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Il dibattito sulla cittadinanza sovranzionale nelle tradizioni comunitarista e liberale p

Il dibattito sulla cittadinanza sovranzionale nelle tradizioni comunitarista e liberale dura ormai da circa due decenni. La crisi del paradigma nazionale richiede una riflessione capace di fornire una risposta credibile e fattuale alle esigenze poste dalla società della comunicazione globale, glocalizzata e globalizzata. Si tratta senza dubbio di un sfida ardua che affonda le sue origini nel concetto di cittadinanza e nel modo in cui si è evoluto in seno alle società che l'hanno elaborato e applicato a se stesse attraverso i propri governi.

La cittadinanza fissa i termini della relazione tra l'individuo e lo Stato e nasce nella Grecia antica come risposta alla schiavitù, anche se alcuni studiosi tendono a riconoscerne piuttosto le prime forme nella modernità. Tra i romani, ha un carattere più normativo, relativo alla legittimità del rapporto tra il singolo e l'entità statale e alla definizione del cittadino, mentre tra i Greci, l'accento si pone sulla partecipazione alla politica democratica. In età medievale, la cittadinanza viene percepita come fenomeno legato al commercio e alla vita secolare nella nuova realtà del Comune luogo delle proprie attività. Questo sentimento di appartenenza si amplifica, in seguito, con la nascita delle monarchie nazionali diventando il tratto caratterizzante della cittadinanza dei sudditi. Nello Stato democratico moderno, poi, la cittadinanza assume la forma di un sistema di protezione dell'individuo che risiede su un certo territorio e che, per questo, gode di una serie di diritti ed è soggetto a una serie di doveri. Qui il punto di vista liberale esprime una posizione di tutela del singolo dall'invadenza dello Stato attribuendogli, nel sistema, un ruolo prevalentemente passivo, mentre la prospettiva comunitarista valorizza la partecipazione politica, la solidarietà sociale, l'assunzione di diritti e doveri.

Nonostante l'evoluzione delle forme di cittadinanza nelle varie epoche, alcuni tratti sono rimasti stabili, ad esempio, il legame che sancisce supera quello della parentela descrivendo il rapporto tra la persona e il soggetto politico generale e sottolineando l'appartenenza al corpo sociale. Il servizio militare spesso è il volano di questo sentimento di appartenenza e veicola una delle modalità di partecipazione che sempre si esprimono nella storia della cittadinanza. Il trait-d'union tra la cittadinanza e la libertà è l'altro fil rouge del suo sviluppo, chiarisce le regole che fissano questo rapporto, infatti, consiste in quella garanzia di libertà che inizialmente è impulso di difesa dal rischio di cadere in schiavitù. È anche definita talvolta come il diritto ai diritti132 e, tuttavia, nasce

sempre sul presupposto dell'esclusione definendo uno status che automaticamente determina il suo contrario: si è cittadini quando e dove si può essere anche non cittadini. Come osserva lo stesso Aristotele133, quello di

cittadinanza è un concetto di per sé di difficile definizione, poiché non esiste un pensiero univoco comune a circoscriverne la sostanza a prescindere da idee contingenti e connesse come democrazia, nazionalismo, società civile. Peraltro, nelle varie epoche storiche, si sono verificati dei momenti di trasformazione che generano spostamenti di significati da attribuire a questa parola. Il solo punto di accordo nel dibattito recente è il riferimento della cittadinanza a una cultura specifica e alla percezione di una identità comune, come nel caso del popolo ebraico. Alcuni studiosi identificano proprio nella diaspora un esempio di sviluppo dell'idea di cittadinanza collegandolo strettamente al senso di identità etnica. La percezione di essere ebrei è più forte del legame al territorio, dunque, ai fini della riflessione che si propone in questa sede, questo rappresenta un esempio di come l'allentarsi della relazione tra individui e territori lasci spazio a nuove possibilità, possibilità che per gli ebrei si concretizza nella capacità di sfidare e vincere persino la diaspora. Come sostiene Geoffrey

132 Virginia Leary, Citizenship. Human rights, and Diversity". In Alan C. Cairns, John C. Courtney, Peter MacKinnon, Hans J. Michelmann, David E. Smith, Citizenship, diversity and pluralism: canadian and comparative perspectives, McGill-Queen's Press, 2000, pp. 247–264.

