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III. AFFINITÀ III: Monsieur Teste e Alberto Caeiro

1. Il demone e il maestro

La terza e ultima affinità notata da Simões è la «semelhança entre as relações de Valéry com Teste e as de Pessoa com um dos seus heterónimos – Alberto Caeiro»289.

Secondo Simões l’affinità sta soprattutto nella relazione che i due personaggi fittizi intrattengono con i loro creatori. A riprova cita un passo tratto da La soirée avec Monsieur

Teste e uno tratto dalle Notas para a recordação do meu mestre scritte dall’altro eteronimo Álvaro

de Campos.

Il brano di Valéry citato da Simões è il seguente:

Je commençais de n’y plus songer, quand je fis la connaissance de M. Teste. (Je pense maintenant aux traces qu’un homme laisse dans le petit espace où il se meut chaque jour). Avant de me lier avec M. Teste, j’étais attiré par ses allures particulières. J’ai étudié ses yeux, ses vêtements, ses moindres paroles sourdes au garçon du café où je le voyais […] M. teste avait peut-être quarante ans. Sa parole était extraordinairement rapide, et sa voix sourde. Tout s’effaçait en lui, les yeux, les mains. Il avait pourtant les épaules militaires et le pas d’une régularité qui étonnait. Quant il parlait il ne levait jamais un bras ni un doigt: il avait tué la marionnette. Il ne souriait pas, ne disait ni bonjour ni bonsoir : il semblait ne pas entendre le “Comment allez-vous ?”

A esso Simões fa seguire subito questo brano di Álvaro de Campos:

Conheci o meu mestre Caeiro em circunstâncias excepcionais [...] como todas as circunstâncias da vida e sobretudo as que, não sendo nada em si mesmas, hão-de vir a ser tudo nos resultados. Vejo ainda, com a claridade da alma que as lágrimas da lembrança não empanam, porque a visão não é externa... Vejo-o diante de mim, e vê-lo-ei talvez eternamente como primeiro o vi. Primeiro, os olhos azues de criança que não tem mêdo; depois os malares já um pouco salientes, a côr um pouca pálida e o estranho ar grego que vinha de dentro e era uma calma, e não de fora, porque não era expressão nem feições...

Si può dire che Valéry, come Álvaro de Campos, si sia imbattuto quasi per caso nel suo personaggio.

                                                                                                               

Nelle righe anteriori al brano citato, Valéry racconta che nell’ottobre del 1893, si dilettava in momenti di ozio e riflessione a immaginare che gli inventori più sagaci e i più rigorosi conoscitori del pensiero umano fossero degli sconosciuti, uomini non passati alla storia, uomini talmente anonimi che secondo lui si sarebbero rifiutati di essere considerati diversi dalle cose.

Monsieur Teste si presenta a Valéry quasi come un retaggio di questi pensieri; gli appare per caso quando lui non era più immerso in quelle strane elucubrazioni. La stessa cosa accade ad Álvaro de Campos.

In righe situate nella parte di testo omessa da Simões nella sua citazione dalle Notas, Campos racconta di aver lasciato i suoi studi d’ingegneria navale, di essere partito per un viaggio in Oriente, ma di essere tornato presto a Lisbona, di aver incontrato nei pressi di Ribatejo un cugino di Caeiro; invitato a casa di quest’ultimo per caso incontrò quello che sarebbe diventato il suo maestro.

Sia Valéry sia Álvaro de Campos si soffermano innanzitutto sull’aspetto dei due personaggi incontrati che reputano particolare nella sua banalità. Tuttavia, gli accenti delle due descrizioni non coincidono perché celano intenti alquanto differenti.

Campos fornisce una descrizione dettagliata di Caeiro: gli occhi azzurri da bambino che non ha paura, gli zigomi pronunciati, la carnagione pallida. Tutti questi elementi fisici concorrono a delineare il carattere di Caeiro che è alla base della sua poetica: Caeiro appare ingenuo come un greco, infatti non teme di affidarsi a ciò che vede e di riporre la sua attenzione nella natura.

