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Determinismi e causalità nella droga.

Riduzionismi e approcci integrat

2.2 Determinismi e causalità nella droga.

Questa soggettività in bilico tra una dimensione duale, quella del soggetto costituente e costituito, e la primordialità dell'individuo come molteplice, ci aiutano a mettere in crisi il determinismo delle cause che generalmente è utilizzato per spiegare la tossicomania. La sociologia è la prima tra le tante discipline a cercare modelli predefiniti che giustifichino la caduta di un individuo nel “dramma della droga”, tralasciando la complessità del fenomeno. Spesso essa tenta di individuare in determinate connessioni tra contesti sociali predefiniti l'incontro tra persona e droga, generante un

sovra-contesto che segna la nascita della relazione tra i due110. Altri riduzionismi delle cause li

troviamo aprendo un qualsiasi manuale scolastico di psicologia o psichiatria, in cui sono presentate intere serie di teorie e ricerche sul motore immobile della dipendenza da droghe. È fondamentale sottolinearne la loro pericolosità in ambito terapeutico, perché spesso rischiano di tralsciare parti fondamentali della storia o della psiche dell'individuo, facendo degenerare il disturbo.

In questo spazio vogliamo riportare le più influenti teorie psicologiche e criticarne il riduzionismo, riportando infine un approccio integrato di tipo batesoniano che a noi sembra un buon punto di partenza per superare questi meccanismi banalizzatori.

Alcune delle spiegazioni in questo settore riconducono la tossicomania alla connessione tra una mancanza di controllo da parte delle strutture egoiche e superegoiche del soggetto interessato a un 110 Sono tre gli approcci sociologici principali: il primo, che riprende i modelli della scuola di Chicago, pone l’accento sugli effetti derivanti dal rapporto organizzazione/disorganizzazione sociale e sulla capacità che ha la società nel suo complesso di integrare, ma anche di espellere, parti della sua popolazione attraverso regole del gioco di natura concorrenziale. Grazie alla disorganizzazione sociale si creano zone autonome in contesti sociali specifici, che riorganizzanono il caos e l'emarginazione. Ciò porta all’associarsi degli individui all’interno di uno stesso contesto sociale in maniera differenziata con proprie regole comportamentali, più o meno conformi con la norma. I soggetti tossicomani in questo caso trovano una via per tornare a essere centrali all'interno della società che comincia così a farsi carico dei suoi problemi. Altri possono scegliere di seguire i valori della marginalità ed escludersi definitivamente; il secondo approccio è quello strutturale-funzionalista, che ha tra i suoi principali esponenti Robert King Merton, sociologo della devianza. Il quadro generale parte da fini culturali e norme istituzionalizzate verso cui gli individui assumono comportamenti di conformità, rinuncia, ribellione, innovazione. Il tossicomane in questo caso è un soggetto che ha rinunciato alla meta del successo e ai mezzi per raggiungerlo. Inoltre, egli fa anche parte di una categoria che Merton definisce funzione latente, ovvero non manifesta e i cui effetti sul reale non sono intenzionali. Il drogato come devinate è un debole che nel gioco dei ruoli ne è uscito sconfitto e, demoralizzato, ha adottato forme di addattamento che divergono dalla norma come le classiche “fughe dalla realtà” o “evasione dai problemi”. A Merton va riconosciuta una svolta verso una teoria a medio raggio che studi le devianze singolarmente, rispetto alla precedente teoria onnicomprensiva; terzo approccio è probabilmente quello più interessante, ed è quello della labeling theory o teoria dell'etichettamento. Nella carriera del tossicomane il suo destino, secondo questa teoria, sarebbe segnato da quando un gruppo sociale più forte lo ha definito come deviante in modo che lui interiorizzasse questo stigma. La somiglianza di questa teoria con ciò che abbiamo detto nel primo capitolo sarebbe in parte plausibile, tuttavia essa spiega solo lo stigma e non spiega la responsabilità di quest'ultimo nel rapporto tra soggetto e droga: «la tossicomania spinge il soggetto a vivere in funzione della droga, comportando così modifiche nei suoi interessi e di conseguenza la sostituzione del ruolo societario ricoperto con quello “tipico” del tossicodipendente». Qui il rapporto unidirezionale con la droga è qualcosa di già dato, che non riconosce nel sistema dello stigma uno dei responsabili del tipo di uso che viene fatto della sostanza. La citazione e tutta l'esposizione di queste teorie è presa da: Cippitelli, C., Droghe, tossicodipendenza e tossicodipendenti, anno di pubblicazione non pervenuto, disponibile in: www.ristretti.it/areestudio/droghe/zippati/cippitelli.pdf.

vissuto difficoltoso; altri riconducono la dipendenza ad alcuni tratti ereditari o in stati patologici preesistenti; altre ancora spiegano il fenomeno con un approccio psicobiologico che vede negli squilbri biochimici endogeni del cervello l'origine della ricerca di un rimedio esogeno che riequilibri il sistema; infine, l'approccio psico-sociale, simile a quello sociologico, dice che la tossicomania è un disturbo che si insinua nella relazione tra contesto sociale di appartenenza e individuo, dissestando alla base questo rapporto in un rapimento del soggetto che consuma la sostanza. Questi approcci della psicologia sono speculari ai riduzionismi classici della clinica psichiatrica, vale a dire quello psicologico, quello biologico-chimico e quello sociale. Approfondiamo brevemente le diverse branche della psicologia e i loro modelli eziologici111.