Hosking nel 2005134, la comunanza si dà nella storia, nella lingua e nella religione, dunque nella cultura

condivisa. È un caso del tutto differente da quello della maggior parte degli altri popoli che sviluppano invece la propria identità in base alla posizione geografica che occupano. Il senso d'appartenenza giudaico al proprio gruppo etnico135 contrasta con l'idea moderna di una cittadinanza aperta e accogliente verso altre culture ed etnie

che possono entrare a far parte della comunità dei cittadini di uno Stato. Questa situazione crea la prima distinzione interna al discorso sulla cittadinanza: se ne esiste una acquisita per il principio dello jus solii, per diritto di nascita su un determinato territorio e quindi non scelta, ne esiste anche una acquisita mediante il soddisfacimento dei prerequisiti fissati dallo Stato di arrivo e dunque deliberata e decisa. Anche questa possibilità, come documenta Yvonne Hebert nel suo Citizenship in transformation in Canada136, esiste già nella

polis greca. Il legame tra la persona e la città-stato dipende più dall'importanza della libertà che dal territorio e Hosking lo spiega bene quando dice che:

It can be argued that this growth of slavery was what made Greeks particularly conscious of the value of freedom. After all, any Greek farmer might fall into debt and therefore might become a slave, at almost any time. When the Greeks fought together, they fought in order to avoid being enslaved by warfare, to avoid being defeated by those who might take them into slavery. And they also arranged their political institutions so as to remain free men137.

È il rischio reiterato di finire in schiavitù che li mette in condizione di tutelare, prima di ogni altra cosa, la libertà e di attribuirle il più alto valore e questo sentire li accomuna nei momenti di lotta e nel tentativo di dotarsi di istituzioni politiche realmente in grado di perservare la condizione di uomini liberi. Eppure è la schiavitù a permettere l'attività politica ai cittadini, una contraddizione che si scioglie solo applicando il filtro di una interpretazione sociologica imperniata sull'idea di classe. L'appartenenza a una classe sociale piuttosto che a un'altra determina l'intensità dell'esigenza di godere dei diritti di cittadinanza e dunque di essere inclusi nella serie di possibilità che essa contempla ed offre. Del resto, l'esclusione ha messo al bando dai diritti le donne, i minori, gli schiavi, gli immigrati. Secondo un calcolo di Hosking, di un massimo di cinquantamila cittadini ateniesi, solo il 10% esercita attivamente le facoltà che gli sono accordate nella vita pubblica.

Peraltro, si può avanzare una riflessione sui costi della cittadinanza. Il rapporto conflittuale che le polis intrattenevano tra loro è legato al mantenimento dello status quo interno, in cui una minoranza del popolo godeva della cittadinanza. Se è vero che le città-stato condividono molto in termini economici, culturali, religiosi, è altrettanto innegabile che solo una condizione di guerra piuttosto regolare può garantire la ricchezza dei ceti superiori mediante la confisca dei beni ai perdenti e l'incremento di schiavi tra i combattenti caduti prigionieri dello schieramento nemico. La polis gode di tutti i vantaggi della guerra e soprattutto ne godono le classi alte, quindi il tentativo di mantenere inalterati gli equilibri evitando lunghi periodi di pace si può interpretare anche come un fenomeno elitario di conservazione dei privilegi. Senza le risorse prodotte dalla

134 Geoffrey Hosking, Epochs of European civilization: antiquity to Renaissance. Lecture 3: Ancient Greece. United Kingdom: The

Modern Scholar via Recorded Books., 2005, pp.1, 2.

135 Feliks Gross, Citizenship and ethnicity: the growth and development of a democratic multiethnic institution, Westport, Connecticut: Greenwood Press, 1999, pp. XI, XII, XIII, 4.

