• Non ci sono risultati.

3. IL SITO UNESCO "PORTO VENERE, CINQUE TERRE E ISOLE"

3.2. Descrizione dell’ambiente naturale e di quello rurale

Ambiente naturale

Nell’area del sito i soprassuoli forestali oggi si estendono dalla linea di costa fino al crinale (quasi 800 m.l.m) arrivando ad occupare il 77% della superficie territoriale; boschi a prevalenza di pino marittimo e dei boschi misti di conifere e latifoglie sono le categorie più diffuse, a cui seguono arbusteti, boschi a prevalenza di latifoglie sempreverdi, boschi a prevalenza di castagno e boschi a prevalenza di altre latifoglie decidue.

45 Come risulta evidente dallo studio diacronico effettuato sul Sito UNESCO21 la presenza consistente delle formazioni forestali nel paesaggio rurale trova la sua origine nei fenomeni di abbandono dell’attività agricola e pastorale. I cambiamenti che hanno interessato il paesaggio del Sito UNESCO negli ultimi quarant’anni sono stati particolarmente significativi, sia a livello quantitativo sia a livello qualitativo.

Gli arbusteti e gli arbusteti con pino marittimo si concentrano per quasi la metà della loro superficie in due comuni (Monterosso e Vernazza) a una quota media di 300 m s.l.m dalla linea di costa a quella di crinale (quota massima raggiunta da questa formazione forestale nel Comune di Vernazza con 765 m s.l.m.).

Lungo i 700 metri di dislivello della costa si susseguono microclimi diversi che hanno favorito l'insediarsi di molte specie diverse, per metà di tipo mediterraneo e per il resto varietà montane endemiche e rare. Negli ambienti rupestri e litoranei sono presenti numerosissime specie arbustive tipiche mediterranee come il Crithmum maritimum (finocchio di mare) e la Cineraria marina e ben visibili ovunque anche arbusteti di Laurus nobilis (alloro), Rosmarinus officinalis (rosmarino), Thymus (timo), Helichrysum (elicriso), Capparis spinosa (cappero) e Lavandula (lavanda) o anche numerose specie arboree e piante grasse ben visibili da molti sentieri costieri22.

Gli arbusteti, inoltre, si differenziano per i diversi stadi evolutivi del manto; quello più evoluto legato alla ricostruzione della macchia e quello di regressione, causato dal dilavamento del suolo. La macchia occupa abbondanti porzioni di territorio, in molti casi ex coltivi e pascoli, e rappresenta uno degli aspetti più diffusi del paesaggio del Sito. In genere si tratta di raggruppamenti vegetali che rappresentano fasi regressive o progressive della lecceta. La sua composizione floristica è piuttosto eterogenea: sono presenti erica e corbezzolo, ginestra (nelle zone più aride), euphorbia dendroides, mirto, leccio, ginepro. Tutte queste specie generano un manto vegetazionale talmente fitto e chiuso che in molti punti risulta assolutamente impenetrabile, facilitando così lo sviluppo delle piantine di leccio. Quando invece i coltivi abbandonati sono situati a quote più elevate (o su versanti a settentrione), si attesta una macchia composta da specie meno xerofile, dove generalmente domina l’erica arborea ma anche il corbezzolo. Se i coltivi si trovano ai margini della pineta o la macchia si insedia su zone percorse da incendio, spesso l’erica è accompagnata da plantule di pino marittimo che preludono all’instaurarsi del bosco di conifere.

