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M.: avete fatto irruzione prima in un'abitazione con la chiave di qualcuno? Teste: questo è successo dopo, signor giudice, come le

dicevo, ora le spiego come è successa la cosa: prima arrestiamo Walter Schiavone, l'altra persona non riusciamo a trovarla, l'arresta la volante, cioè una macchina del Nucleo Prevenzione Crimine Campania. Dopo l'arresto.. cerchiamo di capire da dove era andato via, uscendo fuori dal portone, notiamo fermi davanti ad un'abitazione Gagliardi Mario insieme a Di Caterino Domenico, che non era altro che il marito della signora Schiavone Laura che stava dentro. Ed allora chiediamo al Gagliardi: "che fai qua?", dice: "no, questa è la casa di mio figlio", "embè, apriamo, vediamo un po' chi c'è dentro", "non c'ho le chiavi", "vai a prendere le chiavi" con uno degli agenti mandai

Gagliardi a prendere le chiavi, tornò appena dopo. Aprendo la porta, all'interno abitazione al primo piano troviamo altre tre persone, che erano Apicella Dante, Caterino Oreste e l'altro era Misso Giuseppe.

Quindi all'interno dell'abitazione c'erano queste tre persone e, insomma, diciamo che capimmo che Walter Schiavone probabilmente, unitamente all'altra persona che scappò e non fu identificata, stava in quell'abitazione. Poi successivamente ci siamo resi conto che... P.M.:

l'abitazione di chi era? Teste: l'abitazione era di... Teste: l'abitazione era di Gagliardi Nicola, figlio di Mario, lui abitava lì di fatto, insomma, c'era... P.M.: era presente anche Gagliardi Nicola? Ad un certo momento sopraggiunse? Teste: sì, dopo viene Gagliardi Nicola e quindi arrivò pure lui, lui abitava lì perché la casa era arredata, c'era la stanza da letto, la cucina, insomma era chiaro che l'appartamento era abitato. P.M.: ma come faceste ad accertare che da quell'abitazione era fuggito Walter Schiavone? Teste: lo accertammo in questo modo: i colleghi che stavano fuori dissero di averlo visto saltare quel muro, praticamente quel muro, passando poi la strada, c'era la costruzione, lo stabile, il costruendo stabile, era uno stabile grezzo, dove lui si rifugiò dentro. Praticamente lui e l'altro passarono solamente questa via Angiolieri e poi -insomma- diciamo che i colleghi si buttarono istintivamente in questa costruenda abitazione e trovarono lui. L'altro

probabilmente è scappato per le campagne, è una zona di periferia. Ed accertammo in questo modo. In questo modo, ma anche ci rendemmo conto che su quella strada quell'abitazione era l'unica che aveva questo muro che dava su via Angiolieri, le altre praticamente erano tutte chiuse, erano case attaccate una vicino all'altro. Questo era. P.M.:

quindi doveva provenire...? Teste: obbligatoriamente da lì. P.M.: quello era il muro di recinzione dell'abitazione dei Gagliardi? Teste: sì, quello era il muro di recinzione dell'abitazione di Gagliardi, che non era altro... non è che era un muro di recinzione che girava intorno, era la continuazione del muro dell'abitazione: praticamente ad un certo punto c'era l'abitazione, questo muro -che faceva da abitazione sopra- sotto continuava su un due metri, due metri e qualcosa e dava sulla strada.

Quindi c'era un tratto di circa quattro metri dove c'era questo muro alto un paio di metri e qualcosa che dava sulla strada. Quindi accertammo che l'unica abitazione che avesse questo muro che dava su via Angiolieri era quella. Mettiamo in relazione Gagliardi Mario, che noi già conosciamo, mettiamo in relazione Di Caterino Domenico che coi già conoscevamo per le precedenti attività investigative, mettendo in relazione Apicella Dante che usciva già dai contatti avuti precedentemente..”.

