l’altra con aiuole. Alberi da frutto evocano il piacere dei sensi. Il canto degli uccelli si intervalla con la musica del liuto. Dalla fontana sgorga acqua limpida.

Eppure ciò che rende il giardino della Rose così vicino al giardino biblico è sicuramente la sua inaccessibilità, sottolineata dalla presenza dell’alto muro merlato. Tutti gli esemplari illu- strati dell’opera recepiscono tale peculiarità, rendendo la dife- sa ineludibile anche per il giardino d’amore. “[…] Portrait et dehors entaillié / a maintes riches escritures. / Les ymages et les pointures / du mur volentiers remiré”20. Il f. 1r del codice Egerton 1069 di Londra mostra Amante con Oiseuse, in una

veduta dall’alto che rivela l’intero giardino21. Sul muro sono deli-

neate alcune figure (fig. 8). I tituli le identificano come Con-

voitise, Avarice, Envie e Tristesse22. È ancora il testo di Guil-

laume che, con un intrigante esercizio di ekphrasis, descrive que- ste immagini, insieme alle altre che si possono immaginare ritrat- te sull’altra metà del muro, Haine, Félonie, Vilenie, Vieillesse,

Papelardie e Pauvreté23. Sebbene non possa soffermarmi in que-

sta sede sulle loro caratteristiche iconografiche, va detto che queste personificazioni – il termine “vizio” con cui la storio- grafia le ha spesso indicate è improprio, a mio avviso, perché richiama i vizi capitali e di essi sono raffigurati in questo caso solo Invidia e Avarizia – hanno un ruolo fondamentale nella struttura narrativa della Rose, così come all’interno di molti degli esemplari miniati dell’opera, che, oltre a proporle sul- l’esterno del muro di cinta (fig. 9), spesso le raffigurano sin- golarmente all’interno di miniature tabellari, con funzione ese- getica al testo di Guillaume (fig. 10). Dal punto di vista ico- nografico è talvolta significativa la presenza nelle immagini d’a- pertura, e sempre accanto ad Amante, di Dangier, quello che Dante nel Fiore chiama lo Schifo, sorta di guardiano della Rosa24. È interessante notare, infatti, come Dangier sostituisca

in alcuni casi le immagini dipinte sul muro, quasi che il minia- tore desideri compendiarle in un’unica figura (fig. 5). Il muro di cinta del giardino d’Amore dunque ha valenza difensiva; è inaccessibile e invalicabile, come il giardino dell’Eden. A dif- ferenza di quest’ultimo, tuttavia, quello della Rose non è chiu- so. È un Eden laico. Amante, e con lui coloro che sono dispo- sti a soccombere alle frecce d’Amore, vengono ammessi a entra- re, ma solo dopo aver lasciato fuori dal verziere i difetti che trovano dipinti sul muro. Il giardino, luogo dove, nell’ideale di Guillaume de Lorris, si realizza il sogno cortese, lo sboc- ciare dell’amore e il piacere di tutti i sensi in armonia con la natura, non può essere contaminato da nessuna di quelle dieci macchie dell’anima. Queste argomentazioni hanno il rovescio della medaglia nell’episodio della carole, in cui si esaspera il contrasto esterno-interno. Al f. 14v del già citato manoscritto

Harley (fig. 11), un’ampia schiera di personaggi sta preparan-

dosi alla danza. Le figure che ne prendono parte rappresen- tano, dal punto di vista allegorico, una condizione antitetica rispetto a quelle dipinte sull’esterno del muro: sono figure reali e la loro fisicità le distingue dalle immagini dipinte, che si carat-

1. Paris, Bibliotheque Nationale de France, ms. fr. 378, f. 13v

2. Paris, Bibliotheque de l’Arsenal, ms. 3338, 1r

7. London, British Library, Harley ms. 4425, f. 19v

8. London, British Library, Egerton ms. 1069, f. 1r

9. Paris, Bibliotheque de l’Arsenal, ms. 3339, 1r

4. New York, Morgan Library, M. 948, f. 12r

5. Paris, Bibliotheque de l’Arsenal, ms. 5226, 1r

6. Paris, Bibliotheque Nationale de France, ms. fr. 1576, f. 1r

tanto colui che incarna i valori più alti della società cortese e con essi prenderà parte alla danza.

