• Non ci sono risultati.

1.7 Misurare la complessità linguistica

1.7.2 La complessità morfologica

Come ogni tipo di complessità, la complessità morfologica può essere considerata una nozione relativa, riguardante lo sforzo cognitivo necessario per elaborare le strutture linguistiche, o una nozione assoluta, definita dalla quantità di elementi e dalla loro combinazione all'interno del sistema linguistico (Miestamo, 2009).

In questo studio empirico approcciamo la complessità linguistica in senso assoluto, come una proprietà essenzialmente quantitativa, perciò possiamo definire la complessità morfologica di un sistema linguistico in funzione del numero di morfemi o esponenti che ne fanno parte e delle loro regole di combinazione e variazione paradigmatica (De Clercq, 2015c).

La complessità morfologica è stata largamente studiata nel campo della ricerca tipologica, specialmente con lo scopo di osservare le relazioni compensative esistenti tra la complessità sintattica e quella morfologica nelle diverse lingue (negative correlation

hypothesis: vedi paragrafo 1.1). Nello specifico, una lingua viene considerata

morfologicamente complessa sulla base della presenza e del numero di marcatori che designano, per esempio, i casi nominali, i tempi verbali, la limitatezza dell’articolo o il genere grammaticale; ma la complessità dipende anche dalle deviazioni allo schema una forma-un significato, per cui ci si imbatte in casi di sincretismo (una forma realizza varie funzioni grammaticali) o di allomorfismo (una funzione grammaticale è espressa attraverso varie forme) (Brezina & Pallotti, 2016).

Nella ricerca SLA, invece, la complessità morfologica può essere usata, con la dovuta cautela, come indicatore dello sviluppo linguistico e della competenza degli apprendenti.

L’acquisizione della morfologia di una lingua seconda rappresenta un grande ostacolo per gli apprendenti, inclusi quelli ad un livello più avanzato, i quali spesso continuano a lottare con le regole morfologiche della L2 anche dopo molti anni di esposizione e studio (De Clercq, 2015c). Il loro processo di apprendimento può essere descritto come uno sviluppo a partire dalle forme basiche, non flesse o con un’unica forma, fino ad arrivare alle forme morfologicamente più varie, dunque la difficoltà cognitiva maggiore spesso scaturisce dalle situazioni di allomorfismo e sincretismo, in cui gli apprendenti devono essere in grado di riconoscere le forme e le loro funzioni, che spesso rendono sottili significati grammaticali, non condivisi da tutte le lingue (Brezina & Pallotti, 2016).

Diventa, perciò, molto utile poter definire quantitativamente la complessità morfologica di un sistema linguistico o di una singola produzione.

Il metodo di misurazione più usato nell’ambito della tipologia consiste nel conteggio degli elementi morfologici che compongono una data lingua. Vengono contati gli esponenti di ogni classe lessicale, cioè le forme assunte dai lessemi6 per esprimere una categoria grammaticale, una funzione e/o un significato (Pallotti, 2015a); inoltre si identificano i principi che regolano le combinazioni fra i vari elementi. Se si tiene conto 6 Per "lessema" si intende una parola considerata dal punto di vista del significato; l'insieme dei lessemi

di entrambi gli aspetti, anche una lingua che sembra possedere scarso materiale morfologico potrebbe rivelare segni di complessità relativa, data dal costo cognitivo che richiede l’utilizzo di tale materiale (Baerman et al., 2015).

L’approccio tipologico è difficilmente applicabile al contesto SLA, poiché in quest’ultimo le ricerche sulla complessità morfologica si basano su campioni ristretti di dati che possono essere più rappresentativi di un singolo apprendente a un preciso punto del processo di apprendimento, piuttosto che di un gruppo omogeneo di parlanti (De Clercq, 2015c).

La ricerca SLA è molto carente per quanto riguarda i metodi di misurazione della complessità morfologica. Nella loro rassegna, Bulté e Housen (2012) incontrano solo sei studi all’interno del loro campione che si interessano alla morfologia, utilizzando perlopiù lo stesso metodo di misurazione, mentre riportano ben 31 studi che calcolano la complessità sintattica tramite le più svariate misure. Wolfe-Quintero et al. (1998), in un’altra raccolta, non menzionano nessun tipo di misurazione specifico per la complessità morfologica, mentre sono frequenti le misure relative all’accuratezza morfologica.

Una possibile spiegazione per questa mancanza può ricercarsi nel fatto che le poche misure emerse fino ad oggi sono state ideate per corpora di dati provenienti da apprendenti di inglese L2, la lingua certamente più studiata nella ricerca sull’acquisizione di lingue seconde, e tuttavia una lingua morfologicamente “povera”, a tal punto che anche gli apprendenti alle prime armi raggiungono i livelli più elevati secondo gli indici di complessità morfologica (De Clercq, 2015c).

Nonostante ciò, l’inclusione di queste misure è fondamentale poiché il costrutto di “complessità grammaticale” non può essere ridotto alla sola sintassi, specialmente nel caso in cui la lingua target sia morfologicamente “ricca” e quindi possibilmente più semplice dal punto di vista sintattico (Baerman et al., 2015).

Sia gli studi che prendono in considerazione la L2, che quelli relativi alla L1, operazionalizzano la complessità morfologica in termini di diversity. La diversità morfologica si può definire come:

“the variety of grammatical word forms in a system or a text. In its most straightforward operationalisation, morphological diversity represents the ratio of unique word forms, inflected or uninflected, to the total number of word forms.” (De Clercq, 2015c:9).

La diversità può essere considerata come indicativa della misura del repertorio morfologico mentale del parlante, mentre le differenze intrinseche alle strutture linguistiche non sono tenute in conto. Ciò significa che, nel calcolare la diversità, ogni forma contribuisce equamente alla complessità del testo, anche se certe strutture possono sembrare più complesse (ad esempio i circonfissi rispetto ai suffissi) o avanzate (come i modi finiti rispetto agli infiniti) di altre.

Secondo questa nozione di diversità, la complessità non consiste solo nell’utilizzo di forme linguistiche complesse ma anche nell’uso di un’ampia varietà di strutture e forme (De Clercq, 2015c).

Brezina e Pallotti (2016) propongono una misura della complessità morfologica che si basa su una concezione puramente strutturale e assoluta della complessità (Pallotti, 2015) e che può essere calcolata automaticamente tramite una procedura informatica: l’Indice di Complessità Morfologica (ICM).

L’ICM calcola la diversità flessiva media di una data classe di parole che occorrono all’interno di un dato testo. Per diversità flessiva si intende quella serie di manipolazioni, di diverso tipo, attuabili su una base lessicale (default base), che portano alla formazione di parole diverse. Il termine tecnico che è stato dato a tali manipolazioni è “esponenti” (Brezina & Pallotti, 2016). Ad esempio, il verbo suona proviene della default base suonare che ha subito un processo flessivo e presenta l’esponente verbale

-a, il quale indica due diversi significati grammaticali (il tempo presente e la terza

persona singolare).

Prima di questa, altre misure della complessità morfologica sono state proposte, non solo basandosi sulla diversità della flessione verbale, ma anche sulla morfologia derivazionale. Per ragioni di spazio, ci limitiamo a menzionare qui il metodo di misurazione ideato da Brezina e Pallotti (2016), che avrà un ruolo importante all'interno nostra indagine empirica.