21 Vedere par. 6.1. sui risultati dell’analisi VASA.

22 Il Parco nazionale delle Cinque Terre ha redatto l'elenco completo delle specie vegetali presenti nel suo territorio, in un elenco floristico in cui compaiono 618 specie, cioè 1/10 circa dell'intera flora nazionale e 1/5 di quella regionale. Le ragioni di tale ricchezza vanno ricercate nella varietà di ambienti presenti nel Parco determinata dai contrasti fra substrati geologici diversi e fra aree coltivate e naturali. Le presenze più significative all'interno del territorio del Parco sono riconducibili a tre categorie: specie endemiche o subendemiche, specie di interesse estetico-paesaggistico, specie rare o al limite dell'areale. Le entità endemiche raccolgono specie con areale molto ristretto o con distribuzione limitata alla Liguria e all'alto Tirreno, tra le quali si possono citare: la crespolina ligure (Santolina logistica), il fiordaliso di Luni (Centaurea aplolepa lunensis), il cavolo delle rupi (Brassica oleracea robertiana) e la campanula media (Campanula medium). Alcune specie poco competitive trovano rifugio in questi ambienti “ostili” perché la concorrenza con altre specie è minore: è il caso della genista di Salzmann (Genista salzamannii), dell'euforbia spinosa ligure (Euphorbia spinosa ligustica) e della festuca a foglie robuste (Festuca robustifolia). Le piante di interesse estetico-paesaggistico sono spesso le più soggette a raccolta e pertanto molte di esse sono tutelate dalla legge regionale nº 9/1984.

46 Figura 11: Pineta di pino marittimo sul crinale di Manarola a contatto con le colture agrarie terrazzate.

Ad una quota media di 400 m s.l.m si sviluppano i boschi a prevalenza di pino marittimo. Si tratta di formazioni che caratterizzano fortemente il paesaggio e, dal punto di vista idrogeologico, potrebbero avere un buon valore di protezione del suolo se fossero in condizioni ottimali di salute e stabilità. Purtroppo le pinete presentano diversi fattori di decadimento, più o meno spinto, dovuti primariamente ad aggressioni di

Matsucoccus feytaudi ed alle fitopatie correlate, secondariamente ad incendi, che determinano situazioni

elevate di degrado. Gli elementi predominanti tra gli arbusti, il corbezzolo e soprattutto l’erica arborea, sono tipici di suoli impoveriti e inariditi, e testimoniano il passaggio di incendi. Anche le altre specie erbacee e arbustive, per quanto presenti in misura limitata, quali la robbia, l’asparago, la strappabraghe, la ginestra spinosa, il cisto femmina, l’alaterno e le stesse plantule di leccio, portano ad individuare una tendenza in questa comunità alla ricostruzione della lecceta. L’evoluzione di queste formazioni verso un primo stadio di macchia più compatta potrebbe essere relativamente rapida, nonostante la presenza di un terreno poco fertile e soggetto ad erosione a causa del denudamento cui è attualmente sottoposto, purché in assenza di ulteriori incendi, che purtroppo risultano invece un rischio costante a causa della presenza di materiale morto derivante dai pini in decadimento progressivo e costante. Le formazioni forestali a prevalenza di latifoglie arboree sempreverdi (sclerofille) comprendono due specie: le formazioni pure o miste di leccio (Quercus

ilex) e sughera (Quercus suber) in cui il leccio è presente in forma ora arbustiva, ora arborea. Sovente la

fisionomia è quella di boscaglie più che di vere e proprie foreste ben strutturate, costituendo infatti quasi sempre formazioni secondarie, risultato di una evoluzione piuttosto recente, più o meno vicine allo stadio climacico. Tale situazione è dovuta principalmente all’azione antropica, che nel passato ha sostituito gran parte dei boschi di leccio con colture e terrazzamenti o a causa dell’espansione urbanistica, anche se in misura minore. Ragione aggiuntiva a spiegazione della ridotta ampiezza dei boschi di leccio è la politica forestale, che soprattutto dalla seconda metà dell’800 fino a oltre la metà del secolo scorso, ha favorito l’impianto di conifere, tra cui il pino marittimo, per la riforestazione, anche in quelle zone adatte alla ricostituzione seppure lenta della lecceta. Le condizioni climatiche di sub-mediterraneità della Liguria orientale, tuttavia, favoriscono il leccio, che tenderebbe a formare, in condizioni edafiche idonee con terreni

