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Democrazia è partecipazione

Sono passati oltre 10 anni da quell’ 11 settembre 2001 che ha segnato in maniera indelebile tutte le democrazie moderne occidentali e affrontando le dinamiche democratiche sono molte le prospettive che emergono.

Spesso sentiamo l’affermazione che, tra le sue diverse accezioni, la democrazia è partecipazione. Ma che cos’è la democrazia? La democrazia non è né un meccanismo teorico né un’astrazione. La classificazione fatta in base alla combinazione dei metodi elettorali e delle istituzioni non porta lontano. La democrazia non si misura con le istituzioni e con il loro grado di evoluzione, perché queste potrebbero garantire solamente una democrazia formale ma non reale, cioè una situazione in cui un cittadino, se ha ancora senso parlare di cittadinanza, non è in grado di auto-determinarsi.

Un primo indicatore di una democrazia non reale viene fornito dai paesi dove il primo partito è rappresentato dalla schiera degli astensionisti; un partito formato per la stragrande maggioranza dai poveri, dalle minoranze e dagli esclusi. Un astensionismo dettato sia dall’incapacità e difficoltà di esprimere il voto sia dalla generale indifferenza e disillusione nei confronti della politica istituzionale stessa, incapace di soddisfare i reali bisogni dei cittadini potenziali elettori. Un secondo indicatore è il costo elevato che il candidato deve sostenere. Questo naturalmente regola e limita l’esercizio della democrazia, riservando le decisioni politiche a chi è in grado di sostenere gli elevati costi. Anche solo in base a questi indicatori, è possibile capire che le democrazie formali possono non esserlo nella realtà; e viceversa, situazioni di partito unico potrebbero garantire una democrazia reale maggiore. La democrazia è un processo in costruzione che non si conquista una volta per tutte e che è fortemente influenzato dagli ambienti in cui il processo stesso si svolge. La democrazia si fonda sull’esistenza di un patto che garantisca i diritti sociali. La democrazia nasce nel momento in cui viene soddisfatta e garantita la richiesta dei diritti. Lo stato democratico, nato dall’elaborazione illuminista borghese, si fonda sul patto sociale tra i diritti dei cittadini e le forze del mercato, giocando un ruolo da mediatore. La democrazia, dunque, è una pratica concreta, pesantemente condizionata dall’ambiente economico in cui si cerca di realizzarla e viceversa. La sostituzione dei poteri porta ad un deficit democratico anche a livello formale. Il controllo democratico formale, infatti, si basa – oltre che sui controlli istituzionali – sul potere

elettivo che la cittadinanza esercita. Una democrazia, anche solo formale, dovrebbe rappresentare la volontà popolare attraverso il voto. I rappresentanti così eletti avrebbero naturalmente valore locale o nazionale. Chi è stato investito da questo potere dovrebbe avere la facoltà di scegliere le politiche che reputa opportune per adempire il mandato. Chi invece effettivamente decide quali siano le politiche da seguire non sono gli stati-nazione ma istituzioni quali il WTO, il FMI e la Banca Mondiale, istituzioni che esulano dallo spettro democratico, le cui decisioni sfuggono al controllo di qualsiasi tipo, i cui membri non devono rendere conto a nessuno se non a loro stessi. Gli stati nazione non hanno più il diritto di scegliere le loro politiche; sono in realtà stati a sovranità limitata. Questa è la ragione per cui si può affermare che lo spirito della Rivoluzione Francese, una testa un voto, è morto; che la democrazia è morta. Forse nasceranno nuovi partiti che porteranno una ventata d’aria fresca ma non basterà per superare il problema bisogna ripensare tutto il sistema. In tutto il mondo l’affluenza alle urne è in forte calo rispetto a vent’anni fa. È accaduto qualcosa alla democrazia intesa come governo eletto dal popolo ed è accaduto in tutto il mondo. In qualche modo la gente non crede più nelle elezioni. L’affluenza alle urne è in calo in molti paesi. Che cosa è successo? Una risposta va trovata nella diffidenza degli elettori nei confronti dei partiti politici. La democrazia elettorale opera nella maggior parte dei paesi per il tramite di organizzazioni che presentano candidati in rappresentanza di particolari pacchetti di opzioni politiche, un "manifesto" o una "piattaforma". Per un certo numero di motivi però questa prassi collaudata non funziona più. Le piattaforme ideologiche hanno perso forza, gli elettori non accettano i pacchetti offerti dai partiti, preferiscono scegliere singole opzioni. Inoltre i partiti politici sono diventati delle "macchine", organizzatissimi sistemi di quadri. Il paradosso è che venendo meno le ideologie distintive, i partiti somigliano sempre più a gruppi tribali, in cui l’appartenenza conta più dei credo. Questa evoluzione ha allontanato i partiti dagli elettori. Poiché la gente in genere non ha granché desiderio di iscriversi ad un’associazione politica, giocare al partito diventa uno sport praticato da una minoranza. Ciò accresce la diffidenza nei confronti dei partiti politici, non da ultimo perché, come tutti gli sport a livello professionistico, è un’attività costosa. Se gli oneri vanno a pesare sulle spalle del contribuente, nasce risentimento. Ma in assenza di finanziamento statale i partiti devono procurarsi fondi tramite canali spesso sospetti, se non illegali. Molti grandi scandali politici degli ultimi decenni hanno avuto origine da finanziamenti offerti a partiti e singoli canditati.

