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L'oeil e o fingidor. Studio sulle affinita ignorate tra Paul Valery e Fernando Pessoa.

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea magistrale

in Letterature e Filologie europee

L

’œil

du

“fingidor”.

Studio sulle affinità ignorate tra

Paul Valéry e Fernando Pessoa.

Relatrice:

Correlatrice:

Prof.ssa Antonietta Sanna

Prof.ssa Valeria Tocco

Candidata:

Stella Ammaturo

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Sommario

Introduzione ... 3

a. Le “affinità ignorate” tra Fernando Pessoa e Paul Valéry. ... 3

b. Paul Valéry e il simbolismo francese ... 5

c. Fernando Pessoa e il modernismo portoghese ... 9

I. AFFINITÀ I: Valéry, Pessoa e la teoria poetica di Poe ... 13

1. Valéry nell’universo matematico di Poe ... 13

2. Baudelaire interprete di Poe tra Valéry e Pessoa ... 19

3. Il sogno di Baudelaire e la sfida di Pessoa ... 26

4. Valéry e l’eredità poetica di Poe ... 34

5. Il sensualismo astratto di Valéry e il sensacionismo di Pessoa ... 45

II. AFFINITÀ II: Valéry, Pessoa e la capacità di spersonalizzarsi ... 55

1. Valéry, Pessoa, la finzione come autocoscienza ... 55

2. Valéry e i miti del sé ... 64

3. Pessoa e gli eteronimi ... 71

4. Outrar-se e s’écarter ... 80

5. Essere una letteratura o un sistema completo ... 90

III. AFFINITÀ III: Monsieur Teste e Alberto Caeiro ... 100

1. Il demone e il maestro ... 100

2. Apprendere a disapprendere ... 108

3. Il linguaggio e la mente ... 114

4. Caeiro poeta ingenuo ... 120

5. Teste pensatore sentimentale ... 124

Conclusione ... 129

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INTRODUZIONE

a. Le “affinità ignorate” tra Fernando Pessoa e Paul Valéry.

Il rapporto tra Paul Valéry e Fernando Pessoa non è mai stato indagato. Non abbiamo alcuna prova del fatto che i due autori si conoscessero, o che almeno uno dei due abbia sentito parlare dell’altro. Tuttavia, in diversi saggi dedicati a Pessoa compaiono riferimenti a Valéry o analogie con il modo in cui Valéry è stato interpretato dai suoi lettori più attenti.

Nell’introduzione all’antologia di testi pessoani Una sola moltitudine, Antonio Tabucchi annovera Valéry fra quegli scrittori del Novecento che, come Pessoa, hanno vissuto «una vita scandita dal metronomo dell’abitudine e dal grigiore quotidiano»1.

In O materialismo idealista de Fernando Pessoa di Luís de Oliveira e Silva il nome di Valéry compare quattro volte.

1. Per descrivere la posizione anti-intellettualistica di Alberto Caeiro, l’autore sostiene che si potrebbe dire di quest’ultimo quello che Maurice Bémol ha detto del Monsieur Teste di Valéry: «Fernando Pessoa serve-se de Caeiro para promover “un véritable coup d’État anti-littéraire, anti-philosophique et anti-historique”»2.

2. Per discutere il modo in cui Pessoa si rapporta al proprio “Mim” si fa riferimento a un’altra citazione di Bémol, stavolta traducendola direttamente in portoghese

Há portanto em Valéry, simultaneamente, uma negação e uma exaltação da personalidade que nos fazem lembrar a sua posição com respeito à literatura: o niilismo aparente talvez não seja senão a forma

suprema, a forma extrema e desesperada da afirmação3.

3. De Oliveira e Silva cita poi, in portoghese, direttamente le Mauvaises pensées di Valéry per descrivere l’«incongruidade diacrónica» che secondo Pessoa sarebbe necessario acquistassero gli scrittori portoghesi. Osservava, infatti, Valéry:

Diz-se que o polegar oponível é o que diferencia mais claramente o homem do macaco. É preciso juntar a esta propriedade uma outra que temos, a de nos dividir contra nós mesmos, a nossa faculdade de

produzir o antagonismo interior. Nós temos a alma oponível4.

                                                                                                               

1 Fernando Pessoa, Una sola moltitudine, vol. I, a cura di Antonio Tabucchi con la collaborazione di Maria José

de Lancastre. Adelphi, Milano XIII ediz. 2007 (I ediz. 1979), p. 13. La definizione si addice meno al Valéry dagli anni ’20 in poi.

2 Luís de Oliveira e Silva, O materialismo idealista de Fernando Pessoa, Clássica editora, Lisboa 1985, p. 51. 3 Ivi, p. 172.

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4. Ancora a Valéry si fa riferimento per spiegare che il «fingimento» di Pessoa «é a sinceridade do eu representativo». Questa volta si cita in francese da Monsieur Teste: «L’esprit est la possibilité maxima – et le maximum de capacité d’incohérence»5.

Al Valéry critico di Varieté fa riferimento Jacinto do Prado Coelho nel famoso saggio

Diversidade e Unidade em Fernando Pessoa. Intento dell’autore è chiarire in che senso si può

sostenere che Caeiro si presenti come un «lírico espontâneo, instintivo, inculto». Caeiro, dice do Prado Coelho, ricorda quello che Valéry dice di Goethe: «um homem que vivia pelos olhos, vivia de ver: “un mystique, mais un mystique d’espèce singulière, entièrement voué à la contemplation de l’extériorité”»6.

Si potrebbe forse obiettare che qualche analogia intravista fra due autori quasi contemporanei o qualche suggestione che un critico può trarre da un suo collega non sono sufficienti per legittimare un tentativo di comparazione.

Manca però l’ultimo riferimento. Prima di tutti, fu João Gaspar Simões, nel lontano 1938, a pubblicare su “Novos Temas: Ensaios de Literatura e Estética” un breve articolo intitolato Fernando Pessoa e Paul Valéry ou as Afinidades Ignoradas.

Chiunque voglia intraprendere lo studio dell’opera pessoana ben presto s’imbatte nel nome di João Gaspar Simões, l’intimo amico di Fernando Pessoa.

Simões è stato scrittore, saggista, critico letterario, traduttore ma, soprattutto, biografo. La sua opera più famosa è la celeberrima Vida e Obra de Fernando Pessoa – História de uma

Geração. Si tratta di una biografia con molte informazioni attendibili e utili per conoscere

meglio il poeta portoghese.

Nel saggio che ci interessa, Simões si dice convinto che tra Fernando Pessoa e Paul Valéry vi sia «um certo parentesco». Simões riconosce che «entre os dois há quási tantas semelhanças como dissemelhanças»; non si sbilancia sulla possibilità che Pessoa possa aver letto Valéry. Ma insiste: «E no entanto o parentesco subsiste»7.

Sono tre le affinità ignorate che inducono Simões a insistere nella sua affermazione, nonostante sia consapevole che i punti di divergenza non sono meno numerosi dei punti di convergenza fra i due poeti: 1. sulla poetica di entrambi influì considerevolmente la teoria della composizione di Poe; 2. alla base della concezione poetica di entrambi vi è una teoria della spersonalizzazione; 3. diverse somiglianze si possono scorgere fra la figura di Alberto                                                                                                                

5 L. de Oliveira e Silva, O materialismo idealista, cit., p. 211.

6 Jacinto do Prado Coelho, Diversidade e unidade em Fernando Pessoa, Editora Verbo, Lisboa/São Paulo XII

edição 2007, p. 19.

7 João Gaspar Simões, Fernando Pessoa e Paul Valéry ou as Afinidades Ignoradas, in «Novos temas. Ensaios de

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Caeiro, “maestro” del Pessoa ortonimo e degli altri eteronimi maggiori, e quella di Monsieur Teste, demone e maestro di Valéry.

