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Follia chimica

3.2 Vuoti di senso.

La tesi che si sosterrà in questo capitolo è fondamentalmente questa: tra la realtà che l'uomo ha costruito grazie alla tecnica e l'uomo stesso, si è generato un abisso. Il vuoto tra la sua identità e il mondo che abita, è diventato insostenibile. Si continuerà da qui in avanti a interpretare la genealogia del consumatore di droga in bilico tra il suo essere a un tempo soggetto costituito e soggetto costituente. La conoscenza etnoantropologica del consumatore di droghe è qualcosa di difficile da afferrare in senso universale ed esaustivo. Si può però tentare di definire i contesti in cui alcune modalità di consumo prendono forma. Il progressivo collasso delle categorie del reale ha fatto si che gli individui della contemporaneità si ritrovino dispersi in terre aride prive di appigli. Il bacino di formazione delle soggettività si è alterato a tal punto da rendere quasi impossibile l'identificazione a sé, cioè la costituzione di un'identità individuale forte. La droga ha in questo contesto la funzione di rendere sopportabile la sofferenza dovuta al collasso dell'identità e, in alcuni casi, di ricreare un'identità alternativa. Allo stesso tempo identificarsi oggi significa mettersi in linea

con i valori e le ideologie della civiltà post-moderna: la prestazione, il benessere, la felicità a tutti i costi. Nella realtà queste due linee di adattamento si sovrappongono e funzionano inseparate, causando a volte grandi sofferenze in soggetti in bilico tra la ribellione e l'estasi collettiva di una discoteca. Fattori molteplici partecipano a una singolarità e nessuna dei temi che tratteremo successivamente può pretendere di spiegarlo esaustivamente. Per esempio, fino a che punto si può cogliere nell'estasi da rave un gesto ribelle, dal momento in cui viviamo in un mondo dove la ribellione e la differenziazione sono entrate a far parte del conformismo? Per muoversi tra i nodi della complessità proveremo a prendere singolarmente i lacci che li compongono, guardarli, vivisezionarli, e solo dopo restituirli ai loro intrecci.

Ribadiamo per l'ennesima volta come gli spazi condivisi del sociale hanno subito una modificazione da consentire all'abuso di droghe di diventare una figura paradigmatica della civiltà occidentale. Condividiamo appieno l'idea di Massimo Recalcati quando afferma, sulla scia di Freud, che «il disagio psichico [è] annodato alle declinazioni storico-sociali del programma della Civiltà»142. La

diffusione epidemica della tossicomania nelle società a capitalismo avanzato e il nuovo tipo di relazioni oggettali, hanno reso il consumo di droghe un problema di psicologia sociale, non solo individuale. Il tempo stesso è diventato «intossicato»143. La logica del tossicomane si è trasferita nei

comportamenti di molte delle persone che abitano oggi l'occidente: la soddisfazione pulsionale immediata, la logica del tutto e subito, la perdita di consistenza del linguaggio, il godimento del corpo senza più mediazioni, la distrazione come mezzo per schivare il confronto con sé stessi e con il mondo. Il culto esasperato del nuovo ha portato a una maniacalizzazione dell'esistenza. L'azione e l'esperienza frenetica prevengono qualsiasi simbolizzazione. Il narcisismo dilagante, da intendersi come chiusura dell'uomo nella propria sfera di piacere staccato dall'Altro, rientra anch'esso in questa sovrapposizione tra tossicomania e società.

Ma facciamo un passo alla volta. Cominciamo col descrivere ciò che è venuto a mancare sotto i piedi del soggetto contemporaneo, vale a dire quei vuoti del sociale che hanno tolto agli individui la possibilità di agganciarsi al mondo per costruire la propria identità. Questo nuovo spazio psichico/sociale da una parte ha fondato le condizioni su cui costruire un soggetto simile al tossicomane e, dall'altra, vede rispondere i soggetti stessi a questa sua costitutuività con l'utilizzo di droga come adattamento negativo o positivo, a seconda che cerchino solo una ricostruzione dell'identità, una fuga dalla realtà, oppure inseguano una piena adesione ai valori del nostro mondo. Negli ultimi tre secoli circa ha trionfato la convinzione che la civiltà umana procedesse

142Recalcati, M., “Note sul soggetto tossicomane”, in Giglio, F., a cura di, Divertiti! Imperativo presente. Psicoanalisi,

abuso di sostanze e “discorso del capitalista”, op. cit., p. 17.

teleologicamente verso un progresso che la portava a migliorarsi costantemente. Affiancata da scienza e tecnica essa è sempre stata certa di possedere gli strumenti e i diritti necessari per controllare il mondo piegandolo ai suoi bisogni. Tutto questo oggi si sta rivelando una grandissima illusione.

