CAPITOLO 4: IL SERVIZIO SOCIALE
4.3 LA PROSPETTIVA TRIFOCALE
4.3.1 LA DIMENSIONE DEL LAVORO CON L’UTENTE
Nell’analizzare la trifocalità del servizio sociale è indubbio che l’attenzione primaria deve essere posta all’utente, come soggetto fondamentale dell’intervento dell’assistente sociale. Così come espresso dall’art. 7 del codice deontologico, il compito dell’assistente sociale consiste nel valorizzare l’autonomia, la soggettività, la capacità di assunzione di responsabilità e nel mobilitare le risorse della persona con l’obiettivo di attivare un processo di cambiamento per il superamento della situazione di criticità che, per qualche motivo, si è creata.
L’attenzione del servizio sociale sta nel credere nel valore della persona umana attraverso il riconoscimento che l’uomo è dotato di una sua dignità e, per questo, ha diritto di essere rispettato qualunque sia la sua condizione socio-economica, la sua cultura, le sue opinioni politiche, la sua fede religiosa172.
La base della trifocalità risiede nel lavoro con l’utente, sulla base dei principi e dei valori propri del servizio sociale.
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L. Gui, op. Cit., pag. 559 - 60
171
S. Fargion, op. cit., pag. 29 - 30
172
F. Dente, il Codice deontologico come immagine della Professione, in Rivista Assistente Sociale. La professione in Italia, n. 1/2010, pag. 25
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In questo paragrafo verrà trattato il tema del rapporto tra l’assistente sociale e l’utente attraverso alcune riflessioni sugli strumenti in uso alla professione.
IL PROCESSO DI AIUTO, LA PRESA IN CARICO, LA RELAZIONE D’AIUTO
Con il termine “processo di aiuto” intendiamo un insieme articolato di azioni che strutturano l’intervento dell’assistente sociale nella dimensione del lavoro con l’utenza e del lavoro con la comunità o, meglio, con particolari settori o sezioni della comunità (associazioni e gruppi formali ed informali, famiglie singole ed aggregate, istituzioni della comunità). Secondo Ciuffi “il processo di aiuto è l’intervento professionale del servizio sociale che si sviluppa nel tempo secondo una sequenza logica, articolata in fasi, con l’obiettivo di promuovere e sostenere un cambiamento pianificato in una situazione di squilibrio fra bisogni ed aspirazioni da un lato e competenze ed opportunità dall’altro, nell’ambito del rapporto fra le persone, il loro contesto di vita e l’organizzazione sociale, che un individuo, una famiglia, un gruppo, una comunità avverte come problematica e desidera modificare”173. Una prima semplificazione ci consente di definire il processo di
aiuto come l’intervento professionale del servizio sociale e ci permette, con un lessico tecnico e appropriato, di dare un nome a quell’insieme di attività che l’assistente sociale mette in atto per e con l’utenza, con e per alcuni settori della comunità, attraverso le seguenti fasi: fase descrittiva/conoscitiva, fase valutativa/decisionale, fase attuativa con momenti di verifica in itinere, fase di verifica al termine dell’intervento e la fase di conclusione dell’intervento.
“Prendere in carico significa definire e programmare un processo di aiuto con e per i
cittadini [4] si tratta quindi di un processo che si traduce in un progetto condiviso e concordato con le persone coinvolte e interessate, che ha come obiettivo principale quello di valorizzare e promuovere la partecipazione e le potenzialità, anche se residue, dei soggetti coinvolti”174.
Come emerge dalla definizione con i termini “condiviso e concordato con le persone”, la presa in carico presuppone la costruzione di una relazione di fiducia tra operatore e utente. Relazione e fiducia: termini che già orientano il processo d’aiuto con un utente.
La relazione d’aiuto è lo spazio fiduciario tra assistente sociale e utente, una relazione che, attraverso la sua costruzione, consente all’utente di “consegnare pezzi importanti della propria vita”. Privato dello spazio relazionale, l’intervento del servizio
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L. Ciuffi, Il processo di aiuto, in Dal Pra Ponticelli (a cura di) “Dizionario di servizio sociale”, op. Cit.
