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DEMETRA E PERSEFONE

Nel documento MITOLOGIA GRECA VELLO D ORO (pagine 79-85)

Demetra (in greco antico: Δημήτηρ, Dēmḗtēr) è una divinità della religione greca, presiedeva i raccolti e le messi, figlia di Crono e Rea[1].

Nella mitologia romana la sua figura corrisponde a quella di Cerere.

Da Zeus divenne madre di Persefone[2][3] ed ebbe Pluto da Iasione[4].

Secondo Igino da Iasione ebbe anche Filomelo[5] (definito come gemello di Pluto).

Da Poseidone ebbe il cavallo Arione[6] trasformandosi in Furia o in giumenta[7].

Infine dal semidio Carmanor ebbe Crisotemi ed Eubulo[10][11].

Demetra, "Madre terra" o forse "Madre dispensatrice" (probabilmente dal nome indoeuropeo della Madre terra *dheghom mather), sorella di Zeus, nella mitologia greca è la dea del grano e dell'agricoltura, costante nutrice della gioventù e della terra verde, artefice del ciclo delle stagioni, della vita e della morte, protettrice del raccolto e delle leggi sacre.

Negli Inni omerici viene invocata come la "portatrice di stagioni", un tenue indizio

di come ella fosse adorata già da molto tempo prima che si affermasse il culto degli Olimpi,

dato che l'inno omerico a Demetra è stato datato a circa il VII secolo a.C.[17] Le figure di Demetra e di sua figlia Persefone erano centrali nelle celebrazioni dei Misteri eleusini, anch'essi riti di epoca arcaica e antecedente al culto dei dodici dèi dell'Olimpo.

Il culto e i titoli di Demetra

Demetra viene spesso confusa con Gaia, Rea o Cibele. L'epiteto con cui la dea viene

più frequentemente chiamata rivela l'ampiezza e la portata delle sue funzioni nella vita greca del tempo: lei e Kore ("la fanciulla") erano solitamente invocate come "le due dee" ("τώ θεώ"), e questa definizione appare già nelle iscrizioni in scrittura Lineare B di epoca micenea trovati a Pilo.

È assolutamente plausibile che vi sia una connessione con i culti dedicati alle due dee nella civiltà minoica di Creta.

Secondo il retore ateniese Isocrate, i più grandi doni di Demetra all'umanità furono i cereali (il cui nome deriva dal nome latino di Demetra, "Cerere"), che hanno reso l'uomo diverso dagli animali selvatici e i Misteri, che gli hanno consentito di coltivare speranze più elevate per la vita terrena e per ciò che dopo la vita verrà.[18]

A seconda dei vari contesti, Demetra era invocata con diversi epiteti:

• Potnia - "Padrona" (nell'Inno Omerico a lei dedicato)

• Chloe - "Il verde germoglio" (in Pausania 1.22.3 per i suoi attributi di fertilità ed eterna giovinezza).

• Anesidora - "Colei che spinge in su i doni" (Pausania 1.22.3)

• Malophoros - "Colei che dà mele" o "Colei che dà greggi" (Pausania 1.44.3)

• Kidaria - (Pausania 8.13.3)

• Chtonia - "Che si trova nel suolo" (Pausania 3.14.5)

• Erinys - "Implacabile" (Pausania 8.25.50)

• Lusia - "Che prende il bagno" (Pausania 8.25.8)

• Thermasia - "Calorosa" (Pausania 2.34.6)

• Kabeiraia - nome di origine pre-greca di significato incerto

• Thesmophoros - "Fornitrice di consuetudini" o anche "legislatrice", titolo che la lega all'antica dea Temide. Questo titolo era usato in connessione con la Tesmoforie, una cerimonia segreta riservata alle donne che si svolgeva ad Atene, e connessa con le tradizioni matrimoniali.

Negli scritti di Teocrito si trovano tracce di quello che fu il ruolo di Demetra nei culti arcaici:

• "Per i Greci Demetra era ancora la dea dei papaveri";

• "Nelle mani reggeva fasci di grano e papaveri"[19].