I capitoli di questo lavoro saranno suddivisi sulla base di queste tre affinità. In ciascuno proveremo a discutere e approfondire quanto ci viene proposto da Simões.

Prima di inoltrarci nell’indagine vogliamo però provare a inserire Paul Valéry e Fernando Pessoa nei contesti culturali e letterari in cui operarono. Anche qui noteremo delle affinità sul modo in cui i due autori si collocano nel filone del modernismo europeo.

b. Paul Valéry e il simbolismo francese.

Paul Valéry nasce a Sète il 30 ottobre del 1871, per poi trascorrere quasi tutta la sua vita a Parigi fino al 1945, in un periodo in cui la letteratura e la poesia francese si avviavano verso un’epoca di grandi cambiamenti.

Inizialmente Valéry si dedica agli studi di diritto a Montpellier, città in cui conosce il poeta Pierre Louÿs. Per il giovane Valéry l’incontro con Louÿs è stato piuttosto favorevole perché ben presto riceve la proposta di pubblicare alcune sue poesie d'ispirazione simbolista sulla rivista La conque, fondata dallo stesso Louÿs nel 1891.

In quegli anni Louÿs lo mette in contatto anche con Gide e Mallarmé. Il primo sarà destinato a essere compagno epistolare e consigliere per molti anni e il secondo il Maître da superare.

Dopo questo primo approccio alla poesia di stampo simbolista, Valéry nella notte tra il 4 e il 5 ottobre 1892 cade in una profonda crisi esistenziale. «… Nuit effroyable – passée sur mon lit – orage partout – ma chambre éblouissante par chaque éclair – Et tout mon sort se jouait dans ma tête. Je suis entre moi et moi… »8. La notte è spesso citata nelle

pagine di Valéry e in molti saggi critici scritti su di lui come “la crisi di Genova”. Una notte in cui Valéry mette in questione la poesia e i suoi interessi estetici e sceglie di dedicarsi agli studi scientifici e matematici perché ne apprezza il rigore.

In realtà non abbandona mai del tutto la poesia. Ma il rigore che impara dalle scienze diventa la cifra caratteristica della sua poetica e gli consente di costruire una complessa riflessione sulla genesi dell’atto poetico.

Più tardi, nel corso della sua vita, Valéry riconoscerà un valore di rinascita alla crisi di Genova. Quella notte, infatti, segna l’inizio della vita mentale di Valéry.

                                                                                                               

8 Paul Valéry, Œuvres, vol. I, introduzione biografica a cura di A. Rouart-Valéry, a cura di J. Hytier, «Pléiade»

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Nel 1894 si trasferisce a Parigi, dove lavora come redattore presso il ministero della guerra. Parigi e i suoi fermenti lo accompagneranno per il resto della sua vita. In questi anni di lontananza dalla poesia, Valéry si dedica alla conoscenza di sé e del mondo. I risultati delle riflessioni di questi anni si ritrovano nel suo alter ego Monsier Teste, l’uomo impossibile chiuso nei suoi pensieri e in cui Valéry si è specchiato più volte nel corso della sua vita.

Valéry, prima di tornare a comporre poesie, si concentra su opere a carattere riflessivo: partendo da personaggi o realtà storiche lontane dal mondo letterario riesce a estrarre teorie applicabili anche in poesia.

Nel 1895 Valéry scrive l’Introduction à la methode de Léonard de Vinci, un’opera in cui riesce a «combiner les termes suivantes, peinture, architecture, mathématiques, mécanique, physique et mécanismes»9 studiando la vita artistica di Leonardo. Tale combinazione di

discipline a carattere scientifico troverà una concreta attuazione anche nelle sue poesie che risentono di una certa architettura e rigore matematico.

Nel 1897 pubblica sulla rivista “The New Review” il saggio La Conquête Allemande sulla politica espansionista della Germania. In quegli anni nascevano anche i vari capitoli che formano la “vita” di Edmond Teste, anche se la data di pubblicazione definitiva arriverà solo nel 1906, con il titolo La soirée avec Monsieur Teste.

Nei vent’anni che lo separano dalla notte di Genova al ritorno alla poesia vera e propria, Valéry inizia a disciplinare la sua mente, costringendosi a scrivere ogni mattina tutte le sue riflessioni sui famosi Cahiers: diari di una mente in continuo esercizio. I Cahiers sono l’opera più importante di Valéry perché contengono tutto il lavoro pregresso di ogni sua poesia e di ogni altro testo. Le riflessioni, gli appunti, le digressioni presenti in quei quaderni riflettono la vita mentale e i concetti estetici di tutta l’opera di Valéry.

Nel 1917, grazie all’incoraggiamento da parte dell’amico André Gide, pubblica presso Gallimard la sua poesia simbolista per eccellenza: La Jeune Parque. A quest’importante ritorno sulla scena poetica fanno seguito, nel 1920, il poema Le Cimitière Marin e, nel 1922, la raccolta Charmes.

Non è semplice definire il simbolismo cui appartiene Valéry. Lui stesso, infatti, nel saggio intitolato Existence du Symbolisme scrive che non esiste una scuola simbolista: «il admet, au contraire, une quantité d’Écoles, et des plus divergentes, et je vous ai dit :

l’Esthétique les divisait ; l’Étique les unissait»10.

Ciò che unisce le diverse scuole simboliste è la volontà di scrivere la storia ma non nel senso romantico o realista del termine. La storia per i simbolisti è quella interiore e                                                                                                                

9 Ivi, p. 22.

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personale. Essi intendono ricostruire la storia dello spirito di ciascun individuo attraverso avvenimenti interiori e reazioni personali: «une idée y a l’importance d’une bataille dans l’autre histoire ; un homme de la condition la plus modeste, presque inconnu, y prend la grandeur d’un héros, la puissance d’un despote, l’autorité d’un législateur. Tout se passe donc dans le domaine du sensible et de l’intelligible, et d’analyse en impressions, en pensée, en ces réactions individuelles dont je parlais»11.

Nel saggio in questione Valéry dopo una prima impostazione impersonale passa all’uso del pronome “nous” per intendere che anche il suo simbolismo rientra nelle definizioni e spiegazioni che ne fornisce. Ed è il caso del passo appena citato: Valéry si riconosce nelle caratteristiche del simbolismo che sceglie di avere come oggetto di riflessione l’uomo comune e la storia del suo spirito.

Un’altra peculiarità del simbolismo è la «technique de la Poésie»12. La poesia simbolista

doveva agire solo in un universo poetico e per farlo si avvaleva di regole che depuravano il linguaggio comune elevandolo a linguaggio proprio della poesia. «Le vers régulier est défini par un certain nombre de restrictions apportées par convention à la liberté du langage ordinaire. […] Elles [ces règles] rappellent à chaque instant à celui qui l’emploie, comme à celui que écoute, que le discours qui se tient ne somme pas dans le monde de l’action, dans le domaine de la vie pratique. Pour lui donner son sens, en expliquer la forme, il faut un autre monde, un univers poétique»13.

Valéry nota che queste regole hanno un duplice scopo: se da un lato impongono al poeta uno sforzo nella scelta, nell’uso delle parole e nella forma in cui disporle nel verso, dall’altro concedono al lettore o all’ascoltatore una grande libertà interpretativa. «Si la forme que j’emploie rappelle à chaque instant que ce que j’énonce n’est de l’ordre des chose réelles, l’auditeur ou le lecteur peut attendre et admettre toute la fantaisie de l’esprit livré à soi»14. Valéry spiega egregiamente che l’uso delle regole e della disciplina in campo poetico

è la base per creare infinite combinazioni e fare in modo che anche il lettore ne possa immaginare altrettante. Non a caso questa lezione sulle contraintes in poesia, alcuni anni più tardi, sarà fatta propria dai maestri che hanno dato vita all’Oulipo.

