Daniele Zavalloni Ecoistituto - Cesena [email protected]
L’origine dei boschi, che oggi ricoprono la parte alta del crinale della Romagna, può essere riferita all’ultimo post-glaciale, quando le caratteristiche del clima, pur con diverse oscillazioni, si avvicinano gradualmente a quelle attuali (BAGNARESI, FERRARI, BOLDREGHINI,VIANELLI, 1989). Clima, morfologia, geolitologia sono i principali fattori di distribuzione e differenziazione dei popolamenti forestali e poi vi è l’azione dell’uomo, con graduale intensità. All’inizio, l’uomo si dedica alla raccolta dei frutti spontanei, della legna e poi la caccia.
In seguito, si passa ai dissodamenti, agli incendi, poi ai tagli intensi per ricavare legna da opera e da ardere e in seguito arriva il pascolo; tutto queste operazioni, in origine avvenivano in prossimità dei primi nuclei abitativi. Nei primi secoli del Medioevo, i boschi assumono un’inedita centralità rispetto all’epoca classica, legata al valore economico derivante dalle attività silvo-pastorali e dalla gestione dei patrimoni regi. In questo periodo i boschi tornano ad avanzare, assumono un valore economico e culturale e soprattutto sono percepiti come un valore positivo: tutto questo non era di certo una prerogativa della cultura dei romani.
Ritorna ad essere centrale “l’incolto” che attira l’attenzione dei re che sul loro controllo (l’incolto) fondano buona parte delle disponibilità economiche delle monarchie.
È nell’Alto Medioevo che nasce la parola “foresta” come ci spiega RAO (2015):
Nell’Alto Medioevo si diffonde una parola nuova per designare i vasti spazi boschivi di pertinenza regia: “foresta”. Tale termine compare attorno alla metà del VII secolo in area franca per indicare spazi su cui i sovrani affermano la loro giurisdizione. Anche se oggi le due parole “foresta” e “bosco” sono usate in forma sinonimica, la prima insiste sulla natura fiscale e demaniale del bene, mentre la seconda attraverso i lemmi latini che designano (buscus, nemus), si riferisce piuttosto alle caratteristiche del manto vegetale. In Italia, il vocabolo “foresta” si diffonde in maniera massiccia nei secoli IX-X, dopo la conquista da parte di Carlo Magno del regno dei Longobardi. Per l’epoca precedente, la documentazione longobarda preferisce utilizzare altri termini, che come vedremo individuano, in maniera analoga a quanto avveniva per “foresta” nel regno dei Franchi, incolti di esclusiva regia.
Durante il Rinascimento si accentuano i dissodamenti e il prelievo del legname da destinare alle città, che sembra non arrestarsi; contemporaneamente si afferma l’appoderamento, costringendo il bosco ad arroccarsi nelle posizioni meno produttive.
Questa opera di disboscamento interessa aree sempre più lontane dai centri abitati, a causa dell’aumento della popolazione. Nascono pascoli e nasce l’agricoltura montana povera, faticosa, che è stata alla base della sopravvivenza di intere popolazioni e che ha resistito fino alla fine degli anni ’50 del secolo scorso. Fino all’ultimo i boschi subiscono un taglio pesante, senza regole, l’alto fusto è ridotto a ceduo per la produzione di legna da ardere e in gran parte per soddisfare i crescenti bisogni della città.
La degradazione delle pendici raggiunge livelli davvero preoccupanti, il dissesto idrogeologico influisce negativamente sulle aree agricole appoderate e le piene dei fiumi colpiscono i campi coltivati della pianura.
È con la legge forestale del 1923, il R.D. 3267, che nasce il primo strumento moderno di difesa del suolo con la tutela dei boschi: di seguito l’art. 1 Sono sottoposti a vincolo per
scopi idrogeologici i terreni di qualsiasi natura e destinazione che, per effetto di forme di utilizzazione contrastanti con le norme di cui agli articoli 7, 8 e 9 possono con danno pubblico subire denudazioni, perdere la stabilità o turbare il regime delle acque.
L’ art. 7 Per i terreni vincolati la trasformazione dei boschi in altre qualità di coltura e la trasformazione di terreni saldi in terreni soggetti a periodica lavorazione sono subordinate ad autorizzazione del comitato forestale e alle modalità da esso prescritte, caso per caso, allo scopo di prevenire i danni di cui all’art. 1.
Questo articolo detta le norme per la razionalizzazione del taglio dei boschi esistenti.
Per arrestare il dissodamento e per limitare il pascolo all’interno delle aree boschive le condizioni le ritroviamo definite nell’art. 8 - Per i terreni predetti il comitato forestale dovrà prescrivere le modalità del governo e dell’utilizzazione dei boschi e del pascolo nei boschi e terreni pascolativi, le modalità della soppressione e utilizzazione dei cespugli aventi funzioni protettive, nonché quelle dei lavori di dissodamento di terreni saldi e della lavorazione del suolo nei terreni a coltura agraria, in quanto ciò sia ritenuto necessario per prevenire i danni di cui all’art. 1. Tali prescrizioni potranno avere anche carattere temporaneo.
