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dicembre del ’95, a tutt’oggi, lo Iovine è latitante in rapporto al titolo cautelare emesso nel presente procedimento, ed anche tale dato

obiettivo è un ulteriore ‘indice rivelatore’ di appartenenza alla organizzazione, posto che un simile periodo di sottrazione alle ricerche può essere realizzato solo da un soggetto che gode di forti

‘legami’ con il territorio.

La valutazione degli elementi sin qui indicati conduce, pertanto, alla affermazione di responsabilità di Iovine Antonio anche in riferimento al reato contestato al capo 1 del decreto di rinvio a giudizio.

Quanto alla commisurazione della pena, in rapporto a tale capo, va osservato che il ruolo svolto dallo Iovine è stato, effettivamente, un ruolo direttivo, sia pure in una specifica articolazione territoriale (S.Cipriano d’Aversa). Pertanto, valutati i criteri di cui all’art.133 c.p. e ritenuta sussistente la circostanza aggravante di cui all’art.416 bis co.4, va irrogata in rapporto al capo 1 a Iovine Antonio la pena di anni quattordici di reclusione. Le ulteriori commisurazioni verranno operate al capitolo 9.

Inoltre, attesa la mancata dimostrazione circa la provenienza dei beni tuttora in

sequestro preventivo, nonché la sproporzione tra il valore di detti beni ed i redditi legalmente conseguiti (si vedano le schede patrimoniali in atti al faldone B21) va disposta la confisca ai sensi dell’art.12 sexies l.356/’92 dei beni tuttora in sequestro, analiticamente indicati in dispositivo.

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IOVINE MARIO del ’59 .

A giudizio della Corte, l’istruttoria ha fornito gli elementi di conoscenza sulla avvenuta ‘inclusione’ di Iovine Mario del ’59, detto rififì nel contesto organizzativo per cui è processo, pur dovendosi escludere la qualità ‘direttiva’ originariamente contestata.

Ed invero, va osservato che le ‘aree’ di convergenza narrativa sulla posizione di Iovine Antonio del ’59 sono molteplici e non si limitano alla attività di ‘controllo’, per conto della organizzazione, della distribuzione dei videopoker nei territori della provincia di Caserta.

Già tale attività, in effetti, fa di Iovine Mario un soggetto ‘incluso’

nella organizzazione, posto che – come tutti i dichiaranti di maggior

‘peso’ hanno affermato 1555 - si trattava di un ‘affare’ che comportava l’afflusso di denaro nelle casse dell’organizzazione camorristica.

Ma vi è di più.

1555 Si vedano le affermazioni rese da De Simone Dario, Ferrara Raffaele, Frascogna Domenico, Di Bona Franco, riportate dal P.M. al verbale del 10.6.’04, cui si rinvia.

Come emerge dagli ‘incroci’ narrativi tra diverse fonti che l’istruttoria ha rivelato attendibili (De Simone, Di Bona, Frascogna, Pagano) il presente imputato ha svolto la sua attività per l’organizzazione anche in occasione di ‘appostamenti’ operati nel corso del tempo contro i vari soggetti antagonisti.

Le affermazioni del De Simone e del Frascogna lo coinvolgono in appostamenti operati in danno di Salzillo Antonio, mentre quelle del Di Bona e del Pagano convergono sulla sua presenza nel corso di taluni appostamenti che (nel ’91) avevano come obiettivo il Venosa.

Ora, va detto che tali elementi convincono la Corte della ‘continuità’

dell’opera prestata da Iovine Mario in favore del gruppo criminoso e non lasciano dubbi sulla avvenuta inclusione di tale soggetto. Come è emerso dall’istruttoria, tali appostamenti (si veda l’intero capitolo 6) non solo si sono davvero verificati ma hanno visto come protagonisti, in virtù degli elevati margini di rischio, solo soggetti stabilmente aderenti al gruppo criminoso.

Di certo, non ha ottenuto conferma la presenza di un ruolo’ direttivo’

di tale imputato (posto che le fonti non lo inquadrano come soggetto con potestà decisionali, ma solo esecutive) ma non può dubitarsi, come si è detto, della avvenuta inclusione.