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sociale si riduce all’erogazione della prestazione o alla negazione della stessa e non
innesta l’avvio di un processo di cambiamento, necessario al
fronteggiamento/superamento della criticità della situazione175. La relazione d’aiuto è quel
rapporto interpersonale che intercorre tra l’assistente sociale e l’utente/cliente/paziente e, secondo alcuni autori costituisce un aspetto fondamentale del processo di aiuto e può essere un elemento determinante nella costruzione di un contesto collaborativo con la persona176. Zilianti e Rovai definiscono la qualità della relazione che si crea sulla base dell’incontro tra assistente sociale / utente l’elemento portante e più significativo per determinare un processo di intervento efficace. “La relazione d’aiuto può essere
considerata addirittura l’elemento portante della prassi operativa del lavoro sociale. Deve diventare l’ambiente psicologico entro cui si svolge il processo di aiuto e di cambiamento, uno spazio relazionale in cui la persona si deve sentire accettata con i suoi limiti, le sue fragilità, la sua unicità e globalità”177.
Per Ferrario la relazione costituisce un canale del processo che favorisce lo sviluppo della persona e la soluzione dei problemi; un ponte, attraverso cui l’operatore si gioca la capacità di studio, la valutazione e la presa in carico178. Sempre per l’autrice le relazioni che l’assistente sociale intesse sono:
• Dialogiche: è l’ambito in cui due soggetti si parlano. La persona ha bisogno di parlare della propria visione e “in questo dialogo la realtà cognitiva della
persona con i suoi elementi culturali, valoriali ed operativi deve essere accettata così com’è per non incidere sulla dignità179”. Nella relazione si può studiare la situazione per conoscerla, chiarire all’utente le difficoltà e formulare una risposta, oppure si può accompagnare la persona nella revisione della sua realtà, aiutandola a raccogliere e connettere elementi, considerando le sue idee per definire gli obiettivi;
• Abilitanti: sono i rapporti di scambio, non unilaterali, orientati all’obiettivo di favorire la crescita di capacità operative del soggetto. In queste relazioni l’assistente sociale mette in atto azioni di rinforzo sulle capacità e di richiamo alle risorse personali e/o ambientali. In particolare nella relazione con l’utente riconosce e fa riconoscere che cosa la persona ha fatto, sa fare, favorendo prese di coscienza sui punti di forza, siano esse capacità proprie, opportunità
175 S. Oletto, slides dalle lezioni di metodologia del servizio sociale 1, anno accademico 2012-13. 176
A. Campanini, op. Cit. pag. 142
177
A. Zilianti, B. Ravai, op. Cit., p. 49 - 50
178
F. Ferrario, op. Cit., pag. 102
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ambientali o nodi affettivi e/o aiuto; incoraggia ad esprimere le difficoltà o i fatti positivi non ancora espressi; informa su quanto esiste, talvolta individua risorse esterne, insegna le strategie per mettere a frutto le risorse individuali e ne favorisce un collegamento tra tutte queste dimensioni.
Anche il termine fiducia risulta avere particolare rilevanza tra il servizio sociale e l’utente infatti la costruzione di una relazione d’aiuto dipende dalla capacità di riuscire ad instaurare un rapporto di fiducia reciproco tra operatore e utente.
Definito che i presupposti per una presa in carico sono la relazione e la fiducia, presenterò, a livello operativo, i momenti e gli aspetti fondamentali per la costruzione di un processo d’aiuto con l’utente, per poi riprendere il tema della presa in carico.
Nel processo di aiuto, nella fase descrittiva/conoscitiva risultano rilevanti i seguenti aspetti:
a) I PRIMI CONTATTI
I primi contatti con l’utente sono importanti perché segnano l’andamento della relazione d’aiuto: ad esempio l’assistente sociale in un centro di salute mentale inizialmente, deve saper favorire e promuovere le situazioni di aggancio dell’utente tramite piccoli e semplici momenti di incontro, anche con un semplice saluto. Fondamentale è il contatto iniziale caratterizzato da una vicinanza tra operatore e utente tramite rapporti definiti da micro obiettivi concordati e piccoli interventi di breve periodo.
In questa prima fase nel rapporto tra servizio sociale e utente il tema dell’accoglienza diventa significativo: la persona è portavoce di uno squilibrio, di una sofferenza che l’operatore deve saper ascoltare e comprendere per definire una relazione d’aiuto. Improntare un rapporto di vicinanza con l’utente per favorire l’espressione del bisogno al fine di favorire, all’interno di un processo di cambiamento, la soddisfazione del bisogno stesso.