Una statuetta d'argilla trovata a Gazi sull'isola di Creta,[20] rappresenta la dea del papavero adorata nella cultura minoica mentre porta i baccelli della pianta, fonte di nutrimento e di oblio, incastonati in un diadema. Appare dunque probabile che la grande dea madre,

dalla quale derivano i nomi di Rea e Demetra, abbia portato con sé da Creta nei Misteri Eleusini insieme al suo culto anche l'uso del papavero, ed è certo che nell'ambito dei riti celebrati a Creta, si facesse uso di oppio preparato con questo fiore.[21]

Quando a Demetra fu attribuita una genealogia per inserirla nel Pantheon classico greco, diventò figlia di Crono e Rea, sorella maggiore di Zeus. Le sue sacerdotesse erano chiamate Melisse.

A Pellené in Arcadia si tenevano una serie di cerimonie in onore di Demetra di Misia che duravano sette giorni.[22] Pausania visitò il santuario di Demetra di Misia, che si trovava sulla strada

che andava da Micene ad Argo, ma la sola notizia che fu in grado di trovare per spiegare questa arcaica denominazione è la leggenda di un tale Misio, antico fedele di Demetra.

I luoghi principali in cui il culto di Demetra era praticato si trovavano sparsi indifferentemente per tutto il mondo greco: templi sorgevano ad Eleusi, Ermione a Creta, Megara, Lerna, Egila, Munichia, Corinto, Delo, Piene, Agrigento, Iasos, Pergamo, Selinunte, Tegea, Thoriko s, Dion, Katane, Licosura, Mesembria, Enna, Samotracia e Siracusa.

Demetra donò al genere umano la conoscenza delle tecniche agricole: la semina, l’aratura, la mietitura e le altre correlate. Era particolarmente venerata dagli abitanti delle zone rurali, in parte perché beneficavano direttamente della sua assistenza, in parte perché nelle campagne c'è una maggiore tendenza a mantenere in vita le antiche tradizioni, e Demetra aveva un ruolo centrale nella religiosità Greca delle epoche pre-classiche. Esclusivamente in relazione

al suo culto sono state trovate offerte votive, come porcellini di creta, realizzati già nel Neolitico.

In epoca romana, quando si verificava un lutto in famiglia, c'era l'usanza di sacrificare una scrofa a Demetra per purificare la casa.

Demetra e Poseidone

Statua di Demetra (copia romana di originale greco)

I nomi di Demetra e Poseidone appaiono collegati tra loro nelle prime iscrizioni in scrittura Lineare B trovate nelle rovine di Pilo d'età micenea. Vi si trovano le scritte PO-SE-DA-WO-NE e DA-MA-TE inserite in un contesto di richieste di grazia agli dei.

La sillaba DA, presente in entrambi i nomi sembrerebbe derivare da una radice indo-europea associata al concetto di distribuzione di terre e privilegi (per la radice comune vedi anche il verbo latino "dare"). Secondo altri studiosi di etimologia invece la radice DA sembra una forma dialettale della parola γῆ "terra".

Poseidone (il cui nome significa "il consorte di colei che distribuisce") una volta inseguì Demetra che aveva assunto l'antico aspetto di dea-cavallo. Demetra tentò di resistere alla sua aggressione, ma neppure confondendosi tra la mandria di cavalli del re Onkios riuscì a nascondere la propria natura divina; Poseidone si trasformò così anch'egli in uno stallone e si accoppiò con lei. Demetra fu letteralmente furibonda ("Demetra Erinni") per lo stupro subito, ma lavò via la propria ira

nel fiume Ladona ("Demetra Lousia"). Dall'unione nacquero una figlia, il cui nome non poteva essere rivelato al di fuori dei Misteri Eleusini, ed un cavallo dalla criniera nera chiamato Arione.