Pur dicendo di essere stato attirato innanzitutto dal suo aspetto, Valéry non delinea la fisionomia di Teste; anzi, quello che è particolare dell’aspetto di Teste è il fatto di non avere quasi una fisionomia: la sua parola è rapida e la sua voce è sorda, si sente appena perché l’uomo riesce con difficoltà a percepire la voce interiore del suo io; le spalle che lo sorreggono hanno aria militare e il suo passo è regolare perché Teste impersona l’ideale del rigore, dell’uomo che si disciplina; infatti, ha ucciso la marionetta che è in lui, non ha niente di caratteristico, e al contempo non fa niente di comune (non saluta, non risponde alla domanda retorica che spesso serve per iniziare un dialogo: “Come state?”). Ma, soprattutto, in Teste ogni elemento fisico scompare: è vero che Valéry ha studiato i suoi occhi, i suoi abiti e le parole dette al cameriere del caffè dove lo vedeva, ma poi gli occhi, le mani, tutto scompare, tutto ciò che è fisico si sottrae al ricordo.

Valéry e Pessoa descrivono, dunque, l’incontro con il proprio personaggio in maniera del tutto naturale, come se la scena si stesse svolgendo in quel momento davanti ai propri

occhi. Tuttavia, dicendo che in lui ogni cosa scompariva Valéry evidenzia l’ineffabilità di Teste, mentre Pessoa punta sulla descrizione fisica per tracciare un profilo il più verosimile possibile.

Le due descrizioni dell’incontro hanno intenti differenti: Valéry vuole progressivamente, per via metaforica, portare il proprio lettore a scorgere in Teste quello che, nella prefazione, definisce un essere impossibile, l’uomo potenziale, l’uomo allo stato embrionale d’idea di uomo, l’incarnazione del pensiero puro. Pessoa, invece, vuole dare verosimiglianza e corporeità al suo eteronimo per dare concretezza a un frammento del proprio sé, a uno di quei personaggi che affollano la propria mente.

Dietro a una descrizione plastica dei propri personaggi si nascondono delle metafore. Nella parte di testo de La Soireé omessa da Simões, che congiunge il passo in cui Valéry dice di aver studiato l’aspetto di Teste con il passo in cui arriva a descriverlo, Valéry fornisce delle indicazioni apparentemente banali: dice di ripetere gli atti di Teste290 e di aver

notato che nessuno faceva attenzione a lui. Ma cosa vuole dire? Quando la sua mente inizia a contemplare la possibilità di immaginare l’uomo ideale, l’uomo per quello che può, allora Valéry inizia a esercitarsi a diventare ciò che può, inizia a recuperare la molteplicità che è in lui. Un esercizio questo che gli permette di rivolgere la propria attenzione a quelle potenzialità dell’essere umano raramente notate dall’uomo comune.

Appena Valéry decide di esercitarsi a conoscere Teste, a coltivare la propria attenzione verso la vita di una mente, a interrogare il testimone di quanto accade nella propria mente, allora cambiano le modalità di incontro con questo suo personaggio.

Je n’avais plus rien de ce genre à apprendre, lorsque nous entrâmes en relations. Je ne jamais vu que la nuit. Une fois dans une sorte de b…;

souvent au théâtre291.

Quando entra in relazione con Teste, quando cioè instaura un rapporto con il proprio sé, Valéry non ha più bisogno di studiare il suo aspetto o di ripetere i suoi gesti: oramai sa come Teste si comporta. Infatti, non lo vede più al caffè, lo vede di notte e a teatro, lo vede cioè quando è in solitudine e quando immagina una messa in scena del rapporto fra sé e… sé. Se “b” sta per “boudoir”, lo vede qualche volta quando si trova in situazioni intime, o le immagina. Sono dei fantomatici altri, magari quegli uomini che non sanno ancora identificarsi con Teste, a dirgli che viveva di operazioni settimanali in borsa e che andava a                                                                                                                

290 P. Valéry, Monsieur Teste, in Œuvres II, cit., p. 17, «Je prenais les journaux qu’il venait de lire, je

recommençais mentalement les sobres gestes qui lui échappaient».

mangiare in un ristorante della Rue Vivienne. Valéry immagina che Teste mangi là «comme on se purge, avec le même entrain»292: Teste mangia per purgarsi dei propri bisogni

corporali, per alimentare il proprio pensare puro.