“Lo scambio comunicativo tra i due soggetti lascerà prevalere l’attenzione a stabilire un
rapporto comunicativo, privilegiando l’obiettivo di accogliere, sia per creare un’atmosfera relazionale che predisponga la persona ad esplorare la sua realtà sia in considerazione di quanto sta sotto la punta dell’iceberg della richiesta: in un momento di inadeguatezza, essa ha bisogno di essere ricevuta con calore, in modo da preservare e rinforzare il livello di autostima, inciso dalla necessità di chiedere aiuto”180.
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b) CONOSCERE L’UTENTE
Per la costruzione di una relazione di fiducia è importante conoscere il soggetto, il suo mondo e le sue risorse: ad esempio l’esordio della malattia è preceduto da vari segnali intercorsi in un periodo di tempo più o meno lungo, provocando l’adozione di comportamenti più o meno adeguati, incidendo nella storia personale dell’utente. Quest’ultimo può avere già avuto in passato esperienze di presa in carico presso un servizio di salute mentale con esiti positivi o fallimentari
Per favorire un’alleanza tra operatore e utente, è importante nei primi contatti iniziali tenere presente la storia vissuta dall’utente in particolare i fallimenti: le esperienze negative potrebbero incidere sull’immagine e sulla fiducia verso sé stessi. Per evitare un’interruzione della relazione d’aiuto è importante, soprattutto all’inizio, nella predisposizione di un progetto individualizzato concordare interventi in cui si prevede un esito positivo, utile a valorizzare la persona e le proprie risorse e a promuove l’autodeterminazione e l’empowerment dell’utente.
c) LA RELAZIONE TRA OPERATORE E UTENTE
La relazione tra utente e assistente sociale si connota come relazione asimmetrica e “si caratterizza per gli aspetti tipici di ogni rapporto nel quale un soggetto chiede
qualcosa di importante per sé o per una terza persona a chi si presuppone possieda risposte valide per le proprie richieste.”181Come fanno notare Zilianti e Rovai “la relazione
d’aiuto nasce da una domanda che è l’espressione di un bisogno non soddisfatto. Generalmente le persone richiedono aiuto perché la loro capacità di risolvere i problemi è venuta meno, perché afflitte dall’ansia e/o dall’insufficiente lucidità di analisi della situazione, perché non hanno risorse a disposizione, oppure non hanno la possibilità di confrontarsi con nessuno rispetto al problema da risolvere”182. Si tratta, quindi, di una relazione indotta da un bisogno, finalizzata al fronteggiamento del bisogno e/o al cambiamento di una situazione di difficoltà, una relazione che non si attiva spontaneamente in cui una parte dell’attività professionale dell’assistente sociale diventa utile e utilizzabile in funzione dell’obiettivo, solo se si trasforma in relazione positiva per l’utente (e per l’assistente sociale stesso). Per questo la relazione d’aiuto va creata e sostenuta.
181
Ibidem
182
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Nella relazione d’aiuto, il professionista è l’esperto, e il rapporto che si stabilisce tra l’assistente sociale e l’utente è sbilanciato in termini di potere: da una parte l’assistente sociale esperto del sistema dei servizi, dei processi di presa in carico delle problematiche che vengono considerate, dall’altro la persona, interprete di una situazione-problema, in possesso di strategie operative, deboli e perdenti. Questa asimmetria è legata ad un compito di guida e controllo del processo che l’assistente sociale deve assumere: al fine di produrre un’alleanza operativa pur mantenendo l’asimmetria risulta utile chiarire il contesto relazionale.
Nella relazione d’aiuto, l’utente sentendosi in una situazione di disequilibrio può attivare atteggiamenti di delega sia delle azioni proprie del progetto individualizzato, sia delle responsabilità ad esso collegate. D’altro lato l’assistente sociale, nel proprio agire professionale potrebbe assumersi dei compiti in sostituzione all’utente, negando il proprio compito di favorire l’assunzione di un ruolo attivo dell’utente all’interno di un processo di cambiamento. Per l’assistente sociale tale rischio è dovuto al fatto che, nella relazione d’aiuto, lavora con persone aventi ridotte capacità di autonomia personale, relazionale e sociale, se non in situazione, come gli utenti afferenti ad un servizio psichiatrico, in cui la patologia mentale ha gravemente compromesso le abilità e le risorse. Difficoltà che si possono acuire con utenti provenienti da contesti di vita culturale differente, in quanto la diversità di modelli di riferimento rende maggiormente difficoltosa la capacità di instaurare una relazione di fiducia e l’opportunità, da parte dell’operatore, di saper di esplorare mondi diversi.