Altri indicatori, come il forte calo degli iscritti, confermano la scarsa popolarità di cui godono oggi i partiti. Eppure continuano ad essere indispensabili alla democrazia elettiva. Dato che la loro sede d’azione è il Parlamento, il distacco dall’elettorato incide su una delle fondamentali istituzioni democratiche. I cittadini non guardano più ai parlamenti come a organi che li rappresentano, legittimati quindi a prendere decisioni per loro conto.

A questo punto entra in gioco un secondo elemento, del tutto distinto. Gli individui sono sempre più impazienti. In qualità di consumatori sono abituati a ricevere immediata gratificazione. Da elettori invece sono costretti ad attendere prima di vedere i risultati prodotti dalla scelta esercitata alle urne. La democrazia ha bisogno di tempo, non solo per le elezioni, ma per deliberare ed esercitare un ruolo di controllo e di equilibrio. L’elettore-consumatore però non sa accettare tutto questo e volta le spalle. Esistono delle alternative, ma ciascuna pone specifici problemi come soluzione democratica. L’azione diretta, attraverso le manifestazioni, è ormai un’evenienza regolare e spesso efficace. Chi è meno incline alla mobilità può dare in alternativa espressione elettronica alle proprie opinioni nelle chat-room su Internet o indirizzando e-mail ai leader politici. Ci sono anche organizzazioni non governative, spesso non democratiche nelle loro strutture, tuttavia più vicine, a quanto sembra, ai cittadini. Oltre a queste esiste poi naturalmente la possibilità di staccare del tutto la spina, lasciando la politica ai professionisti per concentrarsi su altre dimensioni della vita. Quest’ultima è l’opzione che presenta i rischi maggiori, perché va a sostegno del subdolo autoritarismo che contraddistingue il nostro tempo. Ma anche gli altri segni di allontanamento creano una condizione di grande instabilità in cui non si può mai dire quanto le opinioni prevalenti siano rappresentative. C’è chi vuole togliersi d’impiccio con una democrazia più diretta. Ma non si può creare un rapporto continuativo tra governanti e governati riducendo il dibattito pubblico a semplici alternative referendarie. Sono molti gli argomenti che depongono a favore del mantenimento delle istituzioni classiche della democrazia parlamentare e giustificano lo sforzo di riavvicinarle ai cittadini. Dopo tutto la diffidenza nei confronti dei partiti e il calo dell’affluenza alle urne sono forse solo fenomeni passeggeri. Può essere che nascano nuovi partiti portando una ventata d’aria nelle competizioni elettorali e nei governi rappresentativi. Ma con tutta probabilità ciò non basterà a ridare ai governi eletti la legittimazione popolare perduta. Ripensare la democrazia e le sue istituzioni deve essere quindi un’assoluta priorità per tutti coloro che hanno a cuore il costituirsi della libertà.

In tutto ciò fa breccia però un’idea nuova di democrazia e soprattutto di democrazia partecipata che poggia sul raggiungimento di obiettivi comuni, sulla risoluzione di problematiche annose, sul soddisfacimento di prioritarie esigenze, sul conforto e sul consenso espresso senza chiedere nulla in cambio e senza operare mai con quella logica mercantilistica basata sull’assunto del “do ut des” (ti do affinché tu mi dia) che si trova nelle beghe di partito. Ma come attuare questa donchisciottesca visione di democrazia in un mondo fagocitato da interessi personali e di classe nascosti però dietro la politica e la non politica? Gli scenari che fanno da sfondo a questa prospettiva sono molteplici ma inesorabilmente convergono e confluiscono in una società aperta con cittadini consapevoli, informati e coinvolti dalle istituzioni nelle decisioni.

Parlando di democrazia partecipata, esiste un’ipotesi che spodesta l’idea del sondaggio come strumento di azione politica ad appannaggio della società ed instaura una concezione deliberativa del sondaggio basata sulla cosciente, formata e razionale partecipazione alla vita democratica di un paese e che partendo dalla “vecchia” concezione di sondaggio viene disegnata attraverso l’idea innovativa del deliberative poll di James Fishkin101:una presa in giro, a lieto fine, della mania e dell'uso del sondaggio trasformato da finzione in un originale progetto politico, un esperimento ribattezzato "antisondaggio".

Per parlare di democrazia partecipata deve anche essere affrontato il nuovo tema dell’evoluzione sociale e culturale apportata dai media e dalle nuove frontiere dell’informazione e della comunicazione pubblica. Si tratta di nuove estensioni della stessa democrazia che oggi più che mai spingono alla creazione di una “mentalità ospitale” di tutti i cittadini e di una coscienza critica.

101 J. S. Fishkin, La Nostra Voce. Opinione pubblica e democrazia, una proposta, Marsilio Editore, Venezia