Campos dice di vedere Caeiro con la chiarezza dell’anima. La figura di Caeiro gli è cioè così limpida, non può essere offuscata dalle lacrime del ricordo, perché la sua visione non è esterna, perché Caeiro sorge da uno sguardo interiore. Campos quindi conserva dentro di sé l’incontro con il proprio maestro, il proprio maestro diventa parte della propria storia, coincide con il momento in cui Campos decide di dedicarsi all’esperienza poetica.

Nonostante le diverse descrizioni, Valéry e Pessoa trasformano l’atto di creazione del personaggio in un atto di visione. L’espediente letterario di presentare Teste e Caeiro riportando i ricordi che lo stesso Valéry e Campos hanno del loro primo incontro mira a sottolineare come la semplice visione di questi due personaggi risulti virtuosa per la disposizione creativa di chi li vede. Appena Valéry fa conoscenza di Teste, inizia a provare a immedesimarsi in lui; Campos descrive il breve incontro con Caeiro come un atto di «fecundação»293.

Quale ruolo svolgono, dunque, Teste e Caeiro rispettivamente per Valéry e Pessoa? Nella prefazione del 1925 all’edizione inglese della Soirée, Valéry descrive Teste come un demone e un mostro.

Pourquoi M. Teste est-il impossible ? – C’est son âme que cette question. Elle vous change en M. Teste. Car il n’est point autre que le démon même de la possibilité. Le souci de l’ensemble de ce qu’il peut le domine.

[…]

Donner quelque idées d’un tel monstre, en peindre les dehors et les mœurs ; esquisser du moins un Hippogriffe, une Chimère de la mythologie intellectuelle exige – et donc excuse, - l’emploi, sinon la

création, d’un langage forcé, parfois énergiquement abstrait294.

Valéry ha un demone come l’aveva Socrate e come, a detta di Valéry, lo ebbe Baudelaire. Come Poe per Baudelaire, anche Teste è per Valéry colui che lo invita a coltivare il rigore e la lucidità. Teste è quindi innanzitutto il critico di sé che Valéry ha dentro di sé, che gli somiglia come un bambino e che è stato creato in un momento di forte alterazione del proprio essere295.

                                                                                                               

292 Ibidem.

293 Fernando Pessoa/Álvaro de Campos, Notas para a recordação do meu mestre, in Fernando Pessoa, Poemas

completos de Alberto Caeiro, cit., p. 157.

294 Paul Valéry, Monsieur Teste, in Œuvres II, cit., p. 14. 295 Cfr. Ivi, p. 12.

Sin da bambino, Socrate sente di avere dentro di sé uno spirito divino e demoniaco che descrive come una voce che spesso si fa sentire per dissuaderlo da qualcosa che sta per compiere, senza però mai fare proposte296. Il demone è quindi una guida, che rappresenta le

istanze dell’autocoscienza, che certo dissuade Socrate dal compiere scelte avventate, ma più che altro fa in modo che Socrate non si fossilizzi su una posizione fissa: lo dissuade senza fare proposte, cioè tende a lasciare Socrate sull’abisso delle possibilità aperte.

Al demone di Socrate si potrebbe ricondurre anche il sogno in cui Socrate viene esortato a dedicarsi alla musica. Socrate inizialmente pensa che la voce venutagli in sogno lo stia incitando a fare quello che già stava facendo e che quindi «la filosofia fosse musica altissima»297. Ma, alla fine della sua vita, dopo la condanna a morte, Socrate comprende che

la musica di cui parlava il sogno non era la filosofia, ma la mitopoiesi.

Pensando che il poeta, se vuole essere veramente poeta, deve comporre storie [poiein mythos] e non ragionamenti [logous], e che io non ero un compositore di storie [mythologhikos], per questo appunto quelle storie che avevo a portata di mano e che sapevo a memoria, quelle di Esopo, di queste presi a mettere in versi quelle che mi capitavano per

prime»298.

Il demone invita dunque Socrate a dedicarsi alla poesia piuttosto che alla dialettica. Sulla scia di questa vicenda narrata nel Fedone, Nietzsche sostiene che bisogna distinguere il Socrate personaggio dei dialoghi dialettici di Platone dal Socrate reale. Il primo vive un rapporto antipodico con l’arte, il secondo invece arriva al termine della sua vita a dedicarsi alla musica, a vagliare la possibilità che un Socrate artista conviva con il Socrate filosofo299.

