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CAPITOLO 3: L’ACCENTO GIAPPONESE: LA VARIETÀ DI TŌKYŌ

3.6. L A LINGUA GIAPPONESE TRA STANDARD E DIALETTO

3.6.2. I dialetti oggi

Nonostante gli sforzi del governo di imporre questo unico modello dialettale, alla fine, i risultati non furono quelli voluti. Se le autorità si aspettavano che tutti i giapponesi sarebbero diventati capaci di comprendere e anche di parlare nel dialetto di Tōkyō livellando tutti gli altri su un unico standard, in realtà, questo non accadde e i dialetti continuarono ad esistere e ad essere presenti nella quotidianità delle persone. Sicuramente non erano più gli stessi di prima ma, anzi, tramite questa politica subirono un ampio

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ridimensionamento poiché, di fatto, tante variazioni a livello linguistico scomparvero. Inoltre, nacque il cosiddetto “complesso del dialetto”, un problema più psicologico che linguistico, che tutt’oggi permea il paese: il senso di frustrazione e di inferiorità, il non sentirsi giusti e la sensazione di dover per forza cambiare qualcosa di sé stessi sono sentimenti avvertiti da molti giapponesi non di Tōkyō come ad esempio gli abitanti del Tōhoku, i quali a causa del loro dialetto, definito anche come zuzu-ben, sono talvolta soggetti di scherni poiché considerati buffi per non dire campagnoli. Secondo una testimonianza della signora Tonosaki lavoratrice all’Università Tokai, talvolta gli abitanti del Tōhoku si vergognano di questo loro accento48. È chiaro che esista una linguistic

rivalry in cui «regional dialects are perceived as carrying different degrees of prestige within and outside their speech communities» (Matsumoto, Okamoto 2003: 41)

Ciò che quindi crebbe, più che altro, è la consapevolezza dell’esistenza di uno standard che continua tutt’oggi a diffondersi, sempre più rapidamente e, di certo, non esiste un solo giapponese che non capisca questo tipo di dialetto (cosa che invece non si può dire per gli altri, che risultano più di nicchia). Nonostante questo, però, non si può evitare di dire che al giorno d’oggi le altre variazioni all’interno del paese non sono più viste come un diavolo da debellare ma sono comunque riconosciute come peculiarità ed eredità della “lingua giapponese”. Non esiste più l’idea a stampo nazionalista precedente ed è per questo che bisogna sempre tenere in considerazione il fatto che il dialetto di Tōkyō non è l’unico presente in Giappone. Nel caso specifico dell’accento, poi, da un dialetto all’altro la situazione cambia e ciò che abbiamo descritto per la variazione accentuale di Tōkyō non vale per altri dialetti. In giapponese, infatti, dal punto di vista prosodico si distinguono quattro tipologie di dialetto (Figura 3-9):

1. Accento di Tōkyō (Tōkyō-shiki akusento);

2. Accento di Kyōto-Ōsaka (keihan-shiki akusento);

3. Accento a due patttern (nikei akusento) inseriti nel più generico N-pattern accent

system in cui N sta per il numero e tipo di pattern possibili che possono essere uno,

due o tre a seconda del dialetto (Uwano 2007);

48 «東北 […] 方言の人は、ときどき、「いなかの人の発音」だと思われて、恥ずかしく感じるよ

うです。» Traduzione: Le persone [che parlano con l’accento del] dialetto del Tōhoku a volte sono ritenuti [quelli con] “la pronuncia di persone di campagna” e si sentono in imbarazzo. (Sig.a Sumiko Tonosaki).

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4. Senza accento (mukei akusento), dialetti in cui non esistono né i toni né i nuclei accentuali e, di conseguenza, anche parole segmentalmente identiche si pronunciano allo stesso modo (Kibe 2010) e in questo caso hashi, “bacchette”,

hashi “ponte” e hashi “margine” non saranno distinte tra di loro ma l’unico modo

per riconoscerle sarà il contesto.

Facendo un esempio più specifico, per quanto riguarda l’accento di Kagoshima appartenente al gruppo degli accenti a due pattern (nikei akusento) possiamo dire che a differenza del dialetto di Tōkyō in cui all’aumentare del numero di more aumenta il numero di pattern possibili (n+1), il numero e tipo di pattern, qui, è fisso a due, A e B. Nel caso dei sostantivi, nel tipo A la seconda sillaba49 dal fondo, quindi la penultima, è sempre caratterizzata da un tono alto (H) mentre nel tipo B lo è solo l’ultima sillaba; tutte le altre sono basse (L). La regola non cambia aggiungendo le particelle (Tabella 3-8).

