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La difficoltà interazionale dei task

Nella ricerca SLA sulla task performance, l'interazione svolge tipicamente il ruolo di variabile dipendente: ad esempio si osserva come i processi cognitivi che caratterizzano un task abbiano effetti sistematici sugli aspetti interattivi come il numero di sequenze di negoziazione. I pochi studi che hanno assunto l'interazione in qualità di variabile indipendente, invece, l'hanno operazionalizzata in termini dicotomici, cioè come presenza o assenza dell'elemento interattivo nel task (nel nostro studio di caso: ± dialogico). Tuttavia, è presumibile che diversi tipi di scambio dialogico – come un'intervista, un map task o una telefonata – diano vita a dinamiche interattive diverse tra loro, che apportano un contributo diverso alla complessità generale del task. Spesso in letteratura la task complexity è stata caratterizzata sommariamente, tramite nozioni vaghe (quali ± few participants, ± few elements, in cui “few” sta ad indicare una quantità indefinita) o giudizi soggettivi (Long, 2015), tuttavia per comprendere meglio l'intricata relazione tra le caratteristiche del compito comunicativo e la performance linguistica è necessario poter misurare con più precisione possibile la complessità intrinseca di un task.

Recentemente Pallotti e Rosi (2015) hanno proposto un metodo per misurare quella che hanno chiamato “interactional difficulty”, che offre una scala di complessità empiricamente fondata e più raffinata rispetto alla dicotomia ±dialogico.

Da un punto di vista teorico, i due ricercatori tentano di identificare gli aspetti specificamente “interazionali” per differenziare il costrutto da altri tipi di competenza: ad esempio, la capacità di produrre una varietà di atti linguistici (chiedere, rispondere,

proporre, descrivere, spiegare ecc...) o un registro cordiale e sostenuto, sono aspetti che vengono spesso associati alla competenza interazionale, ma riguardano una più generale competenza pragmatica, che può manifestarsi non solo nelle conversazioni ma anche nei monologhi o nei testi scritti. Il numero di partecipanti, pur essendo un aspetto più strettamente legato all'interazione, ha un effetto contraddittorio sulla complessità del task, in quanto un maggior numero di interlocutori richiede l'abilità di gestire conversazioni parallele, ma implica anche una minore attività dei singoli nel dialogo, per questo motivo il parametro non è stato incluso nella definizione del costrutto (Pallotti, 2017). Solo tre fattori si possono considerare chiaramente indicativi della difficoltà interazionale di un task e allo stesso tempo sono operativizzabili: il numero di cambi di turno, il numero di turni di iniziativa e la presenza/assenza del contatto visivo tra i partecipanti (Pallotti e Rosi, 2015).

– Numero di cambi di turno

Il susseguirsi dei turni in una conversazione richiede ai parlanti coordinazione e tempismo nel prendere parola. La “telegraficità”, cioè lo scambio rapido di turni brevi, è un'abilità che viene acquisita molto lentamente dagli apprendenti di una lingua seconda; infatti la produzione dei parlanti non-nativi si caratterizza per la costruzione di turni lunghi e densi di informazioni, la cui prolissità si può interpretare come una risposta alla mancanza di sicurezza nella capacità di farsi capire (Nuzzo, 2009).

– Numero di turni di iniziativa

Nelle prime fasi di acquisizione di una lingua seconda, gli apprendenti tendono a rimanere passivi e intervengono nella conversazione solo se esplicitamente sollecitati da un interlocutore più competente. Lo sviluppo della competenza interazionale implica quindi l'assunzione da parte dell'apprendente di un ruolo più attivo nel far progredire il dialogo, tramite l'uso di mosse conversazionali che creano l'aspettativa di una continuazione (come ad esempio le domande, le proposte, gli inviti, i saluti e i ringraziamenti).