Alla tecnica poetica si aggiunge il valore della musica del verso. Marcel Raymond nel suo volume Da Baudelaire au surréalisme scrive che uno dei precetti fondamentali dell’estetica del simbolismo «è stato quello di fare un uso riflesso delle risorse musicali nella lingua» -                                                                                                                

11 Ivi, p. 695. 12 Ivi, p. 702. 13 Ibidem. 14 Ibidem.

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continua - «Si tratta […] di render sensibili certe misteriose “corrispondenze” e certe sillabe, grazie a un accordo infinitamente sottile col senso della parola da loro espresso, […] Ne consegue che la “musica” delle parole potrebbe essere distinta dal loro significato solo arbitrariamente (significato nel senso più largo) e però a un’armonia quasi materiale, che piace all’orecchio, si dovrà sempre preferire una certa “musica interiore”»15.

Raymond, nella prima parte del suo saggio, spiega l’origine della parola “simbolismo” illustrando il procedimento delle corrispondenze. La prima corrispondenza che caratterizza la poesia simbolista è quella che il poeta instaura tra le immagini che lo spirito umano è in grado di produrre in sogno, o in momenti di creazione autonoma, e la realtà psichica che queste immagini rappresentano.

La seconda corrispondenza, invece, è quella tra il suono della parola e il suo significato, inteso come il pensiero che il poeta vuole esprimere, per raggiungere una certa armonia tra suono e parola.

In conclusione partendo da questi processi di concordanza il poeta affida a certe immagini e a certi suoni la missione di esprimere il suo stato d’animo. Talvolta il poeta rinuncia «a pensare e a costruire, cedendo senza opporre resistenza all’onda del sogno»16.

Valéry rispetto a queste caratteristiche riesce ad andare anche oltre. La sua poesia è sicuramente il frutto di lunghe meditazioni sia sulla scelta delle parole sia sulla scelta del loro suono. La grande novità introdotta da Valéry è lo studio e l’uso delle regole matematiche e “architettoniche” in poesia per raggiungere un risultato di massima libertà di espressione e d’interpretazione.

Gli studi che il poeta compie sulle vite e le opere di artisti lontani dal mondo della poesia hanno come scopo la dimostrazione della possibile concordanza tra regole e poesia. Una concordanza che rimanda alla poesia classica per eccellenza, la poesia del rigore e delle regole sia nel lessico sia nella prosodia.

Possiamo concludere che l’aggettivo “classico” che Valéry attribuisce a Baudelaire, nella generazione precedente alla sua, può essere benissimo attribuito anche a Valéry stesso.

Valéry rifiuta la subordinazione dell’intelligenza all’emozione, riconosce il primato del lavoro e accentua l’attenzione per la musicalità e per l’analisi intellettuale di ciò che è oggetto della sensibilità e del sentimento.

                                                                                                               

15 Marcel Raymond, Da Baudelaire al surrealismo. Einaudi, Torino 1948. p. 53. 16 Ivi, p. 50.

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c. Fernando Pessoa e il modernismo portoghese.

Fernando António Nogueira Pessoa nasce a Lisbona il 13 giugno 1888. In seguito alla morte del padre e del fratellino, trascorre qualche anno a Durban, in Sudafrica, insieme alla madre e al patrigno, per poi tornare, da solo, nel 1905 a Lisbona fino alla morte, avvenuta nel 1935.

Sebbene gli anni in Sudafrica non compaiano mai negli scritti di Pessoa, è ben presente l’impronta della formazione anglosassone sia sul versante linguistico e letterario sia culturale.

Appena rientrato a Lisbona Pessoa si sente uno «estrangeirado», uno «straniero in patria sua»17 e per questo si immerge in una lettura affannosa di tutto ciò che la letteratura

portoghese aveva prodotto negli ultimi anni.

A partire dal 1908, Pessoa inizia la sua carriera di traduttore di lettere commerciali, un impiego che gli consente di dedicare molto tempo alla sua attività preferita: la letteratura. Nel 1907 fonda, senza successo una prima casa editrice. Esperienza che riprova nel ’21 con la fondazione della casa editrice Olisippo per la quale usciranno le sue poesie inglesi (English Poems I-II e English Poems III)18. Anche il secondo tentativo fallisce.

Tuttavia queste esperienze e la frequentazione dei caffè di Lisbona gli hanno permesso di conoscere ed entrare a far parte dell’ambiente culturale della capitale e provare a realizzare il suo «sogno portoghese»19.

Negli anni della giovinezza di Pessoa vivevano a Lisbona diversi movimenti politico-culturali, spesso legati ad una rivista. Vi erano ad esempio i Saudosistas, il cui principale componente era Texeira de Pescoaes, fondato sull’idea di Saudade e sul Sebastianismo. Un altro movimento era quello della Renascença Portuguesa, che promuoveva una maggiore cultura del popolo portoghese attraverso periodiche conferenze, manifesti, libri e la sua rivista «A Águia». L’obiettivo di tutti i movimenti culturali di quel periodo era abbastanza comune: formare e consolidare l’anima del vero portoghese attraverso una rieducazione del popolo alla sua storia e alla sua letteratura.

Nel 1912 Pessoa inaugura la sua carriera letteraria con un saggio sulla poesia portoghese,

A Nova Poesia Portuguesa no Seu Aspecto Psicológico, pubblicato proprio sulla rivista «A Águia».

                                                                                                               

17 F. Pessoa, Una sola moltitudine, vol. I, cit., p. 30.

18 Cfr. Introduzione in F. Pessoa, Il libro dell’inquietudine, a cura di V. Tocco, Mondadori, Milano 2012, p. VI. 19 F. Pessoa, Una sola moltitudine, vol. I, cit., p. 18.

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Si tratta di un saggio a carattere fortemente nazionalista in cui Pessoa si cimenta in una serie di analisi, sociologica e psicologica, della letteratura portoghese di quegli anni, per poi preannunciare la venuta di poeta che avrebbe oltrepassato la fama di Luís de Camões20.

Da questo momento Pessoa inizia a instaurare un fecondo discorso sul futuro della cultura lusitana insieme a personaggi molto noti della scena portoghese come José Almada Negreiros, Mário de Sá-Carneiro, Santa-Rita Pintor.

Il clima culturale nel quale nascono questi movimenti socio-culturali forma il Modernismo Portoghese che, sebbene si manifesti in diversi modi, si fonda su alcuni caratteri comuni a tutte le tendenze: il rifiuto di radice romantica della razionalità illuminista e dell’utilitarismo borghese, la ricerca dell’innovazione e dell’insolito, il disprezzo per il confessionalismo romantico e pre-romantico, il rifiuto dei modelli realisti di rappresentazione del mondo e della vita, la condanna all’accademismo, il rifiuto del regionalismo a favore di un cosmopolitismo senza pregiudizio e della difesa delle idee nazionaliste21.

Pessoa insieme a Sá-Carneiro e Almada Negreiros nel 1915 pubblica i primi due numeri della rivista «Orpheu», «rivista che rispecchia l’ansia di rinnovamento culturale in contrapposizione alle sedimentazioni accademiche della cultura ufficiale»22. «Orpheu»

propone una nuova letteratura aperta ai nuovi sperimentalismi di matrice simbolista e avanguardista senza allontanarsi dalla tradizione.

Con il lancio di questa rivista, Pessoa ambiva a diffondere il suo pensiero estetico, la sua opera poetica e a dare spazio ad altri movimenti estetico-letterari al fine di creare la “modernità” portoghese e farla conoscere al resto del mondo. Purtroppo quest’ambizioso progetto editoriale non troverà un seguito oltre il secondo volume per mancanza di finanziamenti.

Pessoa però riesce a far suo il criterio alla base di «Orpheu»: riuscire a scrivere sperimentando più stili senza spezzare il filo che lo lega alla tradizione della letteratura portoghese e non solo.