47 non eccessivamente superficiali e in assenza di disturbo, boschi più evoluti e strutturati. I boschi di sclerofille sempreverdi si concentrano per il 45% della loro estensione su due Comuni: Riomaggiore e Vernazza, ad una quota media simile ai boschi di pino marittimo ma a differenza di quest’ultimi queste formazioni caratterizzano anche le linee di costa insieme alle formazioni arbustive. La distribuzione di questi soprassuoli negli altri Comuni del Sito è abbastanza equilibrata, ad eccezione del Comune di Pignone, dove non risultano presenti. Attualmente i boschi di leccio sono comunque costituiti da cedui, i cui nuclei più maturi sono localizzati tra Campiglia e case Boccardi, tra S. Antonio e la Costa di Schiara e in formazioni frammiste alla sughera, in località Drignana e sul Promontorio del Mesco. Si tratta di cedui con individui generalmente di scarso sviluppo dimensionale, in cui i tagli non vengono svolti con regolarità o mancano da parecchi anni. La presenza della sughera rappresenta un motivo di estremo interesse per il paesaggio boschivo del Sito. Questo tipo di quercia, diffusa in particolar modo nella zona di Schiara, testimonia, inoltre, un periodo del passato sicuramente più caldo e meno piovoso dell’attuale, in cui la sua diffusione non era così limitata come nella nostra epoca. Da segnalare come la sughera di questi luoghi costituisca il limite settentrionale della sua area di diffusione. Il bosco a prevalenza di castagno, quando le condizioni climatiche lo consentono, è presente in molte aree del Sito.

A seguito dell’abbandono i boschi a prevalenza di castagno tendono ad evolvere verso le originarie cenosi a prevalenza di rovere, faggio, cerro, carpino nero, più localmente, leccio e roverella. Questo fenomeno avviene nella maggior parte dei casi attraverso una fase intermedia a latifoglie mesofile o pioniere, in relazione alle caratteristiche stazionali, a cui può seguire il collasso colturale per progressivo ribaltamento delle ceppaie. I boschi misti a prevalenza di latifoglie decidue sono costituiti da alberi di castagno, ontano, pino marittimo, leccio e in alcune casi querce come la roverella.

I boschi misti di conifere e latifoglie possono distinguersi tra formazioni più termofile con leccio, ed altre più mesofile, dove sono presenti specie quali il castagno o il carpino nero. Queste cenosi differenti per esigenze ecologiche, in cui il pino marittimo è comunque presente, sono possibili perché il pino marittimo è una specie dotata di una certa ampiezza ecologica, capace di formare cenosi ad altezze relativamente elevate o in versanti freschi. In generale tuttavia dove le condizioni edafiche e stazionali lo consentono, e in assenza di incendi, le latifoglie tendono a prendere il sopravvento e a ricostituire i boschi originari. La tendenza di questa formazione è di ricostituire la lecceta: il leccio infatti, oltre ad essere presente nello strato arboreo, è presente anche negli strati inferiori dimostrando un’elevata capacità di rinnovamento. Al contrario, i pini sono presenti nel solo strato arboreo, sebbene con una folta copertura. Il castagno, il corbezzolo e la felce aquilina indicano condizioni di leggera acidità del suolo e del passaggio del fuoco.

I boschi a prevalenza di pino domestico sono boschi di origine artificiale (rimboschimenti) effettuati lungo le fasce costiere. Molto spesso, in particolare per i popolamenti delle zone costiere, il rimboschimento si presenta più o meno denso, con uno strato inferiore pressoché ininterrotto di arbusti termofili fra cui dominano erica arborea e calicotome spinosa che riducono molto le possibili evoluzioni dinamiche.