Dunque, l’abitazione da cui scappò Schiavone Walter era quella in uso a Gagliardi Nicola, di cui il padre Gagliardi Mario non aveva con sé le chiavi di ingresso (tanto che, come emerge dalla deposizione del teste Argenziano fu necessario un ‘accompagnamento’ del Gagliardi Mario allo scopo di reperire un mazzo di chiavi) . All’interno di tale abitazione vennero trovati Apicella Dante, Caterino Oreste e Misso Giuseppe e nel corso dell’operazione sopraggiunse il Galgiardi Nicola, che era apunto il soggetto ‘fruitore’ di quell’immobile.

Di ciò vi è ulteriore conferma anche attraverso la deposizione del dirigente della P.S. Silvana Giusti, che coordinò le operazioni ..

Teste: se la leggo me la ricordo, allora: Apicella Dante, nato a San Cipriano di Aversa il 28/11/66; Misso Giuseppe, nato a San Cipriano di Aversa il 20/2/69; Caterino Oreste nato a Genova il 10/5/73; Gagliardi Mario, nato a Casal di Principe il 7/2/43; Gagliardi Nicola nato a Casal di Principe il 3/9/68, questo è il figlio di Gagliardi Mario, proprietario dell'abitazione oggetto di questa discussione… .

Ora, va precisato che questa Corte non può utilizzare – ai fini della decisione – altri elementi che pure emergono dalla deposizione del teste Giusti (che riferisce su ‘contraddizioni’ in cui sono incorsi, al momento del fatto, Gagliardi Mario e Gagliardi Nicola in alcune dichiarazioni rese alla p.g.), posto che al momento del fatto, quando

gli operanti si accorgono che Schiavone Walter aveva scavalcato il muro di cinta di ‘quella’ abitazione, i due sono da ritenersi entrambi – di fatto – indagati per favoreggiamento e, pertanto, l’ uso di tali dichiarazioni attraverso la deposizione de relato andrebbe di certo a violare la disposizione normativa di cui all’art.62 c.p.p. .

La decisione, pertanto, va basata sui dati di fatto e sui comportamenti obiettivi tenuti dai soggetti coinvolti.

Sul punto, è evidente che il soggetto da ritenersi – con certezza – coinvolto nella ‘ospitalità’ fornita al latitante Walter Schiavone è il solo Gagliardi Nicola.

Costui, infatti, è pacificamente il soggetto che ha in uso l’abitazione in questione (tanto che il padre Gagliardi Mario non viene trovato in possesso delle chiavi di accesso), che deve ritenersi, per quanto accertato, il rifugio ‘non occasionale’ di Walter Schiavone.

La posizione ‘strategica’ dell’abitazione di Gagliardi Nicola consente, infatti, al latitante di mantenere i ‘contatti’ con il suo nucleo familiare (la distanza è molto breve e, come si è visto, consente alla moglie del latitante di fornirgli continua assistenza) ed, al contempo, di nascondersi. Peraltro, la presenza all’interno di tale abitazione di persone strettamente legate a Walter Schiavone (come Apicella Dante) è ulteriore conferma della ‘sequenza’ descritta dagli operanti

: da lì Walter Schiavone cercò di fuggire, sperando di allontanarsi senza essere tratto in arresto. E’ evidente che la condotta favoreggiatrice integra pienamente gli elementi costitutivi del reato, ivi compresa l’aggravante di cui all’art.7 legge 203 del ’91, posto che l’ausilio prestato al latitante – visto il rilievo della posizione ricoperta da Walter Schiavone nel gruppo – agevola le finalità della organizzazione in quanto tale.

A carico di Gagliardi Mario sono invece emersi elementi di

‘collegamento’ con l’organizzazione diversi dal fatto qui trattato. Ci si riferisce, in particolare, all’uso del camion intestato alla ditta Natale per il trasporto di armi da Otranto, argomento che è stato sviluppato trattando la ‘posizione’ di Dell’Anna Lucio (si vedano le dichiarazioni rese da Di Bona Franco). Il fatto in questione è avvenuto nell’anno 1990 (dunque diverso tempo prima).

