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3.3. Le negoziazioni e i risultati

3.3.10. Differenziazione e Giustizia Climatica

La differenziazione, nonostante i vari appelli dei Paesi sviluppati, continua a permeare le negoziazioni climatiche e ad essere presente, sebbene in forma indebolita, anche nell’Accordo di Parigi. L’Accordo va oltre la suddivisione binaria della Convenzione Quadro poiché tutte le Parti sono tenute ad intraprendere azioni verso la mitigazione, adattamento, i mezzi di implementazione e la trasparenza (Bodle, Donat e Duwe 2016, 18). Tuttavia, alcune norme riflettono ancora la differenziazione, anche se questa si è evoluta rappresentando un compromesso tra i due blocchi: al principio delle responsabilità comuni ma differenziate è stato infatti aggiunto “in light of different national circumstances” (Bodle, Donat e Duwe 2016, 18; ENB 2015b). Questo supplemento è una forma sfumata di differenziazione a favore dei Paesi sviluppati che allo stesso tempo garantisce supporto finanziario, tecnologico e di rafforzamento delle capacità (Rajamani 2016, 506). Nell’Accordo non c’è alcun riferimento esplicito agli Allegati ma molte disposizioni distinguono tra “developing countries” e “developed countries” (Bodle, Donat e Duwe 2016, 18).

La differenziazione si nota nelle dichiarazioni del giorno d’apertura della Conferenza53, nella

scrupolosa scelta dei termini e delle frasi – incluse nell’Accordo o anche solo proposte, come “shall” o “should”, “in a position to do so” e “willing to do so”, nelle posizioni che rimanevano cristallizzate54, negli interessi e nei risultati ottenuti. Ogni sezione dell’Accordo ne ha infatti un

approccio differente. Il preambolo ribadisce il principio delle responsabilità comuni ma differenziate alla luce delle diverse circostanze nazionali e riconosce che alcuni Paesi in via di sviluppo abbiano specifici bisogni riguardo il finanziamento e il trasferimento di tecnologia; nella mitigazione gli obblighi sono perlopiù simili per tutti, concedendo flessibilità a quelli in via di sviluppo – oltre che concedere più tempo nel raggiungere il picco delle emissioni – mentre

53 Ad esempio, il presidente dell’Egitto Abdel Fattah El Sisi aveva dichiarato che il nuovo accordo avrebbe dovuto,

oltre che non ledere ai tentativi dei Paesi africani di sradicare la povertà e al loro diritto allo sviluppo, essere basato sul principio delle responsabilità comuni ma differenziate (ENB 2015a, 3).

54 Ad esempio, la Malaysia per gli LMDCs, la Bolivia e il Nicaragua enfatizzavano l’importanza del salvare il

principio delle responsabilità comuni ma differenziate mentre il Vietnam lo descriveva come un passaggio verso l’ambizione (ENB 2015d, 1).

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quelli sviluppati “should take the lead”; nell’adattamento gli obblighi sono uguali per tutte le Parti contraenti, a differenza della finanza che prevede obblighi per i Paesi industrializzati e incoraggiamenti per gli altri; le disposizioni della tecnologia si applicano a tutte le Parti, eccetto per il supporto che è solo per i Paesi in via di sviluppo, a cui è dedicato anche il rafforzamento delle capacità; la trasparenza è alternata mentre l’ottemperamento, le perdite e i danni e il bilancio globale non prevedono differenziazione (Bodle, Donat e Duwe 2016, 19).

Il principio delle responsabilità comuni ma differenziate è incluso nelle dimensioni della giustizia climatica, di cui l’Accordo tenta di occuparsi; il termine, usato in riferimento sia agli impatti del cambiamento climatico sia alle misure in risposta ad esso, è collegato alle nozioni di equità e diritti umani; questi ultimi, vengono citati per la prima volta in un accordo climatico legalmente vincolante (Adelman 2017, 17). Sebbene nelle sue varie bozze i diritti umani si trovassero nella parte sostanziale55, nel testo finale si collocano unicamente nel preambolo

(Savaresi 2016, 25; Bodansky 2016b, 313). Minacciati dal cambiamento climatico, i diritti umani – tra cui il diritto alla vita, alla salute, al cibo – hanno il compito di attirare l’attenzione delle Parti sugli obblighi che hanno già intrapreso o intraprenderanno in altri trattati e nelle leggi domestiche, evidenziando di essere chiamate ad interpretare i doveri climatici alla luce dei loro impegni preesistenti, come la pubblica partecipazione, i diritti delle donne e delle popolazioni indigene (Savaresi 2016, 25; Bodansky 2016b, 313).

L’Accordo si occupa anche di aspetti che interessano indirettamente i diritti umani. Tra questi, in articoli a sé stanti, il tema dei danni e delle perdite, anche se con una certa ambiguità e senza alcuna forma di compensazione, della riduzione delle emissioni provenienti dalla deforestazione attraverso il programma REDD+56 e il riferimento agli 1.5°C (Savaresi 2016, 24; Adelman 2017, 17). Quest’ultimo è considerato per certi versi contraddittorio: da un lato, rappresenta un trionfo per i Paesi in via di sviluppo e per il riconoscimento della necessità di un’ambizione e motivazione crescente per la loro speciale condizione di vulnerabilità (Okereke e Coventry 2016, 839); dall’altro, le sue implicazioni sono complesse, dall’improbabilità di raggiungere un simile obiettivo (andando a minare la credibilità scientifica dell’Accordo stesso)

55 Per la citazione nella parte sostanziale dell’Accordo si erano opposti esplicitamente l’Arabia Saudita, gli Stati

Uniti e la Norvegia, mentre diversi membri dell’Unione Europea avevano espresso obiezioni rimaste private (Adelman 2017, 26-27).

56 Il REDD+ è un meccanismo che prevede lo stanziamento di denaro per i Paesi che hanno ridotto le emissioni

attraverso i loro programmi di conservazione forestale ed è finanziato da fondi internazionali. Durante la Conferenza di Parigi, Germania, Norvegia e Gran Bretagna avevano promesso di donare fino a 5 miliardi di dollari entro il 2020 e avevano espresso la volontà di fornirne un altro miliardo annualmente da quel momento in poi – sebbene la somma non sia sufficiente per coprire le necessità dei Paesi in via di sviluppo per mitigazione, adattamento e perdite e danni (Adelman 2017, 33).

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alla possibilità di bloccare le aspirazioni di sviluppo di certi Stati e di limitare l’espressione dei diritti umani a seguito di un’aggressiva decarbonizzazione (Ibid., 839-40). Consapevole del fatto che risolvere il problema dettato dal cambiamento climatico è impossibile senza affrontare il tema della giustizia, il margine di miglioramento dell’Accordo è elevato, rendendo opportuna un’attenzione mirata verso certi aspetti: tra questi, l’inesistenza di una data specifica per il picco di emissioni globale e l’ambiguità del linguaggio utilizzato; inoltre, sebbene venga riconosciuta l’importanza di uno stile di vita e di sviluppo sostenibile, citando anche i 17 obiettivi delle Nazioni Unite, l’Accordo non promuove ancora abbastanza i diritti umani in generale, in particolare quelli delle popolazioni indigene e i diritti di natura (Adelman 2017, 36; Okereke e Coventry 2016, 840).