Il poeta continua a raccontare. Amante sarà trafitto dalle frec- ce d’Amore nell’attimo in cui scorgerà la Rosa; sofferente e dolo- rante sarà ammesso al suo cospetto e riuscirà a baciare il fiore. Ma sarà privato ancora una volta della sua visione: la Rosa verrà rinchiusa in un castello con quattro guardiani. Il testo termi- na, incompiuto, con Amante che si abbandona a un disperato lamento. Congetture sul finale del romanzo iniziarono già dalla morte di Guillaume. E la breve opera di un anonimo negli anni appena successivi la scomparsa del poeta e prima della conti-

nuatio di Jean de Meun, opera spesso tradita dai codici della Rose, ne è l’esempio più cogente.

L’incompiutezza darà, infatti, la possibilità di variare la Rose in qualcosa di diverso. Da testo laico a opera moralizzante, da amore cortese ad amore cristiano. La Rosa divenne allegoria di Maria, “rosa di tutte le rose”. Il ms. 101 della Bibliothèque de la Ville di Tournai, che il colophon data al 1330 e che contiene oltre alla Rose, la versione moralizzata di Gui de Mori, celebra questo passaggio con l’immagine in apertura di una Madonna

con il Bambino27. È stato scritto che Gui si mise all’opera per i

suoi chierici, che avrebbero letto volentieri un testo in volgare, non lontano però dalla dottrina cristiana né particolarmente lasci-

14. Philadelphia, Museum of Art, The Philip S. Collins Collection, 1945-65-3, f. 7r

16. Oxford, Bodleian Library, ms. Douce 195, f. 2r

15. Oxford, Bodleian Library, ms. Douce 195, f. 7r

terizzano piuttosto per una privazione di realtà. Il testo elen- ca, oltre a Deduit e Oiseuse, Liesse, Amour, Beauté, Richesse,

Largesse, Franchise, Courtoisie, Jeunesse. Se, dunque, la forti-

ficazione era specchio di una società alla quale era vietato l’in- gresso al giardino di Deduit perché “diversa”, la carole, al con- trario, è espressione degli ideali propri del mondo cortese e di quel mondo diviene il manifesto ideologico.

La carole, definita dai musicologi anglosassoni social dance, finisce per rafforzare, a mio avviso, il significato del muro di cinta. Attestata già nell’antichità è tuttavia soltanto dal secolo XIII che si hanno sufficienti informazioni per stabilirne una coreografia25. Qui interessa sottolineare come il suo peculiare

andamento a cerchio, con i danzatori che si tengono per mano, rafforzi dal punto di vista simbolico l’idea di chiusura. E così avviene per l’andamento “a catena”, confermato anch’esso dalle fonti, in cui i partecipanti formano un vero e proprio cordone umano. Gli esempi illustrati all’interno della Rose sono nume- rosi e tutti rispettano l’una o l’altra delle coreografie. I perso- naggi sono stretti in cerchio e serrati, come nel codice 5209 del- l’Arsenal (fig. 12); oppure si mostrano (fig. 13) accostati e uniti tenendosi per le braccia nel manoscritto 270 di Châlons-en- Champagne, quasi armati a guisa di soldati d’Amore; oppure danzano ancora in cerchio al cospetto del dio nel testimone del Philadelphia Museum of Art (fig. 14), dove il miniatore si sof- ferma su dettagli naturalistici quali i cespugli di fiori in primo piano e, a chiudere la scena, le grate che accolgono i tralci del roseto; fino al noto codice di Oxford, Douce 195 (fig. 15), dove Amante è invitato a partecipare alla danza26. Il cerchio si apre,

ma rapidamente serrerà i ranghi. Sullo sfondo il muro di cinta, sul quale non è difficile immaginare la presenza di Odio, Tri- stezza, Invida e delle altre figure allegoriche escluse dal giar- dino d’Amore (fig. 16). La carole è dunque una seconda bar- riera, tra l’esterno e il fulcro centrale, la Rosa. Passerà oltre sol-