Lo strumento per applicare questa legge sono le Prescrizioni di Massima e Polizia Forestale (PMPF) che ogni regione è tenuta a redigere.
La storia moderna ci racconta fatti ancora diversi di questi boschi e degli uomini che li hanno abitati: inizia l’esodo verso la pianura, gli uomini sono attirati dalla progressiva industrializzazione, attratti dalle comodità della vita di città, l’economia agricolo-forestale dei territori montani subisce un crollo verticale, il bosco diventa sempre meno importante.
La lettura del paesaggio ci racconta il perché degli eventi fino ad ora descritti, il terreno è formato da forte asperità che impedisce un conveniente impiego dei mezzi meccanici in grado di ridurre costi e fatica. Il ceduo, tipica formazione boschiva di questi territori dell’appenino, atta a produrre in gran parte legna da ardere è soppiantata da combustibili fossili meno costosi e più comodi da utilizzare.
Questo esodo ha caratterizzato i territori montani dell’appennino forlivese (prima che Rimini diventasse autonoma), infatti in Romagna, grazie alla legge del 25 luglio 1952 n.
991 per i provvedimenti in favore dei territori montani, si arricchisce di 23.600 ettari (circa) di nuovo demanio forestale statale che nel 1977 diventa demanio forestale regionale.
Giulio Sacchi specifica gli elementi che caratterizzano la legge comunemente definita
“della montagna” (SACCHI, 1952): L’art. 6 della legge 25 luglio 1952, n. 991, recante provvedimenti in favore dei territori montani, prevede l’acquisto, da parte dell’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali, nel decennio 1952-53 – 1961-62, di terreni nudi, cespugliati o anche parzialmente boscati atti al rimboschimento e alla formazione di prati pascoli, per l’importo complessivo di 10 miliardi. […] l’art. 7 della citata legge stabilisce poi che i terreni comunemente rimboschiti a totale carico dello Stato (rimboschimenti per la sistemazione idraulico-forestale dei comprensori di bonifica montana) possono essere espropriati a favore dell’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali, sentito il parere della competente Camera di Commercio, Industria e Agricoltura, quando siano situati in attiguità a terreni di proprietà dell’Azienda stessa, oppure costituiscano un comprensorio di estensione sufficiente a formare una unità tecnica amministrativa autonomo ovvero possono essere convenientemente assunti in gestione da un ufficio viciniore dell’Azienda
Con rammarico debbiamo constatare che questa importante scelta di gestire direttamente il demanio forestale regionale nel 1993 è stata disattesa la missione originaria, decretando lo scioglimento dell’ARF (Soppressione dell’Azienda Regionale delle Foreste - Legge Regionale 29 marzo 1993, n. 17).
È pur vero che il paesaggio forestale (il bosco) che ancora domina nel nostro Appennino, svolge, per ora, un’insostituibile funzione di protezione del suolo. Non è
disdicevole ricordare nuovamente che questi territori sono caratterizzati da vallecole strette e da pendici ripide con una stabilità decisamente precaria.
Un’ultima considerazione sulla fisionomia dei boschi: molti cedui sono da qualche tempo abbandonati, perciò la loro tipologia è alterata (nel concetto forestale classico, che ha risvolti economici) dalla mancanza di cura, tutto ciò non produce nessun danno al bosco né il bosco tenderà a scomparire (come qualcuno vuole sostenere, inopportunamente) certamente il bosco assumerà una struttura forestale di transizione, meno utile (economicamente) per la produzione legnosa adatta alle attività dell’uomo, ma sicuramente si ripristinerà la naturalità originaria.
L’altra forma di governo del bosco è quella della “fustaia” o “bosco di alto fusto”, in questo caso i boschi con questo governo sono pochissimi nel nostro Appennino Romagnolo, se escludiamo le Foreste Casentinesi; solo in questi anni i boschi ereditati dopo l’abbandono della montagna, sono trattati con questo governo, i risultati li potremo vedere fra un centinaio di anni, la speranza è di vedere raggiungere la fase climax. Si tenta di migliorare il valore del bosco con la conversione all’alto fusto, le piante aumentano di dimensione e acquistano maggiore pregio.
Manca un’ultima annotazione sui boschi: cedui o alto fusto, è indifferente, essi rappresentano un ecosistema organizzato in strati sovrapposti: erbaceo, arbustivo, arboreo e alla base di tutto troviamo i muschi (strato muscinale) e, di conseguenza, esiste una diversificazione delle nicchie ecologiche. Alla stessa maniera si stratifica il popolamento animale: si parte dalla fauna del suolo per arrivare ai grossi mammiferi, l’insieme delle due parti dà origine alla catena alimentare. La foresta è un sistema aperto dove avviene lo scambio di minerali con altre parti di ecosistemi, trasmesso, in gran parte, attraverso l’acqua corrente. Un ecosistema forestale, in buono stato di salute, l’assorbimento degli elementi minerali è in equilibrio con il ritorno al suolo dei medesimi. Il risultato finale di questi processi e di tanti altri non esemplificati, determina la produzione di acqua e aria pulita.