Va pertanto affermata, in riferimento al reato di partecipazione all’associazione oggetto del processo – così modificata l’originaria imputazione – la penale responsabilità dell’imputato Iovine Mario.

Quanto al trattamento sanzionatorio, va affermato che l’esistenza di precedenti per detenzione di armi (sia pure risalenti nel tempo) ed il lungo periodo di consumazione inducono a negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Pertanto, valutati i criteri di cui all’art.133 c.p. e ritenuta sussistente la circostanza aggravante di cui all’art.416 bis co. 4 c.p., appare equo irrogare al presente imputato la pena di anni sette di reclusione.

Alla predetta statuizione consegue l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque (pena accessoria) e la condanna al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in custodia, come da dispositivo.

Inoltre, attesa la mancata dimostrazione circa la provenienza dei beni tuttora in

sequestro preventivo, nonché la sproporzione tra il valore di detti beni ed i redditi legalmente conseguiti (si vedano le schede patrimoniali in atti al faldone B21) va disposta la confisca ai sensi dell’art.12 sexies l.356/’92 dei beni tuttora in sequestro, analiticamente indicati in dispositivo.

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LANZA BENITO.

L’istruttoria compiuta non ha fornito la prova dell’inserimento di Lanza Benito nella organizzazione casalese, almeno sino alla data di chiusura della contestazione (dicembre ’96).

Sul punto, come è stato evidenziato dal P.M. in sede di requisitoria (udienza del 10.6.’04, con richiesta di assoluzione) le fonti dichiarative non hanno dato luogo ad un reale fenomeno di convergenza.

In effetti, mentre alcuni dichiaranti hanno indicato Lanza Benito come persona inserita nel gruppo di Pagano Giuseppe (ma senza fornire descrizione specifica di comportamenti ‘indicativi’) , è stato proprio quest’ultimo a rappresentare un elemento di chiara

‘smentita’ , descrivendo il tipo di rapporto che era intercorso con il Lanza.

Così il Pagano, soggetto che ha fornito ampia collaborazione e che, pertanto, va ritenuto affidabile (udienza del 9.5.’01) “ …questo è avvenuto nel '94. Ah, avvenne poco dopo che ritornai dalla Bulgaria, che mi dovevo procurare una macchina; avevo una Croma Diesel e volevo cambiarla con una Mercedes. P.M.: e lei mandò anche qualcuno dei suoi ragazzi? Teste: sì, io... non ragazzi, le persone che andarono da Noviello sono: il Lanza Benito, il Lanza Bruno ed un altro ragazzo di Frignano, che -diciamo così- non facevano parte del

clan, comunque mandai questi ragazzi per questa cosa. Io mandai a picchiarlo -diciamo così- poi nella foga (dice: disse): "ditegli pure che prepara la macchina ed i soldi", ma comunque non era proprio un'estorsione, anche se gli è stata chiesta, è stata tentata. P.M.: lei è stato condannato per questo episodio? Teste: sì, sì, sono stato condannato. P.M.: senta, il Lanza Benito ed Lanza Bruno, sono due persone alle quali si è rivolto, perché si è rivolto proprio a loro? Teste:

dunque, il Lanza Bruno ed il Lanza Benito -almeno finchè stavo io fuori- sono stati sempre dei liberi professionisti, tra virgolette, nel senso che erano rapinatori, facevano le rapine. Il Lanza Bruno addirittura, una volta che noi stavamo cercando di prendere Mario Santoro, lo mandammo a chiamare, per chiedere se ci faceva da specchietto, se ci diceva quando vedeva il Santoro Mario, garbatamente ce lo rifiutò, disse: "io non vivo di queste cose, non voglio entrare in queste cose". Il Lanza Benito altrettanto, almeno fin quando sono stato fuori io, era -diciamo così- libero professionista. Avevano a che fare con me, perché io li coprivo per le rapine in effetti e non per altro. L'ho usato io per questa cosa, a Lanza Benito lo usò il Walterino Schiavone per far picchiare una persona fuori casa sua, nel bar, che addirittura questo quando veniva picchiato, diceva: "guarda, che io sono amico di Walterino!", però non facevano parte dell'organizzazione. P.M.: ma lei