In psicologia behaviorista la tossicomania è un comportamento mantenuto per via delle conseguenze che esso provoca. Esso è strumentale a ottenere un piacere, un tornaconto personale. Questo atteggiamento lo si apprenderebbe grazie a una sottoposizione a stimoli costanti, come quelli presenti al momento della somministrazione della sostanza. Questi poi provocano nel soggetto una risposta condizionata, un ricordo decisivo che lo porta a ripetere quelle esperienze. Gli stimoli si dividono tra ambientali – esterocettivi - e soggettivi – propriocettivi. Questi a loro volta si collegano al tono dell'umore e lo attivano quando sono nel raggio di percezione del soggetto. Secondo i comportamentisti ciò spiegherebbe anche il craving e la ricerca costante della sostanza.

L'approccio cognitivista «assume come punto di partenza la teoria dell'apprendimento sociale di Bandura […] Il comportamento d'abuso viene considerato multideterminato da una serie di fattori che fungono da reciproco rinforzo»112. Tra questi vi è la vulnerabilità biologica del soggetto, la

disponibilità a sperimentare l'abuso, la capacità di fronteggiare eventi stressanti o traumatici, la sua autostima. A un livello contestuale essi si riferiscono alla situazione contingente, alle pressioni sociali, alla disponibilità della sostanza e allo stato emotivo in cui si è quando la si incontra. La convergenza di questi due diversi livelli di fattori fa si che si possa o meno creare una situazione d'abuso. A livello cognitivo si tratta di far fronte a una situazione stressante e di riuscire ad adattarvisi: «La decisione è quindi frutto di un'elaborazione […] delle informazioni in suo possesso, e l'uso di sostanze è conseguente all'anticipazione e all'aspettativa di risultato, all'attribuzione di causa della propria azione, alla memoria degli eventi passati, alla capacità di assumere decisioni e risolvere problemi in modo alternativo e alla modalità in cui si esercita l'autocontrollo»113. Ci

sembra che il motivo di fondo di queste teorie sia una relazione univoca e bidirezionale tra mente e

111 Rimandiamo ancora a Cippitelli, C., op. cit.

112 Bara, B. G., Manuale di psicoterapia cognitiva, Bollati Boringhieri, Torino 1996, p. 555. 113 Ibidem.

contesto di apprendimento. Benché questo approccio garantisca a una moltitudine di fattori di partecipare all'evoluzione della tossicomania, sembra che tutti si ritrovino schiaccati tra due poli, l'interno e l'esterno, che interagiscono, ma secondo modelli predeterminati. In questo modo è facile lasciarsi sfuggire gran parte della storia individuale del soggetto.

Esistono altri due gruppi di teorie che destano il nostro interesse. Il primo è quello legato alle teorie della personalità, le quali cercano di individuare un modello di personalità tossicomane, per cui la sostanza consentirebbe di raggiungere uno scopo correlato al profilo soggettivo dell'individuo. L'idea alla base è quella di poter prevedere e prevenire qualsiasi relazione distorta con una sostanza. Ma Bergeret114 ci fa notare come in realtà, il sottile scopo sociale di queste ricerche risponda al

tentativo di denormalizzare il tossicomane, dimostrando che questo tipo di persona si presenterebbe fin dalla nascita come radicalmente differente. Il determinismo monocausale di questa ricerca è stato smentito da molteplici esperienze che ora non ci dilungheremo a riportare. Un secondo gruppo di teorie è quello della scelta razionale: per esse il comportamento d'abuso è riconducibile a una autodistruttività volontaria. Rendendosi conto che un'opzione è migliore ne scelgono comunque un'altra. Si può essere affetti, in questo caso, da miopia cognitiva, cioè dall'impossibilità di valutare gli eventi futuri, per cui ci si concentra solo sul vantaggio nel presente. Oppure, nonostante la capacità di valutare il futuro, c'è troppa più potenza del presente ad attrarre la persona.

