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CAPITOLO 1: LA DIDATTICA DEL PARLATO

1.3. P OSSIBILI CRITICITÀ NELL ’ ACQUISIZIONE DELLA PRONUNCIA L2

1.3.3. Variabili individuali: motivazione e ansia

“Volere è potere”. Quante volte abbiamo sentito ripetere questa frase e quante volte l’abbiamo utilizzata noi stessi, nelle nostre vite, per infonderci forza per finire un progetto, un lavoro, o lo studio per un esame. Sicuramente, per riuscire a fare qualcosa, la prima componente essenziale è volerlo. La motivazione è un impulso, un’emozione che viene dall’interno, che ci dà carica e voglia di fare ed è un elemento chiave per il successo e il raggiungimento di un obiettivo sia esso piccolo, come pulire la nostra camera, o più grande, come imparare una nuova lingua. La motivazione è stata spesso oggetto di studio per cercare di capire quanto effettivamente possa influire nell’apprendimento di una lingua straniera e anche nello specifico della pronuncia. Essa però è un concetto complesso che si lega a tanti altri quali la personalità dell’individuo, l’attitudine, l’autostima di sé; elementi che aiutano a incrementare o, talvolta, purtroppo, a diminuire la stessa motivazione. Se analizziamo le ragioni alla base dello studio di una lingua abbiamo, di solito, due tipi di motivazione che i ricercatori Gardner e Lambert (1972) definiscono come motivazione strumentale e motivazione integrativa: la prima si ha quando vogliamo utilizzare la lingua per scopi pratici come ad esempio passare un esame, essere assunti in un’azienda in cui è richiesta la conoscenza delle lingue straniere, guadagnare soldi ecc.; la seconda, invece, per sentirsi parte di un gruppo, trovare nuovi amici, partecipare ad attività collettive con stranieri, integrarsi in una comunità, immergersi e comprendere a fondo la cultura e le usanze di un popolo diverso dal nostro (Baker 2006). Tra i tratti della personalità che caratterizzano la motivazione vi sono:

1. L’autostima (self-esteem): definita come il riconoscimento del proprio valore e delle proprie competenze, la capacità di interagire in modo efficace in un determinato ambiente;

2. La sicurezza di sé (self-confidence): la consapevolezza di poter apprendere, di poter arrivare a quell’obiettivo che ci siamo prefissati, di esserne capaci. È comune pensare che studenti sicuri di sé siano poi più portati ad imparare una lingua; questo concetto è legato alle idee di estroversione e introversione. Una persona estroversa cercherà, senza paura, situazioni in cui praticare la lingua da studiare creando così, automaticamente, molte più occasioni di miglioramento a differenza di un individuo introverso che tenderà, seppur forse non volendo, ad

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auto-limitarsi rimanendo più bloccato in quelle che sono le sue conoscenze di

base;

3. L’empatia (empathy): definita anche disposizione o attitudine dell’apprendente verso la nuova lingua e verso tutto ciò che la circonda come, ad esempio, la cultura, le diverse personalità, abitudini e modi di fare dei membri della società straniera (Mishan, Timmis 2015). Come spiega Zhang (2009):

If a learner has some prejudices or a negative attitude to the target language and community, it will bring bad influence for his/her language training. […] Contrarily, if a learner has a positive attitudes and open-mind for the target language or target culture, it will promote his/her pronunciation development easily and accurately and more have a native-like accent. (Zhang 2009: 41)

Immaginate di dover imparare, ad esempio, una lingua il cui popolo non vi piace e la cui cultura non vi interessa minimamente: sarà molto più difficile e ci impiegherete probabilmente più tempo rispetto ad una lingua che, invece, vi affascina.

La combinazione di questi tre elementi aumenta così la nostra motivazione la cui importanza viene dimostrata in alcuni studi (Moyer 1999; Marinova, Todd 2000; Bongaerts, Mennen, Van der Slik 2000; Moyer 2007): Moyer (1999), ad esempio, dimostra una forte relazione tra la variabile «professional motivation» e il livello di accento straniero L2 mentre Bongaerts, Mennen e Van der Slink (2000) nel loro studio già precedentemente analizzato, indicano la motivazione tra uno degli elementi che può fare la differenza11.