Ma ciò non autorizza a ritenere che, necessariamente, Gagliardi Mario fosse a conoscenza dell’ospitalità fornita dal figlio Nicola a Walter Schiavone, o comunque, non vi è prova – sul punto – di un rilevante concorso di volontà tra i due attuali imputati.

Dunque, in rapporto a quanto emerso dall’istruttoria :

- Gagliardi Mario va assolto dall’imputazione a lui ascritta al capo n.62, ai sensi dell’art.530 c.1 c.p.p. per non aver commesso il fatto ;

- Gagliardi Nicola , in rapporto alla medesima imputazione, va dichiarato responsabile del fatto contestato. Quanto alla commisurazione della pena, va osservato che la sostanziale incensuratezza conduce al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, da ritenersi equivalenti alle aggravanti contestate. Pertanto, valutati i criteri tutti di cui all’art.133 c.p.

appare equo irrogare a tale imputato la pena di anni tre di reclusione. Alla predetta statuizione consegue l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque (pena accessoria) e la condanna al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in custodia, come da dispositivo.

--- GRANIGLIA COSIMO.

Ad avviso della Corte, l’istruttoria compiuta – in rapporto alle modalità di formulazione del capo di imputazione – non può condurre alla affermazione di responsabilità del presente imputato.

Come si è già notato al capitolo 2 punto 4 (cui si rinvia) l’oggetto del giudizio, in riferimento alle modalità espressive del capo numero 1

del decreto di rinvio a giudizio, consiste nella esistenza, operatività e forme di adesione al clan dei casalesi (con precisi riferimenti di vertice) e dunque alla organizzazione che, come si è detto più volte, sorge nel maggio del 1988 a seguito del conflitto ‘interno’ alla precedente consorteria criminosa e che conduce alla eliminazione di Bardellino Antonio e Salzillo Paride.

Dunque le eventuali ipotesi di ‘adesione’ alla organizzazione camorristica ‘precedente’ (il clan Bardellino, in massima parte oggetto di analisi con la decisione emessa dal Tribunale in sede il 29 aprile 1986) che non abbiano comportato, in seguito, la

‘prosecuzione’ del rapporto con il nuovo organismo criminoso (e dunque l’adesione al clan dei casalesi) sono ‘fuori dalla contestazione’ e non possono comportare affermazioni di responsabilità, ai sensi degli artt. 187 e 521 c.p.p. .

Ed è questo il caso di Graniglia Cosimo, nonché di alcuni altri imputati.

Sul punto, la prospettazione di ‘continuità’ del rapporto tra Graniglia Cosimo e l’organizzazione casalese, almeno per ciò che concerne l’intestazione fittizia di beni, coltivata dal P.M. in sede di requisitoria all’udienza del 9.6.’04, non ha trovato convincenti riscontri.

Ed invero, è pacifico il rapporto intercorso tra Graniglia Cosimo ed Antonio Bardellino.

Ciò risulta dalle indagini svolte dal colonnello Sessa (si veda il verbale di udienza del 17.11.’99, cui si rinvia) che sono state ampiamente citate al capitolo 6 punto 1 della presente decisione.

Inoltre, lo stesso Graniglia in sede di interrogatorio (il 15.7.’95) ha in parte ammesso l’esistenza di tale rapporto di conoscenza con il

‘Marco Diana’ che altri non era che Bardellino Antonio.

Ma, come si diceva, non vi è alcuna prova sul fatto che la

‘disponibilità fiduciaria’ che Graniglia Cosimo aveva fornito al Bardellino sia proseguita in epoca successiva al maggio 1988, posto che non vi sono (nella lunga istruttoria) dichiarazioni che rappresentano un simile rapporto.