Dai suoi continui esperimenti letterari e dalla volontà di mettersi in gioco sulla scena extra portoghese nascono i suoi tre “ismi”: paulismo, interseccionismo e sensacionismo. Si tratta di tre movimenti letterari in controtendenza con le avanguardie dei primi decenni del                                                                                                                

20 Cfr. F. Pessoa, A Nova Poesia Portuguesa no Seu Aspecto Psicológico, «Textos de Crítica e de Intervenção», Ática,

Lisboa 1980, p. 45. (1ª publ. in “A Águia”, 2ª série, nº 9, 11 e 12. Porto: Set., Nov. e Dez. 1912) disponibile su

http://arquivopessoa.net/textos/3101.

21 Vítor Aguiar e Silva, Modernismo e Vanguarda em Fernando Pessoa, «Indiana Journal of Hispanic Literature»

(Special isssue on Fernando Pessoa), no. 9, fall 1996, pp. 16-17.

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Novecento. Antonio Tabucchi le ha definite «avanguardistiche bolle di sapone che scoppiavano un po’ malinconicamente, fra il battimano dei soliti amici, appena volate dalla cannuccia del loro inventore, sempre lui, l’ineffabile Fernando»23.

Il paulismo, nato dalla parola pauis (plurale di paul, “palude”) capoverso della seconda parte della poesia Impressões do Crepúsculo (1913), manifesto del movimento. Il primo degli “ismi” pessoani basato su un’estetica del vago, dell’indefinito, del mutevole che rispecchiava l’insoddisfazione da parte dei nuovi artisti nei confronti dei loro predecessori perché non avevano caratterizzato la storia del loro Paese con nessun evento realmente rivoluzionario, come invece era successo in molte altre nazioni alla fine dell’Ottocento.

Prima ancora che il paulismo potesse riscuotere grandi successi, il suo fondatore, Pessoa, volle provare una nuova forma di avanguardia tutta portoghese: l’interseccionismo. Questa volta Pessoa supera se stesso riuscendo a superare diversi tipi di avanguardie: le scomposizioni futuriste, l’orfismo di Robert Delaunay, il simultaneismo russo e il cubismo. La poesia scelta a manifesto del movimento è Chuva Oblíqua (1914) perché meglio rappresenta l’idea di intersecazione tra un mondo interiore e un mondo esteriore del poeta.

Il terzo e più elaborato degli “ismi” è il sensacionismo. In questo caso non abbiamo una poesia manifesto ma un maestro, Alberto Caeiro, che attraverso le sue poesie trasmette il valore dei sensi e delle nostre sensazioni per riuscire a vivere nel modo più “naturale” possibile. Il sensacionismo accomuna le esperienze poetiche dei tre eteronimi maggiori e dell’ortonimo, tanto che sia Campos sia Reis scriveranno degli appunti teorici sull’estetica di questa corrente letteraria.

L’ultima grande opera in senso anti-avanguardista è a firma Álvaro de Campos:

Ultimatum. Un componimento letto nel 1917 in occasione dell’unica serata futurista a

Lisbona che ribalta i punti focali del futurismo marinettiano e preannuncia l’avvento di un “super uomo” composto da svariate personalità espresse simultaneamente.

Con quest’ultima definizione del “super uomo” riusciamo a inquadrare l’attitudine di Pessoa a esprimere simultaneamente le tante voci che gli affollano la mente.

Nel portare avanti questi progetti letterari Pessoa definisce sempre di più il suo gusto estetico e in seguito alla Grande Guerra fa un bilancio del futuro delle tre grandi correnti letterarie protagoniste del primo ventennio del Novecento: 1. la letteratura accademica sarà destinata al consumo del grande pubblico, ignorante e grossolano che si diletta con poco; 2. la letteratura d’avanguardia, e soprattutto il futurismo, sarà destinata a morire; 3. Il modernismo, invece, sarà la “literatura superior”. Una letteratura destinata a un ristretto                                                                                                                

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pubblico che partendo dai simbolisti troverà riscontro positivo nelle generazioni future. In questo modo Pessoa si configura come “aristocrata”, ossia colui che vive per l’arte e ne valorizza tutti gli aspetti sia materiale, sia spirituale in funzione della sua bellezza e del suo interesse estetico.

L’abilità di Pessoa è stata di riuscire a integrarsi talmente a fondo nel tessuto della letteratura e della critica letteraria europea da appropriarsi solo degli aspetti che di ciascuna più lo interessavano. Pessoa matura l’idea che l’artista ha la missione di illuminare e guidare le generazioni future e di arricchire il patrimonio culturale e spirituale dell’umanità.

Una cosa lo caratterizza e lo differenzia dal sentire comune: il legame con la tradizione. Forse proprio perché ha vissuto qualche anno lontano dalla sua patria, appena rientrato a Lisbona, Pessoa ha saputo recuperare tutta la storia della letteratura portoghese che l’ha preceduto e della quale sentiva di voler far parte. Pessoa comprende che per entrare nella biblioteca della letteratura portoghese non era necessario dimenticare il passato, ma riprenderlo e usarlo con nuovi mezzi di espressione poetica.

L’esperienza letteraria che gli permette di crearsi un posto tutto suo e del tutto originale nel panorama della letteratura internazionale è quella dell’eteronimia. Un espediente che gli permette di essere uno e tanti allo stesso tempo, perché «il ‘Poema’ di Pessoa si attua in una dimensione sincronica, tutto avviene contemporaneamente, il tempo sembra liquefatto. Infatti, allorché Pessoa demanda a Caeiro la descrizione di un reale oggettivo alle cui apparenze credere, Campos ha già divorato le apparenze e si è arreso alle loro plausibilità, Reis si è già epicureamente appagato di ciò che il reale gli offre, e Pessoa ortonimo è già sfuggito a questo stesso reale per cercare altrove una risposta e una ragione»24.

                                                                                                               

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I. CAPITOLO

AFFINITÀ I. Valéry, Pessoa e la teoria poetica di Poe

1. Valéry nell’universo matematico di Poe.

«Edgar Poe – eis o ponto de encontro das duas poéticas»25. Con queste parole Simões

intraprende l’indagine sulla prima delle affinità ignorate tra Pessoa e Valéry.

Infatti, Edgar Allan Poe fu una passione di entrambi gli autori sin dalla gioventù. Partiamo da Valéry che, cronologicamente, lo conobbe per primo.

Valéry era uno studente liceale quando lesse la versione delle Histoires extraordinaires tradotta da Baudelaire26. Ne fu attratto e si fece spedire dalla zia londinese l’intera opera di

Poe in lingua originale27, verosimilmente nella versione edita da John Camden Hotten nel

1873, intitolata The Works of Edgar Allan Poe, che presentava anche una traduzione a firma di H. Curwen della seconda versione del saggio di Baudelaire intitolato Edgar Allan Poe, sa

vie et ses ouvrages.

Da questo momento, Poe non scomparirà mai dagli scritti di Valéry. Esplicitamente citato, o con riferimento implicito, ricorrerà spesso nei Cahiers28.

Valéry ha dedicato a Poe almeno tre saggi: 1. Sur la technique littéraire, scritto nel 1889, ma rimasto inedito perché il giornale a cui fu inviato cessò le pubblicazioni, è stato pubblicato postumo nel 1946. 2. Au sujet d’«Eureka», concepito nel 1921, e inserito in Varieté nel ‘24, come introduzione a Charles Baudelaire, Eureka, par Edgar Poe. 3. L’introduzione a

Quelques fragments des Marginalia, traduits et annotés par Paul Valéry del 192729. A questi tre testi

devono essere aggiunte diverse lettere, in particolare a Gide e a Mallarmé, e il riferimento a Poe in Situation de Baudelaire.