– Contatto visivo

La comunicazione multimodale, fluendo attraverso diversi canali, garantisce un alto grado di ridondanza e permette di compensare le eventuali mancanze

linguistiche tramite la comunicazione non-verbale. I parlanti non-nativi, infatti, capiscono meglio i messaggi quando sono accompagnati da gesti ed espressioni facciali, inoltre loro stessi si servono di questi strumenti nella produzione orale per colmare le proprie lacune lessicali. Lo sguardo, poi viene utilizzato da nativi e non-nativi come segnale di gestione dell'alternanza dei turni di parola. Per queste ragioni l'assenza del contatto visivo viene considerata un fattore che accresce la difficoltà interazionale del task.

Una volta individuati i comportamenti interazionali ritenuti più difficili perché acquisiti più tardi dagli apprendenti di una lingua, occorre valutare quali tipi di task richiedono questi comportamenti per essere svolti e in quale misura. Per farlo, Pallotti e Rosi (2015) hanno scelto di esaminare in primo luogo la performance dei parlanti nativi in diverse tipologie di task, poiché osservando solo la performance dei non-nativi sarebbe stato impossibile stabilire se l'assenza di determinati comportamenti fosse dovuta al fatto che non erano richiesti dal task o alle limitazioni linguistiche degli apprendenti. Senza dimenticare che i parlanti nativi non formano una comunità perfettamente omogenea, questo provvedimento ha permesso di affermare con più sicurezza che l'uso di determinate strutture osservato nei task dipende dal grado di difficoltà interazionale dei task stessi, più che dalle capacità dei partecipanti (Pallotti, 2017).

Le partecipanti e i task coinvolti nell'indagine sono stati selezionati (anche se in numero maggiore) dallo stesso corpus VIP utilizzato per il nostro studio di caso; questo, oltre a dimostrare la versatilità del corpus che si presta a innumerevoli analisi, ci permette di formulare ulteriori considerazioni sulla nostra ricerca incrociando i risultati. Dopo una serie di misurazioni corrispondenti ai tre parametri sopra descritti, viene attribuito ad ogni task un valore indicante la sua difficoltà interazionale. La scala dei task che ne emerge risulta essere la stessa sia per i parlanti nativi che per i non-nativi: telefonata > negoziazione > intervista > film retelling.

Il film retelling è un compito sostanzialmente simile allo story retelling, dunque essenzialmente monologico, perciò è risultato in assoluto il task meno complesso dal punto di vista dell'interazione. L'intervista è caratterizzata da cambi di turno abbastanza

frequenti ma l'intervistato non prende quasi mai l'iniziativa. La negoziazione e la

telefonata hanno riportato un livello di difficoltà interazionale simile e maggiore

rispetto agli altri task, anche se per motivi diversi: nella prima sono molto frequenti i cambi di turno, mentre nella seconda i partecipanti svolgono un ruolo molto attivo nella conversazione (conducono i tempi dell'interazione, chiedono consigli o informazioni, ringraziano e congedano) a cui si aggiunge l'assenza di contatto visivo con l'interlocutore (Pallotti e Rosi, 2015).

Il fatto che questa scala di difficoltà interazionale dei task rispecchi nel dettaglio la scala di complessità lessicale emersa dal nostro studio (istogramma 4) è un ulteriore argomento che avvalora la nostra tesi sulla correlazione esistente tra l'aspetto interattivo del task e la diversità lessicale generata nell'output linguistico.

Il costrutto della interational difficulty allarga la nostra prospettiva e ci permette di individuare nello specifico alcune fra le caratteristiche dei task che potrebbero essere responsabili per l'aumento della complessità lessicale.

Sebbene le limitazioni intrinseche a questi studi non consentano di fare inferenze valide per tutti gli apprendenti di una lingua seconda, abbiamo tentato di offrire uno spunto di riflessione su alcune tematiche che sono di particolare rilevanza per la didattica, in quanto gli insegnanti necessitano di conoscere più a fondo il tipo e il livello di complessità dei diversi task e gli effetti prevedibili sulla produzione linguistica degli studenti, in una prospettiva di testing o di task-based language teaching.