Del resto, è ben possibile che – come rappresentato da alcune fonti – i beni del Bardellino posti in territorio estero (ed in particolare a Santo Domingo) siano stati in sostanza ‘abbandonati’ dai nuovi vertici del gruppo associativo (o lasciati alle ‘vedove’ ) posto che era alquanto complessa l’attività di ‘recupero’, specie dopo che Luigi Basile, con la sua famosa ‘costituzione’, aveva reso pubblica la

‘scomparsa’ del Bardellino, attirando l’attenzione di tutte le forze investigative campane . Il recupero dei beni di Bardellino in

territorio estero avrebbe ‘posto la firma’ di chi lo realizzava (se diverso da un prossimo congiunto) sotto un mandato di cattura derivante dalle dichiarazioni di Basile Luigi, difficilmente contrastabile.

Tale strategìa di abbandono, altamente verosimile (e sostenuta dalle affermazioni del De Simone Dario, citate nel capitolo 5) porta a ritenere che non vi fu alcuna ‘prosecuzione’ di contatti tra Graniglia Cosimo ed i nuovi vertici del gruppo casalese . Del resto tali contatti (successivi alla morte del Bardellino) non sono stati riferiti dalle numerose fonti dichiarative escusse.

Va pertanto emessa, nei confronti di Graniglia Cosimo, sentenza di assoluzione, in riferimento al reato contestato al capo 1, ai sensi dell’art.530 co.1 c.p.p. perché il fatto, qui inteso come adesione alla associazione oggetto del giudizio, non sussiste.

--- GUERRA GIUSEPPE NAZARIO.

L’istruttoria compiuta ha fornito la prova dell’inserimento del presente imputato nella organizzazione casalese.

Numerose fonti, infatti, tutte citate dal P.M. in sede di requisitoria (al verbale di udienza del 9.6.’04, cui si rinvia 1553) hanno affermato che Guerra Giuseppe, cognato di Di Gaetano Antonio, era stato

‘reclutato’ nel gruppo dei ‘trentolesi’ per commettere estorsioni ed altre azioni ‘militari’ . Già tale ampia convergenza appare estremamente significativa, in quanto proviene da contesti ‘diversi’ e da soggetti che (si veda il capitolo 5 punto 7) hanno vissuto concrete esperienze di inclusione nella organizzazione oggetto di giudizio.

Vero è che da alcune fonti è stata prospettata una certa

‘inaffidabilità’ del Guerra, in quanto costui faceva uso di sostanze stupefacenti, ma ciò non determina un effettivo ‘recesso’ del Guerra dall’organizzazione, almeno sino al periodo qui contestato. Si vedano le affermazioni del De Simone (udienza del 17.1.’01) : “ …P.M.:

Guerra Giuseppe? Teste: sì. P.M.: chi è Guerra Giuseppe? Teste:

Guerra Giuseppe lo conosco, è il cognato di Di Gaetano Antonio detto

"'o murulillo", come soprannome lo chiamavamo "Peppe 'a scign": è di San Marcellino, è un ragazzo che per un certo periodo di tempo è stato un po' con noi, con il nostro gruppo, poi negli ultimi anni si è staccato, gli ultimi anni '94/95. Precedentemente aveva fatto parte del nostro gruppo, però con piccoli... non aveva un ruolo rilevante, faceva

1553 Si tratta di D’Alessandro Salvatore, Ferrara Raffaele, Frascogna Domenico, De Simone Dario, Pagano Giuseppe e Schiavone Carmine.

piccole cose come conservare auto, armi, frequentava insieme al cognato Di Gaetano, camminava, qualche volta sono stati insieme, negli ultimi anni non l'ho più... l'ho perso di vista. P.M.: negli ultimi anni, a che cosa si riferisce? A quale periodo? Teste: '94/95, anche perchè ci accorgemmo che era una persona... P.M.: prego, dica, si accorgeva? Teste: ci accorgemmo che era una persona che non ispirava fiducia, sapemmo pure che faceva uso di stupefacenti, quindi l'allontanammo un po' alla volta, anche perchè aveva creato problemi a casa sua. In un'occasione mi recai a casa sua a parlare con il padre e con la madre insieme al cognato Di Gaetano Antonio perchè aveva messo le mani addosso alla madre, al padre perchè voleva i soldi, l'abbandonammo al suo destino perchè non era una persona che poteva... non godeva della nostra fiducia, era un ragazzo pericoloso.

