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DIABETE MELLITO DI TIPO

Nel documento Studio del ruolo di PGC1alfa nel diabete (pagine 43-53)

Cenni storici

Il termine diabete fu coniato da Areteo di Cappadocia. In greco il verbo “diabeinein” significa attraversare e in questo contesto si riferisce al flusso dell’ acqua come in un sifone, poiché il principale sintomo della malattia è un’ eccessiva produzione di urina. Nel medioevo, la parola fu latinizzata in “diabètés. Il suffisso “mellito”(dal latino dolce, di miele) fu aggiunto successivamente per indicare che il sangue e le urine dei soggetti diabetici avevano un sapore dolce a causa del glucosio in essi contenuto(83). In Europa durante il medioevo, i medici facevano diagnosi del diabete assaggiando le urine dei pazienti. Nel 1889 due ricercatori tedeschi scoprirono il ruolo del pancreas in questa patologia tramite esperimenti su un cane a cui venne asportato il pancreas prima del decesso, che mostrava i segni e i sintomi del diabete(84). Solo nel 1921 venne isolata l’insulina e si capì che i soggetti affetti da diabete mellito (DM) erano carenti di questo ormone prodotto dalle cellule beta delle isole di Langerhans del pancreas(85). Si scoprì che la condizione di DM nel cane pancreatectomizzato veniva risolta con la somministrazione di insulina estratta dalle cellule β delle isole di Langerhans di un cane sano. Questa scoperta segnò una svolta nella storia della medicina e salvò la vita a milioni di persone. Il diabete mellito comprende disturbi metabolici accomunati dalla presenza di instabilità dei livelli glicemici nel sangue.

Eziologia

Il diabete mellito di tipo 2 ha un’eziologia multifattoriale poiché è causato dal concorso di fattori genetici e ambientali che provocano la sua insorgenza tramite due meccanismi: alterazione della secrezione di

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insulina e ridotta sensibilità dei tessuti bersaglio, cuore, tessuto adiposo e muscolo scheletrico, alla sua azione: insulino-resistenza. L’insufficiente produzione dell’ormone dalle cellule β determina l’ insulino-resistenza. Nel fegato normalmente l’insulina determina il rilascio di glucosio e in condizioni di insulino-resistenza il fegato rilascia impropriamente il glucosio nel sangue, per cui il fisico inizialmente reagisce e per tenere sotto controllo la glicemia aumenta la sintesi di insulina. Dopo un certo periodo però il meccanismo cede ponendo le basi per le manifestazioni del DM2. Il fattore di rischio principale alla sua insorgenza è rappresentato dall’obesità viscerale: il tessuto adiposo è in grado di produrre una serie di sostanze tra cui leptina, TNFα, acidi grassi liberi e resistina che concorrono allo sviluppo dell’insulino-resistenza. Inoltre, il tessuto adiposo in condizioni di obesità è sede di uno stato di infiammazione cronica a bassa intensità che rappresenta una fonte di mediatori chimici che aggravano la condizione. L’insulino resistenza è quindi la condizione metabolica per cui l’insulina possiede una ridotta capacità di regolare efficacemente il metabolismo dei substrati energetici e gioca perciò un ruolo chiave nella patogenesi di molte condizioni quali obesità e diabete di tipo 2. Di per se infatti l’insulino resistenza non è una patologia clinica definita ma un elemento patogenetico di diversi fattori di rischio cardiovascolare, metabolici e non, che rientrano nella già accennata sindrome metabolica la quale è una condizione pre-clinica che apre la strada a patologie conclamate come diabete e aterosclerosi che costituiscono oggi le principali cause di morbilità e mortalità nei paesi industrializzati. Questi fattori comprendono obesità viscerale, le alterazioni glico-metaboliche, alterazioni lipidiche (aumento trigliceridi e VLDL e diminuzione di HDL), elevata pressione arteriosa. Combinazione tra stile di vita, endocrinopatie, che alterano la secrezione di insulina e inducono insulino-resistenza, e fattori genetici(85,86)