Anche in epoche storiche, in Arcadia Demetra era adorata come una dea dalla testa di cavallo:

Sempre il geografo Pausania scrive:

«La seconda montagna, il Monte Elaios, dista circa 30 stadi da Figaleia e c'è una grotta sacra a Demetra Melaine (Nera)… gli abitanti di Figaleia dicono di aver dedicato la grotta a Demetra e di avervi posto una statua di legno. La statua fu realizzata in questo modo: era seduta

su una roccia ed aveva l'aspetto di una donna tranne la testa. Aveva la testa e la criniera di un cavallo, e da questa testa uscivano serpenti ed altri animali. Il suo chitone era lungo fino ai piedi, in una mano teneva un delfino, nell'altra una colomba. La ragione

per cui realizzarono la statua in questo modo dovrebbe essere chiara a chiunque si intenda

delle antiche tradizioni. Dicono che l'hanno chiamata "Nera" perché la dea indossa una veste nera.

Tuttavia non sanno dire chi abbia realizzato la statua o come finì per bruciare.; ma quando venne distrutta gli abitanti di Figaleia non ne realizzarono un'altra e il suo culto e i sacrifici in suo onore furono ampiamente trascurati finché i loro campi divennero sterili.»

(Pausania, Descrizione della Grecia, 8.42.1ff.) Demetra e il suo rapporto con Persefone

Il ritorno di Persefone - Frederic Leighton - 1891

Il più importante mito legato a Demetra, che costituisce anche il cuore dei riti dei Misteri Eleusini, è la sua relazione con Persefone, sua figlia nonché incarnazione della dea stessa da giovane.

Nel pantheon classico greco, Persefone ricoprì il ruolo di moglie di Ade, il dio degli inferi.

Diventò la dea del mondo sotterraneo quando, mentre stava giocando sulle sponde del Lago di Pergusa, in Sicilia, con alcune ninfe (secondo un'altra versione con Leucippe) che poi Demetra punì per non essersi opposte a ciò che accadeva trasformandole in sirene, Ade la rapì dalla terra e la portò con sé nel suo regno. La vita sulla terra si fermò e la disperata dea della terra Demetra

cominciò ad andare in cerca della figlia perduta, riposandosi soltanto quando si sedette

brevemente sulla pietra Agelasta. Secondo il mito, durante la sua ricerca Demetra ha viaggiato per lunghe distanze e ha avuto molte piccole avventure lungo la strada.

In uno dei luoghi insegnò i segreti dell'agricoltura a Trittolemo[23].

Alla fine Zeus, pressato dalle grida degli affamati e dalle altre divinità che avevano anche ascoltato la loro angoscia, costrinse Ade a riportare Persefone. Tuttavia, era una regola del Fato che

chiunque avesse consumato cibo o bevande negli Inferi fosse condannato a trascorrere lì

l'eternità. Prima che Persefone venisse rilasciata a Hermes, che era stato mandato a recuperarla, Ade l'aveva ingannata invitandola a mangiare dei semi di melograno (sei o quattro secondo il racconto) che la costrinsero a tornare negli inferi per alcuni mesi all'anno. Così fu costretta a rimanere nell'Ade per sei o quattro mesi (un mese per seme) vivendo sulla terra con sua madre per il resto dell'anno. Da quando Demetra e Persefone furono di nuovo insieme, la terra rifiorì e le piante crebbero rigogliose ma per sei mesi all'anno, quando Persefone è costretta a tornare nel mondo delle ombre, la terra ridiventa spoglia e infeconda. Questi sei mesi sono chiaramente quelli invernali, durante i quali in Grecia la maggior parte della vegetazione ingiallisce e muore.

Vi sono comunque altre versioni della leggenda. Secondo una di queste è Ecate a salvare Persefone. Una delle più diffuse dice che Persefone non fu indotta a mangiare i sei semi con l'inganno, ma lo fece volontariamente perché si era affezionata ad Ade.

