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II. 2.2.2.1 Gli swaps

II. 2.6 I derivati implicit

Vi sono alcune sentenze dei Tribunali di merito estremamente interessanti in materia di derivati impliciti. La sentenza che qui si analizza è quella emessa dal Tribunale di Udine277 dove la parte attrice adisce il citato Tribunale al fine di accertare l’esistenza, all’interno del contratto di leasing, di un derivato “occultato” e, dal momento che la controparte non è un operatore qualificato, dichiarare la nullità o, in subordine, l’annullamento del contratto determinato dall’errore. Ovviamente, il convenuto chiede il rigetto della domanda attorea perché infondata ed il contestuale riconoscimento del credito vantato nei confronti dell’attore. Non è possibile prendere visione della clausola, ma nel dispositivo si riporta che l’utilizzatore era obbligato a corrispondere dei canoni periodici a tasso fisso. Due ulteriori clausole (lettere D e L) prevedevano disposizioni difformi nelle quali si affermava che il piano finanziario prevedeva canoni variabili in base a due criteri di indicizzazione; che il parametro utilizzato per la formulazione del piano finanziario di base è il tasso indicato in contratto alla lett. L; che la provvista usata da HYPO per pagare il prezzo del bene è rapportata al tasso di cambio Euro/CHF indicato alla lett. L.

Nella pratica, la clausola D è rimasta, sostanzialmente, inapplicata e i canoni periodici sono stati versati dall’attore nel termine e nella misura prestabilita. Orbene, il giudice rileva immediatamente che se il tasso Libor CHF 3 mesi 365 fosse rimasto variato nel tempo rispetto alla base di calcolo stabilita nella clausola L del contratto, si sarebbe proceduto a rielaborare il piano finanziario, adeguandolo alla variazione intervenuta in rapporto sia al capitale residuo sia al numero di canoni residui. All’interno del contratto, però, non viene precisato le modalità con cui sarebbe dovuta avvenire detta rielaborazione. Il contratto non spiega precisamente come la menzionata rielaborazione sarebbe dovuta avvenire. Ed il giudice rileva che: «nell’operatività concreta del rapporto fra le parti ciò ha comportato nel

277 TRIB. UDINE, 24 febbraio 2015, ined. Ne seguono altre che condividono il medesimo impianto

metodologico e giungono, ovviamente, alla medesima conclusione: TRIB. UDINE, 25 agosto 2015 n. 1179/2015; TRIB. UDINE, 1° settembre 2015, n. 1196/2015. In tutte e tre le sentenze è convenuta sempre il medesimo soggetto, la società denominata Hypo Alpa Adria Bank S.p.A.

124 tempo il seguente risultato: ogni volta che l’indice Libor CHF 3 mesi 365 si è rivelato superiore al parametro contrattuale (1,25), si sono determinati importi a debito per il conduttore; viceversa, nel caso contrario. Dall’avvio del contratto al mese di ottobre del 2008 l’indice in parola (stabilito al 1,7 nell’ottobre del 2006) è rimasto superiore al parametro contrattuale, e dunque si sono generate poste a debito del conduttore; in seguito l’indice si è mantenuto stabilmente a livello inferiore a tale livello, e ciò ha comportato il riconoscimento di crediti a favore del conduttore». Nel contratto si inseriva anche una seconda previsione di variabilità:

il rapporto di cambio tra Euro e Franco svizzero (c.d. rischio cambio). Il canone periodico doveva essere rapportato alle future variazioni del rapporto di cambio. L’attore sostiene di non aver ricevuto alcuna informazione in merito ai rischi dedotti nel contratto e, più nello specifico, ritiene che le clausole di variabilità inserite nella pattuizione siano degli strumenti finanziari di tipo derivato, pertanto si sarebbero dovute applicare le regole del T.u.F. e del Regolamento Intermediario all’epoca vigenti, soprattutto in maniera di informazione precontrattuale. Ma, aspetto ancor più rilevante, avrebbe dovuto proporre la sottoscrizione un intermediario abilitato; come si è visto nei paragrafi precedenti, l’assenza del titolo di operatore qualificato può inficiare il contratto fino al punto di renderlo nullo.

La decisione del giudice si discosta dai precedenti del medesimo ufficio278, che in

casi similari hanno ritenuto di non dover applicare il T.u.F. dal momento che al contratto di leasing si applica esclusivamente la disciplina del T.u.B., la Delibera CICR del 4.3.2003 e la Circolare della Banca d’Italia n° 229/1999 e non ha qualificato le clausole indicizzate come strumenti finanziari derivati.

Il giudice de quo ritiene che il contratto contenga degli strumenti finanziari derivati, nello specifico si tratta di un futures e di un option279. La clausola LIBOR CHF –

278 TRIB. UDINE sentenze nn. 916/13 e 593/14.

279 Più nello specifico, nella pronuncia si legge che: «Ciò perché esse prevedono che i canoni

contrattuali rimangono invariati (e dunque stabiliscono l’obbligo per una parte di pagare all’altra un importo fisso), mentre avviene separatamente uno scambio di denaro (offset) determinato moltiplicando il debito residuo per la differenza esistente tra il tasso base stabilito alla data di sottoscrizione del contratto ed il valore del parametro di riferimento (Libor CHF; tasso cambio Euro/CHF) rilevato tempo per tempo. In questo modo l’ammortamento dell’importo finanziato col leasing avviene a tasso fisso, mentre distintamente vengono addebitate o accreditate al conduttore le differenze derivanti dal calcolo della formula di indicizzazione; ciò fa sì che la pattuizione

