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Democrazia interna, Leadership e Disintermediazione

2.1 L’analisi di Katz e Mair: le tre “facce” del partito.

Le teorie sulla struttura interna dei partiti che sono state analizzate nel precedente capitolo riflettevano una concezione disaggregata dei partiti, ossia volta a non considerare i partiti come attori unitari, bensì come l’espressione di innumerevoli sfaccettature. Questa concezione venne maggiormente elaborata ed esplicitata nel corso degli anni Ottanta, poiché allora divenne chiaro che il partito non poteva più essere considerato l’unità di analisi, ma che potevano essere individuati elementi con interessi e risorse differenti all’interno dello stesso partito, negando quindi ogni visione che ruotasse intorno ad un’unica gerarchia (Katz e Mair, 1993, p. 593). E’ in questo filone della letteratura organizzativa che si inserisce lo studio di Katz e Mair, che fornirà gli strumenti necessari per comprendere quanto verrà affrontato nel corso del capitolo.

Gli autori criticano quelle che in precedenza sono state le dicotomie più utilizzate dalla letteratura, come ad esempio quella leader-follower, su cui viene fondata la ferrea legge delle oligarchie di Michels1, e quella partito parlamentare- partito extraparlamentare2 per una mancanza di chiarezza concettuale. La proposta degli autori è quindi quella di considerare tre «facce» all’interno dei partiti, tra di loro comunicanti ma distinguibili dal punto di vista analitico.

Il Party in Public Office (PPO) è composto da «chi ha avuto successo alle elezioni e da chi dipende dal successo elettorale per mantenere la posizione» (ibid., p. 596). I benefici, e i relativi interessi, di questa faccia sono dati dal potere

1 Questa dicotomia, secondo gli autori, non coglie la distinzione tra leader nelle cariche pubbliche e

leader nel partito, i quali hanno rapporti differenti con i sostenitori (Katz e Mair, 1993, p. 594).

2 Anche qui il problema è che tale dicotomia non evidenzia le differenze all’interno sia del gruppo

parlamentare, ossia i membri all’interno del governo e membri fuori dal governo, e di quello extraparlamentare, che presenta figure distinte come leader e membri ordinari (ibid.).

41 personale di chi ricopre la carica e dalla possibilità di portare a termine le politiche. Tuttavia, da essa derivano una serie di costrizioni, come la necessità di vincere le elezioni, per poter rimanere in carica, e le relative responsabilità di governo che vincolano l’operato del PPO. Le risorse a disposizione del PPO sono «l’autorità legale per prendere decisioni governative» (ibid., p. 597), il patronato e la disponibilità di tempo, competenza [expertise] ed esperienza (ibid.).

Il Party on the Ground (POG) è costituito principalmente dai membri formalmente iscritti, anche se in generale può comprendere anche altre figure come «attivisti regolari, finanziatori e anche elettori fedeli» (ibid.). E’ caratterizzato da incentivi di natura simbolica, solidaristica e ideologica, anche se possono essere rintracciati alcuni incentivi individuali. Le risorse di cui dispone il POG sono legate al lavoro, spesso volontario, di grande importanza quando svolto durante le campagne elettorali (ibid., p. 598). Inoltre, il POG dispone di soldi e voti, altrettanto importanti a fini elettorali. Infine, esso può essere fonte di legittimazione in qualità di «incarnazione politica del segmento della società che il partito intero dichiara di rappresentare» (ibid.). Le costrizioni ad esso legate sono date dal fatto che il partito, non essendo nelle cariche pubbliche, non può produrre decisioni governative; inoltre, essendo su base volontaria, il partito deve essere in grado di mantenere intatta l’organizzazione distribuendo i giusti incentivi ai membri.

Infine, il Party in Central Office (PCO) si compone dell’organo direttivo e della segreteria nazionale. Può contare sulle risorse derivanti dalla propria «centralità, competenza [expertise] e la posizione formale all’apice dell’organizzazione di partito» (ibid., p. 599). Questa posizione può consentire di essere, in base al grado di unità dei membri che lo compongono, o il luogo dove vengono prese le decisioni più importanti, il terreno di scontro delle altre facce o, nel peggiore dei casi, un «guscio vuoto al tempo stesso impotente e largamente ignorato» (ibid.). Ne consegue che uno dei limiti del PCO è legato al bisogno di sicurezza della posizione dei suoi membri, che possono essere divergenti a seconda di quale faccia rappresentano3. Inoltre, in linea con quanto detto sul POG, il PCO non ha la capacità di implementare le politiche di partito, in quanto è potere

3 Gli autori sottolineano che i rappresentanti del POG saranno più orientati verso la purezza

42 esclusivo del PPO. Tuttavia, esso può essere determinante nella fase originaria del partito, in quanto rappresenta il fulcro degli attivisti che successivamente darà vita al POG per poi eventualmente produrre candidati che andranno a comporre il PPO (ibid., p. 600). In una fase più matura, il PCO svolge attività di coordinamento e di supervisione delle attività delle altre facce, oltre che prestare loro servizi di vario tipo, come la gestione della comunicazione, dei finanziamenti e fornendo competenze anche in materia di policy.