La permanenza di Demetra a Eleusi

La triade dei Misteri Eleusini: Persefone, Trittolemo e Demetra. Bassorilievo marmoreo

(440-430 a.C.), trovato a Eleusi (oggi situato ad Atene, presso il Museo Archeologico Nazionale) Helios, vedendo che Demetra, disperata, per nove giorni, cercava Persefone senza nutrirsi (di ambrosia, ἀμβροσία), decise di raccontarle l'accaduto: Zeus, il re degli dèi, aveva concesso Persefone in sposa al fratello Ade. Ancora più addolorata, e ora anche furente nei confronti di Zeus, Demetra rifiutò quindi di tornare sull'Olimpo e, trasformatasi in una vecchia,

si recò a Eleusi nell'Attica sedendosi vicino al Pozzo delle Vergini. Le figlie del re di Eleusi, Celeo, recatesi al pozzo, la interrogarono su chi fosse e da dove venisse. Demetra, che aveva assunto le sembianze di una vecchia di nome Doso, raccontò loro di essere sfuggita ai pirati che l'avevano rapita nei pressi di Creta. Mosse a compassione, le figlie di Celeo la invitarono a palazzo

per fungere da nutrice a Demofoonte e Trittolemo, figli della regina Metanira, sposa di Celeo.

Nel palazzo del re di Eleusi, Demetra si sedette in disparte su uno sgabello, restando per molto tempo silenziosa e con il volto velato, fino a che la serva Iambe riuscì a farla sorridere

con i suoi scherzi. Metanira offrì quindi del vino a Demetra, ma rifiutò chiedendo invece del "ciceone", una bevanda composta da orzo tritato, acqua e foglie di menta.

Demetra non allattò il figlio più piccolo, Demofoonte, ma segretamente lo massaggiava

con l'ambrosia, immergendolo di notte nel fuoco stringendolo tra le braccia e soffiando dolcemente su di lui per renderlo immortale bruciando nottetempo il suo spirito mortale sul focolare di casa.

Questa operazione trasformava lentamente il figlio di Celeo in un immortale eternamente giovane.

Ma la madre Metanira vide Demetra mentre immergeva Demofoonte nel fuoco e si spaventò.

Ella cessò l'opera di trasformazione dell'infante e, irritata, manifestandosi come dea a Metanira, accusò l'umanità di essere stolta e di non capire i rituali degli dei.

Invece di rendere Demofoonte immortale, Demetra decise allora di insegnare a Trittolemo l'arte dell'agricoltura, così il resto della Grecia imparò da lui a piantare e mietere i raccolti.

Sotto la protezione di Demetra e Persefone volò per tutta la regione su di un carro alato per compiere la sua missione di insegnare ciò che aveva appreso a tutta la Grecia.

Tempo dopo Trittolemo insegnò l'agricoltura anche a Linco, re della Scizia, ma costui rifiutò di insegnarla a sua volta ai suoi sudditi e tentò di uccidere Trittolemo: Demetra per punirlo lo trasformò allora in una lince.

Alcuni studiosi pensano che la leggenda di Demofoonte derivi da racconti popolari ancora più antichi.[24]

Nelle Metamorfosi di Ovidio viene narrato l'incontro della dea con Abante, trasformato da Demetra in una lucertola.[25]

Erisittone e Iasione

Amata in quanto apportatrice di messi, Demetra era anche ovviamente temuta, in quanto capace, all'inverso, di provocare carestie, come ricorda il mito di Erisittone che, avendola offesa tagliando degli alberi da un frutteto sacro, ne venne punito con una fame insaziabile.

Demetra viene solitamente raffigurata mentre si trova su un carro, e spesso associata ai prodotti della terra, come fiori, frutta e spighe di grano. A volte viene ritratta insieme a Persefone.

Raramente è stata ritratta con un consorte o un compagno: l'eccezione è rappresentata

da Iasione, il giovane cretese che giacque con Demetra in un campo arato tre volte e fu in seguito, secondo la mitologia classica, ucciso con un fulmine da un geloso Zeus. La versione cretese del mito dice però che questo gesto fu invece compiuto da Demetra stessa, intesa

nell'incarnazione più antica della dea. Con Iasione ebbe Pluto, il dio della ricchezza.

