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3.3. Le negoziazioni e i risultati

3.3.8. Trasparenza, Bilancio Globale e Meccanismo per facilitare l’implementazione

La trasparenza, il bilancio globale e il meccanismo per facilitare l’implementazione delle norme – rispettivamente articoli 13, 14 e 15 – sono tre elementi che consentono alle Parti di stare al passo con i loro impegni climatici stabiliti dall’Accordo di Parigi (Obergassel et al. 2015, 259). Il sistema per definire i contributi dei singoli Stati nel combattere il cambiamento climatico era dal basso verso l’alto, ovvero nazionalmente determinato, come desiderato principalmente dagli

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Stati Uniti, e secondo i Paesi sviluppati sarebbe dovuto esistere un corrispondente sistema comune, capace di garantire la trasparenza delle azioni fornendo le informazioni e la chiarezza necessarie riguardo agli sforzi compiuti, che fosse però di natura dall’alto verso il basso, cioè basato su delle regole prestabilite (TWN 2016, 77). La trasparenza doveva rappresentare lo strumento principale per incentivare l’ambizione: avrebbe permesso ad ogni Paese di conoscere il livello di impegno degli altri, avrebbe aumentato le possibilità di implementazione dei contributi – essendo tutti sottoposti allo scrutinio globale – e avrebbe consentito alle Parti di osservare le proprie economie e individuare le fonti di emissioni, oltre che le opportunità di mitigazione (Lystad 2018, 86). La difficoltà principale per i Paesi in via di sviluppo riguardava la differenziazione, che doveva continuare ad esistere tra i due poli; i Paesi industrializzati e gli AILAC chiedevano che un quadro per la trasparenza comune fosse applicato a tutti, solamente più flessibile per i Paesi in via di sviluppo – con capacità diverse – nelle tempistiche e nei dettagli della presentazione (Obergassel et al. 2015, 260); gli Stati non industrializzati si opponevano fermamente a questa visione comune, ribadendo il ruolo della differenziazione. Tuttavia, questa non compare nel testo finale (Ibid.).

L’obiettivo dell’articolo 13 era quello dunque di incoraggiare la trasparenza delle azioni e del supporto51; forniva sia un quadro comprensivo dell’azione climatica, seguendone i progressi,

sia chiarezza sul supporto che doveva essere dato e ricevuto (UNFCCC 2015a). Attraverso gli inventari delle Parti completati ogni due anni – che avrebbero dovuto seguire le linee guida dell’IPCC – sulle emissioni di gas serra, fatta eccezione per i SIDS e gli LDCs, e attraverso il monitoraggio dell’attuazione dei contributi nazionali, il quadro di trasparenza doveva essere implementato:

[…] in a facilitative, non-intrusive, non-punitive manner, respectful of national sovereignty, and avoid placing undue burden on Parties” (UNFCCC 2015a).

Nel resoconto, le informazioni presentate dei Paesi sviluppati dovevano (shall), mentre quelle dei Paesi in via di sviluppo avrebbero dovuto (should), riguardare anche la finanza, il rafforzamento delle capacità e la tecnologia (UNFCCC 2015a)

Per quanto concerne il bilancio globale (articolo 14), ovvero la verifica periodica dell’attuazione dell’Accordo per informare i contraenti degli aggiornamenti delle loro azioni e

51 “In order to build mutual trust and confidence and to promote effective implementation, an enhanced transparency framework for action and support, with built-in flexibility which takes into account Parties' different capacities and builds upon collective experience is hereby established” (UNFCCC 2015a).

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del loro supporto, prima della Conferenza di Parigi ci si domandava se fosse necessario valutare i contributi delle Parti prima dell’adozione (Obergassel et al. 2015, 259). Per gli LMDCs questa opzione non era fattibile per motivi di sovranità; si iniziò perciò a pensare ad una valutazione internazionale post-Conferenza, a quando sarebbe potuta cominciare e se si potesse applicare già al primo periodo di implementazione dell’Accordo (Obergassel et al. 2015, 259; UNFCCC 2015a).