10. Paris, Bibliotheque Nationale de France, ms. fr. 1558, ff. 2v-3r

11. London, British Library, Harley ms. 4425, f. 14v

12. Paris, Bibliotheque de l’Arsenal, ms. 5209, f. 6v

13. Châlons-en-Champagne, Bibliotheque municipale, ms. 270, f. 6v

I due fogli che presento, disegnati e in parte dipinti recto e verso con tre personificazioni di pianeti e una tavola astronomica (figg. 1-4), sono attualmente conservati nella Biblioteca di Chantilly, inv. 754. Non sono inediti, ma in fondo poco noti, e spesso frain- tesi nella loro datazione e attribuzione. Li aveva comprati nel 1862 il duca di Aumale, rilegati insieme con il manoscritto con- tenente la Canzone delle Virtù e delle Scienze di Bartolomeo de’ Bartoli, dedicata a Bruzio Visconti e databile al 1349 circa (ora ms. 599), e a un frammento con l’Historia Troiana1. Leone Dorez

ricorda che il codice è menzionato nel 1745 da Filippo Arge- lati, che così scrive: “Ma poiché parliamo di Bruzio Visconti, crediamo far cosa grata agli studiosi, accennando ad un codi- ce in cartapecora, elegantissimo, in foglio, conservato alla biblio- teca Archinto, ricco d’ottime miniature messe ad oro. Esso offre questo titolo: Incipit Cantica ad gloriam et honorem magnifici

militis domini Brutii nati incliti ac illustris principis domini Luchi- ni Vicecomitis de Mediolano, in qua tractatur de Virtutibus et Scientiis vulgarizatis. Amen”2. Dorez ricorda anche la menzio-

ne del Litta, che nel 1820 vedeva il manoscritto ancora nella raccolta Archinto e si fece autorizzare a riprodurne la prima miniatura con l’immagine dell’autore e di Bruzio3. La menzio-

ne di Argelati, “ottime miniature messe ad oro”, stupisce un po’, perché i disegni che illustrano la canzone sono piuttosto semplici e poco colorati, e nessuno ha tracce d’oro, che inve- ce compaiono in almeno uno dei nostri fogli, così da far pen- sare che fossero già allora rilegati con il manoscritto di Bruzio. Patricia Stirnemann afferma invece che i fogli furono rilegati insieme con il manoscritto della Canzone, e anche con il fram- mento della Historia Troianorum di Pietrobono Bentivegna da Bologna (ms.683 della Biblioteca di Chantilly) in occasione della vendita del 1862; la Pellegrin scrive che all’epoca della vendi- ta “il se trouvait [il codice della Canzone] relié avec les mss 683 (1427) et 754 (1425) de Chantilly”, il primo includente una rac- colta di distici di Dionysius Cato, una Historia septem sapien-

tium e il primo libro del De consolatione di Boezio, il secondo

essendo appunto l’Historia Troiana4.

Il fisico gemellaggio con un manoscritto di metà Trecento ha condizionato molto a lungo il giudizio sui due fogli, che sono stati per lungo tempo assimilati alla Canzone, e attribuiti allo stesso disegnatore cui sono attribuite le illustrazioni di questo manoscritto, Andrea de’ Bartoli, fratello di Bartolomeo (fig. 5)5.

Ancora nel 2000, nel catalogo delle Enluminures italiennes.