In ambito psichiatrico la relazione risulta essere uno strumento di cura importante: solo attraverso la capacità di stabilire una alleanza con il paziente è ipotizzabile una
compliance terapeutica e una coprogettazione di un progetto socio-riabilitativo.
Il professionista è, tuttavia, consapevole che, nella relazione d’aiuto l’utente ha il potere di non accettare l’aiuto: tale aspetto è molto presente nelle relazioni con gli utenti affetti da disabilità psichiatrica, dove la paura nell’attivazione di processi di cambiamento o la mancanza di consapevolezza di malattia o il timore dello stigma, inducono la persona a non aderire ai percorsi ipotizzati.
Una relazione d’aiuto di fiducia tra assistente sociale e utente, con le caratteristiche prima descritte, è la base per poter iniziare a progettare con l’utente un processo di aiuto e attuare la presa in carico della situazione problematica: un processo che si traduce in un progetto condiviso e concordato con le persone coinvolte e interessate, e che, in ambito
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psichiatrico, ha come obiettivo principale quello di valorizzare e promuovere la partecipazione e le potenzialità, anche se residue, dei soggetti coinvolti.
Come emerge, la relazione d’aiuto caratterizza l’intero processo di aiuto: attraverso di essa si definiscono gli obiettivi di cambiamento (fase valutativo-decisionale) e si condivide e attiva un progetto individualizzato con l’utente (fase attuativa). Se il rapporto tra operatore e utente si basa su una relazione di fiducia, l’assistente sociale è riconosciuto come punto di riferimento.
Il processo di aiuto è caratterizzato da una sequenza logica e coerente di fasi e di azioni collegate l’una all’altra e tendenti ad un obiettivo: l’evoluzione positiva della situazione dell’utente.
Le fasi di un processo di aiuto, caratterizzate da termini come gradualità, mancanza di linearità, un’ottica evolutiva, possono essere così riassunte:
1. Individuazione del problema sociale o della domanda (fase descrittiva- conoscitiva) riconducibile ai primi incontri con l’utente;
2. Analisi della situazione (fase descrittiva-conoscitiva) è la fase della conoscenza reciproca tra operatore e utente attraverso la raccolta di tutte le informazioni utili a definire il campo di analisi. Nell’analisi dell’utente affetto da disturbi mentali diventa importante il racconto della propria storia personale e familiare, la quale può avvenire nel momento in cui si è instaurato un rapporto di fiducia con la persona;
3. Valutazione preliminare e valutazione operativa (fase valutativo-decisionale): dopo la raccolta delle informazioni, l’assistente sociale formula delle ipotesi che mettono in relazione i vari elementi (personali, familiari, ambientali, sociali, relazionali, etc.) al fine di redigere delle ipotesi di progetto da proporre e discutere assieme all’utente. L’utente di un servizio psichiatrico, in questa fase riveste un ruolo importante, perché nonostante le difficoltà derivanti dalla patologia di cui soffre, deve confrontarsi con la propria motivazione al cambiamento, con le proprie abilità e i propri limiti, con la propria storia personale spesso caratterizzata da eventi negativi: è una fase in cui potrebbero manifestarsi sintomi di acuzie psicopatologica collegati alla patologia. Per tale aspetto è importante la condivisione nell’equipe multiprofessionale di tutte le fasi della presa in carico e dei contenuti relazionali tra operatore e utente per la gestione della presa incarico.