Nel primo saggio sul poeta americano, Sur la technique littéraire, intenzione di Valéry è presentare i principi di un’«esthétique du Verbe»: «étant données une impression, un rêve,                                                                                                                

25 J. G. Simões, Fernando Pessoa e Paul Valéry, cit., p. 163

26 Edgar Allan Poe, Histoires extraordinaires, Paris, Calmann-Lévy, 1856, poi ristampato presso lo stesso editore

nel 1868 e nel 1881. Il titolo dell’opera è stato scelto da Baudelaire perché si tratta di un’antologia di testi tratta dei racconti del terrore, del grottesco e del mistero dell’autore americano.

27 Cfr. Luigi Pareyson, “L’estetica di Valéry e l’influsso di E. A. Poe”, in Problemi dell’estetica. II. Storia. A cura di

Marco Ravera, Mursia, Torino, 2000, pp. 13-23.

28 Cfr. Reino Virtanen, “Allusions to Poe’s Poetic Theory in Valéry’s Cahiers”, «The Bulletin of the Midwest

Modern Language Association», vol. 2, 1969, pp. 113-120.

29 Paul Valéry, Quelques fragments des Marginalia, traduits et annotées par Paul Valéry, in Commerce, XIV, Hiver 1927,

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un pensée, il faut l’exprimer de telle manière, qu’on produise dans l’âme d’un auditeur le maximum d’effet – et un effet entièrement calculé par l’Artiste»30.

Il riferimento a The philosophy of composition è palese. Nel saggio pubblicato per la prima volta sul «Graham’s magazine» nel 1846, Poe si propone di ricostruire ‘a posteriori’ la genesi del poema The Raven, apparso il 29 gennaio dell’anno prima sull’«Evening Mirror». Nel tentativo di mostrare il suo modus operandi, Poe presenta come suo punto di partenza la ricerca di un effetto.

In primo luogo mi chiedo: «Degli infiniti effetti o impressioni a cui il cuore, l’intelletto, o (più in generale) l’anima è sensibile, quale sceglierò io nella presente occasione?» Dopo aver scelto un effetto che per prima cosa sia originale e poi forte, passo a considerare se possa esser meglio raggiungerlo con un evento e con un tono – da eventi ordinari e da un tono particolare o piuttosto da tono ed eventi che siano entrambi speciali – infine, mi guardo attorno (o meglio dentro) per trovare la combinazione

di evento o tono che meglio si addicano alla costruzione dell’effetto31.

La concezione nuovissima e moderna dell’artista che Valéry vede incarnarsi in Poe si concentra, dunque, sull’attenzione maniacale all’aspetto psicologico: uno studio attento della psicologia dell’ascoltatore per dedurne quale dovrebbe essere la condotta del poeta.

Valéry ritorna sulla questione due anni più tardi nella sua seconda lettera a Mallarmé. La metafisica vede l’universo costruito d’idee pure e la pittura di colori, la poesia dovrà vederlo costruito di sillabe e organizzato in frasi. La parola ha la potenza elementare d’una nota musicale e di un colore, ma solo se ben inserita nel verso diventa «lo specchio di suggestioni sotterranee».

L’idea della potenza evocatrice della parola che crea ritmo e musicalità rimanda al “nevermore” di The Raven e a quanto si dice sul refrain in The philosophy of composition. Poe critica, infatti, l’uso facile del refrain, teso solo a creare un effetto di monotonia; per ottimizzare la resa, propone di «diversificare, e quindi aumentare, il suo effetto, mantenendo in generale la monotonia del suono, ma variando continuamente il pensiero»32.

Una sola parola, come “nevermore”, se inserita in modo calcolato nel testo, attraverso continue variazioni, può diventare lo specchio su cui si riflettono i sentimenti più sotterranei: in questo caso, la morte della donna amata, che è il più melanconico dei sentimenti.

                                                                                                               

30Paul Valéry, Sur la technique littéraire in Œuvres, vol. I, Paris, Gallimard (Bibliothèque de la Pléiade), 1957, p.

1786. [Corsivo nel testo].

31 Edgar Allan Poe, La filosofia della composizione, in Il corvo. La filosofia della composizione. Introduzione e

traduzione di Mario Praz. Illustrazioni di Gustave Doré. Milano, BUR, 1997 (2ª ed. 2008), p. 34.

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Valéry stesso, dunque, parla di “calcolo artistico dell’effetto” in Sur la technique littéraire, perché idea cardine di The philosophy of composition è che «nessun punto della composizione è da attribuire al caso o all’intuizione […], il lavoro deve procedere passo, passo, fino alla conclusione con la precisione e la rigida logica di un problema di matematica»33.

Il riferimento alla matematica esalta Valéry, tanto che in una lettera a Gide del 1891 dirà: «Leggo soprattutto e sempre, senza potermene staccare, quest’oppio vertiginoso e quasi matematico: Poe, Poe!»34.

Eureka35 svolse un ruolo cruciale per la formazione di Valéry: a vent’anni credeva nella

«puissance de la pensée», ma quelle forze infinite che avvertiva dentro di sé scemavano davanti alla «faiblesse de […] pouvoirs positifs»36. Maestri mediocri erano riusciti a fargli

vedere la scienza come qualcosa di freddo, mentre le Lettere lo urtavano per la loro mancanza di rigore e di sistematicità. Aveva cessato di scrivere versi, ma la lettura di

Eureka, in pochi istanti, gli fece conoscere l’esistenza di ricerche e speculazioni di cui non

veniva mai fatta parola agli scolari: «Ces sciences, si froidement enseignées, ont été fondées et accrues par des hommes qui y mettaient un intérêt passionnée. Eurêka me fit sentir quelque chose de cette passion»37.

Valéry rivela di aver diffidato dell’enormità delle ambizioni e delle pretese dell’autore, del tono oracolare del preambolo e dello strano discorso sul metodo con cui si apre il libro. Ad affascinarlo era stato l’utilizzo della nozione matematica di “consistency”.

Dans le système de Poe, la consistance est à la fois le moyen de la découverte et la découverte elle-même. C’est là un admirable dessein; exemple et mise en œuvre de la réciprocité d’appropriation. L’univers est construit sur un plan dont la symétrie profonde est, en quelque sorte, présente dans l’intime structure de notre esprit L’instinct poétique doit nous conduire aveuglément à la vérité.

On trouve assez fréquemment chez les mathématiciens des idées analogues à celle-ci. Il leur arrive de considérer leurs découvertes, non comme des «créations» de leurs facultés combinatoires, mais plutôt comme des captures que ferait leur attention dans un trésor de formes préexistantes et naturelles, qui n’est accessible que par une rencontre assez

rare de rigueur, de sensibilité et de désir38.

                                                                                                               

33 E. A. Poe, La filosofia della composizione, cit., p. 35.

34 Non è la prima volta che Valéry parla a Gide di Poe. L’anno precedente gli aveva scritto: «Ho sempre gli

occhi sul maestro, sull’artista soprannaturale e magico, il più artista secondo il mio modo di vedere, Edgar Allan Poe, a cui si può applicare il verso di Mallarmé su Gautier: magnifico, totale, solitario». Cfr. Pareyson, Luigi, L’estetica di Valéry e l’influsso di E. A. Poe, cit., p. 13.

35 Si tratta della pubblicazione di una conferenza tenuta da Poe il 9 febbraio 1848 presso la Society Library di

New York con il titolo On The Cosmography of the Universe.

36 P. Valéry, Au sujet d’«Eureka», in Œuvres, vol. I, cit., p. 854. 37 Ivi, p. 856.

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Quello che Valéry apprezza di Eureka sembra contraddire quello che aveva apprezzato di The philosophy of composition: nel primo fa riferimento a un istinto cieco che condurrebbe il poeta alla verità e che è da condividere con la capacità di molti matematici di catturare forme preesistenti; mentre del secondo sottolinea l’abilità calcolatrice dell’artista. In realtà, quello che in entrambi i commenti apprezza è la capacità di tenere insieme l’aspetto intuitivo e quello compositivo.