48 I boschi a prevalenza di altre conifere sono presenti per il 94% della loro estensione nel comune di Porto Venere e sono formati da popolamenti puri di pino d’Aleppo. Questa sembra essere specie introdotta, anche se da tempo immemore: nei biotopi in questione ha comunque raggiunto una situazione di tale equilibrio con le altre componenti naturali da poter essere considerato elemento costitutivo delle relative biocenosi. Questi ambienti ospitano anche molte specie arbustive xerofile In particolare, l’euforbia arborea dalle rocce sul mare si diffonde velocemente nelle terrazze abbandonate andando a svolgere un’importante funzione di ricostruzione del manto vegetale, quale prima fase della successione ecologica, che passando attraverso la macchia dovrebbe portare alla lecceta.

Ambiente rurale

Le aree prative e pascolive si sono ridotte drasticamente negli ultimi decenni. Delle poche aree pastorali rimaste queste sono ricomprese su classi di pendenza comprese tra il 19% (10 gradi) e il 57% (29,9 gradi). I pascoli nudi sono presenti solo nelle pendenze meno acclivi (classe di pendenza tra 19% e il 36%). I pascoli arborati sono presenti principalmente su terreni più acclivi (pendenze comprese tra il 37% e il 57%).

Figura 12: Pascolo arborato nel comune di Pignone. La cotica erbacea è completamente scomparsa, probabilmente a causa dell’eccessivo carico animale immesso al pascolamento.

Tra le aree coltivate, vite e olivo rappresentano le colture maggiormente diffuse. Oltre a queste si trovano ancora consociazioni vite-olivo, seminativi semplici, seminativi con vite e/o olivo, orti, frutteti e altre colture promiscue.

Il paesaggio storico terrazzato delle Cinque Terre è opera di enormi modifiche effettuate dall’uomo nell’arco di 1000 anni di storia, con duro lavoro, continuo e assiduo, di molte generazioni che hanno sostituito nei secoli la macchia mediterranea e l’area boschiva che copriva i fianchi dei monti con la messa a coltura della vite in terrazzamenti. Dopo l’inerzia forzata riscontrabile nei secoli altomedievali, contrassegnati da un

49 generale oscurantismo e da un imbarbarimento delle pratiche agricole, intorno all’anno Mille si notano, relativamente all’estremo Ponente ligure, i primi segnali di un timido risveglio dell’economia. Si rimettono a coltura terre da tempo abbandonate o devastate dalla violenza delle incursioni saracene, riservando ampio spazio alla vite. I documenti storici attestano che, rispetto ai secoli precedenti, attorno al Mille, la vita ricominciò a rifiorire anche nelle Cinque Terre e a Porto Venere, con la nascita dei cinque borghi e delle prime sistemazioni agrarie. I primi terrazzamenti, risalenti al XII secolo, vennero infatti costruiti con blocchi di arenaria e consolidati tra loro con la sabbia. Le fasce terrazzate si estendono su tutta l’area del Sito sia sul livello del mare, sia al di sopra dei dirupi e delle pareti rocciose impraticabili, incombenti sul mare, a quote variabili da zona a zona, comunque generalmente notevoli, dell’ordine medio dei 350-400 m., con punte massime che superano i 500 m. ed anche oltre, se si considera che talune aree a terrazze sono da tempo ricoperte dal rimboschimento a pineta. Tale paesaggio morfologico è stato creato dall’uomo con una prima fase di interventi massicci, i cui inizi datano tra il 1000 e il 1100 con un impegno di diverse generazioni, fino intorno al 1300, per essere poi completato nei secoli successivi. Il lavoro di costruzione si è sviluppato per lunghe fasce orizzontali, parallele alle isoipse, con ampiezza media intorno ai 3-4 m., potendo oscillare da un minimo di 1,5 ad un massimo di 10-12 m. I muri di dimensioni medie hanno una sezione di circa 1,2-1,7 mq. derivante da una sagoma trapezia con base 0.80-1 m., sommità 0,50 m. e altezza 1,80-2,30 m.; esistono poi naturalmente muri più piccoli e altri molto grandi, talora giganteschi e costituiti da blocchi ciclopici per un totale di muretti calcolato sull’ordine di 2.000.000 di mc23.