P.M.: ha commesso reati per l'organizzazione? Teste: in questo momento non... mi sembra di no, non ricordo se ha fatto reati per il nostro gruppo o per il clan dei casalesi. P.M.: lei il 14 settembre del '96 disse, a proposito di Guerra Giuseppe: "partecipava alle estorsioni ed andò a sparare su un cantiere di un certo "Sparatrappe" di Teverola.

Teste: sì, questo lo ricordo, ma credo che sia stato uno dei pochi episodi che ha fatto insieme ad altri ragazzi del nostro gruppo. Ripeto: è stato un periodo breve che è stato insieme a noi. Questo lo ricordo bene.

P.M.: quale fu l'episodio? Lo vuole ricordare? Teste: ma questo non era neanche un cantiere, se non vado errato, questo era uno che faceva le demolizioni di auto, che era più simpatizzante del gruppo di Quadrano, Picca e Di Tella. In questo contesto 0fu fatto questo attentato, se non ricordo male. P.M.: ma quando avvenne? Teste: credo nel '92. P.M.: e dove si trovava questa ditta dove andò a sparare, questo deposito, questa specie di cantiere? Teste: adesso non so se era... sulla zona industriale tra Carinaro e Teverola, se non sbaglio. P.M.: lei sa perché andò a sparare? Teste: precisamente non lo ricordo, ricordo solo che questa persona era un simpatizzante del gruppo di Quadrano e Di Tella, non ricordo perché fu fatto questo attentato da questo

"Sparatrappo", perché -ripeto- non la conoscevo neanche personalmente, questa persona. Sapevo solo che era una persona legata al gruppo di Quadrano e Di Tella perché poi queste erano tutte notizie che portavano il Marano Giorgio, il D'Alessandro Salvatore, il genero di D'Alessandro, Autiero Andrea, insomma loro conoscevano meglio queste persone di quel paese. P.M.: senta, ma veniva anche stipendiato, questo Guerra? Teste: ripeto, per un certo periodo ha avuto mensilmente uno stipendio, poi non gli è stato dato più niente perché l'abbiamo... io l'ho perso di vista e come me tutti quanti l'abbiamo lasciato alla sua sorte, non ha più fatto parte del nostro gruppo. P.M.: i

soldi chi glieli dava? Teste: per quello che mi ricordo qualche volta è capitato Biondino, qualche volta glielo mandavamo tramite il cognato Di Gaetano, queste erano le persone che... P.M.: cioè sempre voi glieli mandavate, i soldi? Teste: sì, noi come gruppo, è chiaro, perché era del nostro gruppo, nel gruppo mio, di Biondino e di Zagaria. P.M.: ho capito. Sa altro su Guerra? Teste: no, non posso aggiungere altro..”.

Ora, è evidente che la versione del De Simone – che nell’area territoriale in questione ha svolto funzioni di vertice – è particolarmente affidabile, ma non porta ad escludere la responsabilità penale del Guerra, quanto ad affermarla.

Del resto, a riscontro del ‘percorso criminale’ svolto da tale imputato emergono diversi arresti per detenzione abusiva di armi. Di particolare rilievo sono quelli del 5 dicembre 1987 (con detenzione sino al 3 luglio del 1989, quando viene posto agli arresti domiciliari) ed il successivo del 1994.

Anche tali elementi, dunque, non fanno che confermare gli apporti narrativi emersi a carico.

Va dunque affermata la penale responsabilità di Guerra Giuseppe in riferimento al reato contestato al capo numero 1 del decreto di rinvio a giudizio.

Quanto al trattamento sanzionatorio, va osservato che l’esistenza di precedenti allarmanti è anche fattore ostativo al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Pertanto, valutati i criteri di cui all’art.133 c.p., e ritenuta sussistente la circostanza aggravante di cui all’art.416 bis co.4 c.p. appare equo irrogare al Guerra Giuseppe la pena di anni sei di reclusione.