Fino ad ora, parlando di boschi, si dà per scontato che il riferimento sia solo per le piante verdi, ma vorrei terminare questo paragrafo con le parole di Alfonso Alessandrini (1990), che è stato Direttore Generale del Economia Montana e delle Foreste e Capo del Corpo Forestale dello Stato, tratto dall’articolo “Il linguaggio degli alberi secchi”:Quante volte nelle descrizioni particellari di piani di assestamento, nelle relazioni di perizie estimative ho usato questa espressione: “particelle con piante vecchie, stramature, seccaginose, deperienti, deformi ecc…”. Termini quasi sprezzanti per indicare non soltanto situazione selvicolturale precaria, ma anche per invitare alla sollecita eliminazione di alberi privi di significato economico. […], oggi mi appaiono bellissimi anche se sono alberi
“secchi”. Mi sembrano magiche espressioni della natura, superbe figure che campeggiano in un paesaggio naturale particolare, interessante e suggestivo. Sono sempre gli “alberi secchi” di ieri che oggi mi sembrano vivi e, per certi aspetti, più vivi di quelli che infittiscono le rigogliose e solenni fustaie a Paneveggio, a Vallombrosa, all’Abetone. Questi
“alberi secchi” rivelano un ambiente, contengono una storia, forse compiuta, ma dare tono al paesaggio, alberi che rievocano tante tormente di neve, spesso testimoniano secoli di solitudine e di lotta per l’esistenza. Gli “alberi secchi” sono rifiutati dall’uomo sempre proteso a cogliere i frutti migliori del bosco. Ma sono ancora vivi non solo perché tra le loro fibre contorte, tra le profonde ferite, alberga una vita costituita da innumerevoli esseri collocati lì da un inimitabile ed illuminante disegno della natura, ma perché sono alberi che stimolano la nostra immaginazione per dei valori formali che sopravvivono anche dopo che la linfa si è inaridita.
Questo lungo sproloquio sui boschi demaniali regionali è stato scritto per evidenziare la loro peculiarità, giacché può essere un eccellente laboratorio per sperimentare la “non gestione forestale”; potrebbe sembrare un’affermazione senza senso. Molto semplicemente
crediamo che 23.000 ha di demanio forestale (un bene di tutti), boschi in gran parte di neoformazione possono essere lasciati alla libera evoluzione. La proposta riguarda i terreni esclusivamente di proprietà demaniale, perciò nessuno ne subirà un danno economico, ma sicuramente ne beneficerà la natura, pertanto il beneficio è dell’uomo. Siamo consapevoli che uno sano pragmatismo rende più credibile la proposta apparentemente insensata, pertanto ci esprimiamo a favore di una attività lavorativa che può generare lavoro e quindi economia per molte persone. Premesso che non esiste periferia urbana degna di essere definita “a misura d’uomo”, di solito sono luogo di degrado in tutti i sensi; iniziando a realizzare una “cintura verde” attorno alle città, ciò ridurrebbe il degrado migliorando la qualità della vita. Questa operazione può rappresentare l’unico vero processo di “sviluppo sostenibile” senza cadere nell’ossimoro certamente è una proposta di “economia verde”.
La conseguenza logica di questo progetto è la riproposizione e costituzione di vivai forestali in funzione dei lavori di cui sopra.
Per la Regione Emilia-Romagna che si vanta di essere la prima, è l’occasione giusta per dare un segnale, fare da apri-pista in questo senso, soprattutto perché è l’occasione per dare lavoro a migliaia di persone e quindi avviare un processo economico che favorisce una migliore qualità della vita, rendendo più vivibili le periferie delle città ma soprattutto le città stesse.
In sintesi; per questi boschi demaniali non sono necessarie “cure colturali” bensì
“cure culturali” perché il tutto, per questi luoghi, deve passare attraverso una nuova
“cultura del bosco”.
Ancora oggi si può osservare la gestione di questi territori montani con residui di prati pascoli ancora liberi da vegetazione arborea e i rimboschimenti storici effettuati con resinose (foto Daniele Zavalloni).
Letteratura citata
ALESSANDRINI A.,1990–Il tempo degli alberi. Roma, ed.Abete.
BAGNARESI U.,FERRARI C.,BOLDREGHINI P.,VIANELLI A., 1989 – I boschi dell’Emilia-Romagna. Bologna, Regione Emilia-Romagna.
RAO R., 2015 - I paesaggi dell’Italia medievale. Roma, ed. Carocci.
SACCHI G., - L’ampliamento del Demanio Forestale dello Stato. Monti e Boschi rivista mensile del Touring Club italiano, Numero speciale dedicato alla nuova legge per la montagna, numero 991 del 25 luglio 1952, numero 11/12 novembre-dicembre 1952.
LA TUTELA DELLE SPECIE ANIMALI MINACCIATE