In una conferenza del 31 maggio 1922 Valéry sottolinea che Poe «aveva una disposizione straordinaria alla sensibilità, un’intelligenza dotata di una sensibilità estrema». E aggiunge:

Il [scil. Poe] avait également un appareil extraordinaire sensibilité, une intelligence douée d’une sensibilité extrême. On oppose généralement l’intelligence et la sensibilité. Je n’ai jamais compris très bien compris cette distinction, de même que je n’ai jamais comment il pouvait y avoir la qualité sans la quantité, de même je n’ai jamais vu d’intelligence sans sensibilité car celle-ci sert de base à la première et entre dans toutes les

opérations qu’elle conduit39.

In Situation de Baudelaire, Valéry dice che Poe montrait une voie, il enseignait une doctrine très séduisante et très rigoureuse, dans laquelle une sorte de mathématique et une sorte de mystique s’unissaient»40

D’altronde, già in Sur la technique littéraire, mentre gioiva perché, seguendo l’esempio di Poe, il poeta non viene più inteso come un «délirant échevelé, celui qui écrit tout un poème dans une nuit de fièvre», Valéry riconosceva al contempo che il «froid savant, presque un algébriste» doveva comunque essere «au service d’un rêveur affiné»41.

Il termine “consistency”, che Poe presenta come concetto metodico per la comprensione del suo poema in prosa, indica proprio questa capacità di unire la fisica alla metafisica, la freddezza del matematico rigoroso all’arte del mistico sognatore.

Barbara Scapolo ha notato giustamente che il termine “consistency” tiene insieme sia il significato di “consistenza”, cioè di sistema che si regge da solo senza dipendere da nessuna

                                                                                                               

39 Paul Valéry, conferenza inedita pronunciata alla Maison des amis des Livres il 31 maggio 1922, il cui

manoscritto è conservato al Fonds Valéry presso la Bibliothèque national de France. Testo in francese citato da E. Crescimanno, Implexe, fare, vedere. L’estetica nei Cahiers di Paul Valéry, Aesthetica Preprint, Palermo 2006, p. 64, nota 110.

40 P. Valéry, Situation Baudelaire in Œuvres, vol. I, cit., p. 609. 41 P. Valéry, Sur la tecnique littéraire, in Œuvres, vol. I, cit., p. 1786.

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regola esterna o assioma lemmaticamente addotto, sia il significato di “coerenza”, cioè di sistema non contraddittorio in sé42.

Valéry propone dunque un’analogia fra il modo in cui Poe costruisce il suo discorso e il modo in cui si presenta l’universo che è oggetto del discorso. Ad essere “consistente” sarà l’intero universo nella misura in cui esibisce un rapporto simmetrico fra il modo in cui Dio ha composto la natura e il modo in cui lo spirito dell’artista compone la sua opera. Il momento della composizione diventa «il luogo supremo in cui l’uomo e il suo oggetto, l’autore e l’opera, finiscono per divenire sintesi della stessa operazione nella tensione verso la verità. Il metodo compositivo che si muove lungo la “maestosa via del consistent”, cioè nella coerenza, nella consistenza e nella simmetria, dev’essere estrapolato dall’universo che è

divino proprio in quanto essenziale e perfetto intreccio di simmetrico e coerente»43.

In Au sujet d’«Eureka», Valéry dice che nel saggio di Poe vi sono molte lacune e ombre, vi sono interventi poco giustificati. Tuttavia, queste manchevolezze possono essere trascurabili, scoprendo un principio che le rende ininfluenti. Questo principio è la simmetria formale che scoprirà Einstein e che, secondo Valéry, si riassume nella legge dell’ottavo capitolo di Eureka: «ogni legge della natura dipende in tutti i suoi punti da tutte le altre leggi». Non è necessario che si riesca a conoscere tutte le leggi della natura, per conoscere la natura; né che si riesca a descrivere tutte le parti dell’universo per conoscere l’universo; appena si riesce a comprendere che ogni legge descrive una parte dell’universo e che vi è una dipendenza reciproca delle parti, allora solo con questa ipotesi il nostro intelletto può abbracciare potenzialmente la totalità dell’universo.

Secondo Valéry, pecca del determinismo è perdersi nella costruzione di «systèmes inextricables à milliards de variables, où l’œil de l’esprit ne peut plus suivre les lois et s’arrêter sur quelque chose qui se conserve»44. Il rischio è che le leggi dipendano

dall’infermità dei nostri intelletti. Invece, quello di cui si era reso conto Poe è che il nostro sapere può diventare potere, a condizione che sia il potere a diventare fonte di sapere; non bisogna cioè impelagarsi nella ricerca del principio che inglobi tutti gli altri, della legge che riunisca tutte le altre leggi, è più efficace riconoscere l’origine dell’universo per quella che è: un mito che soltanto la nostra immaginazione può estrapolare e afferrare.

«Nous pensons obscurément que le Tout est quelque chose, et imaginant qualque chose, nous l’appelons le Tout»45. Ma credere che ci sia qualcosa che è il Tutto è solo la forma primitiva,

                                                                                                               

42 Cfr. Barbara Scapolo, Comprendere il limite. L’indagine delle choses divines in Paul Valéry, Pellegrini Editore,

Cosenza 2007, pp. 39-40.

43 Ivi, p. 40.

44 P. Valéry, Au sujet d’«Eureka», in Œuvres, vol. I, cit., p. 860. 45 Ivi, p. 864.

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l’idea infantile che abbiamo dell’Universo. Invece, l’Universo non è altro che un’espressione mitologica: «Aucune proposition n’est capable de ce sujet d’une richesse si désordonnée que tous les attributs lui conviennent. Comme l’univers échappe à l’intuition, tout de même il est transcendant à la logique»46.

Valéry sta cercando di dire che la spiegazione che ingloba in sé l’universo materiale e l’universo spirituale non può che essere artistica. Ironicamente Poe, nel preambolo di

Eureka, invitava, infatti, a intendere il suo scritto, pur vero, sull’universo materiale e

spirituale come un prodotto d’arte.

Alla fine la questione si può riassumere nelle parole della lettera inviata a Mallarmé: solo un mondo scritto in versi, un mondo retto dall’analogia, che dissimula le lacune connettendo ciò che è invisibile e intuibile, può essere consistente. Per questo motivo, Poe avrebbe scelto come genere letterario per descrivere la genesi dell’atto artistico la cosmogonia, una raccolta di miti che ingloba in sé libri sacri, poemi mirabili, racconti un po’ troppo strani e scoperte fisico-matematiche.

Una raccolta di miti sembra sicuramente qualcosa di mistico, un delirio della ragione umana. Ma se una cosmogonia è costruita con il rigore della matematica, allora – osserva Franzini – «l’arte, attraverso il mito, permette di mantenere in vita l’origine della vita – la fantasia, la libertà delle idee, il fascino della vaghezza»47.

Valéry dice che lo spirito «est absurde par ce qu’il cherche, il est grand par ce qu’il trouve»48. Lo

spirito è assurdo perché quello che cerca sono risposte a domande troppo grandi, come quella sull’origine del mondo, o come quella sull’origine dell’atto artistico, o come l’intuizione da cui nasce un poema. Ma lo spirito è grande per quello che trova, perché trova se stesso, scopre il suo modus operandi. Nella ricerca dell’origine si imbatte nel potere dell’immaginazione che gli consente di creare un mito dell’origine, o nel potere del rigore matematico che gli consente di formulare ipotesi e calcolare probabilità, o ancora nella forza dell’analogia col la quale crea ordine nel disordine, connessione nella discontinuità.

