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Dematerializzazione dei documenti e automazione dei process

Nel documento Il cyber risk in banca (pagine 37-41)

1.4 Gli effetti della digitalizzazione sul settore bancario

1.4.1 Dematerializzazione dei documenti e automazione dei process

Il processo di digitalizzazione del settore bancario sta producendo molti effetti positivi, tra cui uno dei più evidenti è sicuramente la dematerializzazione dei documenti bancari. Un’indagine di ABI Lab sui progetti d’investimento degli istituti di credito nell’ambito dell’ICT evidenzia come la dematerializzazione sia una delle priorità per le banche

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italiane34. Secondo il report, nel 2012 le banche hanno investito 4,3 miliardi di euro per

la digitalizzazione dei processi, dato in linea con quello rilevato nel 2011, dove la spesa è stata di poco superiore. Questo dimostra che le banche stanno concentrando le proprie risorse sul settore dell’innovazione tecnologica e che esse stanno puntando verso processi caratterizzati da una maggiore efficienza e da un’offerta di prodotti e servizi sempre più vicina ai bisogni della clientela.

Dal Rapporto ABI Lab del 2015 emerge come il 90% degli istituti di credito stia investendo in iniziative di dematerializzazione ed automazione dei processi. Se guardiamo il Rapporto ABI Lab del 2016, possiamo notare come il budget di spesa per gli investimenti in tecnologia, e soprattutto in dematerializzazione, sia in costante aumento: infatti, l’indagine evidenzia che nel 2016 il 78% delle banche intervistate considera la dematerializzazione una delle voci principali di investimento per quanto concerne i processi interni.

Il trend in crescita della spesa in ICT è confermato anche nel Rapporto ABI Lab del 2017, secondo il quale il 92% delle banche ha mantenuto stabile, se non aumentato, il budget destinato agli investimenti in risorse tecnologiche; tra queste, il 70% considera prioritario il tema della dematerializzazione.

Vediamo adesso di entrare nel dettaglio del processo di dematerializzazione dei documenti bancari, dandone una definizione e analizzandone i vantaggi.

La dematerializzazione è un processo che consiste nella sostituzione di documenti in formato cartaceo con documenti in formato digitale, nel rispetto del principio tanto caro alla legge della libertà della forma per la validità di un negozio giuridico: infatti, un contratto sottoscritto tramite firma digitale è valido tanto quanto lo è un contratto sul quale viene apposta una firma autografa, ossia scritta a mano.

Posto dunque che la dematerializzazione di un documento non priva quest’ultimo della sua validità, sono numerosi i benefici che una banca può trarre da una gestione documentale “paperless”: il più evidente è la riduzione dei costi derivanti dalla stampa e dall’archiviazione dei documenti, con vantaggi anche sul fronte ambientale, considerato il minor spreco cartaceo che ne deriva.

Un altro beneficio ravvisabile nella dematerializzazione è l’incremento dell’efficienza: in particolare, tramite questo processo si può ottenere una maggiore facilità di accesso e

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consultazione dei documenti, grazie agli strumenti digitali. La dematerializzazione riduce i rischi di smarrimento rispetto ad un documento redatto in forma cartacea, poiché il documento digitale viene perso solo in caso di furto del device sul quale esso si colloca; si rileva inoltre una minore possibilità di alterazione dei documenti. La dematerializzazione produce vantaggi anche in termini di maggiore tracciabilità e trasparenza del documento; inoltre, essa permette una conservazione prolungata del documento nel tempo rispetto ad esempio ad un fascicolo cartaceo.

Uno degli strumenti collegati al processo di dematerializzazione dei documenti bancari è senza dubbio la firma elettronica, che si sta sostituendo alla classica firma autografa. A questo proposito, il Codice di Amministrazione Digitale classifica le tipologie di firma elettronica in quattro categorie, dal grado di complessità e sicurezza via via crescente: 1) Firma elettronica → è definita nel Codice come “l’insieme di dati in forma elettronica,

allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identificazione informatica”. Si tratta di una definizione generale, per cui

possiamo considerare come firma elettronica sia il codice PIN di un bancomat sia l’username e la password utilizzati come credenziali di accesso al web.

2) Firma elettronica avanzata→ è definita come “un insieme di dati in forma elettronica

allegati oppure connessi ad un documento informatico che consentono l’identificazione del firmatario del documento e garantiscono la connessione univoca al firmatario, creati con mezzi sui quali il firmatario può conservare un controllo esclusivo, collegati ai dati ai quali detta firma si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente modificati”. Come emerge dalla definizione, si tratta pur sempre di una

firma elettronica, che si distingue dalla precedente per la presenza di caratteristiche di sicurezza ulteriori a disposizione del firmatario. Un esempio di firma elettronica avanzata è la firma su tablet, effettuata dal firmatario tramite una penna su un documento elettronico.