sa se erano legati a qualcuno dell'organizzazione? Teste: legati no, erano parenti di Martinelli Enrico ed è successo questo: è successo che delle volte il Lanza Benito -diciamo così- parlava di lavori, di lavori che si svolgevano sulla scuola dove lui abitava ed io gli spiegavo "senti, per parlare di queste cose, dovresti entrare in un certo discorso". Magari lui era pure predisposto, però io scaricavo la palla al parente, al Martinelli Enrico, per farli entrare, se se la pigliava lui la responsabilità, perché da parte mia c'era lo Schiavone Francesco di Nicola che la razza dei Lanza non la digeriva… . Ed in seguito (udienza 11.6.’01) : …G.a.L.: e ci vuole spiegare un attimo meglio quella sua affermazione che riguarda invece il rapporto che aveva con Lanza Benito? Nel senso che questa sua attività di rapinatore, lei ha detto "io lo coprivo per le rapine"... e ogni tanto se ho capito bene c'era qualche incarico, che cosa intende con questa affermazione "io lo coprivo per le rapine, lui e il fratello" ce lo vuole spiegare un po' meglio? Teste: in effetti loro facevano le rapine, qualora qualcuno avesse sollevato qualche obiezione io più che coprire spiegavo come agire, nel senso che dicevo: "voi andate fuori zona dove non c'è il controllo del clan, fate quello che volete e non ci sono problemi, perché non date fastidio a nessuno, poi se proprio qualcuno vuole subentrare in questa cosa, non vi preoccupate che ci parlo io, non è mai successo

che qualcuno abbia preteso che non facessero queste cose. Poi per quanto riguarda gli incarichi, è stato... per l'estorsione di Tonino Noviello che gliel'ho dato io e dopo l'estorsione lo stesso Walterino, erano in tre di loro e gli davamo £500.000 al mese e solo di un altro incarico che gliel'ha dato Walterino Schiavone di fare picchiare una persona fuori casa sua nel bar, poi non ho parlato di altri incarichi per quanto riguarda i (incomprensibile). G.a.L.: quindi l'estorsione di Noviello e la spedizione a richiesta di Walter Schiavone, quindi dopo quella vicenda di Noviello, ho capito bene? Lei dava £500.000 al mese a chi? Teste: erano tre ragazzi in carcere e gli davamo £500.000 cadauno, mi scusi, quando furono arrestati chiesi la cortesia a Schiavone Walter, dissi: "almeno gli devo dare le 3500.000 che spendono in carcere al mese" e lui mi diede un milione e mezzo e gli davo £500.000 cadauno. G.a.L.: ho capito, per sostenere il periodo di detenzione e poi successivamente quando sono stati scarcerati, che rapporti ci sono stati che lei può riferire? Teste: no, dottore io mi sono consegnato prima che uscissero... ah, sì è uscito un ragazzo ma non è imputato in questo processo, che non ho avuto nessun rapporto..”.

Dunque non vi è certo un rapporto di affiliazione, ma nemmeno può parlarsi di totale ‘estraneità’ del Pagano agli interessi ‘personali’ dei Lanza. A ben vedere, il Pagano mantiene un legame con tali soggetti

(il che rende ‘comprensibili’ le indicazioni fornite da alcuni altri dichiaranti, come Ferrara Raffaele e Frascogna Domenico), con una sorta di ‘protezione’ sulla attività di rapinatori che tali soggetti svolgevano ‘fuori zona’, ed in cambio li impiegava saltuariamente in alcune attività illecite.

Ciò che rileva, in ogni caso, è la totale assenza di affectio societatis che emerge dalle parole del Pagano : Lanza Benito operava ‘in proprio’ e non eseguiva ‘compiti’ nell’interesse della organizzazione.

Ciò del resto emerge con chiarezza dall’intera istruttoria, posto che nessuno indica il Lanza come soggetto presente ad attività realizzate

‘ in comune’ dagli affiliati nei diversi contesti territoriali e nelle numerose ‘occasioni’ trattate in questo processo.

Va dunque emessa sentenza di assoluzione nei confronti di Lanza Benito, ai sensi dell’art.530 co.1 c.p.p., perché il fatto, inteso come adesione del soggetto alla organizzazione, non sussiste.