Per quanto riguarda le tipologie di terrazzamenti presenti all’interno del sito UNESCO “Portovenere Cinque Terre e Isole”, lo studio condotto dalla prof.ssa Besio tra il 2001 e il 2004 nel Parco Nazionale delle Cinque Terre ha rilevato tre tecniche costruttive.24

Le terrazze propriamente dette sono una successione di muri in pietra a secco, che seguono l’andamento delle curve di livello e contengono le piane coltivabili (le lenze), più o meno profonde a seconda della pendenza del versante. L’utilizzo della tecnica della pietra a secco, e quindi l’assenza di legante, garantisce il drenaggio dell’acqua in eccesso. La dicitura “pietra a secco” è posta ad indicare come gli elementi che costituiscono il muro di sostegno siano sistemati l’uno vicino all’altro senza l’uso di malte che facciano da legante. I muri realizzati in questo modo possono avere altezze variabili in funzione della pendenza dei versanti su cui sono costruiti, e lunghezze altrettanto variabili in funzione, oltre che delle caratteristiche dei versanti, anche della parcellazione del territorio. In generale, tali strutture sono opere pluristratificate nelle quali è possibile leggere le frequenti ricostruzioni conseguenti ai crolli. Questa tipologia di muri a secco può essere ulteriormente suddivisa in due sottotipi: i muri la cui testa si trova a filo del piano d’uso, e quelli la cui

23

Signorini T. Storti M., 2004 - Il paesaggio storico delle Cinque Terre. Individuazione di regole per azioni di progetto condivise, Firenze University press, Firenze

24

Parco Nazionale delle Cinque Terre, Manuale per la costruzione dei muri a secco. Linee guida per la manutenzione dei terrazzamenti delle Cinque Terre, LIFE 00 ENV/IT/000191 PROSIT Pianificazione e recupero delle opere di sistemazione del territorio costiero delle Cinque Terre, 2005

50 testa è posta oltre il piano d’uso. Entrambi i tipi fanno riferimento alla stessa tecnica costruttiva, cosicché le differenze si limitano esclusivamente alla geometria del muro di sostegno.

I muri la cui testa è posta oltre il piano d’uso hanno, infatti, la caratteristica di proseguire per diverse decine di centimetri oltre il piano di coltivazione, al di sopra del quale si configurano come veri e propri muri a doppio paramento (sempre, però, in pietra a secco). Contrariamente alla tipologia in cui la testa del muro termina a filo del piano d’uso, che ha una diffusione pressoché omogenea in tutto l’areale indagato, i terrazzamenti con muri rialzati sono presenti soprattutto nelle aree di levante, dove vi è un eccesso di materiale litico nei terreni di coltura e vi è quindi la necessità di effettuare un maggiore spietramento del terreno rispetto ad altre aree. La sopraelevazione costituisce, inoltre, anche una protezione dai venti per alcuni tipi di coltura, e serve da camminamento per il passaggio degli agricoltori lungo la fascia. Inoltre il rialzo del muro svolge un effetto barriera che favorisce l’accumulo e l’infiltrazione d’acqua nel terreno che, in questo areale di diffusione, è sempre molto granulare, grossolano e permeabile. In generale i muri a secco, pur essendo accomunati da regole costruttive di base, presentano differenze dovute al tipo di materiale litico impiegato e a regole costruttive di limitata portata territoriale, quali ad esempio l’uso della terra per regolarizzare i letti di posa delle pietre.