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inducono lo sviluppo di DM2. Mentre alcuni fattori come dieta, esercizio fisico sono sotto il controllo del paziente, l’invecchiamento, il sesso e la genetica non lo sono(88). Anche la mancanza di sonno che andrebbe ad agire sul metabolismo, sembrerebbe influire sulla patogenesi(89). Per quanto riguarda il trattamento, l’approccio terapeutico si basa su interventi farmacologici e a livello dello stile di vita. I cambiamenti nello stile di vita attraverso una corretta alimentazione e il regolare esercizio fisico possono diminuire il rischio dello sviluppo di DM2 di oltre la metà e costituire quindi una pratica utile nella prevenzione.

Insulina e metabolismo energetico

Dato che il muscolo scheletrico costituisce la sede principale dell’insulino resistenza e che i mitocondri come abbiamo già accennato sono la principale sede dell’ossidazione dei substrati, questo trattato si concentrerà sullo studio della capacità ossidativa mitocondriale per chiarire la relazione tra funzione mitocondriale e sensibiltà insulinica. Lo studio dei geni che regolano la funzione mitocondriale e evidenze della letteratura che mostrano come l’attività mitocondriale e il controllo della sua espressione possano essere influenzati da fattori genetici, epigenetici e stile di vita, hanno dato un importante contributo alla ricerca in questo ambito. L’insulina è un ormone peptidico sintetizzato dal pancreas endocrino ed è costituito da due catene polipeptidiche unite tra loro da ponti disolfuro che conferiscono all’insulina una struttura tridimensionale da cui dipende la sua attività endogena. Il suo ruolo principale è la regolazione del metabolismo e dell’accumulo dei substrati energetici. La secrezione di insulina avviene in seguito all’ingresso di glucosio nelle cellule β delle isole di Langerhans e facilita la captazione e l’immagazzinamento dei substrati come glucosio, lipidi e amminoacidi. Ridotti livelli dell’ormone nel sangue determinano la riduzione della

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captazione dei nutrienti e la mobilizzazione delle riserve energetiche(90) . L’insulina si lega ad un recettore di membrana che una volta attivato dal legame con l’ormone, innesca una serie di segnali intracellulari che mediano le funzioni dell’insulina nei tessuti bersaglio. Il recettore insulinico presenta due subunità α extracellulari che legano l’ormone, e due subunità β che attraversano la membrana ed hanno attività tirosinchinasica. Il legame tra l’insulina e le subunità α del recettore provoca un cambiamento conformazionale di quest’ultimo, evento che determina un’ autofosforilazione sui residui di tirosina sul lato citoplasmatico delle subunità β(91,92). La fosforilazione di proteine substrato del recettore IRS-1 determina gli effetti metabolici dell’ormone, in quanto queste proteine offrono il sito di ancoraggio per la subunità regolatoria del fosfatidil inositolo 3k (PI 3K) e questo legame induce l’attivazione della subunità catalitica di quest’ultimo che trasforma il PI in inositolo 3-fosfato (PI-3P). Questo induce una cascata di fosforilazioni che determina l’espressione del trasportatore GLUT4 nelle cellule bersaglio(93). Questo evento è responsabile degli effetti metabolici dell’insulina (fig 2). Gli effetti sulla crescita muscolare e sull’espressione genica sono invece dovuti all’attivazione di un segnale intracellulare che coinvolge IRS2 e le MAP chinasi. Oltre ai pathway dipendenti dalle tirosin chinasi, studi recenti supportano che l’insulino resistenza è associata ad una condizione di infiammazione cronica. Citochine pro-infiammatorie come TNFα e IL6 sono upregolate nell’obesità; è stato simostrato che TNFα aumenta l’espressione della i- NOS e diminuisce invece l’e-NOS. L’espressione della e-NOS e la biogenesi mitocondriale sono downregolate negli obesi e nei diabetici, che mostrano infatti una riduzione dei geni codificanti le proteine mitocondriali ossidative; i livelli di IL6 e TNFα sono inversamente proporzionali ai livelli di PGC1α.