Gunter Anders ha usato due locuzioni per descrivere il rapporto tra l'uomo e la realtà che egli ha costruito per se stesso, che oggi più che mai sono di grande attualità. La prima è quella di “uomo senza mondo”, la seconda si rifà al titolo della sua opera più famosa: “l'uomo è antiquato”. Antiquato rispetto a cosa? L'obsolescenza dell'essere umano è determinata dal suo rapporto con la civiltà in cui si è ritrovato a vivere, che ha costruito come un rifugio in cui tutto doveva essere facilmente accessibile per la sua sopravvivenza, ma che ha finito con il superarlo e schiavizzarlo. La corsa forsennata allo sviluppo tecnologico dell'ultimo secolo e mezzo – cominciata in realtà molto tempo prima – ha portato a una condizione tale per cui tra la realtà e gli uomini che dovrebbero abitarla si è creato un abisso. Il concetto di uomo senza mondo prendeva le mosse dalla filosofia di Heidegger e dalla lotta di classe marxista. Secondo la definizione che ne dà Anders questo tipo di uomo è uan creatura a cui è stato sottratto l'habitat a cui armonizzarsi e determinare il suo destino su questo pianeta. Certo, l'uomo è sempre stato senza un habitat, è ciò che definisce la sua apertura fondamentale attraverso cui dovrebbe progettarsi nel mondo, ma nel mondo contemporaneo ciò è sempre più intenso e irrisolvibile. L'habitat gli si è ribellato contro, privandolo della possibilità di orientarsi e progettarvisi. Partendo dalla condizione di classe dell'operaio, che non possedendo i mezzi di produzione era costretto ad abitare in mezzo a cose e luoghi su cui non aveva alcun potere ma che era costretto a costruire per il suo padrone. Questo mondo rispetto a cui era scollato per un deficit di proprietà lo teneva in scacco saziandolo della promessa illusoria che anche lui lo possedesse grazie al lavoro e allla democrazia. Era il trucco messo alle catene della libertà. Questo discorso si estende all'umanità tutta nelle riflessioni poste all'interno del secondo libro de L'uomo è antiquato.

Facciamo un passo indietro, per chiarire dal punto di vista psicopatologico il terreno su cui stiamo edificando la connessione tra uomo senza mondo e tossicomania. Nella clinica fenomenologica le patologie si declinano a seconda delle modificazioni che assume la Lebenswelt, cioè mondo-della- vita e la coscienza. La prima prospettiva parte dall'idea che l'io vada inteso come strutturalmente aperto al mondo. In questa apertura egli deve progettarsi per potersi muovere e riconoscersi in sintonia con i significati che pesca e dà al mondo stesso. La Lebenswelt nasce nell'incontro tra Io e realtà esterna. Il mondo in questo contesto sorge come mondo orientato, grazie alla capacità della coscienza di intenzionare le cose esterne a sé e disporle secondo criteri significanti per l'individuo. Su questo mondo vengono costruite le idee, i pensieri, le emozioni, ma soprattutto, il modo di

utilizzo degli oggetti.Il ruolo degli oggetti in una vita umana può arrivare a definire l'alterazione del suo mondo, e l'insorgere della differenza di stato patologica: «Esistono vari modi con cui appaiono gli oggetti che costituiscono lo sfondo dell'essere al mondo di particolari presenze disturbate in senso psicopatologico»144. Trattando di sostanze stupefacenti è importante sottolineare l'utilizzo che

viene fatto degli oggetti, specialmente in una dimensione caratterizzata sempre più dalla poliassunzione, in cui ogni sostanza può assumere il ruolo di alleato a seconda dei momenti in cui se ne fa uso. Il percorso in ci cui inoltriamo seguendo le orme di Gunter Anders ci porterà a vedere come, nella realtà contemporanea, il modo di utilizzare gli oggetti sia strettamente correlato all'attualità della condizione umana, che lui ha definito come essere-senza-mondo. Giungeremo a questo solo nella seconda parte del presente paragrafo, quando vedremo che la mancanza di una realtà solida a cui aggrapparsi per costruire la propria identità è dovuta soprattutto alla maniacalizzazione del consumo delle merci e della loro offerta iperstimolante e inarrestabile.