Il ratto di Proserpina è un mito tra i più celebri della tradizione pagana siciliana, ritratto pertanto in diverse e pregevoli opere d'arte come il gruppo scultoreo del Bernini.

Il ratto si realizzò sul lago di Pergusa, nelle vicinanze di Enna. Secondo Proclo (Epitome Oraculorum, riportata da Marafiotus) e Strabone (lib. 6), invece l'episodio del mito si verificò a Hipponion (oggi Vibo Valentia).

«Plutone, dio degli inferi, stanco delle tenebre del suo regno, decise un giorno di affiorare alla luce e vedere un po' di questo mondo... Dopo un lungo e faticoso cammino emerse infine su una pianura bellissima, posta a mezza costa del monte Enna. Era Pergusa, dal lago ceruleo, alimentato da ruscelli armoniosi e illeggiadriti da fiori di tante varietà che mischiando i profumi creavano soavi odori e così intensi da inebriare... Ad un tratto, volgendo lo sguardo, scorse in un prato un gruppo di fanciulle che coglievano fiori con movenze leggere, fiori tra i fiori»

(Claudiano Strabone)

Dal racconto del celebre poeta Claudiano, Plutone, re degli inferi, deciso a visitare la terra, emerse nei pressi di Enna, sui Monti Erei nel centro della Sicilia, e scorse Proserpina, figlia della dea Cerere, tra le tante fanciulle intente a cogliere fiori sulle rive del lago di Pergusa. Dal racconto che ne fa Strabone, che riporta Proclo, l'episodio del ratto si realizzò sul lido di Hipponion, sul mare Tirreno, dove il pirata Plutone arrivò dalla Sicilia e rapì Proserpina.

«[Plutone] si precipitò verso di lei [Proserpina], che, scortolo, così nero e gigantesco, con quegli occhi di fuoco e le mani protese ad artigliarla, fu colta dal terrore e fuggì leggera assieme alle compagne... Il dio dell'Ade, in due falcate le fu addosso e l'abbracciò voracemente e via col dolce peso; la pose sul cocchio, invano ostacolato da una giovinetta, Ciane, compagna di Proserpina, che tentò di fermare i cavalli, ché il dio infuriato la trasformò in fonte.

Ancora oggi Ciane, con i suoi papiri, porta le sue limpide acque a Siracusa»

(Claudiano)

Cerere, madre di Proserpina e dea dell'Olimpo, fu disperata alla notizia della scomparsa della figlia, e invocò l'aiuto di Giove, re di tutti gli dei, per aiutarla a ritrovare la bella Proserpina.

«Dopo nove giorni e nove notti insonni di dolore, decise di rivolgersi a Giove per implorarlo di farle riavere la figlia; ma Giove nicchiava (come poteva tradire suo fratello Plutone?).

Allora Cerere, folle di dolore, decise di provocare una grande siccità in tutta la terra.

E dopo la siccità venne la carestia e gli uomini e le bestie morivano in grande quantità.

Non valevano invocazioni e scongiuri alla dea, che era irremovibile.

Giove inviò Mercurio da Plutone per imporgli di restituire Proserpina alla madre.

A Plutone non restò che obbedire. Però, prima di farla partire, fece mangiare alla sua amata dei chicchi di melograno» (Claudiano)

Denario romano del 78 a.C., con raffigurati LIbera e Bacco.

I succosi chicchi di melagrana legarono Proserpina all'Ade per sempre. Zeus, tuttavia,

mosso a compassione, fece sì che Proserpina potesse trascorrere sei mesi ogni anno insieme alla madre (sarebbero l'estate e la primavera), e che i sei mesi restanti vivesse insieme a Plutone (ovvero autunno e inverno): è proprio al mito di Proserpina e all'ira di Cerere, infatti,

che si fa risalire l'alternanza delle stagioni.