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Effetti dell’insulina

I tessuti bersaglio su cui l’insulina esplica i suoi effetti sul metabolismo di carboidrati, lipidi e proteine sono fegato, tessuto adiposo e muscolo scheletrico. Nel fegato il trasporto del glucosio non è insulino dipendente, in quanto negli epatociti sono coinvolti altri trasportatori a bassa affinità definiti GLUT2; la velocità di trasporto del glucosio dipende dalla concentrazione di insulina nel sangue e interessa enzimi che attivano o disattivano l’omeostasi del glucosio. La sua attività anabolica nel fegato comprende l’inibizione della glicogenolisi, la neoglucogenesi, della formazione di corpi chetonici, della lipolisi e l’attivazione della lipogenesi cioè la sintesi di acidi grassi che vengono poi assemblati nella VLDL. Nel tessuto adiposo l’insulina stimola il deposito dei trigliceridi: favorendo la sintesi della lipoprotein lipasi facilita l’idrolisi dei trigliceridi introdotti con la dieta e promuove l’ingresso dei lipidi nel tessuto adiposo(90)

. Bassi livelli di insulina nel tessuto adiposo, che si verificano in condizioni di digiuno, inducono l’attivazione della lipolisi e l’inibizione della lipogenesi. Nel muscolo scheletrico il legame dell’insulina al recettore tirosin chinasico promuove la rapida captazione di una maggior quantità di glucosio circolante, che viene indirizzato verso la via ossidativa, con produzione di H2O e CO2 e verso la via non ossidativa con produzione di glicogeno.

Il trasportatore coinvolto è il GLUT4. L’interazione recettore-insulina determina la fosforilazione di diversi substrati cellulari e stimola il trasferimento dei trasportatori dal citoplasma alla membrana cellulare, così che il trasporto del glucosio aumenta. La captazione del glucosio da parte del muscolo scheletrico costituisce il fattore più importante all’omeostasi glicemica in quanto l’85% del metabolismo glucidico insulino mediato si verifica proprio nel muscolo. A livello mitocondriale

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la produzione di energia si ottiene con il ciclo di Krebs e qui l’insulina attiva e fosforila la piruvato deidrogenasi, che determina la formazione di acetil CoA e l’ingresso dei carboidrati nel ciclo. Per quanto riguarda il metabolismo lipidico che costituisce un’ importante fonte energetica soprattutto per il muscolo, l’utilizzazione degli acidi grassi avviene a livello mitocondriale dopo l’attivazione da parte dell’acetil CoA e dopo il trasporto all’interno del mitocondrio dal sistema della carnitina acil transferasi. Invece, nel metabolismo proteico l’insulina aumenta le riserve di amminoacidi inducendo la loro captazione, la sintesi proteica, l’inibizione del catabolismo proteico e dell’ossidazione. In condizioni fisiologiche, dopo il pasto si ha un aumento del livelli di glucosio, lipidi e proteine e di insulina la quale favorisce il trasporto di queste molecole nelle cellule. A digiuno, si ha una ridotta secrezione dell’insulina con una ridotta sensibilità periferica all’ormone. Di conseguenza si verifica un aumento dell’ossidazione mitocondriale e del trasporto degli acidi grassi a cui consegue una loro maggior immissione in circolo. Questo provoca l’inibizione del flusso glicolitico. Da studi effettuati sull’animale e sull’uomo(94-96)

è emerso che l’insulina ha un ruolo fondamentale nella regolazione del metabolismo intermedio con importanti effetti sul metabolismo lipidico che coinvolgono la funzione mitocondriale e l’espressione genica. Venne riportato infatti che l’infusione di insulina per 2 ore aumentava i livelli di RNA degli enzimi della catena respiratoria come NADH deidrogenasi e citocromo C (COX)(94), e successivamente si capì che il trattamento determinava anche l’aumento della ATP, dei livelli di mtRNA e nucleare che codificano per proteine mitocondriali e l’incremento dell’attività enzimatica di COX e della citrato sintetasi(95). Questo ha portato alla deduzone che l’upregulation si verifica solo su un preciso pool di

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proteine mitocondriali e che quindi l’insulina stimola la capacità ossidativa dei mitocondri(96).