Si temeva che molti INDCs con obiettivi temporali lontani (molti hanno come target il 2025 o il 2030) avrebbero dovuto essere riconsiderati per essere in linea con la periodicità dei cicli di revisione dei contributi, cosa che avrebbe posto ulteriormente a rischio l’ambiente vista la relativa ambizione degli stessi (Obergassel et al 2015, 259). Se da una parte, AILAC, Brasile, Unione Europea, Gruppo Africano, Indonesia, Filippine, Messico, SIDS e Stati Uniti avevano supportato la formazione di un meccanismo di ambizione da rinnovare e revisionare ogni cinque anni, dall’altra molti Stati, come gli LMDCs, si opponevano, temendo che il processo di accelerazione sarebbe ricaduto interamente sulle loro spalle se i Paesi sviluppati non avessero contribuito equamente all’impegno tenendo in considerazione le proprie emissioni storiche (Obergassel et al 2015, 259; TWN 2016, 79). Il compromesso tra i due blocchi era stato trovato, stabilendo l’inclusione nel meccanismo di ambizione non solo della mitigazione, ma anche dell’adattamento e del supporto. Il bilancio globale inizierà a partire dal 2023 (Obergassel et al. 2015, 259-60).

L’Accordo di Parigi stabilisce anche un meccanismo per facilitare l’implementazione e per promuoverne l’ottemperanza delle disposizioni (articolo 15): ancora una volta per i Paesi in via di sviluppo sarebbe stato necessario mantenere la polarizzazione tra i blocchi, suggerendo un meccanismo di rispetto delle norme per i Paesi industrializzati e uno facilitativo per loro (TWN 2016, 80). Gli Stati Uniti non volevano un simile approccio e nel risultato finale non è presente alcuna differenziazione (Ibid.). Il meccanismo sarà composto da dodici esperti di natura legale, tecnica, scientifica e socioeconomica, ma molti dettagli sono ancora da definire (Obergassel et al. 2015, 261).

Ad ogni modo, esiste un meccanismo efficace per garantire l’ottemperanza, generando cioè pressione negli Stati: il “naming and shaming”. La strategia di naming and shaming viene utilizzata contro quelle Parti che non rispettano le aspettative internazionali e può essere causata in due modi (Falkner 2016, 1121).

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Il primo, è dato della pressione dei pari, o “peer pressure”. Quando ogni cinque anni avviene la revisione degli impegni presi dagli Stati, si riesce a determinare chi ha raggiunto i propri obiettivi e chi non è stato abbastanza ambizioso nel conseguire il target di temperatura; il connubio di pressione dei pari e della revisione internazionale dovrebbe idealmente premiare i leader climatici che hanno rispettato gli impegni presi dimostrandone l’ambizione, e esortare i più indifferenti a fare lo stesso generando un circolo positivo capace di dare più credibilità agli impegni volontari e di rafforzare la fiducia e la cooperazione tra le Parti (Falkner 2016, 1121). Tuttavia, è possibile anche il contrario: se le revisioni quinquennali rivelassero un collettivo disimpegno nell’implementazione, questo non farebbe altro che incentivare la sfiducia e diminuire l’ambizione (Ibid.).

L’efficacia della pressione dei pari si basa però sul grado di sensibilità dei governi alla perdita della loro reputazione e sul numero di Paesi che non ottemperano – o non sono in grado di farlo – le aspettative internazionali (Falkner 2016, 1121-22); ad esempio, gli Stati Uniti non avevano temuto di “perdere la faccia” a seguito della mancata ratifica del Protocollo di Kyoto. Ciononostante, è da notare che mentre il Protocollo seguiva l’approccio dall’alto verso il basso, l’Accordo di Parigi è basato su impegni volontari, dovendo perciò rispondere delle proprie52

azioni internazionalmente (Ibid., 1122).

Il secondo modo riguarda il naming and shaming della società civile – come i media o le organizzazioni non governative – che osserva e critica le azioni degli Stati; questo tipo di pressione però, si basa sulla capacità che ha la società di esercitarla e al grado di permissività ambientale domestica di cui essa gode (Falkner 2016, 1123).