Sulla base di questa impostazione analitica, gli autori sono quindi in grado di ripercorrere la storia dei partiti, studiando l’evoluzione dei rapporti tra le tre facce. In particolare, sono tre gli aspetti considerati: il rapporto tra risorse e costrizioni di ciascuna faccia; il grado di interdipendenza o indipendenza delle varie facce; infine, il loro livello di distinzione o sovrapposizione. Senza ripercorrere tutte le tappe, l’aspetto più interessante dell’analisi di Katz e Mair è il fatto che venga rilevata, in epoca contemporanea, una supremazia del PPO sul PCO sulla base di tre strategie adottate dal primo: ampliando le sovvenzioni statali, allo scopo di ottenere risorse e una burocrazia autonome; incrementando la propria autorità sul PCO agendo sui comitati nazionali; diminuendo il peso del PCO nella struttura del decision-making interno (ibid., p. 609). Il risultato è che il ruolo del party in central office viene in qualche modo ridimensionato, senza per questo causare la crisi o il declino del partito intero. Le conseguenze prospettate dagli autori sono fondamentalmente due: da un lato il PCO può diventare una burocrazia alle dipendenze del PPO, senza una reale autonomia (ibid., p. 616); dall’altro lato, il POG potrebbe risultare «molto più autonomo con riguardo alla politica locale» (ibid). Il PCO, dunque, diventerebbe un organo utile anche se non indispensabile (ibid., p. 615), poiché sarebbe in grado di svolgere servizi per entrambe le facce del partito, pur perdendo la possibilità di essere un centro di potere.

2.2 Caratteristiche e criticità della Intra-party democracy (IPD).

Nel precedente capitolo è stato fatto riferimento alla recente tendenza, da parte dei partiti politici, ad allargare il coinvolgimento degli iscritti e dei sostenitori in un

43 ventaglio sempre più ampio di procedure interne. Il complesso di questo fenomeno è stato riassunto sotto il termine di intra-party democracy.

Il punto di partenza è stato il generale declino dei partiti nella sfera pubblica, ampiamente documentato dal punto di vista accademico, sia in termini di legittimità, che in termini di livelli di iscrizione, affiliazione partitica e volatilità elettorale. Da più parti si è riconosciuto il progressivo allontanamento dei cittadini dai partiti politici (e viceversa), generando quella che molti considerano una vera e propria crisi. Diverse sono le ragioni di questo declino individuate dalla letteratura accademica, anche se possono essere riassunte per come segue: 1) Ai partiti servono meno membri come volontari e contributori, avendo campagne centralizzate e professionalizzate; 2) I partiti sono più vicini allo stato per ottenere i finanziamenti necessari per portare avanti la propria attività; 3) cambiamenti sociali che hanno allontanato i cittadini dai partiti4; 4) trasformazione organizzativa dei partiti, i quali

sono passati dall’essere «organizzazioni partecipative fondate sui membri a entità dominate dai leader, focalizzate sulle elezioni e supportate dallo stato» (Young, in Cross e Katz, 2013, p. 74); 5) aumento di organizzazioni, come i gruppi di interesse, che costituiscono un canale alternativo per la partecipazione politica.

La risposta a questo clima di disaffezione verso i partiti è stato di rinvigorire l’immagine pubblica dei partiti stessi, incoraggiando la partecipazione interna attraverso la riforma, in senso democratico, di alcune procedure. In generale, l’IPD ruota intorno a cinque dimensioni (Childs, in Cross e Katz, 2013, pp. 91-92):

1) Elezione diretta del leader/dei leader;

2) Definizione e/o votazione delle politiche di partito;

3) Preferenza verso una comunicazione verticale non mediata tra centro/leadership e base al posto di una comunicazione orizzontale a livello geografico.