136 Yvonne Hébert, Citizenship in transformation in Canada, University of Toronto Press, 2002.

137 Geoffrey Hosking, Epochs of European civilization: antiquity to Renaissance. Lecture 3: Ancient Greece. United Kingdom: The

Modern Scholar via Recorded Books., 2005, pp.1, 2. N.d.A.: Si può dimostrare che questo incremento della schiavitù fosse quello che rese i

greci particolarmente consapevoli del valore della libertà. Dopo tutto, alcuni contadini greci potrebbero indebitarsi e dunque diventare schiavi quasi in qualunque momento. Quando i greci combattevano insieme, combattevano per evitare di essere ridotti in schiavitù e di esservi ridotti da coloro che potrebbero prenderli come schiavi. E hanno anche adattato le loro istituzioni politiche in modo da restare uomini liberi.

guerra, infatti, non si potrebbe garantire la cittadinanza che a un'elite ancor più ristretta. Pensata su scala localistica, la cittadinanza, non solo si fonda su un principio di esclusione, ma anche su una necessità di conflitto permanente: le ragioni della pace riposano altrove. L'esclusione si basa sul dato di fatto pacificamente accettato della diseguaglianza socio-economica. Cittadini sono tutti gli individui della città avvantaggiati da questo punto di vista. I requisiti per godere dello status di cittadino sono censitari, fiscali, immobiliari.

Inizialmente non si distingue tra vita pubblica e vita privata dal momento che le dimensioni delle città-stato sono assai ridotte e quindi i doveri verso la società concretizzavano i bisogni della vita quotidiana. Inoltre l'esperienza militare in formazioni come la falange potenzia la coesione del popolo al punto che diversi studiosi rintracciano una connessione tra la vita militare e lo sviluppo della cittadinanza. In questo tipo di schieramento, infatti, ogni singolo soldato protegge il soldato alla sua sinistra formando un corpo compatto che dipende dalle sorti di ogni individuo e la popolazione coinvolta in queste operazioni, di solito, è quasi il totale di quella maschile adulta e in grado di autofinanziare il proprio equipaggiamento. In questa situazione, ogni parere pesa sulle decisioni e sulle sorti del conflitto e, poiché ognuno dipende dalla volontà di tutti, la lealtà sul campo è più probabile. Si vede chiaramente il legame tra la partecipazione politica e l'efficacia militare e si comprende anche l'ostilità primigenia dei greci per la tirannia. Non a caso, un altro elemento imprescindibile in Atene è l'isonomia: l'uguaglianza davanti alla legge. Diritti come il titolo a esprimersi e a votare in assemblea, la possibilità di candidarsi a ricoprire ruoli pubblici, la tutela giudiziaria, la proprietà terriera e la possibilità di prendere parte pubblicamente al culto sono il contrappeso di doveri come l'obbedienza davanti alla legge e il servizio militare. Ciononostante, l'attenzione del cittadino ateniese si concentra di più sugli obblighi, perché questi rappresentano occasioni di praticare comportamenti virtuosi e di riconoscimento sociale: la comunità, infatti, è molto importante per ognuno dei suoi componenti che nel contesto sociale vive concretamente la dimesione democratica dell'esercizio della sovranità popolare. La virtù, inoltre, è così rilevante che il sistema stesso si autotutela dalle eventualità fraudolente della corruzione con quella rotazione delle cariche politiche e giudiziarie che contribuisce ad ampliare la partecipazione alla vita pubblica. Anche Pocock sottilinea che

[…] what makes the citizen the highest order of being is his capacity to rule, and it follows that rule over one's equal is possible only where one's equal rules over one. Therefore the citizen rules and is ruled; citizens join each other in making decisions where each decider respects the authority of the others, and all join in obeying the decisions (now known as laws) they have made138.

Una simile distribuzione del potere diventa il sale della cittadinanza insieme al senso della comunità che rende il singolo protagonista dei suoi doveri agli occhi di tutti.

