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Circoscrivere il tema della complessità negli studi sulle lingue seconde è fondamentale per via delle sfide che le interlingue, sistemi dalla natura multiforme e imprevedibile, pongono a questo tipo di analisi. Una ricerca sulla complessità che si basi sulla produzione linguistica di utenti nativi consente di fare affidamento su una grammatica che sia perlopiù stabile, condivisa da un'estesa comunità di parlanti e quindi più facilmente descrivibile. Non è altrettanto semplice analizzare i dati provenienti dall'interlingua di un apprendente e tentare di regolarizzare questi sistemi linguistici, per eccellenza instabili e transitori. Ad esempio, è difficile stabilire quali funzioni l'apprendente abbia voluto attribuire ad una data forma, e talvolta non è chiaro nemmeno di quale forma si tratti, se sia utilizzata produttivamente o se sia solo una formula appresa e ripetuta (Brezina e Pallotti, 2016). Risulta quindi complicato quantificare la complessità partendo da dati provenienti dalle interlingue, soprattutto nelle varietà iniziali. Tuttavia, trattandosi di veri e propri sistemi linguistici, non è possibile ricostruire la complessità lessicale, morfologica o sintattica di un'interlingua se non mediante ipotesi puramente inferenziali dal campione osservato (parole) al sistema sottostante (langue) (Pallotti, 2015b).

Al fine di rendere più praticabile questo compito, terremo a mente l'intenzione, già dichiarata in precedenza (paragrafo 1.2.3), di affrontare questo studio adottando un punto di vista “assoluto” sulla complessità linguistica, che deve essere intesa qui come una proprietà essenzialmente strutturale, definita in base al numero di elementi presenti in un sistema linguistico o in un testo e al numero e il tipo di relazioni tra questi elementi, dunque misurabile tramite un indice matematico (Pallotti, 2015a).

Una volta compiute tutte le misurazioni quantitative, l'analisi sarà essenzialmente di tipo descrittivo, al fine di rendere conto della crescita, decrescita o stagnazione della complessità lessicale attraverso lo sviluppo linguistico degli apprendenti.

Come abbiamo visto nel precedente capitolo, la ricerca sulla complessità lessicale ha una storia travagliata e tuttora manca un consenso universale su alcune questioni come la sua misurazione, nonostante ciò gli studi empirici relativi a questo costrutto sono numerosi, specialmente nel campo dell'acquisizione di lingue seconde, dove le sue applicazioni si sono rivelate essenziali per il progresso scientifico. Tuttavia, per quanto riguarda il presente studio, almeno due caratteristiche lo collocano in un ambito di ricerca specifico ancora scarsamente indagato: ci riferiamo in primo luogo al fatto che si tratti di uno studio longitudinale, e in secondo luogo al fatto che sia condotto su apprendenti L2 ad un livello avanzato di competenza linguistica. Ortega e Byrnes (2008:4) sono stati i primi a lamentare la mancanza di studi che coniugassero questi due aspetti: “To our knowledge, this is the first time the connection between the two areas of

'longitudinal study' and 'advanced capacities' is made. In fact, the field has only recently begun to explore either theme, and both are currently underresearched”.

Le prime fasi dell'apprendimento di una lingua seconda hanno attratto l'attenzione di molti ricercatori e sono state ampiamente studiate (Pallotti, 1998), poiché in esse si osserva uno sviluppo linguistico più consistente e rapido, mentre nelle fasi più avanzate lo sviluppo appare più lento ed è necessario più tempo per osservare l'evoluzione dell'interlingua. Tuttavia, lo studio dello sviluppo dell'advancedness è estremamente importante per rispondere ad alcune domande che i ricercatori si pongono, specialmente nel campo della complessità. Ad esempio, abbiamo detto che la tensione verso l'efficacia comunicativa può portare gli apprendenti ad utilizzare diversi gradi di complessità a seconda delle esigenze; questo tipo di raffinatezza subentra solo nelle fasi

più avanzate dell'acquisizione ed è quindi osservabile nella produzione linguistica di apprendenti avanzati, per i quali l'obiettivo linguistico diventa una questione di allinearsi alle convenzioni dei parlanti nativi, piuttosto che di acquisire nuove conoscenze.

Per quanto riguarda, invece, la scelta di un corpus longitudinale, sono molti i ricercatori a sottolineare l'importanza di questo tipo di studi per la linguistica applicata, da sempre trascurati rispetto agli studi trasversali12, per ovvie ragioni di comodità (Ortega & Byrnes, 2008). Gli studi longitudinali, infatti, presentano un grave inconveniente: i processi di acquisizione possono richiedere in certi casi anche molti anni, mentre di solito i ricercatori desiderano ottenere i dati in tempi assai più brevi (Pallotti, 1998). Tuttavia, l'apprendimento di una lingua seconda prende molto tempo, perciò è solo indagando il fenomeno attraverso il tempo che possiamo raggiungerne una visione più chiara e completa. Housen et alii (2008:1) affermano:

“longitudinal research is needed. Such research, however, is scarce. Most L2 vocabulary studies to date, whether on French or on other L2s, have adopted a synchronic design, analysing lexical data from L2 learners at one point or over a brief period in time. Such studies can only provide information on aspects of lexical use, processing and representation, but not, or only indirectly, on lexical development over time”.

Ortega e Byrnes (2008), oltre accusare la rarità degli studi longitudinali delle nostre carenze nella conoscenza dei ritmi e modelli di sviluppo delle seconde lingue, sostengono la centralità di questi studi nella definizione delle strategie di insegnamento:

“Many researchers believe that longitudinal findings can uniquely bolster our knowledge of language acquisition processes, and many practitioners find longitudinal insights particularly convincing as a basis on which to justify recommendations for educational practice.” (Ortega & Byrnes, 2008:3)

Ci pare dunque un grande vantaggio poter analizzare, nel presente studio, un 12 Negli studi trasversali si prendono in considerazione gruppi di soggetti che sono stati esposti per tempi

diversi alla lingua d'arrivo (ad esempio un gruppo di studenti del primo anno, uno del secondo, uno del terzo) e si osservano le produzioni linguistiche di ciascun gruppo. Così si ricostruisce

artificialmente una sequenza di acquisizione che dovrebbe approssimare quella di ogni singolo apprendente se fosse osservato per un arco di tempo di tre anni (Pallotti, 1998:15).

corpus di dati longitudinali che si estende su un periodo di quattro anni (dal 2012 al 2015), poiché tale prerogativa conferisce maggior spessore ai risultati dell'indagine.

Infine, l'unicità del corpus è data anche dall'estrema multidimensionalità dei compiti comunicativi proposti agli apprendenti, una varietà che permette molteplici confronti e spunti di riflessione per le considerazioni didattiche.