Nonostante questo, bisogna anche tenere conto del fatto che la motivazione è un fattore molto difficile da quantificare e, di conseguenza, da valutare. Gli studi sono ancora abbastanza incerti e, nel caso della pronuncia, non sempre viene dimostrata un’evidente correlazione tra il grado di motivazione e l’acquisizione di una pronuncia nativa L2 (Piske, MacKay, Flege 2001). Essere motivati non vuol dire sempre e automaticamente raggiungere risultati ambiziosi ma può aiutare a scavalcare quelle paure che spesso bloccano l'apprendente.

11«[…] next to ample exposure to authentic target language input and a high motivation, intensive training

in the perception and production of target language speech sounds might well be a very important determiner of post-critical period, nativelike achievement in the pronunciation of a nonnative language».

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In merito a questo, apriamo una piccola ma importante parentesi sull’elemento paura o meglio dire, ansia, anch’essa ampiamente discussa soprattutto in relazione alla comunicazione e alla pronuncia (De Saint Léger, Storch 2009; Baran-Lucarz 2014; Aichhorn, Puck 2017): la sensazione di non essere bravi abbastanza, di ridicolizzarsi, di fare, utilizzando un termine molto basico, figuracce, l’imbarazzo nell’esporsi davanti alla classe o sul luogo di lavoro perché non si ritiene di riuscire a produrre correttamente i suoni L2, sono solo alcuni dei tratti che caratterizzano questa emozione negativa, generalmente riconosciuta come Pronunciation Anxiety. Essa è spesso dovuta dall’idea che abbiamo di noi stessi e dalla nostra self-confidence, citata prima, che possiamo analizzare sotto tre aspetti principali:

1. Pronunciation self-image: la propria immagine, inteso come il modo in cui pronunciamo i suoni L2, mentre parliamo;

2. Pronunciation self-efficacy: la consapevolezza di poter o meno acquisire una pronuncia corretta;

3. Pronunciation self-assessment: una auto-valutazione del proprio livello di competenza, spesso messo a confronto con quello di altri studenti (Baran-Lucarz 2014).

In questo senso, è proprio la componente comunicativa della lingua a diventare un vero e proprio problema per lo studente, il quale si sente inadeguato per motivi legati alla correttezza o meno della sua pronuncia. In uno suo studio, Baran-Lucarz (2014) tenta di verificare se ci sia un collegamento tra la Pronunciation Anxiety e la Willingness to

Communicate (WTC), la propria volontà o intenzione di interagire, nel suo caso, in classe:

a 151 studenti universitari polacchi di inglese appartenenti a diversi settori quali matematica, fisica, chimica, storia, studi europei ecc., di età compresa dai 18 e i 40 anni, è stato chiesto di rispondere a un primo test per valutare la loro WTC specificando il grado di volontà e impegno con cui tendono a partecipare a diversi incontri e compiti orali svolti durante il corso, segnando una cifra da 1 (very unwilling/reluctant) a 6 (very

willing), e ad un secondo test o, meglio, questionario di 40 domande sul livello di ansia

provato durante l’apprendimento o l’uso in classe di una lingua straniera. Il confronto tra i due ha dato come risultato una evidente correlazione; Baran-Lucarz, infatti, conclude scrivendo: «the higher the level of PA, the less eager the students are to engage in oral

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Notiamo infine che l’ansia è indipendente dall’età e dal livello, non è infatti caratteristica solo degli studenti più giovani ma anche degli adulti, di coloro che lavorano e utilizzano la L2 da anni, come mostra anche lo studio svolto da Aichhorn e Puck (2017) con 22 impiegati in multinazionali. Interessante la testimonianza di TelCo 6:

Language is the only problem in an international company in that we are all adults, that we are in the professional environment and that we are afraid to be embarrassed. I think this is the only problem… and it’s kind of image thing. It makes you look weak. And nobody wants to be vulnerable, so people are immediately having resistance if they are not comfortable in the language. (Aichhorn, Puck 2017: 755)

E quella di TelCo 1 che aggiunge:

If I do not speak English well, I might be less inclined to pick up the phone or discuss a new idea during a meeting, because I do not feel as comfortable as if I were able to do it in my mother tongue. […] (Aichorn, Puck 2017: 757)

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