4 Katz (in Cross e Katz, 2013) amplia il concetto spiegando il distacco dei cittadini dalla politica

attraverso quattro motivazioni: 1) Erosione delle divisioni sociali (religiose, di classe, aumento della mobilità sociale, della mobilitazione cognitiva, della sicurezza economica e del tempo libero); 2) dibattito politico incentrato soprattutto su questioni di efficienza e competenza, piuttosto che di ideologia; 3) adesione al modello consensuale di democrazia teorizzato da Lijphart (2014); 4) adesione al principio economico neo-liberale. La differenza principale tra le spiegazioni fornite da Young e quelle appena elencate è considerare chi è il soggetto principale: Young indaga le ragioni per cui i partiti si siano distaccati dai cittadini; Katz analizza il motivo per cui i cittadini non siano più interessati a prendere parte alla vita di partito.

44 4) Mancanza di distinzione dei membri sulla base di identità di gruppo e rigetto

della gerarchia nella membership;

5) Selezione dei candidati, includendo, in certi casi, sia i membri che i sostenitori.

Tutte queste riforme sono accomunate dall’idea secondo cui «il modo per contrastare il quasi universale declino della membership di partito […] è che i partiti diventino più internamente democratici» (Cross e Katz, in Cross e Katz, 2013, p. 2). Questo ragionamento è stato rinforzato da altre considerazioni, come ad esempio il fatto che, laddove i partiti hanno consentito ai membri di partecipare alle decisioni interne, dimostrano di avere «interiorizzato un ethos democratico» (Young, in Cross e Katz, 2013, p. 71) e si rivelano più credibili agli occhi degli elettori. In questo senso, l’IPD viene considerato un metodo efficace per evitare eventuali degenerazioni oligarchiche dei partiti e, quindi, comportamenti non democratici, con possibili benefici anche per la democrazia a livello sistemico (Van Biezen e Piccio, in Cross e Katz, 2013, p. 45).

A fondamento di tutto ciò che muove la teoria dell’IPD vi è il principio della «distribuzione del potere all’interno dei partiti» (Cross, in Cross e Katz, 2013, p. 100). Ciò potrebbe far pensare che i partiti, in qualità di associazioni volontarie e private, abbiano avviato tale processo di riforma autonomamente. Questo non sempre è stato il caso: non sono mancati, in certi paesi, interventi della legislazione pubblica, ordinaria e costituzionale5, volti a prescrivere certi comportamenti dei partiti, come anche raccomandazioni da parte di organizzazioni internazionali, come Unione Europea e Consiglio d’Europa, sulla necessità di adottare tali leggi (Van Biezen e Piccio, in Cross e Katz, 2013, p. 28).

Tuttavia, alcune problematiche sono state riscontrate nella teoria dell’IPD, sia a livello concettuale che a livello pratico. Ad esempio, se a livello generale vi può

5 Dallo studio di Van Biezen e Piccio (in Cross e Katz, 2013, pp. 27-48), risulta come nelle

costituzioni di solo quattro paesi europei (Germania, Croazia, Spagna e Portogallo) vi sia un esplicito riferimento all’IPD (Ibid., p. 33), mentre in altri paesi il principio risulta implicito. Dal punto di vista della legislazione ordinaria, essa viene analizzata sia dal punto di vista quantitativo che dal punto di vista qualitativo. A livello quantitativo, lo studio dimostra come ci sia «una considerevole variazione in termini di enfasi relativa che le leggi di partito pongono sulle organizzazioni interne di partito» (ibid., p. 38), in quanto paesi di recente democratizzazione hanno sviluppato una legislazione più attenta alle tematiche dell’IPD rispetto alle democrazie più consolidate, anche se viene registrata un «inequivocabile trend verso più regolamentazione, sia nel tempo che tra i paesi» (ibid.). A livello qualitativo,

45 essere un consenso sui benefici della democrazia interna ai partiti, manca «una definizione di cosa significhi essere internamente democratici» (Cross e Katz, in Cross e Katz, 2013, p. 2). Di conseguenza, possono essere adottati modelli diversi a seconda di quali valori vengono tenuti in considerazione6 e di quali obiettivi il partito intende raggiungere. In generale, si può sostenere che «mentre la democrazia come concetto ha differenti interpretazioni, lo stesso concetto applicato alle organizzazioni di partito rischia di portare confusione nella materia» (Borz e Janda, 2018, p. 4). Inoltre, una simile transizione verso procedure più democratiche, laddove è avvenuta, non è stata esente da costi, sia economici che politici. In particolare, possono esserci effetti non desiderati e controproducenti nell’adozione di certe regole interne. Tra tutti, il fatto di contemplare la partecipazione non solo di iscritti e attivisti, ma anche dei semplici sostenitori, rende la distinzione tra le varie figure poco chiara (Young, in Cross e Katz, 2013, p. 68) e la membership in generale più fluida. Inoltre, l’atomizzazione dei membri/sostenitori può rendere difficile l’adozione di politiche e di candidati espressione di identità di gruppo, sia che si tratti di gruppi etnici, sociali o di genere7.