49 Nel dialetto di Kagoshima si preferisce parlare di sillaba anziché di mora per quanto riguarda l’unità prosodica di base.

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ACCENTO DI KAGOSHIMA

Parola isolata -ga -made

Tipo A 鼻 hana hana-ga hana-made

Tipo B 花 hana hana-ga hana-made

Tabella 3-8.

Il dialetto di Kyōto (keihan-shiki akusento), invece, ha caratteristiche comuni sia con quello di Tōkyō in quanto fondamentale rimane la caduta dell’accento (sage-kaku), sia con quello di Kagoshima perché si distinguono due gruppi di parole, quelle in cui la prima mora è alta e quella in cui la prima mora è bassa: il tono della mora iniziale, quindi, è un tratto distintivo. In questo caso, se una parola parte alta, rimane alta fino a quando non si ha la caduta dell’accento, se invece una parola parte bassa rimane bassa a meno che non ci sia una caduta dell’accento, in tal caso la sola mora precedente a questa sarà alta. Per l’accento di Kyōto vediamo quindi che è del tutto comune trovare parole in cui le prime due more hanno lo stesso tono, alto o basso (Tabella 3-9) (Kibe 2019).

ACCENTO DI KYŌTO

Sage-kaku 2 more 3 more 4 more

Prima mora alta

0 鼻 hana 桜 sakura 友達 tomodachi

1 花 hana 男 otoko 姉さん neesan

2 二人 futari 湖 mizuumi

3 雷 kaminari

Prima mora bassa

0 松 matsu(-ga) 兎 usagi(-ga) 人参 ninjin(-ga)

2 雨 ame(-ga) 兜 kabuto 色紙 irogami

3 マッチ

matchi(-ga)

息抜き ikinuki

Tabella 3-9.

Per quanto riguarda l’accento di Kyōto si osserva anche il contorno tonale a livello della singola mora: ad esempio nella parola saru, “scimmia” abbiamo L-HL; la seconda

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mora ru, quindi, è caratterizzata essa stessa da una variazione di tono, o contorno tonale, da alto a basso (Pappalardo 2008).

Riconoscendo quindi la compresenza di più dialetti sul territorio giapponese, il nostro intento, in sostanza, non è affermare la superiorità del dialetto di Tōkyō e del suo accento che, comunque, rimane tutt’oggi, volente o nolente, la varietà di riferimento nell’insegnamento del giapponese L2 nonché la più studiata nella ricerca linguistica (Pappalardo 2013), ma anche quanto più sensibilizzare gli studenti verso uno studio su questo aspetto della lingua la cui conoscenza risulta utile per una buona comunicazione e per la corretta trasmissione di un messaggio50. Inoltre, molti mettono in evidenza come il dialetto di Tōkyō venga considerato il migliore per le situazioni formali mentre gli altri si utilizzino per situazioni più familiari (Matsumoto, Okamoto 2003). La professoressa Kitamura e la signora Tonosaki, ad esempio, raccontano:

私も秋田方言の話者ですが、仕事では共通語アクセントを使います。

Anche io parlo in dialetto di Akita ma a lavoro utilizzo l’accento standard. (Prof. Yo Kitamura, Università Tokai)

私の母は青森県出身で、東京で働いていましたが、家族や親戚と話すとき は青森の方言、仕事で使うときは標準語とはっきり使い分けていましたよ。

Mia mamma era di Aomori e lavorava a Tōkyō. In famiglia parlava in dialetto di Aomori ma a lavoro utilizzava distintamente la lingua standard. (Sig.a Sumiko Tonosaki)

Ciò che entrambe dichiarano come estremamente importante, quindi, è riuscire ad acquisire la capacità di parlare in modo consapevole distinguendo i vari dialetti e utilizzando quello giusto al momento giusto per essere così pronti a fronteggiare al meglio tutte le esperienze che si presenteranno nel corso della propria carriera scolastica e/o lavorativa.

50«

アクセントが間違っていると、相手に正しく伝わりません。語も取りちがえるし、文構造もただしく

伝わりません。音の高低や音の区切りがめちゃくちゃだと、何を言っているのか分からないからです。»

Traduzione: Se l’accento è sbagliato, non [riuscirai a] trasmettere correttamente [il messaggio] al [tuo] interlocutore. Questo perché verranno fraintese le parole e anche la struttura della frase [risulterà sbagliata]. Se i toni alto-basso o le pause sono [utilizzati in modo] caotico, sarà difficile capire cosa stai dicendo. (Prof. Yo Kitamura, Università Tokai).

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