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Il quarantennale del documento (pubblicato il 5 agosto 1968) con cui una Commissione dell’Università di Harvard propose di considerare lo stato clinico che al tempo veniva denominato “coma irreversibile” co- me un nuovo criterio di morte (da allora parliamo di “morte cerebrale”), ha riproposto alla bioetica (e alla politica?) italiana un nuovo motivo di discussione e forse di scontro. In un articolo apparso sull’Osservatore Romano il 3 settembre u.s. la storiografa Lucetta Scaraffia ha parlato, sulla scorta di un libro recente di Paolo Becchi (2007) della difficoltà di mantenere oggi questo concetto, le cui basi sono state minate da una serie di nuovi dati, fra i quali spicca il fatto che una donna incinta in morte cerebrale può essere mantenuta biologicamente viva anche per diverse settimane in modo da permettere la maturazione del feto e la na- scita (attraverso taglio cesareo) di un bambino sano. Gli oppositori del concetto di morte cerebrale, di cui il filosofo Hans Jonas è stato il pre- cursore, sostengono da tempo che tale definizione fu concepita al solo scopo di rendere possibile il prelievo di organi. La conclusione di Bec- chi, che di Jonas è attento studioso, è che sia stato un errore voler «ri- solvere un problema etico-giuridico con una presunta definizione scien- tifica», cioè ridefinendo la morte, mentre sarebbe stato più corretto «elaborare criteri eticamente e giuridicamente sostenibili e condivisi- bili» per l’attività di trapianto.

Scaraffia ha proseguito chiedendosi se allo stato dell’arte la Chiesa cattolica possa continuare a sostenere il concetto di morte cerebrale, come sostanzialmente ha fatto finora, e ha citato un vecchio interven- to del cardinale Ratzinger (1991) in cui si criticava la “messa a morte” dei malati in coma allo scopo di prelevarne gli organi.

Nei giorni successivi vi è stata una presa di distanza da parte della Santa Sede, che ha chiarito come quella posizione espressa non si iden- tifica con quella del Vaticano, e una serie di articoli di studiosi autore- voli come Francesco D’Agostino, Enrico Garaci, Lorenzo D’Avack e Roberto de Mattei, Vice-Presidente del CNR e curatore, quest’ultimo, di un volume collettaneo (de Mattei 2006) che raccoglie una serie di in- terventi dei principali oppositori stranieri del concetto di morte cere- brale.

D’Agostino, già Presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica, ha difeso – a dir vero con qualche disagio – il concetto di morte cere- brale, fin qui fatto proprio, o meglio non criticato, dalle autorità vati- cane (il passo citato del cardinale Ratzinger che risale al 1991 è piut- tosto l’eccezione che la regola nei pronunciamenti vaticani in proposi- to), così come ha fatto Garaci, attuale Presidente dell’Istituto Superio- re di Sanità, che ripercorre brevemente la storia del concetto di morte cerebrale, di cui considera indiscutibile la validità e l’accettazione da parte del Magistero ecclesiastico.

Al contrario, D’Avack e de Mattei hanno espresso scetticismo su questa definizione di morte e si chiedono esplicitamente se le pratiche di trapianto, quando riguardano organi impari come il cuore e il fega- to, non debbano essere vietate in quanto comporterebbero l’uccisione di un essere umano (sia pure un malato terminale). Anche se Scaraffia non lo aveva detto espressamente, ben si comprende la sollevazione che il suo articolo abbia provocato tra i medici e massimamente tra quelli che si possono definire gli stakeholders dei trapianti (medici ad- detti, direzioni sanitarie ospedaliere, associazioni di malati ecc.). Con minore autorevolezza, nei giorni seguenti Ida Magli si è scagliata con- tro i trapianti in generale, il commercio e il furto degli organi nel mon- do facendo d’ogni erba un fascio.

L’allarme destato nell’opinione pubblica e negli ambienti coinvol- ti nella medicina dei trapianti ha indotto la Pontificia Accademia per la Vita e la Federazione Internazionale dei Medici Cattolici a convo- care un congresso internazionale dal titolo Un dono per la vita – Con-

siderazioni sul trapianto degli organi, davanti al quale il 7 novembre Benedetto XVI ha tenuto un’allocuzione in cui ha detto, fra l’altro, che

I singoli organi vitali non possono essere prelevati che ex cadavere.

La scienza, in questi anni, ha compiuto ulteriori progressi nell’accerta- re la morte del paziente. È bene (…) che i risultati raggiunti ricevano il consenso dell’intera comunità scientifica così da favorire la ricerca di so- luzioni che diano certezza a tutti. In un ambito come questo, infatti, non può esservi il minimo sospetto di arbitrio e dove la certezza ancora non fosse raggiunta deve prevalere il principio di precauzione.

Ha sottolineato inoltre che

(…) il consenso informato è condizione previa di libertà, perché il tra- pianto abbia la caratteristica di un dono e non sia interpretato come un atto coercitivo o di sfruttamento.

Mi sono limitato qui a evidenziare i passi del discorso attinenti al te- ma che trattiamo, trascurandone altri.

Commentando sull’Avvenire il discorso papale in un editoriale del 9 novembre 2008, Francesco D’Agostino, interprete autorevole del Ma- gistero, ha inteso dissipare i timori che in parte della stampa e del- l’opinione pubblica si erano manifestati a proposito delle parole di cau- tela (si veda l’accenno al principio di precauzione), sottolineando il fat- to che nel suo discorso il Pontefice ha espresso la sua fiducia nella ca- pacità della scienza di accertare l’avvenuta morte e che in nessun mo- do ha voluto entrare nel merito dei criteri di accertamento. Non ha fat- to alcun cenno alle critiche formulate da diversi studiosi sul come si giunse nel 1968 alla proposta del Comitato di Harvard e alle posizioni espresse nell’arena internazionale di cui ho accennato più sopra. Non ha neppure sottolineato che nel suo discorso Benedetto XVI sembra parlare di consenso informato del donatore in senso forte e che le sue parole, se prese alla lettera, sarebbero di grave nocumento alla pratica del trapianto. Sappiamo infatti che, malgrado la legge del 1989 abbia previsto una (macchinosa) procedura di consenso generalizzato, nella pratica vige tuttora il principio del silenzio-assenso con la possibilità dei familiari di manifestare il (presunto) dissenso della persona mo- rente che non abbia lasciato indicazioni. Qualora vigesse realmente il principio del consenso attivo del donatore, il numero dei prelievi di- minuirebbe drasticamente. Beninteso, nessuno discute sulla teorica pre- feribilità del principio del consenso “attivo”, ma sappiamo che nella pratica le persone non amano pensare alla morte e che una larga per- centuale dei cittadini giungono (e giungeranno) all’exitus senza esser- si espressi in merito. Credo che si possa avanzare un buon argomento in favore del silenzio-assenso, ad esempio ricorrendo all’idea del pat-

to per la tutela della salute stipulato implicitamente fra Stato e cittadi- ni e al prelievo – salvo espresso dissenso – come contropartita minima alla copertura sanitaria da parte dello Stato.