I terrazzamenti con muri di contenimento in pietra legata da malta di calce si trovano generalmente nelle aree di fondovalle dei comuni di Vernazza e Monterosso; nei terreni, cioè, più ad ovest del Parco e caratterizzati da una maggiore diffusione della coltivazione degli agrumi. Essi sono realizzati con materiale litico di buona qualità (talvolta anche di cava) che – contrariamente a quanto avviene nei muri in pietra a secco - viene tenuto assieme con della malta di calce. Questa tecnica consente di realizzare muri più duraturi, con minore necessità di manutenzione, e con altezze superiori rispetto a quelle delle opere in pietra a secco. Le strutture realizzate in tale modo si configurano come costruzioni di maggior valore che, necessariamente, sono legate anche a coltivazioni di maggiore pregio quali, ad esempio, i limoneti. Al fine di proteggere le coltivazioni dai venti il muro veniva rialzato rispetto al piano di campagna svolgendo in tal modo anche la funzione di delimitazione e recinzione della proprietà. A differenza delle altre sistemazioni in questo caso il piano di coltivazione (cian) è sempre perfettamente pianeggiante. I cigli erbosi si trovano quasi esclusivamente in alcune aree dei comuni di Monterosso e di Vernazza soprattutto poste nel bacino idrografico della Val di Vara, in quanto tale sistemazione può essere adottata solo dove vi sono terreni eminentemente argillosi (o comunque dotati di buona coesione), e con una pendenza non troppo elevata quali sono, appunto, i terreni più interni del sito, ove oltretutto vi è una scarsa disponibilità di materiale litico per la costruzione di muri. La stabilità del terrazzamento in questi casi è, infatti, garantita dalla realizzazione di una scarpata con terreno costipato e frammisto a pietre informi ove si favorisce lo sviluppo di una cotica erbosa a zolle (in dialetto: cuiga) che impedisce l’erosione ed il dilavamento superficiale lungo la scarpata stessa.

Le colture agricole terrazzate sono costituite da oliveti, vigneti, seminativi, frutteti ed orti, in forma di monocolture o policolture. Le colture principali sono il vigneto e l’oliveto, le quali rappresentano la quasi

51 totalità delle coltivazioni presenti sui terrazzamenti. La loro articolazione nel paesaggio rurale mostra ulteriori diversificazioni, risultato della evoluzione storica delle tecniche agricole, in termini di architettura degli impianti e forme di allevamento. Per quanto riguarda i vigneti, la tecnica di allevamento più caratteristica del Sito è la “pergola bassa”. È costituita da una intelaiatura con palo in legno e filo di ferro su cui si allevano le viti, creando un tappeto vitato che si sviluppa in modo continuo occupando quasi l’intera superficie dei terrazzi. Il piano della pergola è inclinato verso valle, con altezze di circa 140-160 cm verso la parte a monte e di circa 60-80 cm, verso la parte a valle. Tale struttura consente di ridurre gli effetti negativi dei venti marini che per effetto del muro a secco e della struttura a tappeto, “scivolano” sopra la vigna riducendo il loro impatto. Questa tecnica di allevamento costringe spesso a vendemmiare al di sotto della pergola, con un lavoro faticoso che richiede un alto dispendio di energie e non consente la meccanizzazione. La forma di allevamento a spalliera rappresenta la forma di allevamento più moderna. Questa tecnica crea una architettura a filari disposti in più linee parallele secondo lo sviluppo del terrazzamento. Entrambe le forme di allevamento utilizzano prevalentemente i tre vitigni tipici delle Cinque Terre: Bosco, Albarola e Vermentino. Le produzioni dei vini sono regolate dai disciplinari di produzione: DOC Cinque Terre e Cinque Terre Sciacchetrà, DOC Colli di Luni, IGT Liguria di Levante (ex IGT Golfo dei Poeti).

52 Figura 14: Vigneti a spalliera terrazzati presso Corniglia.

Gli oliveti terrazzati si caratterizzano per architetture generalmente lineari, con file più spesso singole, disposte longitudinalmente ai terrazzi. In alcune piccole aree isolate, caratterizzate da terrazzi di grandi