Nel capitolo de L'uomo è antico intitolato “Il mondo umano”, Anders riflette sui rapporti tra uomini e macchine, affermando: «il mondo quotidiano con cui gli uomini hanno a che fare è in primo luogo un mondo di cose e apparati meccanici, nel quale esistono anche altri uomini; non un mondo umano nel quale esistono anche cose e apparati»145. Questa frase evidenzia l'isolamento dell'uomo nel

mondo, che si relaziona al prossimo solo attraverso la mediazione della macchina. Le strumentazioni elettroniche diventano la vera alterità della vita di tutti i giorni, su cui si costruiscono le relazioni primarie e la propria individualità. La piega del di fuori oggi si forma tramite la connessione a internet. Sempre secondo Anders, ciò fa si che una buona parte della nostra vita psichica, soprattutto quella emotiva, venga investita nei rapporti con le macchine, che esauriscono le energie per quelli intersoggettivi. Al tempo in cui scrive Anders, siamo nel 1963, le macchine si concentravano soprattutto sul luogo del lavoro. Non eravamo ancora, ovviamente, nell'epoca di Internet. Si realizzava una schiavitù rispetto alla tecnologia sul luogo del lavoro, in cui l'operaio era costretto a sintonizzare il proprio moto a quello dell'apparecchio per cui lavorava. Scriviamo per e non con proprio perché questo lavoratore si ritrova a essere schiavo della macchina. Egli non produce ma serve una macchina che è l'unica autentica madre del prodotto finale. L'operaio a cui è destinanta una semplice mansione relativizzata all'enorme complessità della catena di montaggio veniva «defraudato del suo stesso fabbricare»146. Protestare contro la tecnica da cui derivano queste

macchine era ed è impossibile, poiché l'argomento era protetto da un tabù in cui l'intelletto si rifiuta

144 Callieri, B., “Saggio introduttivo”, in Di Petta, G., Il mondo vissuto. Clinica dell'esistenza. Fenomenologia della cura, op. cit., p. 26.

145 Anders, G., L'uomo è antiquato vol.2. Sulla distruzione della vita nell'epoca della terza rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 52.

di riconoscere la realtà della schiavitù e i sensi di percepirla. Per questo nessuno poteva palesare la rabbia generata dai modi in cui la tecnica è arrivata nel tempo ad aggirare gli individui. Quando Gunther Anders osserva il popolo giapponese che, nel dopo lavoro, si isola davanti alle macchinette seriali dei pachinkos, alla «ricerca di piacere in cambio di pochi spiccioli»147, mentre stringono in mano la leva di questi apparecchi che li tentano come sirene, egli rimane stupito dal «grado della [loro] passione, la profondità della [loro] trance, l'incapacità di smettere»148. La logica della