La possibilità di dedicarsi all’arte e alla musica, di essere poietés, mythologikos, è alla base dell’idea germinale di Eupalinos, in cui Socrate ipotizza una vita da architetto piuttosto che da filosofo. Il Socrate architetto è una potenzialità non realizzata in vita da Socrate e quindi come tale una potenzialità impossibile.

Il demone di Valéry svolge la funzione di portare Valéry a considerare tutte le sue potenzialità. Teste è impossibile perché realizzarsi concretamente come Teste significherebbe essere concretamente molteplice. Socrate avrebbe portato a realizzazione il suo demone, il “suo Teste”, se in vita fosse riuscito a essere sia filosofo dialettico sia narratore di miti, sia architetto.

                                                                                                               

296 Cfr. Platone, Apologia di Socrate, Bompiani, Milano 2000, 31d. 297 Platone, Fedone, BUR, Milano 2004, 60d.

298 Ivi, 60d-61b.

Valéry descrive Teste come un mostro, perché è l’incarnazione e il contenitore di tutte le «Idées Monstres»300, cioè di tutti quei pensieri che implicano contraddizioni nascoste, che

sono mostri psicologici perché riescono a dare una rappresentazione unitaria della molteplicità, ma che in quanto tali sono ideali e non traducibili in rappresentazioni concrete.

Gli eteronimi pessoani sono rappresentazioni concrete del sé di Pessoa, personaggi fittizi che acquistano vita propria, perché ciascuno di loro porta in scena una cernita di potenzialità di Pessoa. Nemmeno l’ortonimo è la rappresentazione in unità dell’intera moltitudine di tendenze psicologiche, culturali e non solo, che affollano la mente di Pessoa. Gli eteronimi non sono dunque dei mostri, degli ippogrifi intellettuali, proprio perché ciascuno di loro non incarna l’intera letteratura di Pessoa, ma ciascuno concorre a formare la moltitudine, cioè permette di pensare a Pessoa come se fosse una letteratura intera.

Si può dunque dire che Pessoa aggira il problema in cui s’imbatte Valéry quando in un momento di forte alterazione del proprio essere crea Teste: Pessoa non arriva a immaginare un’unificazione dei frammenti del sé capace di far sembrare ciascun frammento come una potenzialità che ne esclude delle altre.

Valéry tende a pensare la propria mente come un insieme organico, in cui vi è un’idea germinale, quella dell’uomo nel suo “poter essere”, dell’ideale di uomo, che racchiude in sé tutte le possibili incarnazioni di cosa un uomo è; mentre Pessoa tende a pensare la propria mente come un aggregato di differenti possibilità di essere; ciascun eteronimo è come fosse una delle vie che la mente può solcare, non vi è un unico eteronimo che viene immaginato solcare tutte queste vie insieme, ma ogni volta che si immagina intraprendere una di queste vie Pessoa si trasforma, attraverso un atto di spersonalizzazione drammatica, in uno dei suoi eteronimi.

Alla luce di ciò, sembra via sia dunque una differenza consistente fra Teste e Caeiro. Teste è per Valery non tutto ciò che egli è, ma almeno tutto ciò che potrebbe essere. Caeiro invece è per Pessoa una parte di quello che Pessoa è. Simões sostiene che «Teste resume todo Valéry», mentre «Alberto Caeiro resume uma parte de Pessoa»301. L’asserzione

è corretta solo in parte.

Sicuramente Caeiro riassume solo una parte di Pessoa, cioè incarna una serie di modi di essere di Pessoa tra loro non contraddittori, e arriva a costituire tutto quello che Pessoa è, solo se associato agli altri eteronimi.

                                                                                                               

300 Paul Valéry, Monsieur Teste, in Œuvres II, cit., p. 13 [in corsivo nel testo]. 301 J. G. Simões, Fernando Pessoa e Paul Valéry, p. 179.

Tuttavia, Teste non riassume tutto Valéry. Teste riassume tutto quello che Valéry

potrebbe essere, ma proprio in quanto tale non è quello che Valéry è. Valéry nella sua vita

concreta non è tutto se stesso, perché nella vita concreta si opta necessariamente per essere una cosa e se ne esclude un’altra.