Come dice Valéry in Quelques Fragment des Marginalia, «ciò che [la mente] persegue nelle sue analisi e costruzioni di mondi, ciò che insegue in terra o in cielo non può essere che se stessa»49.

                                                                                                               

46 Ivi, p. 866.

47 Elio Franzini, Il mito e l’infinito estetico, in Paul Valéry, All’inizio era la favola, a cura di Elio Franzini, traduzione

di Renata Gorgani, Guarini e Associati, Milano 1988, p. 21.

48 P. Valéry, Au sujet d’«Eureka», in Œuvres, vol. I, cit., p. 862.

49 P. Valéry, Fragments des «Marginalia» d’Edgar Poe traduits et comentés, Fata Morgana, Montpellier 1980, p. 28, tr.

it. cit. nell’introduzione di Maria Teresa Giaveri a Paul Valéry, Opere poetiche, a cura di Giancarlo Pontiggia, Guanda, Parma 1989, p. 7.

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2. Baudelaire interprete di Poe tra Valéry e Pessoa.

Pessoa conobbe Poe qualche anno più tardi di Valéry. Ma quando lo conobbe era giovane quanto Valéry.

Nel 1903 Pessoa sostenne l’esame di ammissione per l’Università di Capo di Buona Speranza. Non frequenterà mai quell’università, perché preferirà tornare a studiare Lettere a Lisbona. Tuttavia, la sua prova d’inglese vinse il Queen Victoria Memorial Prize. Con i sette

pounds del premio, l’appena quindicenne Fernando Pessoa comprò dei libri: Lives of the Poets

di Samuel Johnson, le opere di John Keats, Alfred Tennyson, Ben Jonson, e proprio l’edizione The Choice Works of E.A. Poe, con lo stesso saggio di Baudelaire, letto da Valéry.

La scelta di questi libri non fu casuale. Secondo la ricostruzione di George Monteiro, in una pagina di diario scritta circa sei mesi prima che presentasse la sua candidatura all’Università del Capo, Pessoa affermava di aver letto il saggio di Samuel Laing Modern

Science and Modern Thought (1885), quattro numeri di Spectator, il quotidiano inglese curato da

Joseph Addison, uscito dal marzo 1711 al dicembre 1712, e «E. A. Poe’s Poems (almost all)»50.

Anche per Pessoa, come per Valéry, possiamo dire che la lettura di Poe lo accompagnò per tutta la vita. Il nome di Poe compare in diversi testi e l’immagine che Pessoa si era costruito del poeta di Baltimora è in parte simile a quella costruita da Valéry.

In una breve biografia contenuta in Crítica Literária Pessoa rileva come cosa più notevole della complessa personalità di Poe la

justaposição – mais que fusão – de uma imaginação vizinha da vesânia com um raciocínio frio e lúcido. Na imaginação visionadora do estranho ninguém o superou ainda, salvo, talvez, Sá-Carneiro, cuja intuição do Mistério era, talvez por uma razão de raça, mais completa. […] Os seus melhores poemas distinguem-se por uma sugestão imaginativa profunda e uma mestria subtil do ritmo. Nos seus melhores contos funde-se, como em um outro mundo, o delírio da imaginação e a clareza da fixação desse delírio51.

Secondo Pessoa, in Poe vi è una giustapposizione di un’immaginazione che ha qualcosa di visionario, di folle, con il raziocinio freddo e lucido. L’uso del termine “giustapposizione” ricorda l’interpretazione di Valéry dell’opera Eureka: potrebbe spiegare quella “discontinuità nella connessione” che Valéry vede realizzarsi in Eureka attraverso la                                                                                                                

50 George Monteiro, The Wing of Madness, in: George Monteiro, Fernando Pessoa and nineteenth-century

Anglo-American literature, University Press of Kentucky, Lexington 2000, pp. 111-112

51 Fernando Pessoa, [Nasceu Edgar Poe…], in Crítica literária, a cura di Hélio J. S. Alves, Caleidoscópio, Casal de

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convivenza di matematica e mistica nel genere cosmogonico. Pessoa, infatti, evoca proprio l’immaginazione visionaria, che secondo Valéry è alla base della capacità di creare analogie fra mondo materiale e spirituale.

Pessoa, come Valéry, riconosce a Poe la capacità di giustapporre due aspetti fondamentali della creazione artistica: l’immaginazione, o ispirazione, e il raziocinio. Mai nessuno prima di Poe aveva ragionato e scritto sulla necessità di creare un’opera affidandosi al genio e alle proprie capacità raziocinanti.

Valéry asserisce a riguardo che l’arte da freddo algebrista del poeta deve mettersi al servizio del sognatore visionario.

Ancora più interessante è l’osservazione finale di Pessoa: «nos seus melhores contos fundem-se, como em um outro mundo, o delírio da imaginação e a clareza da fixação desse delírio»52.

Quest’osservazione è cruciale perché non fa altro che confermare l’impressione che Valéry aveva avuto della capacità mitopoietica ostentata in Eureka: dare ordine ad un disordine, dare una forma rigorosa alla mitica origine dell’universo conoscibile solo attraverso visioni dell’immaginazione; è questo il senso del passaggio dal modo infantile e ingenuo di intendere l’universo al modo maturo. Riconoscere che l’universo, l’unità del materiale e dello spirituale, è qualcosa di mitico significa, proprio come scrive Pessoa, fissare il prodotto di un delirio e riconoscerlo come tale.

Alla base delle affinità nel modo in cui i due autori interpretano la figura di Poe, vi è una fonte comune: Charles Baudelaire.

Baudelaire discute la figura di Poe in tre saggi.

I primi due hanno lo stesso titolo: Edgar Allan Poe, sa vie et ses ouvrages. Baudelaire scrisse un primo saggio biografico-critico apparso nel 1852 per la «Revue de Paris». Questo saggio aveva ben poco di originale, perché Baudelaire non aveva ancora letto direttamente i Poems,

Eureka, Gordon Pym, The philosophy of composition e The poetic Principle. Pensò bene, dunque, di

servirsi di due articoli che gli aveva procurato William Wilberforce Mann: una recensione di John Moncure Daniel, Obituary of E. A. Poe, e un necrologio di John Reuben Thompson,

Genius and character of Edgar Allan Poe, per costruire il suo saggio su un autore ancora poco

familiare. La parte originale del lavoro di Baudelaire si limitava all’analisi dei racconti. In occasione della pubblicazione della sua traduzione integrale delle Histoire

extraordinaires nel marzo 1856, Baudelaire sostituì il vecchio testo con uno nuovo, più breve,

privo della lunga interpretazione dell’infanzia di Poe basata sul racconto William Wilson. A                                                                                                                

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riprova di quanto accadde si può citare una lettera a Templier, in cui Baudelaire dice di aver voluto sostituire il testo del ’52 perché deturpato da «errori materiali» (probabilmente a causa delle sue fonti), e aggiungeva: «del resto conosco molti documenti nuovi»53.

Nel gennaio 1857 a questi due saggi se ne aggiunse un terzo come prefazione alla traduzione delle Nouvelle Histoires extraordinares. Il titolo cambiò in Notes nouvelles sur Edgar

Poe.

Nei primi due testi, Baudelaire si sofferma sull’aspetto geniale di Poe, allestendo quella che Giuseppe Montesano ha definito un’«agiografia sulfurea»54. Baudelaire parla di un

uomo perseguitato dalla sfortuna, solitario, malinconico, affetto da «delirium tremens»55, un

uomo a tratti imbarazzante, spesso ubriaco, «con uno stile troppo al di sopra del livello intellettuale

comune perché lo si potesse pagare bene»56, «pazzerello, affettuoso, spiritoso, ora docile e ora

cattivo come un bambino viziato»57, bello («marchiato dalla natura»58) e «innamorato del

Bello in ogni cosa»59.