sostituzione del partner umano come rimedio alla sua solitudine non spiega la voracità compulsiva del suo comportamento. Questi uomini non sembrano cercare sostitutivi ma veri e propri partner meccanici. La rabbia accumulata durante la schiavitù lavorativa viene incancalata verso macchine succedanee, quasi-complici di quelle che si incontrano nelle fabbriche e negli uffici. Esse fungono da scudo per le macchine padrone, distraendo e lasciando che l'odio per le macchine venga sfogato appieno, per tornare a ristabilire le dinamiche armoniose la mattina successiva, sul luogo di lavoro. L'idea che Gunther Anders fornisce del mondo umano ci fa intendere come tra l'uomo e la civiltà della tecnica si sia creato un progressivo distacco, tanto da portare il primo a sentirsi estraneo alla realtà che lui stesso aveva contribuito a costruire assieme ai suoi compagni di specie. I protagonisti del mondo diventano cose e macchine, e gli uomini sono proni al loro cospetto: la tecnologia è sfuggita di mano. Questa distanza tra uomini e cose potrebbe portare all'ipotesi che il consumo di droga abbia tra le sue tematiche principali la ricerca di una rinnovata armonia con gli oggetti del mondo. Sarebbe a dire che il rapporto armonico con la sostanza nelle prime fasi del consumo illude il soggetto di avere finalmente reinstauranto una relazione alla pari almeno con una cosa non umana. In parte questo è vero. Ma come per il pachinkos non poteva valere la logica della sostituzione, così non può valere per la droga. L'ingordigia che porta ad assumere dosi di sostanza sempre più grandi in un lasso di tempo sempre minore svela l'illusione di questo meccanismo e la logica dell'odio nascosta anche dietro questa voracità. Questa parentesi resta solo un'ipotesi, per la quale serivrebbe uno sviluppo molto più ampio per il quale ora non abbiamo lo spazio necessario. Torniamo al mondo umano fatto di macchine e oggetti e dal 1963 avviciniamoci ai giorni nostri. Un a creatura epocale ha segnato una trasformazione decisiva nella nostra civiltà, stiamo parlando di internet. La rete di connessioni virtuali è ciò con cui si deve fare i conti se si vuole sviluppare un discorso sulla mondità umana nella nostra epoca. A nostro parere, secondo l'ottica portata avanti da Gunther Anders, internet non ha segnato un cambiamento epocale, quanto ha piuttosto completato la colonizzazione degli spazi dell'umano da parte delle macchine, che prima si limitavano all'esteriorità. È ampiamente documentato il fenomeno che sta portando il virtuale a sostituire

147 Id., p. 50. 148 Ibidem.

alcune delle nostre facoltà mentali più importanti, come la capacità di memorizzazione, quella di concentrazione e quella di ricerca e di connessione delle informazioni.

Perché sforzarsi mnemonicamente se qualcuno lo fa per noi? Perché concentrarsi e cercare connessioni tra le nostre informazioni quando è sufficiente trasferire questa necessità a una macchina che possiede già tutto il sapere necessario per sopravvivere? Uno studio della Comlumbia University di New York ha cercato di dimostrare come le potenzialità della rete sitano portando sempre di più la mente umana ha delegarle i suoi compiti fondamentali alle macchine. Gli scienziati che hanno lavorato all'esperimento «hanno tentato di dimostrare attraverso uno studio dedicato, spiegando come la rete sia divenuta per gli internauti una sorta di memoria “transattiva”, esterna, ma soprattutto utile perché fa tutto al posto nostro. L’assunto è stato verificato attraverso alcuni test condotti su un gruppo di giovani, testando come sia la memoria che la capacità di apprendimento degli stessi si sia plasmata attorno alla rete»149. Il trasferimento delle facoltà mentali alle macchine

segna la definitiva colonizzazione del mondo umano da parte della tecnica. Sia sul luogo del lavoro che nella vita di tutti i giorni si diventa schiavi delle macchine, le quali offrono opportunità per migliorare la vita, ma chiedono in cambio il pagamento di un prezzo molto alto, cioè un sacrificio della nostra attività cerebrale. Come scrive Nicholas Carr, fervido critico di internet, le nuove tecnologie:

Offrono opportunità straordinarie di accesso a nuove informazioni, ma hanno un costo sociale e culturale troppo alto: insieme alla lettura, trasformano il nostro modo di analizzare le cose, i meccanismi dell’apprendimento. Passando dalla pagina di carta allo schermo perdiamo la capacità di concentrazione, sviluppiamo un modo di ragionare più superficiale, diventiamo dei pancake people, come dice il commediografo Richard Foreman: larghi e sottili come una frittella perché, saltando continuamente da un pezzo d’informazione all’altra grazie ai link, arriviamo ovunque vogliamo, ma al tempo stesso perdiamo spessore perché non abbiamo più tempo per riflettere, contemplare. Soffermarsi a sviluppare un’analisi profonda sta diventando una cosa innaturale150.

Si arriva dunque a quella fase di ibridizzazione che inizialmente aspirava ad essere tra l'uomo organico e l'appendice tecnologica, ma che ha finito con l'invertire il rapporto, rendendo l'uomo sottomesso alla macchina. Il mondo fatto di cose e macchine uscite dalle mani dell'uomo hanno esteso i confini delle loro conquiste, deponendo l'uomo dal controllo centralizzato degli oggetti e

149 Cervelli, V., “Memoria: i danni provocati da internet”, in Medicina Live, 18 luglio 2011, disponibile all'indirizzo: http://www.medicinalive.com/neurologia/memoria-danni-provocati-da-internet/.