Alla predetta statuizione consegue l’interdizione perpetua dai pubblici uffici (pena accessoria) e la condanna al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in custodia, come da dispositivo.

Inoltre, attesa la mancata dimostrazione circa la provenienza dei beni tuttora in

sequestro preventivo, nonché la sproporzione tra il valore di detti beni ed i redditi legalmente conseguiti (si vedano le schede patrimoniali in atti al faldone B21) va disposta la confisca ai sensi dell’art.12 sexies l.356/’92 dei beni tuttora in sequestro, analiticamente indicati in dispositivo.

---

IORIO GAETANO.

La posizione verrà trattata successivamente.

--- IOVINE ANTONIO.

Il ruolo ricoperto da Iovine Antonio nella organizzazione casalese è ampiamente emerso nel corso della trattazione dei singoli episodi delittuosi, operata al capitolo 6 .

Come si ricorderà, Iovine Antonio detto ‘o ninno è stato ritenuto responsabile :

- del concorso nell’omicidio di Paride Salzillo ;

- del concorso nel quadruplice omicidio Pagano, Mennillo, Orsi, Gagliardi ;

- del concorso nel tentato omicidio Caterino-Maisto.

Inoltre, essendo emersi concreti elementi a suo carico, questa Corte ha disposto la trasmissione degli atti al P.M. DDA in relazione all’ipotesi di concorso nell’omicidio di Vincenzo De Falco ed al concorso nell’omicidio di Diana Liliano.

Nei confronti dello Iovine, dunque, risulta certamente applicabile la

‘massima di esperienza’ citata in apertura del presente capitolo, posto che il coinvolgimento in tali episodi – di assoluto rilievo strategico per l’operatività del gruppo criminoso – è concreto ‘indice rivelatore’ di appartenenza alla organizzazione.

Del resto, ciò è conforme alle convergenti dichiarazioni di tutti i principali collaboranti escussi 1554, che individuano in Antonio Iovine un esponente ‘ di vertice’ della associazione, operante in S.Cipriano d’Aversa in stretto legame con Caterino Giuseppe e Diana Raffaele.

Ciò trova ulteriore riscontro in altri dati istruttori (cui pure si è fatto riferimento nel corso della trattazione) come le intercettazioni telefoniche operate nell’estate del 1988 sulla utenza di Di Lauro Luigi, o anche gli arresti in flagranza per reati concernenti le armi . Va ricordato infatti che Iovine Antonio venne sorpreso, in compagnia di Cantiello Salvatore (soggetto legato a Bidognetti ed arrestato in occasione del blitz di S.Lucia del 13.12.’90) il 6 marzo del 1990, in possesso di una pistola calibro 7.65 con matricola abrasa (sentenza in atti). In relazione a tale arresto, peraltro, lo Iovine ottenne gli arresti domiciliari in data 25 maggio del ’90 (si vedano i tabulati ‘dettagliati’

del DAP in atti) ma già in data 20 novembre del ’90 si rese irreperibile, commettendo evasione dagli arresti domiciliari.

Come si è detto, tale condotta rende possibile il coinvolgimento di Iovine Antonio – così comje descritto da alcune fonti - anche nell’omicidio di Vincenzo De Falco del 2 febbraio ’91 (episodio su cui è intervenuta ordinanza di trasmissione atti) .

Sta di fatto che lo Iovine, da latitante, partecipa al conflitto a fuoco con i carabinieri presso lo svincolo di Frignano nella tarda serata del 28 aprile del ’91. In tale occasione, ferito, viene tratto di nuovo in arresto (l’episodio è stato trattato al capitolo 6 punto 10) e resta

Sta di fatto che lo Iovine, da latitante, partecipa al conflitto a fuoco con i carabinieri presso lo svincolo di Frignano nella tarda serata del 28 aprile del ’91. In tale occasione, ferito, viene tratto di nuovo in arresto (l’episodio è stato trattato al capitolo 6 punto 10) e resta