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Le prime riforme sanitarie a livello dei paesi UE si sono avute nei primi anni del 90’ e si sono diffuse a macchia di leopardo un po’ in tutti i paesi. Le riforme avevano tre obiettivi essenziali:

1) assicurare la sostenibilità delle spese per la tutela della salute in una prospettiva di lungo termine, cioè allorché si dispiegheranno pienamente gli effetti derivanti dall’invecchiamento demografico e dal progresso tecnologico.

2) rendere più efficienti le attività ospedaliere e ambulatoriali, riducendo gli sprechi e aumentando la produttività del personale.

3) far fronte alle crescenti rimostranze dei cittadini, per lo più insoddisfatti della qualità dei servizi erogati dalle strutture esistenti.43

Prima delle varie riforme i sistemi sanitari nazionali presentavano alcuni evidenti limiti. Primo su tutto l’eccessiva centralizzazione, se vogliamo lasciataci in eredità dal passato preindustriale. Le vecchie strutture, decisamente non votate all’efficienza, all’efficacia e alla competizione erano caratterizzate da sistemi poco trasparenti, da un’inadeguata gestione della logistica e dei costi in generale. Il miglioramento delle prestazioni era un elemento marginale.

Le riforme dei servizi sanitari hanno in genere comportato:

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il passaggio da un sistema centralizzato di regolazione della domanda e dell’offerta ad un sistema basato sulla contrattazione tra i diversi operatori del settore;

l’introduzione di meccanismi di concorrenza amministrata tra le strutture erogatrici;

l’adozione di misure volte ad assicurare maggiori livelli di efficienza (si pensi, per quanto concerne il nostro Paese, alla chiusura o riconversione dei piccoli ospedali, al superamento del sistema dei rimborsi a piè di lista, al potenziamento del day hospital, al blocco del turnover, ecc.);

l’istituzione di un sistema di remunerazione delle prestazioni di assistenza ospedaliera per tipologia di diagnosi (i cosiddetti DRG);

la fissazione di tetti di spesa per i medici di base;

una maggiore partecipazione dei cittadini alla copertura dei costi dei servizi. 44

Anche se le varie riforme nazionali hanno provocato alcuni risultati di rilievo, la spesa pubblica per il SSN è continuata a salire un po’ indistintamente in tutti i paesi UE – 15. Gli aumenti maggiori si sono riscontrati in Germania, Regno Unito e Belgio. Gli aumenti che invece si sono presentati in maniera più contenuta sono stati nei paesi scandinavi e in Italia. Proprio in Italia siamo riusciti a contenere l’aumento della spesa garantendo comunque un servizio di prim’ordine nonostante l’inesorabile processo di invecchiamento della popolazione. Considerate che nel 1990 la spesa per il SSN faceva segnare un 5,8% del PIL, dato che nel 2002 si è attestato su un 7% circa. Ma questo come lo si può spiegare? Con riforme e razionalizzazione si è riuscito a contenere i costi in genere di tutto il SSN fatta eccezione per i costi di personale. Diciamo che nonostante la crescita della spesa registrata negli ultimi anni la media di spesa per il SSN in Italia è inferiore alla media dei paesi UE – 15.

A sostenere la crescita della spesa per la protezione della salute hanno contribuito in Europa essenzialmente tre fattori:

1. L’invecchiamento demografico e le connesse dinamiche epidemiologiche (in particolare, l’incremento dei casi di non autosufficienza e di cronicità);

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2. Il progresso scientifico e tecnologico, che ha ampliato le possibilità di intervento medico. La sanità è forse l’unico settore in cui le innovazioni determinano un aumento, anziché una diminuzione, dei costi medi di produzione. Esse infatti consentono di trattare un numero crescente di patologie, comprese quelle precedentemente considerate non curabili; comportano l’introduzione di prestazioni complesse e costose e, in genere, non si traducono in un risparmio di capitale umano. Si tenga presente, d’altro canto, che i miglioramenti nel trattamento delle patologie derivanti dalle innovazioni tecnologiche sono non di rado modesti rispetto alle spese sostenute per la ricerca;

3. L’aumento del livello di benessere economico della popolazione. Secondo le stime elaborate dall’OCSE, un incremento dell’1% del reddito pro capite determinerebbe in Europa un incremento della spesa sanitaria di oltre un punto percentuale. Poiché sussiste una correlazione positiva tra queste due grandezze, le prestazioni sanitarie si configurano dal punto di vista economico come “beni di lusso”, ovvero la cui domanda aumenta più che proporzionalmente all’aumentare del reddito. Tale risultato può apparire sorprendente, perché solitamente la sanità è considerata un settore che soddisfa bisogni primari dell’uomo e non secondari. L’elevata elasticità della domanda al reddito è in effetti un chiaro segnale della presenza, all’interno delle prestazioni sanitarie, di beni e servizi che possono essere consumati in grandi quantità solo in una società ricca. Lo sviluppo economico consente infatti di destinare maggiori risorse, oltre che alla cura delle diverse malattie, anche alla protezione della salute in senso lato (per fare un esempio, basti pensare alla moltiplicazione degli interventi diagnostici finalizzati alla prevenzione di specifiche patologie, oppure alla crescita del consumo di farmaci per la riduzione dell’ansia e del dolore).45

4. I modelli di welfare.

Ogni SSN presenta alcune sue intime peculiarità, tuttavia ognuno di essi è accomunato agli altri dalle condizioni esogene nelle quali si trova a interagire. In linea di massima, grazie alla sempre crescente competizione globale e grazie alle nuove tecnologie, soprattutto nel campo dell’ ICT, innovazioni e condizioni sociali tendono ad accomunarsi rapidamente.

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Prima di passare ad analizzare alcuni tra i più importanti casi europei occorre sottolineare come i SSN europei tendano ad essere più efficienti ed efficaci del sistema privatistico statunitense. Nonostante negli States la spesa per la tutela della salute sia molto più elevate che in Europa, risulta molto meno capace.

Fig. 21: I sistemi sanitari dei maggiori paesi europei.46

PAESI E