• Non ci sono risultati.

III. AFFINITÀ III: Monsieur Teste e Alberto Caeiro

3. Il linguaggio e la mente

Un altro elemento di affinità tra Alberto Caeiro e Edmond Teste è l’aspra critica che entrambi muovono al linguaggio ordinario. Attraverso le loro creature, Pessoa e Valéry provano a creare un linguaggio alternativo che sappia dare voce a ciò che solitamente non riesce ad averla senza travisamento. Il linguaggio in questione sarebbe un linguaggio che annulla se stesso, un linguaggio che cancella la necessità della mediazione linguistica. Alla base di quest’operazione, vi è l’idea che le sensazioni, nel caso dell’esperienza poetica di Caeiro, e i pensieri, per quanto riguarda l’esperienza riflessiva di Teste, vengono inevitabilmente contaminati, alterati, travisati nel momento in cui si prova a tradurli in un’espressione linguistica.

Nei componimenti XXVI e XXVII de O Guardador de Rebanhos, Caeiro spiega qual è il limite di quello che definisce “linguaggio degli uomini”: nel parlare di una cosa, nell’atto del nominarla, gli uomini le impongono una personalità e le riconoscono anche degli attributi che non le competono. A volte si dice, ad esempio, che un fiore è bello, ma al fiore non appartiene la bellezza, il fiore esiste solo come fiore; per Caeiro la bellezza è la trasposizione linguistica del piacere che le cose danno a noi e in quanto tale bisogna imparare a disapprendere questo nome e persino questo sentimento.

Al termine del componimento XVII, Caeiro dice, infatti, di godere della natura come qualcuno che sa che c’è il sole: il godimento coincide con l’atto in cui si riconosce

l’esistenza di qualcosa, con l’atto in cui si inibisce qualsiasi pretesa di imporre a ciò che viene percepito un nome o un’azione sul soggetto percipiente.

Nel momento in cui il poeta prova a evitare che una sensazione venga alterata dal linguaggio, egli modifica anche il suo modo di rapportarsi alla cosa percepita. Se l’uomo ordinario è portato ad attribuire alla cosa delle caratteristiche in base a quello che la visione della cosa genera in lui, il poeta è invece portato ad attribuire delle caratteristiche a se stesso capaci di conformarsi alla realtà di ciò che vede. Il poeta che ha imparato a disapprendere non vede la bellezza del sole, ne rileva soltanto l’esistenza. Questo lo porta a identificare la fonte del godimento con la semplice esistenza del sole, non con quello che il sole genera in lui.

A questo punto, il poeta deve trovare, però, anche un modo per esprimere il suo cambiamento di prospettiva. Caeiro lo fa servendosi della similitudine: non dice più che gode della bellezza del fiore, o del profumo che emana, si limita a dire che gode di tutto

come chi sa che c’è il sole. Un uomo ordinario non ricondurrebbe mai il suo godimento della

natura alla constatazione di un’esistenza, ma sempre e soltanto alle emozioni che l’esistenza di un qualcosa provoca in lui. Lavorando sul linguaggio, l’uomo che ha imparato a disapprendere modifica anche i propri sentimenti.

XXVI.

[…]

Uma flor acaso tem beleza? Tem beleza acaso um fruto? Não: têm cor e forma E existência apenas.

A beleza é o nome de qualquer coisa que não existe Que eu dou às coisas em troca do agrado que me dão. Não significa nada.

Então porque digo eu das coisas: são belas? […]

XVII.

Só a Natureza é divina, e ela não é divina...

Se às vezes falo dela como de um ente

É que para falar dela preciso usar da linguagem dos homens Que dá personalidade às coisas,

E impõe nome às coisas.

Mas as coisas não têm nome nem personalidade: Existem, e o céu é grande e a terra larga,

E o nosso coração do tamanho de um punho fechado...

Bendito seja eu por tudo quanto não sei. Gozo tudo isso como quem sabe que há o sol.

La poesia di Caeiro appare, dunque, come uno sforzo teso a portare il linguaggio umano a parlare il linguaggio divino delle cose. Il processo di de-soggettivazione di cui Caeiro si fa carico consiste proprio in quest’esercizio. Il soggetto che parla il linguaggio delle proprie sensazioni oggettive inibisce qualsiasi pretesa di dominazione sul mondo e per così dire si lascia attraversare dalla natura votandosi a uno stato di esistenza al di fuori di sé, con lo sguardo puntato verso quell’ente che non ha interno, che è tutto un fuori.

