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La diffusione dei modelli di credit scoring in Italia: alcune evidenze

In Italia il ricorso ai modelli di credit scoring si è affermato solo in tempi recenti, principalmente di riflesso all’entrata in vigore di Basilea II. Da un’indagine svolta nel 2007 dalla Banca d’Italia su un campione di oltre 300 banche italiane sono emersi alcuni rilevanti aspetti relativi all’introduzione e all’ampia diffusione a cui hanno assistito tali metodologie innovative, che ha interessato in particolare gli Istituti Bancari di più grandi dimensioni: la maggiore disponibilità di risorse di cui dispongono e la possibilità di sfruttare maggiormente le economie di scala, legate alla possibilità di ammortizzare il costo dell’investimento su un portafoglio crediti di maggiori dimensioni, hanno incentivato tali istituti a ricorrere a questi nuovi modelli e hanno permesso, inoltre, di superare i problemi riconnessi alle diseconomie di scala che interessano i medesimi istituti e delle quali si darà una sintetica rappresentazione nel seguito.

L’indagine è stata svolta con la finalità di analizzare in primo luogo la relazione esistente tra l’assetto organizzativo delle banche italiane, che vedremo essere strettamente riconnesso anche all’aspetto dimensionale delle stesse, e le modalità secondo le quali viene svolta l’attività creditizia, con particolare riferimento ai processi di trasferimento delle informazioni tra i vari centri decisionali. L’indagine ha evidenziato le profonde differenze esistenti tra le strutture organizzative delle banche incluse nel campione di analisi, portando alla caratterizzazione di quattro elementi distintivi:

 “la distanza geografica tra la sede centrale della banca e la rete degli sportelli;

 l’autonomia decisionale del responsabile di filiale, espressa in termini di ammontare di

credito che può concedere in autonomia rispetto a quello concedibile dal Direttore Generale;

 la permanenza del responsabile di filiale nella rete periferica;  l’uso di incentivi per la remunerazione.”133

Un’attenta analisi di tali fattori in concomitanza della descrizione del modello organizzativo dell’attività creditizia delle banche italiane ci permette quindi di fornire opportune giustificazioni all’osservata diffusione dei modelli di credit scoring in Italia.

132 Albareto G. - Benvenuti M. – Mocetti S. – Pagnini M. – Rossi P. L'organizzazione dell'attività creditizia e l'utilizzo di

tecniche di scoring nel sistema bancario italiano: risultati di un'indagine campionaria, Questioni di Economia e Finanza,

Occasional Paper, Banca d’Italia, Aprile 2008.

133 Albareto G. - Benvenuti M. – Mocetti S. – Pagnini M. – Rossi P. L'organizzazione dell'attività creditizia e l'utilizzo di

tecniche di scoring nel sistema bancario italiano: risultati di un'indagine campionaria, Questioni di Economia e Finanza,

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Il punto di riferimento principale per le imprese, tanto di grandi quanto di medio/piccole dimensioni, che si rivolgono ad una banca per la richiesta di un finanziamento è rappresentato dal responsabile di filiale. È a tale livello organizzativo, infatti, che la banca instaura il primo rapporto con il cliente ed è a tale soggetto che spetta il compito di raccogliere tutte le informazioni considerate indispensabili per la valutazione della posizione e di avviare la pratica di fido. Le informazioni che vengono raccolte in questa sede si distinguono tra “hard information” e “soft information”134. Tra le prime si identificano le informazioni quantitative, tra le quali informazioni economiche e finanziarie, la cui principale fonte risulta essere il bilancio d’esercizio, mentre tra le seconde rientrano le informazioni qualitative, le quali risultano essere di difficile trasferimento ai livelli superiori della struttura organizzativa in quanto la loro valutazione risulta essere caratterizzata da una forte componente di soggettività. Le informazioni qualitative rivestono, tuttavia, un ruolo fondamentale per quanto riguarda la valutazione di imprese giovani e di piccole dimensioni in quanto caratterizzare da una maggiore opacità informativa, ad esempio perché hanno meno storia alle spalle o perché comunque sono assoggettate a minori oneri informativi rispetto alle grandi imprese. Lo stesso ragionamento può essere esteso alle imprese del Settore Agricolo, delle quali, come già precedentemente evidenziato, solo il 15% in Italia produce il bilancio d’esercizio, rendendo così difficile per le banche reperire i dati quantitativi per la formulazione dei propri giudizi.

A maggiori dimensioni dell’intermediario corrisponde, quindi, una maggiore distanza tra il responsabile di filiale ed il vertice della gerarchia decisionale e, quindi, una maggiore distanza geografica tra i centri decisionali e la clientela: sulla base di tale evidenza, al crescere della distanza diminuirà sempre di più il ricorso alle informazioni qualitative nel processo di valutazione. Nelle banche di grandi dimensioni il reperimento delle informazioni qualitative quindi viene spesso disincentivato, a fronte del fatto che il trasferimento dalla periferia ai livelli gerarchici di tali informazioni risulta essere molto costoso, costo che potrebbe venire incrementato dall’eventuale implementazione di attività controllo delle strutture periferiche. Ad incidere positivamente, invece, sulla raccolta delle informazioni qualitative concorrono iniziative quali quelle rivolte a garantire una maggiore autonomia decisionale del responsabile di filiale o a garantirne la permanenza nella posizione rivestita, e la previsione di incentivi nella remunerazione: tali iniziative contribuiscono da un lato al contenimento dell’azzardo morale garantendo un allineamento tra gli obiettivi del

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responsabile di filiale e del vertice della banca, dall’altro lato, tuttavia, risultano essere molto costose in termini di attività di controllo che i centri decisionali dovrebbero esercitare sulle strutture periferiche.

L’indagine ha quindi evidenziato l’esistenza per le piccole/medie imprese e per le aziende agricole di una marcata difficoltà ad accedere al credito da parte degli istituti di più grandi dimensioni, i quali abbiamo visto, a fronte del trade-off esistente tra reperimento di informazioni qualitative e costi connessi al controllo dell’attività svolta dai soggetti a cui spetta il reperimento di tali informazioni, tendono a disincentivare la raccolta di tale categoria di informazioni, che costituiscono il patrimonio informativo di importanza primaria per questo gruppo di imprese. La diffusione dei modelli di credit scoring si inserisce, quindi, in questo contesto, migliorando le prospettive di accesso al credito bancario di tali imprese. Infatti, una delle conseguenze di maggior rilievo legata all’introduzione dei modelli di credit scoring come modalità per la valutazione del merito creditizio riguarda la consistente riduzione in termini di costi di elaborazione delle informazioni, e di trasferimento e utilizzo ai fini gestionali delle stesse tra i diversi livelli organizzativi dell’istituto.

Queste metodologie, che si dimostrano quindi in grado, per mezzo dell’utilizzo delle informazioni di cui dispongono, di raggruppare la clientela in un insieme di classi sulla base della probabilità di insolvenza loro associata, rappresentano dei modelli di valutazione del merito creditizio alternativi ai centri decisionali basati sull’informazione qualitativa e sul responsabile di filiale che opera a stretto contatto con la clientela. I modelli di credit scoring consentono, inoltre, la trasformazione della informazioni qualitative in informazione codificata, agevolando e riducendo i costi connessi all’attività di controllo svolta nei confronti delle strutture organizzative periferiche, fattore di importanza primaria per le imprese il cui futuro è strettamente legato alla disponibilità di tali informazioni.