La situazione è diversa a Sparta e, in un certo senso, si ritiene139 che là sia valorizzato meglio che ad Atene il

principio della cittadinanza, poiché è fondato sull'uguaglianza dell'elite degli spartiati e perché, tra loro, lealtà e coraggio vengono stimolati in ogni modo più che altrove. La proprietà terriera della polis è ripartita equamente tra i cittadini in modo che ogni famiglia tragga da vivere dalla terra che ha in uso. Come ad Atene, anche qui ci sono ceti inferiori privi del titolo di cittadini che sollevano gli spartiati da oneri diversi da quelli militari e che si occupano di quelle attività manuali ritenute incompatibili con la cittadinanza. Chi si astiene dal servizio militare

138 J.G.A. Pocock, The Citizenship Debates. Chapter 2 The Ideal of Citizenship since Classical Times, The University of Minnesota, Minneapolis, 1998, pp. 31. N.d.A.: ... quello che rende massimo il valore dell'essere cittadino è la sua capacità di governare e e ne consegue che il governo sul proprio uguale è possibile solo dove le regole sono uguali per tutti. Per questo il cittadino regola ed è regolato, egli si unisce agli altri nel prendere decisioni dove ogni decisore rispetta l'autorità degli altri e tutti si raccordano nell'obbedire alle decisioni (ora note come leggi) che essi hanno strutturato.

perde il diritto di cittadinanza. Peter Riesenberg140 ritiene che questo modo di concepire la questione sia elitario

e che dipenda dall'omogeneità data dalle piccole dimensioni della comunità. Ancora Hoskin sottolinea il legame tra la partecipazione politica e l'attività militare anche in Sparta:

If you've got a lot of soldiers of rather modest means, and you want them to enthusiastically participate in war, then you've got to have a political and economic system which doesn't allow too many of them to fall into debt, because debt ultimately means slavery, and slaves cannot fight in the army. And it needs a political system which gives them a say on matters that concern their lives141.

Del resto, anche ad Atene la costituzione aristocratica viene definitivamente posta in discussione e accantonata dalla riforma di Solone del VI secolo a.C., quando, con la cancellazione dei debiti a tutti, si permette la partecipazione all'assemblea di tutti i maschi liberi realizzando così un'inclusione insperata. Più tardi, con Clistene, la società è stata nuovamente riorganizzata e le tribù, con le loro identità omogenee, definitivamente superate da strutture miste composte da persone di vari tipi di aree geografiche dall'identità più fluida e distribuita. Nella stessa unità politica, dunque, si ritrovano persone di vari ceti sociali meno legate tra loro da vincoli familiari e questa diventa la nuova unità di misura della cittadinanza. Si tratta di un vero e proprio esperimento multietnico edificato sul principio democratico. A tal proposito, Gross142 ritiene che un

compromesso di questo tipo può riuscire solo se persone di varia provenienza si associano costruttivamente intorno a interessi comuni.

A Roma la situazione è idillica durante la repubblica, quando l'esercizio della cittadinanza ha luogo nella forma della democrazia diretta, al tempo in cui i soldati riuniti nell'esercito partecipano all'assemblea chiamata a deliberare su questioni legislative, elettorali e militari. Solo con l'estensione dei confini la partecipazione politica vive un inarrestabile declino.

La somiglianza al modello greco è chiara: uguaglianza davanti alla legge, partecipazione politica e equa distribuzione e rotazione del potere sono oggetto di continuità, con la differenza, però, che i romani accordano ai popoli conquistati la possibilità di integrarsi nel loro contesto acquisendo una sorta di seconda cittadinanza e accettano il loro contributo culturale. Nonostante non possano votare nelle assemblee, i vinti godono comunque della protezione della legalità. Il rifiuto della manualità rimane estraneo all'agire romano e quindi i nuovi arrivati entrano a far parte anche del circuito commerciale e delle attività di ordine pratico senza essere classificati male nella scala sociale ed essendo comunque soggetti alla regolamentazione ordinaria. Come spiega Pocock:

The person was defined and represented through his actions upon things; in the course of time, the term property came to mean, first, the defining characteristic of a human or other being; second, the relation which a person had with a thing; and third, the thing defined as the possession of some person143.

140 Peter Riesenberg in Derek Heater, A brief history of citizenship, New York University Press, New York City, 2004. pp.157.