Valéry non può essere in atto tutti i suoi possibili modi di essere, tra loro contraddittori. Teste è impossibile, quindi non è realizzabile, quindi non è quello che Valéry è concretamente. Guardando a Valéry attraverso Teste non si scorge il modo in cui Valéry realmente coltiva la sua onnilateralità, cioè il suo sentirsi molteplice. Teste è l’idea della molteplicità, è l’uomo solo in potenza, ma a esso si affianca innanzitutto il mito momentaneo di Leonardo come il tentativo non di pensare la moltitudine in sé, ma di farsi

molteplice.

Vi sono, però, degli altri elementi che avvicinano la figura di Teste a quella di Caeiro. Essi devono essere rintracciati nell’affinità che intercorre tra la funzione assolta dal demone e quella assolta dal maestro.

Il demone in Socrate svolge una funzione maieutica, fa partorire una maggiore consapevolezza di sé. Lo stesso Socrate diventa un demone per i suoi interlocutori, cioè si comporta con loro come la voce interiore che lo guida si comporta con lui. Non a caso Socrate viene associato da Alcibiade nel Simposio a Eros, che è il demone per eccellenza. Eros è demone e non dio perché anela al divino, ma non lo è ancora, l’amore rende partecipe l’uomo del mondo delle idee e dell’idea del Bello in particolare, ma non è l’idea del Bello. Allo stesso modo i ragionamenti di Socrate inducono quanti intraprendono un dialogo con lui a elevarsi a un maggiore livello di saggezza, ad acquisire maggiore consapevolezza su se stessi, a coltivare l’amore disinteressato, ma non rendono costoro pienamente dei saggi, magari piuttosto degli amanti della saggezza (filosofi).

Il demone Teste svolge una funzione maieutica per Valéry come secondo Valéry Poe ha fatto per Baudelaire. Quando Valéry riporta in scena “Edmond T.” ne L’idée fixe, quasi quarant’anni dopo la sua prima comparsa, la sua funzione è quella di dialogare sulle rive del mare, metafora per eccellenza dell’apertura all’orizzonte delle possibilità, con un medico che lamenta un male, il male dell’attività:   «Je ne puis, je ne sais ne rien faire... Demeurer deux minutes sans idées, sans paroles, sans actes utiles»302.

Edmond T. intraprende con il suo interlocutore un gioco di battute degno del miglior dialettico. Per curare il medico dal suo male Edmond T. gli dice che solo bambini e animali sono capaci di non soffrire di questo male, perché non compiono quegli atti inutili che                                                                                                                

sono la cifra caratteristica dell’Uomo. “Inutile” egli chiama l’atto o la cosa di cui non si sente l’immediato bisogno. Obiettivo del gioco sul mare è dunque riconquistare l’ingenuità della vita, «soumettre à une certaine contrainte; pouvoir la supporter; durer dans une attitude forcée, pour donner aux éléments de… pensée […] la liberté d’obéir à leurs affinités, le temps de se joindre et de construire, et de s’imposer à la conscience; ou de lui imposer je ne sais quelle certitude…»303. Ogni riconquista è una ricerca, perciò non si può

ritrovare uno stato di spontaneità senza passare da esercizi di riflessione.

La cura per il male dell’attività non è dunque la dedizione all’ozio, alla passività, al non fare. Edmond T. insegna, o meglio fa maieuticamente in modo che il medico comprenda il valore dell’attività, dell’esercizio, del rigore, della lucidità. Al termine de L’idée fixe il medico confessa di essere andato fra gli scogli «pour faire des exercices d’adaptation spéciale à chaque pas», con l’intento di costringersi a «inventer à chaque instant un acte… original, - assez difficile – toujours imprévu»304. Non è dunque un abbandono dell’attività quello a cui

dovrebbe mirare la cura del male sofferto dal medico. Ma è l’abituarsi all’attività. E una tale abitudine si può acquisire soltanto se si riscopre il proprio “implesso”, quella dimensione potenziale e onnivalente che Teste e il Socrate morto di Eupalinos rappresentano.

Questa funzione maieutica può essere riconosciuta anche a Caeiro. L’ortonimo e tutti gli

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