Geni e fattori trascrizionali coinvolti nei processi ossidativi mitocondriali

La regolazione del metabolismo è fortemente influenzata dai mitocondri che svolgono un importante ruolo nell’omeostasi energetica tramite il metabolismo dei substrati e la produzione di ATP e calore. Come visto precedentemente, lo sbilanciamento tra intake energetico e spesa energetica induce una disfunzione mitocondriale caratterizzata da uno squilibrio tra produzione di energia e respirazione(97). Fattori genetici e ambientali possono interferire sia con la funzione mitocondriale che con la sensibilità insulinica. I mitocondri hanno mostrato un coinvolgimento nel metabolismo energetico del muscolo scheletrico e la capacità ossidativa dei mitocondri dello stesso tessuto sono stati suggeriti come agenti determinanti nell’eziologia di disordini metabolici come diabete mellito di tipo 2, insulino-resistenza e obesità(98). La regolazione della biogenesi mitocondriale e dell’attività ossidativa è regolata, come introdotto nella prima parte della trattazione, da fattori trascrizionali quali PPAR, PGC1α, fattori trascrizionali della respirazione come NRF1 e NRF2 e specificity protein 1 (Sp1) ubiquitaria la quale regola l’espressione dei geni ossidativi OXPHOS(98)

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Figura 5 Principali fattori di trascrizione coinvolti nella regolazione dell’ossidazione e della fosforilazione (OXPHOS) mitocondriale del muscolo. Chansuame, Int Mol Sci 2009

Altri fattori trascrizionali che regolano la biogenesi mitocondriale e la capacità ossidativa dei mitocondri sono COX, GLUT4, PFK, LPL, CPT1. La citocromo C ossidasi o complesso IV (COX) è l’ultimo complesso enzimatico della catena di trasporto degli elettroni localizzato nella membrana mitocondriale interna(99), ed è forse il principale sito di regolazione della capacità ossidativa dei mitocondri. E’ costituita da 13 subunità: I, II, III che costituiscono il sito catalitico e sono codificate da DNA mitocondriale(100) e le restanti che modulano la catalisi e l’assemblaggio dell’enzima sono codificate da geni nucleari. GLUT4 è il principale trasportatore di glucosio nei tessuti insulino sensibili come muscolo scheletrico e cuore. Nelle cellule muscolari di topi obesi si verifica una downregulation del trasportatore, mediata dall’attivazione di PPARγ(101,102) .PFK è un enzima allosterico e inducibile della glicolisi. LPL (lipoprotein lipasi) è sulla superficie luminale dell’endotelio

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capillare e idrolizza quasi tutti i trigliceridi trasportati dai chilomicroni e dalle VLDL. CPT1(carnitina palmitolyl-transferasi) presenta due isoforme entrambe localizzate nella membrana mitocondriale esterna(103) e in associazione alla Carnitina acylcarnitina traslocasi promuove il trasporto degli acidi grassi a lunga catena dal citosol alla matrice mitocondriale in modo che siano indirizzati verso la via ossidativa per la produzione di energia(104) . Una alterata espressione di questi geni e fattori trascrizionali culmina con una ridotta biosintesi o con un’alterazione della capacità ossidativa mitocondriale per cui la cellula regola la loro espressione tramite il controllo della trascrizione, il processing cioè la regolazione della maturazione e la sintesi proteica.