3) Firma elettronica qualificata → è definita dal Codice di Amministrazione Digitale come “un particolare tipo di firma elettronica avanzata basata su un certificato

qualificato e realizzata mediante un dispositivo sicuro per la creazione della firma”. Si

tratta a tutti gli effetti di una firma elettronica avanzata, con l’aggiunta di due elementi, ossia la presenza di un certificato rilasciato da certificatori accreditati e di un dispositivo sicuro, come token e smart card.

4) Firma digitale → è definita come “un particolare tipo di firma elettronica avanzata

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e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici”. È evidente la similarità tra questa definizione e quella di firma

elettronica qualificata, ma la differenza tra le due tipologie sta nel fatto che la firma digitale richiede che il firmatario possegga una chiave pubblica e una chiave privata: la prima serve a verificare l’identità del firmatario del documento ed è nota a tutti i soggetti che intendono leggere il documento, la seconda serve per firmare il documento ed è conosciuta solo dal firmatario.

Una novità importante nell’ambito dell’autenticazione digitale è l’introduzione della firma biometrica: nel 2013 il Garante della privacy ha autorizzato l’utilizzo dei dati biometrici dei clienti nel momento in cui questi sottoscrivono i documenti bancari, in modo da rendere la firma digitale più sicura35. Si tratta di un metodo di autenticazione forte, che prevede che il cliente apponga la propria firma su un tablet “grafometrico” più volte, in modo da poter rilevare cinque caratteristiche grafometriche nell’atto della firma, ossia ritmo, velocità, pressione, accelerazione, movimento: questi dati vengono poi inviati ad un server creato ad hoc che li converte in una sequenza di caratteri. Questa sequenza viene memorizzata e utilizzata come “benchmark” ogni volta che il cliente dovrà firmare un documento. Se dal confronto tra la nuova firma e quella salvata sul server risulta che esse sono uguali, allora il cliente può procedere a firmare digitalmente il documento. Proprio perché si tratta di un tipo di firma diverso dalle altre, il Garante prevede che il ricorso alla firma biometrica non è da considerarsi come un obbligo, bensì come una facoltà del cliente, il quale può ritenere non opportuna la fornitura di dati biometrici alla banca, e dunque decidere liberamente di autenticarsi attraverso altri metodi meno “scientifici” e invasivi.

Un’altra conseguenza della digital transformation delle banche è l’automazione dei processi, ossia l’esecuzione automatica di operazioni ripetitive, che non necessitano dell’intervento umano. Il settore bancario, a seguito della riduzione dei ricavi, deve trovare un modo per razionalizzare i costi, soprattutto quelli relativi al back office, e l’automazione dei processi può essere una valida soluzione per risolvere questo problema. Infatti, attraverso l’introduzione di “software robot”, sarà possibile sostituire l’uomo per il compimento di operazioni routinarie e standardizzate.

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Le tecnologie di RPA (Robotic Process Automation), che hanno lo scopo di automatizzare i processi di back office, stanno avendo molto successo, tanto che si prevede che il mercato di questi prodotti subirà una crescita costante fino al 2020. Si tratta di tecnologie che permettono di eseguire le stesse attività di un essere umano e di sollevare il personale dalla burocratizzazione dei processi amministrativi e consentirgli di dedicarsi ad attività più complesse che richiedono l’utilizzo dell’intuito36.

La RPA ha molti vantaggi rispetto all’impiego di personale umano: oltre all’evidente risparmio di costi, si rileva una riduzione importante della probabilità di compiere errori nelle attività di back office, una maggiore rapidità dei processi, un totale controllo e tracciabilità delle attività svolte. Tuttavia, la RPA può essere applicata solo ai processi con determinate caratteristiche, come ad esempio la ripetitività e la presenza di un elevato numero di attività37.

Per concludere, possiamo dire che la combinazione dei due elementi, cioè dematerializzazione dei documenti e automazione dei processi, può consentire alle banche di operare quella trasformazione digitale necessaria a risollevare i ricavi e migliorare l’efficienza operativa, con riflessi positivi sul rapporto con la clientela, la quale beneficerà della maggior rapidità e snellezza con cui vengono espletate le attività ordinarie, della minore burocratizzazione delle procedure, e dei minori costi che ne derivano.

Questi aspetti positivi devono comunque fare i conti con la capacità degli istituti bancari di sapersi dotare delle infrastrutture tecnologiche e delle competenze adeguate per poter sostenere un modello di business fondato sulla tecnologia. Nel prossimo futuro sarà importante capire se gli sforzi attuali delle banche nell’effettuare ingenti investimenti in automazione e dematerializzazione saranno veramente ripagati in termini di maggiore produttività, competitività ed efficienza.

Nel documento Il cyber risk in banca (pagine 37-41)