XXXI.

Se às vezes digo que as flores sorriem E se eu disser que os rios cantam,

Não é porque eu julgue que há sorrisos nas flores E cantos no correr dos rios...

É porque assim faço mais sentir aos homens falsos A existência verdadeiramente real das flores e dos rios.

Porque escrevo para eles me lerem sacrifico-me às vezes À sua estupidez de sentidos...

Não concordo comigo mas absolvo-me,

Porque só sou essa coisa séria, um intérprete da Natureza, Porque há homens que não percebem a sua linguagem, Por ela não ser linguagem nenhuma.

In questo componimento Caeiro si dice anche disposto ad asservirsi alla logica degli uomini ordinari ma per un intento a essa antitetico: Caeiro è cioè pure disposto ad antropomorfizzare il comportamento delle cose della natura, a dire che i fiori sorridono e che i fiumi cantano è per sensibilizzare gli “uomini falsi”, quelli che con la civilizzazione si

sono allontanati dalla loro reale natura di animali umani, a riconoscere l’incombente esistenza della natura.

Caeiro di per sé non darebbe una personalità ai fenomeni naturali, non cercherebbe metafore per dire quello che accade, non ricorrerebbe cioè a espressioni allusive che dicono più di quanto potrebbero dire. Caeiro preferirebbe dire quello che è per come è. Tuttavia, è consapevole che il suo compito di interprete della natura può essere assolto solo se riesce a forzare il linguaggio degli uomini, se riesce ad asservirlo ai suoi scopi e quindi a dire nel linguaggio ordinario la verità sulla natura: ossia che non le appartiene alcun linguaggio.

Nella Prefácio ai Poemas completos Ricardo Reis è molto chiaro a riguardo.

Toda a obra fala por si, com a voz que lhe é própria, e naquela linguagem em que se forma na mente; quem não entende não pode entender, e não há pois que explicar-lhe. É como fazer compreender a

alguém espaçando as palavras, um idioma que assim aprende314.

Il linguaggio di Caeiro nasce nella sua mente, perché deriva da quell’esercizio scettico che Caeiro intraprende in solitudine, con l’intento di vedere il mondo come dovrebbe essere visto. Quest’atteggiamento induce Caeiro a comprendere che la natura non può vedersi, perché non ha un interno, quindi la vista in Caeiro svolge una funzione auto- annichilente, nel senso che il vedere tende a vedere l’impossibilità di vedere. Il linguaggio per esprimere questo stato di aderenza completa del soggetto all’oggetto è un linguaggio che Caeiro inventa: il suo linguaggio poetico si situa perciò a metà strada fra il linguaggio ordinario degli uomini e il linguaggio divino delle cose. È un linguaggio senza intenzionalità, perché mira a dar voce all’impossibilità di esprimere il significato di quello che viene visto dal soggetto che ha imparato a disapprendere.

Si comprende in questo modo ancor meglio perché Caeiro scelga di adottare espressioni metaforiche che contraddicono il suo punto di vista: per consentire al suo lettore di compiere il suo stesso percorso di auto-de-soggettivazione; davanti a un linguaggio nuovo che getta un ponte verso il non-linguaggio parlato dalla natura, il lettore si esercita a comprendere questo nuovo idioma e impara a disapprendere il linguaggio che ha ereditato dalla società.

Anche quello di Teste è un linguaggio che nasce nella mente del suo artefice, ma la torsione del linguaggio ordinario che viene sviluppata da Valéry procede nel verso contrario                                                                                                                

a quello di Pessoa/Caeiro, perché cerca di dare voce non alla natura, al fuori, ma al sé, al dentro.

Nel Log-book Valéry/Teste immagina cosa potrebbe dire il Moi se potesse parlare.

POÈME

(traduit du langage Self)

O mon Esprit !

Mais je m'avise

Que je vous aimais tant, déjà ! J 'allais peut-être vous aimer,

O mon Esprit !