Chefs-d’oeuvre du Musée Condé, i fogli sono descritti in manie-

ra ambigua, presentati come non realmente pertinenti il mano- scritto della Canzone ma forse anch’essi proprietà di Bruzio (ciò che è impossibile per questioni di data, come si vedrà più avan- ti); né l’attribuzione ad Andrea de’ Bartoli è lasciata cadere, bensì solo limitata con un punto interrogativo e detta suggerire “des rapprochements intrigants” tra la Canzone e i disegni6. Alla

bibliografia di questo catalogo è ignoto il Trecento di Toesca, che invece aveva subito compreso l’alterità dei due fogli rispet- to alla Canzone, e aveva proposto un nome, come scrive, della “robusta modellazione della maniera di Altichiero”7. Alla cer-

chia del pittore li ha riferiti, molto più di recente rispetto al Toe- sca e nello stesso anno del catalogo di Chantilly, Dieter Blume, nel suo Regenten des Himmels, un saggio dedicato alle figura- zioni astrologiche di Medioevo e Rinascimento8. Tuttavia i dise-

gni non sono mai riusciti a entrare nella discussione sull’opera di Altichiero e della sua cerchia: nessuna menzione ne è fatta negli articoli di Gian Lorenzo Mellini sui disegni a lui attribuiti, né tanto meno nella sua monografia del 1965; nulla nella mono- grafia di John Richards, del 2000, né in tutti gli studi sui gran- di cicli padovani9. Sola eccezione a questa congiura del silen-

zio è stato il parere di Daniele Benati, il quale – e qui la que- stione si fa ovviamente intrigante – riferisce le tre personifica- zioni dei pianeti ad Avanzo10.

Una precisa descrizione di queste opere un po’ neglette aiuterà a meglio comprenderle. Non seguirò l’ordine recto e verso dei fogli, di cui do conto nelle didascalie delle figure 1-4, ma guar- derò prima le tre personificazioni dei pianeti, e infine la tavo- la astronomica. La pagina con l’immagine di Saturno (fig. 1) con- tiene un campo di color azzurro intenso, non perfettamente cen- trato nel foglio e ornato con una fascia d’oro a qualche milli- metro dal limite. L’azzurro è danneggiato, ma di qualità altis- sima, probabilmente lapislazzulo o bella azzurrite11; al centro

si vede una figura maschile, posta un po’ di sbieco e con lo sguar- do fisso verso destra. E’ vestito come un contadino, con una veste corta, tenuta stretta in vita da un cordino, munita di una fila di bottoni sul petto ma aperta quasi fino alla vita in modo da mettere in mostra una leggera camiciola; all’interno, verso la cintura, si intravede una forma gialla, forse uno straccio o una borsa. La veste appare povera, ma le lunghe maniche sono inve- ce piuttosto curate, affusolate verso il polso dove vanno a chiu- dersi con una sorta di pistagnetta e con tre bottoni. Sotto la veste, le gambe appaiono fasciate da una specie di calzoni, o lunghi mutandoni stretti al di sotto del ginocchio da un legaccio e mal ridotti al bordo; i piedi sono nudi; in testa ha un cappello lie- vemente colorato in giallo oro. L’uomo appare piuttosto vec- chio, con barba grigia o bianca (fig. 6); i lineamenti del volto sono minuti, come raccolti al centro del volto, gli occhi segna- ti alla palpebra inferiore, le guance piuttosto scavate, e l’e- spressione è intenta e malinconica. Con la mano destra regge una grande falce a manico arcuato; con la sinistra invece regge un oggetto abbastanza curioso, che è probabilmente un arne- se ad acqua per affilare i coltelli; un coltello appare infatti lega- to alla cintura, insieme con una boccetta con un tappo roton- do e una specie di copritappo di forma prismatica o triangola- re, forse semplicemente una bottiglia per l’acqua. Il personag- gio è circondato da una sorta di mandorla a raggi d’oro, ed effet- ti dorati suscitano anche il giallo del manico della falce e le sfu- mature del cappello. Il nome Saturnus spicca in alto a destra sul fondo azzurro del cielo, ed è poi in questo azzurro nottur- no che si scoprono altre invenzioni fantastiche: sono i due segni zodiacali che costituiscono i cosiddetti “domicili” diurno e not- turno del pianeta. Si tratta di un concetto di origine tolemai-