Baudelaire insiste sulla componente visionaria dell’animo di Poe, ma non manca neanche di soffermarsi sul suo raziocinio: la lucidità è «uno dei suoi privilegi»60, «brillanti

fantasie attraversavano il suo cervello incessantemente all’erta»61, la sua eloquenza era

piena di metodo, e tuttavia estranea ad ogni metodo noto, un arsenale di immagini ricavate da un mondo poco frequentato dalla folla degli spiriti, un’arte prodigiosa nel dedurre da una proposizione evidente ed assolutamente accettabile aperture di pensiero nuove e segrete, capaci di schiudere prospettive sorprendenti, e, in una parola, l’arte di rapire, di far

pensare, di far sognare, di strappare le menti alle paludi della routine62.

Baudelaire è così convinto che in questo «scrittore dei nervi»63 la componente

malinconico-delirante e quella lucida-deduttiva si fondano, o almeno si giustappongano, da ipotizzare che l’ubriachezza fosse per Poe «un mezzo mnemonico, un metodo di lavoro, metodo energico e mortale, ma appropriato alla sua natura appassionata»64. L’ubriachezza

diventa cioè per Poe un esercizio di raziocinio per fissare e catturare le sue deliranti visioni:                                                                                                                

53 Charles Baudelaire, Opere, a cura di Giovanni Raboni e Giuseppe Montesano, Meridiani Mondadori, Milano

2006, pp. 1628-1629.

54 Ivi, p. 1629. 55 Ivi, p. 793.

56 Ivi, p. 796 [in corsivo nel testo]. 57 Ivi, p. 801. 58 Ivi, p. 799. 59 Ibidem. 60 Ivi, p. 794. 61 Ivi, p. 801. 62 Ivi, p. 803. 63 Ivi, p. 807. 64 Ivi, p. 806.

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«Il poeta aveva imparato a bere come un letterato accurato si esercita sui quaderni di appunti»65.

Sul modo in cui Baudelaire interpreta il genio di Poe, Valéry e Pessoa prendono strade diverse.

In Heróstrato Pessoa sostiene che Poe abbia sia genio che talento, dove per talento s’intende capacità di raziocinio. Il raziocinio sarebbe un tipo di arguzia, che si distingue dalla critica e dall’arguzia propriamente detta; il talento si suddivide, invece, in abilità costruttiva e capacità filosofica; il genio, infine, coincide semplicemente con l’originalità.

Se Pessoa riconosce a Poe genio, talento e capacità di raziocinio, allora significa che gli attribuisce originalità, una certa forma di arguzia e un’abilità costruttiva. D’altro canto, però, Pessoa specifica che l’attitudine filosofica di Poe era una «ficção gerada por sonhos»66,

come mostrerebbe la sua incapacità di ragionare con chiarezza su temi filosofici, nonostante la sua ammirabile facoltà di raziocinio67.

Che l’attitudine filosofica di Poe si esplichi attraverso un sogno era convinzione di Baudelaire e lo sarà in Au sujet d’Eureka anche di Valéry: l’origine dell’universo è un mito, un sogno generato dal lucido delirio di Poe.

Che cosa intende invece Pessoa quando sminuisce le capacità filosofiche di Poe? Lo chiarisce affermando che l’analisi critica della composizione di “The Raven” che Poe scrive è falsa perché si tratta di un’autoillusione costruita a partire dal raziocinio68.

In definitiva il giudizio di Pessoa su “The Raven” non è molto positivo. Gli riconosce lo studio sul ritmo, infatti cerca di riproporlo nella sua traduzione portoghese, ma non elogia nessun’altra caratteristica. Allo stesso modo considera The philosophy of composition una finzione generata del raziocinio che non potrà essere nient’altro che un’autoillusione, niente che esprima una teoria della composizione della poesia “The Raven”. Ciò che a Pessoa interessa di Poe è la sua particolare sfaccettatura del concetto di genio.

Pessoa, nelle considerazioni su Poe espresse in Heróstrato, riprende un’osservazione proposta da Baudelaire in Notes nouvelles sur Edgar Poe.

                                                                                                               

65 Ibidem.

66 Fernando Pessoa, Heróstrato. Obra em prosa, disponibile su

http://casafernandopessoa.cm-lisboa.pt/index.php?id=7348.

67 Ivi: «Um caso como o de Poe. Poe tinha génio. Poe tinha talento pois possuía grande capacidade de

raciocínio, e o raciocínio é a expressão formal do talento. A argúcia divide-se em três tipos — a argúcia propriamente dita, o raciocínio e a crítica; o talento em dois tipos — habilidade construtiva e capacidade filosófica; o génio é de um só tipo — originalidade. […] Temos tipos como Poe — génio associado a um elemento (raciocínio) da inteligência (a sua aptidão filosófica era uma ficção gerada por sonhos, como mostra a sua incapacidade de raciocinar com clareza sobre temas filosóficos, não obstante as suas admiráveis faculdades de raciocínio».

68 Ivi.: «Também a sua crítica é falsa; constrói-se a partir do raciocínio, como na sua célebre auto-ilusão sobre

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Molte persone, soprattutto tra quelli che hanno letto la singolare poesia intitolata Il Corvo, sarebbero scandalizzati se io analizzassi il saggio dove il nostro poeta ha, ingenuamente in apparenza, ma con una lieve impertinenza che non posso biasimare, spiegato minuziosamente le tecniche di costruzione che ha impiegato […]». E aggiunge: «I partigiani dell’ispirazione ad ogni costo non mancheranno di trovarci una bestemmia e una profanazione, ma io credo che l’articolo sia stato scritto proprio per loro. […] Edgar Poe, - uno degli uomini più ispirati che io conosca – ha messo tutta la sua affettazione nel nascondere la

spontaneità, nel simulare il sangue freddo e i propositi deliberati69.

L’osservazione è condivisa anche da Mallarmé in chiosa alla sua traduzione di “The Raven” pubblicata nel 1875.

Quasi tutti han letto […] quella prosa in cui il Poe si compiace di analizzare il suo The Raven, smontando la poesia strofa dopo strofa, per spiegarne il misterioso terrore, e con quale sottile meccanismo dell’immaginazione egli seduce il nostro animo. La memoria di un esame quasi sacrilego d’ogni effetto perseguita allora la lettera, anche se è trascinato dalla foga della poesia. Che pensare dell’articolo tradotto da Baudelaire con il titolo Genèse d’un poème, e da Poe intitolato The philosophy

of composition, se non che è un puro gioco intellettuale?70.

A riprova del fatto che The philosophy of composition è solo una delle migliori performance di colui che con elogio Baudelaire aveva definito un «giocoliere», Mallarmé cita l’estratto di una lettera di Mrs Suzan Achard Wirds a Mr William Gill:

Discutendo di The Raven, Poe m’assicurò che la relazione da lui pubblicata sul metodo di composizione di quest’opera non aveva nulla di autentico, e che egli non aveva calcolato che le si attribuisse questo carattere. […] Aveva prodotto quella relazione semplicemente a titolo

d’ingegnosa esercitazione71.

Su quest’opera d’ingegneria letteraria da istrione della letteratura, Valéry non si esprime più di tanto, eppure – osserva Bémol – le analisi intellettuali di Poe erano di natura tale da «rendre sensible à un esprit épris de rigueur et de sincérité, comme celui de Valéry, la tare de toute la littérature, ce qu’il appelle lui-même le charlatanisme inhérent à la recherche des effets»72.

                                                                                                               

69 C. Baudelaire, Opere, cit. pp. 829-830.

70 Stéphane Mallarmé, Le Corbeau, tr. it. in E. A. Poe, Il corvo. La filosofia della composizione, cit., p. 18. 71 Ivi, p. 19.

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