Mais je m'avise, ô mon Esprit,

Que je t 'aimais déjà d'une tout autre sorte Tu te fais souvenir non d'autres, mais de toi, Et tu deviens toujours plus semblable à nul autre. Plus autrement le même, et plus même que moi. O Mien – mais qui n’es pas encor tout à fait Moi

Il poème è una traduzione nel linguaggio ordinario del linguaggio privato, cifrato del self. Caeiro desiderava di diventare di nuovo un tutt’uno con la natura, mentre qui il Moi di Teste manifesta il suo amore per il proprio Esprit. Un amore che in realtà denota una mancanza: il Moi sa che l’Esprit è qualcosa che gli appartiene, ma avverte al contempo la distanza che intercorre fra sé e sé. Se non vi fosse una tale distanza non potrebbe esservi né desiderio, né tensione verso l’appagamento, né auto-riferimento e conoscenza di sé. Il linguaggio privato serve dunque al sé per creare connessioni fra sé e sé, dialogare con sé significa approfondire la conoscenza di sé e quindi riguadagnare quell’originaria capacità perduta di essere potenziali.

Il viaggio verso Parigi raccontato nella Lettre d’un ami è in realtà un viaggio attraverso il linguaggio.

J’ai observé, pendant le trajet, s’altérer les attentes de mon âme. […] Quel démon que celui de l’analogie abstraite ! – Vous savez comme il me tourmente quelquefois ! – Il me soufflait de comparer cette altération indéfinissable que se passait en moi, à un changement assez brusque de certaines probabilités mentales.

[…]

Je me sentais donc ressaisir par un autre système de vie, et je connaissais mon retour comme une sorte de rêve de ce monde où je revenais. Une ville où la vie verbale est plus puissante, plus diverse, plus active et capricieuse qu'en toute autre, se préparait en moi par l'idée d'une confusion étincelante. Le dur murmure du train prêtait à ma distraction imagée l'accompagnement de la rumeur d'une ruche.

Il me semblait que nous avancions vers un nuage de propos. Mille gloires en évolution, mille titres d'ouvrages par seconde paraissaient, périssaient indistinctement dans cette nébuleuse grandissante. Je ne savais pas si je voyais ou si j'entendais cette agitation insensée. Il y avait des écritures qui criaient, des paroles qui étaient des hommes, et des hommes qui étaient des noms... Point de lieu sur la terre, pensai-je, où le langage ait plus de fréquence, plus de résonances, moins de réserve, qu'en ce Paris où la littérature, et la science, et les arts, et la politique d'un grand pays sont jalousement concentrés. […]

Dire; redire; contredire; prédire; médire... Tous ces verbes ensemble me

résumaient le bourdonnement du paradis et de la parole315.

Al demone dell’analogia astratta è esplicitamente ricondotto il senso di questo brano. L’amico racconta a Teste il suo viaggio verso Parigi come fosse una presa di consapevolezza delle potenzialità del linguaggio. Al contrario di Pessoa/Caeiro, quello che cerca Valéry è l’espressione metaforica, per rompere le regole e le convenzioni del linguaggio ordinario e poter parlare dell’esperienza del linguaggio che difficilmente si riesce a raccontare attraverso il linguaggio stesso. Il compito del linguaggio analogico del self è quindi quello di rompere gli schemi fissi e di provare a vedere cosa si possa dire con le parole.

Anche in questo caso abbiamo un rivolgimento di prospettiva: se normalmente il linguaggio serve per dire qualcosa, per spiegare, per dedurre, etc. qui l’utilizzo dell’incoerenza, del dire e del contraddire, e persino dell’errore linguistico mostra come il linguaggio possa riuscire a conformarsi alle alterazioni dell’âme di chi racconta.

Con un linguaggio che si sottrae alle convenzioni della logica e della correttezza formale, Valéry prova dunque ad appianare lo scarto che intercorre fra pensiero e linguaggio, tra esperienza mentale e sua trasposizione linguistica.

Il linguaggio continua a svolgere, quindi, per Valéry un ruolo di mediazione: crea un ponte fra l’interno, l’oscuro Moi pur, e quello che di esso appare all’esterno, il Je. Ma la mediazione non avviene senza ripercussioni sul linguaggio: perché esso possa lasciar affiorare all’esterno le istanze del Moi pur, le regole d’espressione linguistica del Je devono essere alterate.

                                                                                                               

Nella sua attività di mediazione il linguaggio non è dunque trasparente, non rimane cioè immune davanti al processo di decifrazione del linguaggio del self nel linguaggio ordinario. Il linguaggio ordinario subisce le conseguenze di quest’operazione; non solo vengono alterate le regole sintattiche, ma il linguaggio diventa contenuto del discorso stesso: parlare del linguaggio di Parigi diventa il modo per costruire un’analogia con quanto accade nella mente.

Documenti correlati