La partecipazione, così come concepita, rischia di aumentare la frammentazione interna, poiché i candidati alle elezioni o gli aspiranti leader potrebbero essere tentati di indirizzare «la propria lealtà verso coloro che li hanno selezionati, invece che solo verso il partito» (Hazan, in Bardi, 2006, p. 187), causando la mancanza di unità di azione. Lo stesso intervento pubblico dello Stato nel definire le regole interne ai partiti può trasformarli, da associazioni volontarie e private, in «agenzie semi-statali» (Van Biezen e Piccio, in Cross e Katz, 2013, p. 47), minando la loro autonomia e integrità.

Un’altra questione dibattuta riguarda proprio la necessità di adottare tali riforme. Il presupposto dell’IPD è, in qualche modo, di ripristinare un clima di

6 Uno dei problemi più ricorrenti, e che risulterà evidente nei prossimi paragrafi, è la differenza tra

l’intenzione di rendere democratico il processo oppure il risultato.

7 Per quanto riguarda la rappresentanza di genere, secondo Childs (in Cross e Katz, 2013, pp. 81-

99), da un lato c’è la necessità di ottenere più rappresentanti donne, che hanno a che fare con la rappresentanza individuale, più vicina alla teoria IPD, e che si risolve con l’adozione di correttivi come le quote di genere; ma vi è anche la necessità di avere una rappresentanza collettiva, tramite organizzazioni di genere, affinché vengano portate avanti anche istanze di gruppo nella definizione delle politiche di partito. In questo modo può avvenire l’unione tra letteratura IPD e quella femminista, la quale presuppone che «1) le donne acquisiscano potere; e 2) che le donne acquisiscano potere rispetto a dove il potere risiede» (ibid., p. 93), ossia la leadership.

46 ampia partecipazione all’interno dei partiti. Questo ragionamento poggia su alcuni assunti: a) che la colpa dello scollamento tra partiti e cittadini sia da addebitare interamente ai partiti; b) che sia, quindi, responsabilità loro riformarsi per attirare a sé i cittadini; c) che il modello del partito di massa sia “il” modello di riferimento a cui ispirarsi, poiché a quel modello corrisponde una sintonia tra le varie “facce” del partito e massima partecipazione democratica interna. In realtà la questione è più complessa.

Come già detto in precedenza, lo scollamento tra partiti e cittadini è causato sia da fattori endogeni che da fattori esogeni, i quali spesso sfuggono al controllo e alla responsabilità dei partiti. Per questo motivo Katz (in Cross e Katz, 2013, pp. 49-64) sostiene non solo che tali fattori non possano essere cambiati, ma anche che non debbano essere cambiati8, concludendo che «invece di aspettarsi che l’IPD sia la cura perché le cose tornino alla “normalità”, l’ambiente socio-politico è cambiato in modi che obbliga sia gli attori che gli analisti politici ad adattarsi ad una nuova “normalità”» (ibid., p. 49). Questo è motivo di critica anche della legislazione pubblica, ispirata al modello del partito di massa, la quale non tiene conto dei cambiamenti avvenuti nel corso dei decenni e che rischia di “ingessare” i partiti in un modello ormai obsoleto (Van Biezen e Piccio, in Cross e Katz, 2013, p. 45).

A sostegno di quanto detto finora, Carty (in Cross e Katz, 2013, pp. 11-26) attacca proprio l’assunto secondo cui il modello del partito di massa fosse sinonimo di democrazia interna. Il partito di massa, infatti, per quanto al suo interno gli iscritti venissero considerati il cuore del partito, per ragioni di efficienza elettorale e sopravvivenza organizzativa spesso viravano verso forme oligarchiche di governo interno, come Michels e Duverger hanno sostenuto e di cui si è parlato nel precedente capitolo. L’autore, inoltre, sostiene che in realtà non esista un modello di partito che applichi l’IPD così come viene teorizzata in epoca contemporanea. L’unico modello che si avvicina a tale metodo di governo è il partito stratarchico, poiché al suo interno viene applicata una diffusione del potere e dell’autorità tra le varie unità che lo compongono (ibid., p. 21), le quali sono autonome e interdipendenti sulla base di accordi che, attraverso varie e frequenti negoziazioni,

8 La ragione risiede nel fatto che certi cambiamenti, come l’erosione delle classi sociali e la

47 stabiliscono le relazioni tra di esse (ibid., p. 22). Tuttavia, tale composizione inevitabilmente causa tensioni e frammentazioni interne, nonché mancanza di trasparenza e chiarezza sugli stessi rapporti tra le unità, il che rende il processo di responsabilità [accountability] ancora più difficile (ibid., p. 24).