Disfunzioni mitocondriali e fattori che regolano la funzione mitocondriale nel diabete

I tessuti maggiormente interessati dall’insulino resistenza sono il muscolo scheletrico, il fegato e il tessuto adiposo. Nelle cellule muscolari scheletriche l’ IR si manifesta come un ridotto trasporto di glucosio nella cellula e quindi della sua utilizzazione come substrato energetico. Nel tessuto adiposo soprattutto sul grasso viscerale l’ IR provoca una maggiore produzione di acidi grassi liberi e a livello epatico impedisce un’ opportuna inibizione della sintesi di glucosio. La ridotta attività dell’insulina determina così un aumento della concentrazione di glucosio e di acidi grassi liberi nel sangue che contribuiscono in una sorta di circolo vizioso a peggiorare il quadro clinico dell’insulino resistenza. Le disfunzioni mitocondriali determinano una riduzione dell’espressione dei geni mitocondriali con conseguente riduzione dei principali fattori trascrizionali, NRF1 e PGC1α, condizione che si verifica nelle cellule muscolari scheletriche dei soggetti con

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DM2(38,105,106) ,e associata ad una riduzione del numero e delle dimensioni dei mitocondri e dell’attività enzimatica ossidativa rispetto a soggetti normopeso(107). Questo vuole dimostrare un nesso tra disfunzione mitocondriale, insulino resistenza e DM2. Si pensa che la disfunzione mitocondriale sia un difetto geneticamente determinato che causa una ridotta trascrizione di geni del metabolismo ossidativo tramite la soppressione della PGC1α e il conseguente accumulo di grasso nei tessuti e che insieme a fattori ambientali e stile di vita contribuisca all’induzione del DM2 e dell’insulino resistenza.

Fattori genetici

L’insulino resistenza nel muscolo scheletrico sembra dipendere da un difetto della biogenesi e della capacità ossidativa dei mitocondri che porterebbe alla formazione e all’accumulo di acidi grassi liberi che interferiscono con la trasmissione del segnale insulinico(108-110); per cui la

disfunzione mitocondriale sembra avere un ruolo primario

nell’insorgenza del DM2(111)

. Per verificare questa ipotesi sono stati condotti studi sui familiari di primo grado di pazienti DM2 per valutarne la funzione mitocondriale del muscolo scheletrico rispetto ad un gruppo di controllo senza familiarità per DM2. I familiari di primo grado di pazienti diabetici hanno mostrato una significativa riduzione del metabolismo non ossidativo del glucosio ad indicare una ridotta capacità ossidativa dei mitocondri e un aumento dei livelli di lipidi intracellulari(108). Inoltre hanno mostrato una ridotta sintesi di ATP in risposta allo stimolo insulinico, che indica un’alterazione dell’attività basale della fosforilazione ossidativa(108,112) . Infine, negli stessi soggetti è stato riscontrato un ridotto contenuto mitocondriale (113) e una down regulation di PGC1α e PGC1β.

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E’ ampiamente documentato che l’attività aerobica moderata regolare e uno stile di vita sedentario esercitano un forte impatto sulla capacità ossidativa mitocondriale del muscolo scheletrico. Il fatto che l’esercizio aumenti la biogenesi mitocondriale tramite l’incremento dell’espressione di PGC1α, Tfam e NRF suggerisce il suo ruolo sia nella patogenesi che nel trattamento e nella prevenzione di DM2. L’esercizio fisico costituisce quindi un importante meccanismo di risposta allo stress cellulare, sia nella patogenesi che nella terapia dell’insulino resistenza e nel DM2.

Sulla base di tali premesse, questa trattazione si propone di analizzare in dettaglio sia i potenziali approcci terapeutici nel trattamento del diabete mellito di tipo 2, che saranno considerati successivamente, sia i fattori di rischio genetici ed epigenetici legati alla sua insorgenza.

DIFFERENZE TESSUTO SPECIFICHE NEL CONTENUTO DI

Nel documento Studio del ruolo di PGC1alfa nel diabete (pagine 43-53)

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