Sui manuali di psicologia dinamica tuttavia, non viene riportata una definizione univoca di dipendenza. Questi riconoscono una molteplicitià di fattori causali. Di contro, non si fa sfuggire la ricerca di un substrato comune a tutte le forme di dipendenza da sostanze, laddove si trova scritto che l'abuso di droga «rappresenta un atto che ha in sé l'illusione di fare qualcosa per superare le difficoltà della vita quotidiana»115. Oltre all'autoterapia, la categoria psicologica che secondo questa

scuola spiega il nostro disturbo è la dissociazione. Questa consiste nella separazione di un gruppo di informazioni o processi mentali dal resto della coscienza, per facilitare il sostegno del carico di responsabilità della vita ordinaria. Gli stati di coscienza vengono trasportati e rifugiari in altri luoghi, più completi, attraversati dal piacere e dal sollievo. Nella dissociazione verticale, descritta da Arnold Goldberg, vi è un operazione di diniego e di piacere sui due fronti: da una parte si cerca di rimuovere un'idea insopportabile; dall'altra si insegue a tutti i costi il piacere per non pensare alla rimozione. A questo isolamento delle idee corrisponde un narcisismo che esclude a priori l'alterità per evitare i rischi che comporta confrontarsi emotivamente con le altre persone. Si piega il senso di sé su un'immagine autoesaltata. L'assunzione di una sostanza ripristina in maniera immediata e 114 Bergeret, J., Chi è il tossicomane. Tossicomania e personalità, Edizioni Dedalo, Bari, 1983.

115 Canizzaro, E., “Neurobiologia delle dipendenze”, in Caretti, V., La Barbera, D., Le dipendenze patologiche.

magica l'unione primitiva tra Io e Ideale dell'Io, scissi con l'entrata in società del bambino che diventa indipendente dalle cure materne. Il soggetto sperimenta la sensazione onnipotente di bastare a se stesso. Alla base di questo narcisismo vi è la rinuncia a pensare e a sapere le cose del mondo, in quanto farlo comporta una assunzione di responsabilità che smaschererebbe l'illusione dell'Io deificato. Le cause della patologia dissociativa vanno ricondotte, secondo la psicologia dinamica, a disfunzioni della riflessività e dell'attaccamento ai genitori. La consapevolezza nel bambino della natura degli stati mentali in se stesso e negli altri dipende dal non percepire in modo persecutorio o confusivo la condizione psichica dei suoi genitori. Senza funzione riflessiva o capacità di mentalizzare non si riesce a tenere separate la realtà esterna e quella interna:

Per alcune persone essere reali nel mondo reale coincide con un'esperienza di sé troppo dolorosa. Risulta evidente che quando un individuo non è stato messo adeguatamente nella condizione di giocare con la realtà avrà bisogno spesso e volentieri di creare stati alterati di coscienza, ovvero stati dissociativi, la cui matrice sensoriale ha lo scopo di annullare la realtà ordinaria. Le reiterazioni di questi stati a scopo difensivo possono con il tempo, nel corso delle fasi evolutive, costruire la dinamica di base delle dipendenze patologiche116.

Trapela da queste teorie la tendenza a deresponsabilizzare il tossicomane, o meglio, a far passare l'immagine di un irresponsabile. Non crediamo che gli obiettivi della psicologia dinamica siano questi, ma vorremmo invitare ad avere una visione della responsabilità per così dire integrata. Nella tossicomania, in una certa forma, esiste una responsabilità. Una responsabilità integrata è una responsabilità che viene vista retroattivamente e che analizza gli atti di ogni soggetto attraverso le strade che si sono intraprese. Il tossicomane, benché schiavo, ha uno spazio di libertà attraverso cui si è collocato nella sua schiavitù. Dimenticarsi di responsabilizzare il tossicomane e ripetere all'infinito quanto lui non sappia reggere la quotidianità, rischia da una parte di vittimizzarlo all'ennesima potenza, dall'altra di demonizzarlo perché ha perso il controllo della sua vita. In entrambi i casi si perderebbe di vista il suo spessore umano.

Tutte le teorie passate in rassegna fino ad ora sono limitate dal fatto di rimanere quasi sempre fedeli solo a se stesse. Riconducendo un comportamento così complesso dal punto di vista esistenziale a meccanismi esaustivi ed esplicativi delle meccaniche psicologiche, perdono di vista la collocazione dell'uomo in un mondo contemporaneo complesso che lo plasma e attraverso cui si forma. Si lasciano sfuggire la sua tragicità e mettono a repentaglio quella che noi pensiamo essere la dimensione essenziale per una clinica efficace: l'epoché fenomenologica. Spiegazioni mono o poli causali spesso rinchiudono le diagnosi nell prigioni lugubri del non-pensiero, di una clinica a-

critica, che somministra terapie senza sapere cosa si trova davanti. Nei loro percorsi, inoltre, si rimuove il ricordo dell'esistenza stessa in cui il consumo di droga ha le sue radici, a cui potrebbe attingere solo una messa tra parentesi della propria formazione: «la tossicodipendenza non rappresenta altro che una sfida radicale alle costruzioni psicopatologiche e soprattutto ai desideri di descrizione semiologica. Essa richiama una clinica dei fluidi e non delle strutture stabili, parla delle mutazioni, mette in scene figure dell'antichità del soggetto e nello stesso tempo i miraggi di un tentativo disperato di fuga oltre il muro del tempo»117.