Infine, adottare pratiche di IPD ha anche dei costi di tipo economico: i costi derivanti dall’ampliamento del selettorato potrebbero facilitare l’aumento di finanziamenti plutocratici9, ossia quelle «grandi donazioni provenienti da individui o organizzazioni» (Scarrow, in Cross e Katz, 2013, p. 164) per sostenere, ad esempio, un determinato candidato durante le campagne elettorali interne. Questo innescherebbe un circolo vizioso per cui chi riceve i finanziamenti tenderà a considerare maggiormente le richieste di chi ha finanziato piuttosto che il partito in generale, generando un’evidente contraddizione rispetto ai principi dell’IPD10.

Nonostante il declino delle iscrizioni sia un fatto accertato, non mancano analisi tese a ridimensionare tale fenomeno. Young (in Cross e Katz, 2013, pp. 65- 80) evidenzia come non solo il calo delle iscrizioni, in realtà, sia assai minimo, ma anche che questo non comprometta la funzione di collegamento che i membri hanno svolto tra i cittadini e i partiti, anche grazie al fatto che ad essi sono subentrati spesso i sostenitori (ibid., p. 75). Quindi una minore quantità di iscritti potrebbe non risultare critico perché i partiti siano sufficientemente collegati alla società, purché le pratiche di IPD siano state interiorizzate ed efficacemente messe in atto (ibid., p. 76). A tal proposito, l’autrice sostiene che, se la quantità di membri non costituisce un problema per l’efficacia dell’IPD, sicuramente lo è il fatto che essi costituiscano un campione fedele della popolazione. In questo senso, come già si è visto nel primo capitolo, la membership dei partiti spesso risulta di media più anziana e a maggioranza maschile, anche se non ideologicamente più radicale (ibid., pp.78-79).

Infine, un’altra critica che spesso viene fatta alla teoria dell’Intra-party democracy considera il rapporto, spesso controverso, tra la democrazia a livello partitico e la democrazia a livello sistemico. Alcuni autori sostengono che una

9 Scarrow (in Cross e Katz, 2013, pp. 150-169) individua quattro fonti di finanziamento ai partiti:

fondi pubblici, plutocratici, finanziamenti dei membri e contributi di coloro che detengono le cariche pubbliche.

10 Tutto questo fintanto che non esistano delle regole interne o leggi statali che limitino le donazioni

o i finanziamenti (ibid., p. 168). Tuttavia, tali leggi costituiscono un’eccezione piuttosto che la regola (ibid., p. 160).

48 democrazia propriamente detta sia data dall’adozione a più livelli di un metodo democratico, comprendendo quindi anche, ma non solo, i partiti; altri, come Sartori (1965, p. 114) sostengono che la «democrazia su larga scala non è la somma di tante piccole democrazie», difendendo l’idea che «l’essenza della democrazia sta nella libera scelta tra i partiti, piuttosto che nella partecipazione diretta all’interno dei partiti» (Cross e Katz, 2013, p. 5, trad. mia).

Nei prossimi paragrafi verrà affrontato più nel dettaglio come i processi di intra-party democracy abbiano influenzato alcune tra le principali attività dei partiti, ossia la selezione dei candidati e la definizione delle policies e la selezione della leadership. Successivamente verrà ripercorsa l’evoluzione della leadership nella della storia dei partiti, per capire come questa sia diventata, in tempi recenti, assai rilevante. Infine, verrà trattato il tema della disintermediazione applicata alle organizzazioni di partito.

2.3 La selezione democratica dei candidati.

Per selezione dei candidati si intende «il processo con cui i partiti decidono chi presentare come candidati alle elezioni» (Rahat, in Cross e Katz, 2013, p. 136). Essa costituisce uno degli aspetti essenziali della vita di un partito, non solo perché può definire “minimamente” la funzione e l’attività di partito11, ma anche perché ha

ripercussioni sul sistema politico: infatti, essa determina «la composizione dei gruppi parlamentari e, attraverso di essi, del governo e dell’opposizione» (Hazan, in Bardi, 2006, p. 173). Tuttavia, prima di poter descrivere come la selezione dei candidati e i livelli di democrazia interna siano collegati, occorre soffermarsi

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