«…A Dis Pater si ricollega Proserpina (il nome è di origine greca, trattandosi di quella dea che i Greci chiamano Persefone) che simboleggerebbe il seme del frumento e che la madre avrebbe cercata dopo la sua scomparsa…»

(Cicerone, De natura deorum II,66)

EDIPO

Laio, marito di Giocasta e re di Tebe, era afflitto dalla mancanza di un erede. Crucciato per questa insospettabile infertilità, consultò in segreto l'oracolo di Delfi, che gli spiegò come quella

che sembrava essere una disgrazia degli dei fosse in realtà una benedizione, dato che il bambino destinato a nascere dalla loro unione non soltanto l'avrebbe ucciso, ma avrebbe anche sposato la madre, essendo la causa di un seguito spaventoso di disgrazie che avrebbero provocato la rovina della casa. Sperando di salvarsi, Laio ripudiò la moglie senza darle spiegazioni di sorta.

Ma ubriacatolo, Giocasta riuscì a giacere con lui per una notte che si rivelò fatale.

Forbante, capo pastore dei greggi di re Polibo di Corinto, rifocilla e salva la vita a Edipo sul Monte Citerone. Scultura di Antoine-Denis Chaudet.

Quando nove mesi dopo la donna partorì un bambino, Laio, per evitare il compimento dell'oracolo, lo strappò dalle braccia della nutrice e gli fece forare le caviglie per farvi passare una cinghia e lo "espose", lo abbandonò cioè alle bestie in una foresta, per mano di un suo servo. Venne poi trovato dal pastore Forbante, che lo portò da Peribea, la moglie del re di Corinto, Polibo.

Il bambino venne allevato alla corte di Polibo, credendo di essere figlio del re di Corinto.

Al bambino venne dato il nome di "Edipo", che in greco vuol dire "piede gonfio" a causa delle ferite che aveva nelle caviglie.[1]

Anni dopo un nemico di Edipo, volendolo offendere, disse ad Edipo che lui non era il figlio

di Polibo, ma un trovatello. Turbato, Edipo interrogò Polibo il quale, dopo molte reticenze, mentì dicendogli che quella non era affatto la verità. Ma Edipo, ancora incerto, stabilì di partire

per interrogare l'oracolo di Delfi e sapere chi erano davvero i suoi genitori. Quando si recò presso il santuario, la Pizia, inorridita, lo cacciò dal santuario, predicendogli che avrebbe ucciso il padre e sposato sua madre. Atterrito dal vaticinio, Edipo, per evitare di uccidere Polibo e di sposare

Peribea, decise di non tornare mai più a Corinto e di recarsi invece a Tebe.

Durante il cammino verso la Focide, non lontano da Delfi, si imbatté in un cocchio guidato da Laio e diretto al santuario delfico per tentare di chiedere alla Pizia la liberazione di Tebe dalle calamità che la tormentavano. Infatti a Tebe una sfinge imponeva indovinelli a chi passava e, se

l'interrogato non riusciva a rispondere, lo divorava. Vedendo il giovane sulla strada, l'araldo di Laio, Polifonte (o Polipete), ordinò a Edipo di lasciare passare il re; ma poiché Edipo non obbediva, Polifonte, infuriato, uccise uno dei cavalli dell'eroe, ed avanzò col carro, ferendogli un piede.

Incollerito, Edipo balzò sul cocchiere, uccidendolo con la sua lancia; Laio si trovò incastrato nelle redini dei cavalli per mano di Edipo che, gettatolo a terra e frustato i cavalli, lo trascinò nella polvere fino a ucciderlo. In tal modo, la prima profezia dell'oracolo si era compiuta.

Alla notizia della morte di Laio, i tebani elessero re Creonte, fratello di Giocasta. Anche Creonte non seppe come affrontare la sfinge e fece annunciare che avrebbe ceduto il trono e

Alla notizia della morte di Laio, i tebani elessero re Creonte, fratello di Giocasta. Anche Creonte non seppe come affrontare la sfinge e fece annunciare che avrebbe ceduto il trono e

Nel documento MITOLOGIA GRECA VELLO D ORO (pagine 79-85)

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