141 Geoffrey Hosking, Epochs of European civilization: antiquity to Renaissance. Lecture 3: Ancient Greece. United Kingdom: The

Modern Scholar via Recorded Books., 2005, pp.1, 2. N.d.A.: Se hai molti soldati dotati di mezzi piuttosto modesti e vuoi che partecipino

con entusiasmo alla guerra, allora devi avere un sistema economico e politico che non permetta a molti di loro di indebitarsi, perché in definitiva indebitarsi vuol dire cadere in schiavitù e gli schiavi non possono combattere nell'esercito. Ed occorre un sistema politico che dia loro voce in capitolo sulle questioni che li riguardano direttamente.

142 Feliks Gross, Citizenship and ethnicity: the growth and development of a democratic multiethnic institution, Greenwood Press, Westport, Connecticut, 1999, pp. XI, XII, XIII, 4.

143 J.G.A. Pocock, The Citizenship Debates. Chapter 2 The Ideal of Citizenship since Classical Times, The University of Minnesota, Minneapolis, 1998, p. 36. N.d.A.: La persona veniva definita e rappresentata attraverso le sue azioni sulle cose; nel corso del tempo, il termine proprietà venne a significare, primo, la caratteristica peculiare di uno o dell'altro essere umano, poi, la relazione che una persona aveva con le cose; terzo le cose definite dal possesso di alcune persone.

Come evidenzia Burchell144, la condizione di cittadino è ambita da parte dei membri delle classi inferiori,

costretti come sono a vederla in quanto forma di rispetto dei diritti di proprietà dei ceti superiori e goduta in toto solo dai patrizi: è per questo che l'emancipazione sociale ha luogo mediante lo scontro tra i due ceti. La plebe conquista la rappresentanza solo nel 494 a.C. con l'istituzione del tribunato. Secondo Pocock, il cittadino della romanità deve essere interpretato come una persona

free to act by law, free to ask and expect the law's protection, a citizen of such and such a legal community, of such and such a legal standing in that community145.

Da questo e da altri studi, emerge il carattere più giuridico-normativo della cittadinanza romana rispetto a quella greca, concepita più nettamente come un sistema di protezione, di tutela della persona nel suo rapporto con il soggetto politico cui appartiene. Inoltre, questo rapporto con la legge, che è stabile, permanente e pubblico, determina anche il collante sociale tra gli individui di un popolo e stimola il senso di appartenenza alla comunità di riferimento. Il diritto romano si esprime in forma più impersonale, universale e multiforme e contempla vari gradi e applicazioni della cittadinanza, presente in tipi e misure diverse anche a seconda dell'estensione territoriale di una data epoca storica. Mentre in Grecia la legge veniva promulgata dalle assemblee, a Roma il diritto si determina anche in altri luoghi, come, ad esempio i tribunali che pubblicano sentenze o mediante il decreti. Concedere la cittadinanza ai popoli conquistati, per i romani, significa estendere la legittimità del proprio potere e, col passare del tempo, questo istituto si riduce a mera garanzia giudiziaria, oltre che ad espressione di diritto e di potere. Come categoria, la cittadinanza romana è talmente più complessa di quella ateniese che attribuisce ai cittadini una molteplicità di ruoli talvolta in contrasto tra loro. In questo sistema anche la tutela delle donne è migliore che in Grecia che di fatto si concretizza in una cittadinanza sussidiaria. L'effetto dell'estensione della cittadinanza nell'Impero è quello di una lealtà e di una fedeltà diffusa e generalizzata. L'inclusione di individui aumenta con la diminuzione della ricchezza e con la minore disponibilità degli uomini a prestare il servizio militare.

Dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, l'Europa sviluppa il proprio sistema giuridico riferendosi a due fonti concorrenti di autorità: da un lato quelle religiose, dall'altro quelle laiche, dunque la successiva separazione tra Stato e Chiesa rappresenta una svolta importante. Se in Oriente l'imperatore e il capo della chiesa si fondono in una sola figura, in Occidente si mantengono distinti. Giustiniano, imperatore d'Oriente tra il 527 e il 565 d. C. e autore del Corpus Iuris Civilis, intendeva la cittadinanza come buona relazione tra persone degne e responsabili verso se stesse e verso la comunità.

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