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di indicizzazione di rischio tassi – non determinava solo il mutamento dell’ammontare degli interessi, la differenza tra tasso di riferimento pattuito e tasso realmente individuato si aggiungeva al tasso in base sulla base del quale era stato costruito il piano finanziario originario; detta sommatoria doveva poi essere impiegata per individuare il nuovo importo della rata. In altri termini, il cliente non può avvantaggiarsi del ribasso del tasso Euribor in quanto, con questa clausola, dovrà comunque pagare all'intermediario un tasso di interesse «floor» molto più elevato del tasso corrente di mercato. Di poi, con riguardo alla clausola EURO CHF – di indicizzazione di rischio cambi – il giudice rileva che la valuta estera non è stata utilizzata dalle parti come moneta contrattuale dal momento che questi hanno adottato l’euro e nessuno tra questi dipendeva dalle oscillazioni della valuta franco- svizzera. Sorge dunque il problema della regolamentazione e della disciplina applicabile, dato che tale tipologia di derivato implicito (embedded)280 non è regolamentato nel Testo Unico Finanziario (e neppure nel codice civile).

Per sua natura (e per la sua complessità) appare evidente che il cliente avrebbe dovuto essere informato specificamene sulla tipologia del derivato e sugli scenari probabilistici. Né appare persuasiva l'eventualità di sacrificare l'informazione del cliente/risparmiatore sul presupposto cha a prevalere sia la causa del contratto di mutuo o di leasing (come affermato anche dalla citata giurisprudenza udinese). Il rischio, in altri termini, è che, sulla scorta della causa prevalente, si tenti di aggirare l'informazione facendo rientrare nel tradizionale schema del contratto di leasing un contratto derivato. Al più si potrà configurare un collegamento negoziale – come afferma il giudice della sentenza oggetto di commento- che salvaguarda l'autonomia dei singoli contratti e che impone — nel caso di derivato — l'applicazione dello specifico obbligo di informazione con conseguente applicazione dei rimedi in caso

principale, relativa al finanziamento, si distingua come del tutto autonoma ed isolata rispetto alle clausole di indicizzazione, collegata ad esse solo per l’inserimento, all’interno della formula di calcolo di queste ultime, di un elemento che rappresenta il capitale residuo da restituire».

280 Si definisce derivato incorporato (embedded/derivative) quel contratto che incorpora uno

strumento finanziario primario e uno strumento finanziario derivato, in quanto alcuni flussi finanziari e quindi l'intero flusso finanziario del contratto dipendono dai prezzi o dagli indicatori di attività finanziarie

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di sua violazione281. Il giudice non dichiara la nullità delle clausole in questione282,

ma dispone il risarcimento del danno emergente.

Di diverso avviso è la Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha negato che le operazioni cambio con valuta estera nell’àmbito di taluni contratti di mutuo rappresentino degli strumenti finanziari283. Il Ráckevei Járásbíróság (giudice del distretto di Ràckeve, Ungheria) chiede alla Corte di giustizia se la concessione di un mutuo in valuta estera, come quello di cui al procedimento principale, possa essere considerato come prestazione di un servizio di investimento, al quale si applicano le disposizioni della Direttiva 2004/39/CE. In tal caso, la Banca, ed in modo particolare l’intermediario, avrebbero dovuto rispettare una serie di obblighi indicati nella Direttiva. La Corte rileva la natura essenzialmente accessoria delle operazioni di cambio e dal momento che il mutuatario mira solamente ad ottenere fondi in previsione dell’acquisto di un bene o di un servizio e non a gestire un rischio di cambio o a speculare sul tasso di cambio di una valuta estera, le operazioni di cui trattasi non hanno lo scopo di realizzare servizi di investimento. Le operazioni di cambio in parola sono inoltre connesse ad uno strumento (il contratto di mutuo) che non costituisce uno strumento finanziario ai sensi della direttiva.

281 Per un approfondimento si rinvia a F. GRECO, Informazione pre-contrattuale e rimedi nella

disciplina dell'intermediazione finanziaria, Milano, 2010.

282 Altri Tribunali di merito si sono espressi dichiarando talune clausole nulle. Detti precedenti

vengono richiamati anche nella sentenza citata e sono: APP. TERNI, 3 maggio 2013; APP. MILANO,

18 settembre 2013; TRIB. TORINO, 17 gennaio 2014, nella quale il giudice dispone che nelle operazioni di interest rate swap la circostanza che, al momento della conclusione del contratto, l'investitore non sia a conoscenza del c.d. «mark to market» (inteso come il valore di mercato del contratto la cui stima venga effettuata attualizzando i flussi di cassa attesi) e che tale elemento non rientri nel contenuto dell'accordo, determina la radicale nullità del contratto. Infatti tutti gli elementi dell'alea e gli scenari che da essa possono discendere, integrano la causa del contratto derivato e devono pertanto essere definiti e conosciuti ex ante, con assoluta certezza, sia dal contraente debole che dall'intermediario: in mancanza di ciò, il contratto di interest rate swap deve considerarsi nullo per difetto di causa, non potendo meritare tutela un negozio caratterizzato dalla creazione di alee reciproche e bilaterali ignote ad uno dei contraenti. Di poi, si analizzi anche la giurisprudenza di legittimità che dichiara nullo il contratto se non è un operatore qualificato a proporlo. Sul punto si veda il paragrafo precedente relativo alla tutela dell’investitore.

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