150 Carr, N., citato in Mancini, M., “Internet ci fa perdere la memoria e ci rende stupidi”, in Medicina Live, pubblicato il 9 marzo 2010, disponibile all'indirizzo: http://www.medicinalive.com/costume/societa/internet-perdere-memoria- pigri/.

sottraendogli la diretta connessione tra produzione e prodotto. Non ha nemmeno più bisogno di macchine succedanee, perché non esiste più la dinamica del prima e dopo lavoro, da quando la produttività e la distrazione hanno investito l'esistenza nella sua interezza, senza più una disposizione temporale coerente. In in sintesi, le protagoniste del nostro mondo hanno estromesso definitivamente l'umanità da ogni tipo di responsabilità. Il distaccamento dalla realtà si è completato con l'uomo che percepisce il mondo in cui vive solo attraverso la mediazione delle tecnologie, dei mass media, di internet, dei cellulari, del bombardamento di immagini a cui è costantemente sottoposto. Non si pensano né percepiscono più le cose in modo adeguato, non si hanno le parole per narrarsi, e, allo stesso tempo, lo spazio sociale non costituisce più soggetti determinati e identificiabili secondo peculiarità individuali. Come vedremo, questi sono definiti secondo il possesso di merci all'avangurdia.

A questo punto del nostro cammino i legami con il mondo della droga possono biforcarsi. Da una parte sia ha la dipendenza dell'uomo dagli oggetti come veri protagonisti del mondo, internet compresa, che accomunano uso di droghe e consumo di merci in generale, per cui il soggetto che abusa di sostanze stupefacenti segue i canoni della sottomissione agli oggetti, magari con la speranza di trovare in essi l'Oggetto vero, quello con cui intrattenere un rapporto che sia una volta per tutte felice e compensante; dall'altra parte la droga diventa un modo per fuggire a questa realtà, magari sempre con l'idea di identificarsi in qualcosa di nuovo, o semplicemente riproducendo la ribellione caratteristica del tossicomane vecchio stile. A seconda delle droghe scelte e delle modalità di abuso si può identificare quale strada è stata intrapresa.

Facciamo un passo oltre nell'analisi dell'uomo senza mondo di Anders, e dalla relazione con le macchine che popolano la realtà passiamo alla perdita di quei significati, quei legami metafisici ancor più che concreti, che ci tengono connessi agli altri, agli oggetti e a noi stessi. Secondo Anders il responsabile della mancanza di mondo è il pluralismo: troppi significati, troppi dei, troppe verità, segnano una condizione che viene interiorizzata e data per scontata. Sembra quasi voler condannare la tolleranza e il relativismo culturali conquistati a fatica dal processo di democratizzazione del dialogo tra confessioni e popoli. In realtà, ciò che critica l'autore tedesco a questo caos generale non è tanto l'apertura al relativismo della verità, quanto il fatto che le divinità siano prima state mercificate e poi destinate al consumo - tutte con lo stesso valore. I contenuti sono relativi, ma solo in quanto prodotti commercializzabili. Il pluralismo che crea danni è quello sotto forma di politeismo negli aspetti più inquietanti: la molteplicità delle merci, tutte allo stesso livello, tutte con lo stesso valore, anche in senso morale. Solo muovendo da questa idea, approda a una concezione negativa del pluralismo contemporaneo per cui ogni verità è alla stregua delle altre e tutti possono,

e soprattutto devono, partecipare ad ognuna. Oggi, ad esempio, posso ascoltare un brano di Wagner e subito dopo passare a un pezzo pop degli anni novanta, per poi skippare nuovamente verso il jazz di Chat Baker, così come posso rifiutare il cristianesimo accettando la figura di san Francesco, rivisitando il tutto in chiave buddhista. Questo pluralismo assomiglia molto alla fine delle grandi metanarrazioni della condizione postmoderna descritta da François Lyotard, secondo cui non esistono più motivazioni e contenuti generali che muovono gli individui – l'ideologia, la religione, ma anche le correnti artistiche e scientifiche. Il mondo di cui necessità l'uomo per progettarsi non si