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Capitolo 2. Analisi del cluster Caratteristiche, dimensioni, limiti e strategie per il loro

3.2 L’evoluzione del marketing Valutazione dell’applicabilità al fenomeno e nuove strategie per il

3.2.2 Il Demarketing

Il Demarketing è definito come l’insieme di attività volte a diminuire il consumo di un certo prodotto. L’intenzione del Demarketing è “scoraggiare” gli individui all’acquisto, in modo permanente o temporaneo (Kotler e Levy, 1971).

Una delle prime finalità attribuite al Demarketing è stata quella di “moderatore di mercato”: spesso infatti il Demarketing viene utilizzato quando la domanda è talmente alta da non trovare motivazione per le aziende nel soddisfarla, e per questo si tenta di ridurla.

Le tipologie di Demarketing sono tre: Demarketing generale, adottato quando l’intento è diminuire la domanda totale; Demarketing selettivo, utilizzato quando si vuole diminuire la domanda proveniente da una particolare classe sociale non più remunerativa; Demarketing evidente, attraverso il quale si fa leva sulla volontà degli individui di avere risorse difficili da ottenere, e quindi scoraggia la domanda con la finalità reale di aumentarla (Medway et al., 2010). In tutti e tre i casi, il Demarketing tenta di ridurre il consumo delle risorse attraverso la diffusione dell’informazione.

REI (At Recreational Equipment, Inc) 12, cooperativa rifornitrice di attrezzature sportive da

esterno avente 162 negozi in America, ha lanciato nel giorno del Black Friday una campagna volta ad incoraggiare i membri della cooperativa ad effettuare un’escursione all’aperto piuttosto che dedicarsi allo shopping. Gli utenti aderenti all’iniziativa sono stati poi invitati a pubblicare foto delle loro escursioni sul social network Instagram utilizzando l’hashtag #OptOutside.

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Attraverso l’utilizzo di questo hashtag è ancora oggi possibile vedere nomi e cognomi delle persone che hanno aderito all’iniziativa. Questo esempio di Demarketing è fondamentale perché l’azienda, per la creazione di questa campagna, ha dovuto codificare dei segnali che sarebbero stati visibili poi al pubblico di Instagram. I segnali codificati dai marchi che applicano campagne di Demarketing consentono alla società di interpretare le azioni degli aderenti attraverso la decodifica. Ovviamente in ogni caso gli investimenti devono emanare segnali con il giusto significato e alle giuste persone, cioè coloro capaci di decodificarli correttamente. Nel caso della campagna #OptOutside ad esempio, aderire all’iniziativa ha permesso di trasmettere l’interesse e l’amore per la salute ambientale attraverso la rinuncia agli sconti e la preferenza di un’escursione all’aperto. Le motivazioni ambientali del non consumatore diventano in questo modo ben visibili e trasmettono valori forti alla società, insieme alla decisione volontaria di ridurre il consumo per motivazioni che non sono economiche.

Le campagne di Demarketing permettono ai non consumatori di ottenere dunque anche dei benefici simbolici, che in questo caso possono essere attribuiti alla possibilità di dimostrare alla società il proprio impegno verso il pianeta anche senza aver per forza dovuto effettuare un acquisto rispettoso dell’ambiente. Le campagne di Demarketing hanno inoltre il vantaggio di avvicinare al non consumo non solo un numero limitato di non consumatori “a tutto tondo”, ma anche, attraverso l’assegnazione di tali benefici simbolici, un gran numero di non consumatori “moderati”.

Diverse teorie in letteratura sostengono che le campagne di Demarketing volte ad incoraggiare il non consumo possano essere remunerative in svariati settori, e possono essere attuate anche devolvendo premi simbolici a chi effettua una scelta di non consumo volontario. In questo modo si ottiene una strategia win-win13 tra consumatore e azienda coerente anche per la salute del pianeta. Un’azienda sostenibile è un’azienda che soddisfa le esigenze dei consumatori senza pregiudicare il benessere del futuro del pianeta (World Commission on Environment and Development, 1987); e una strategia win-win è una strategia volta ad ottenere profitto, e spesso successo, dal proprio business senza impattare negativamente sulla salute del pianeta. L’impatto ambientale viene spesso ridotto attraverso la modifica di alcune fasi della supply chain, come l’utilizzo di materiali grezzi più naturali, la creazione di prodotti a minor impatto, l’utilizzo più moderato degli imballaggi) (Ramirez et al., 2017).

13 Una strategia win-win è chiamata tale poiché in una data situazione esistono solo vincitori. Entrambe le parti

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La letteratura converge nel dire che le campagne di Demarketing sono effettivamente efficaci nel promuovere atteggiamenti positivi nei confronti delle aziende che le applicano, e contribuiscono a posizionare la marca in modo positivo nella mente del consumatore; il Demarketing ha quindi un effetto positivo su tutte le variabili che influenzano l’acquisto critico (Ramirez et al., 2017). Azioni o campagne di Demarketing però, per funzionare realmente, non devono essere effettuate una tantum, e le azioni promosse devono innanzitutto essere coerenti con la mission aziendale, altrimenti rischiano di diventare poco credibili o potrebbero addirittura peggiorare la percezione dei consumatori in merito all’azienda.

Nel 2008 è stata effettuata una campagna di Demarketing con l’obiettivo di ridurre dei consumi di acqua. La campagna è stata un successo solo nelle famiglie composte da minoranze, poiché ha generato in esse una riduzione dei consumi di acqua per una quota pari al 5.78%, percentuale di gran lunga più alta se confrontata al risultato raggiunto con gli individui dei paesi occidentali. In questo caso, le minoranze sono risultate essere molto più attente a questa tematica e la campagna su questo target ha funzionato al meglio. Spesso però gli investimenti di Demarketing risultano essere molto costosi e poco remunerativi: a fronte di un alto investimento risulta essere poca la percentuale di riduzione del consumo, come ad esempio è successo con la citata campagna di Demarketing relativa all’acqua nei confronti dei paesi occidentali (Grinstein e Nisan, 2009).

Dunque, le campagne di Demarketing raggiungono gli effetti desiderati solo se l’azienda che le promuove gode di una buona reputazione ex ante la campagna. La reputazione influenza in larga misura la predisposizione dell’individuo ed è quindi un segnale con cui è possibile prevedere il futuro andamento dell’iniziativa. La campagna di Demarketing deve essere poi veritiera e genuina, per evitare che consumatori più informati intuiscano possibili motivazioni non altruistiche.

In conclusione, il Demarketing può essere una strategia per diffondere il non consumo mantenendo al tempo stesso il valore simbolico dei beni. In particolare, come visto nell’esempio, potrebbe essere utile l’utilizzo di campagne mirate sui social network per amplificare i segnali emanati dai non consumatori. L’azione sarebbe efficace perché attraverso i social network è possibile sia per aziende che per non consumatori espandere ad un pubblico più ampio i valori espressi dal non consumo (Sekthon et al., 2019). Nella società odierna infatti, cresce sempre più la necessità di esprimersi attraverso i social network come espressione ininterrotta del proprio io (Sekthon et al., 2015).

In conclusione, negli ultimi anni, attraverso il Marketing Sociale e il Demarketing le aziende stanno iniziando a considerare l’importanza di promuovere la riduzione dei consumi.

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A fronte delle considerazioni effettuate nel presente paragrafo il non consumo, come accennato all’inizio del capitolo, può essere visto come opportunità per i business che vogliono affacciarvisi. Come si vedrà, campagne di Social Marketing o Demarketing se attuate nel giusto modo consentono infatti di costruire una reputazione aziendale estremamente positiva ed aumentare i profitti.