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4. Elaborazione di un progetto d’intervento (fase valutativo-decisionale); è il risultato della definizione degli obiettivi di cambiamento, attraverso la negoziazione e la mediazione tra operatore e utente. In tale fase viene identificato il campo d’azione, gli obiettivi generali e specifici, le azioni da compiere e le strategie di fronteggiamento di particolari situazioni, gli strumenti in campo per la realizzazione del progetto, il tempo e il luogo. Tale fase si concretizza con la realizzazione di un contratto: quest’ultimo è uno strumento utilizzato nell’agire professionale con l’utente e serve a stabilire, in maniera chiara e precisa, gli obiettivi di cambiamento da raggiungere, i mezzi che saranno utilizzati per farlo, il piano di lavoro e la sua durata. In contratto permette, così, all’istituzione, all’operatore sociale e al cliente, di confrontare i rispettivi progetti, di adeguare le loro attese e i loro desideri e di confrontarli con
ciò che è realisticamente possibile raggiungere183.I il contratto può essere
definito un accordo, un impegno tra le parti. Lo strumento del contratto è molto rilevante nei progetti individualizzati realizzati con le persone con disturbi mentali perché permette una partecipazione attiva al loro processo di cambiamento, sancisce l’assunzione di un ruolo di responsabilità. Così l’utente riveste il ruolo di attore principale della propria storia e del processo di cambiamento dove, attraverso la condivisione con gli operatori, quest’ultimi diventano dei “supporti” rispetto alla necessità di rileggere e ridefinire il significato del progetto attraverso un monitoraggio costante degli interventi compiuti. L’operatore aiuta l’utente ad aiutarsi attraverso la chiarezza e la trasparenza degli obiettivi da lui stesso condivisi e sottoscritti.
Come scrive De Robertis, “il contratto deve preservare una relativa flessibilità
per adattarsi alle situazioni che mutuano o che non sono chiare dall’inizio [4] è prodotto da una riflessione, da una trattativa e da una presa di decisione partecipata [4] riveste una funzione educativa, poiché stimola l’organizzazione cognitiva e le capacità autorisolutive”.
Nella definizione di un progetto così come nella stesura di un contratto è importante costruire un progetto realizzabile cioè adeguato alle reali capacità e risorse dell’utente. Nel centro di salute mentale gli utenti sono già significativamente provati da storie fallimentari: compito dell’operatore è accompagnare l’utente verso mete raggiungibili anche se, molto spesso
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l’immagine di sé stesso dell’utente non rispecchia chiaramente le sue reali capacità.
5. Realizzazione/attivazione del progetto (fase attuativa): è la fase del compito. Ferrario riporta che nella relazione di aiuto che lega l’assistente sociale e la persona può essere considerata come un complesso percorso di compito, in
quanto ispirata alla concretezza e alla trasformazione184.
Può essere definita come la fase in cui gli attori principali sono orientati verso la realizzazione di un compito: l’assistente sociale utilizza gli strumenti propri della professione per sostenere il “fare” dell’utente; quest’ultimo dovrà compiere delle azioni condivise e inserite nel contratto sottoscritto.
6. Fase conclusiva: valutazione dei risultati e chiusura dell’azione.
La valutazione è parte integrante della vita, un’azione che svolgiamo più volte nel corso della giornata e risulta necessaria per affrontare la vita. Nel lavoro
dell’assistente sociale la valutazione assume il significato del “parere professionale” necessario a fondare il senso e la coerenza degli interventi. Risulta fondamentale una sospensione del giudizio in quanto la valutazione viene effettuata sul fare e non sull’essere. La valutazione è un momento importante e trasversale durante tutto l’interno processo d’aiuto: fin dai primi contatti, nella definizione degli obiettivi di cambiamento e nell’elaborazione di un progetto ex ante, in itinere ed ex post.
Nella valutazione si osservano e registrano i segnali e i feedback al fine di monitorare l’andamento. De Robertis definisce la valutazione “il procedimento
dell’operatore sociale che, di fronte alla situazione del cliente, cerca di conoscere, di comprendere, di agire in funzione di ipotesi di lavoro e di misurare via via il cammino percorso”. Anche nella valutazione il contratto è uno
strumento rilevante perché, oltre a mobilitare al massimo l’interessato nella risoluzione dei suoi problemi, permette di misurare il cammino percorso, gli scopi raggiunti, i cambiamenti prodotti.
De Robertis traccia alcune caratteristiche della valutazione: quest’ultima è centrata sulle difficoltà da risolvere, è un processo continuo e dinamico, è sempre provvisoria, è un processo soggettivo dell’operatore sociale, è un procedimento ideologico e va condivisa con l’utente.
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Il processo di valutazione coinvolge profondamente l’assistente sociale e avviene all’interno di una relazione d’aiuto con l’utente. E’ una fase delicata dove sia valutatore, sia valutato possono vivere tale momento con difficoltà: l’utente può sentirsi giudicato e controllato, l’assistente sociale può avere sensazioni di intrusività, inadeguatezza. Per superare l’empasse che può nascere durante un processo valutativo è fondamentale essere chiari e trasparenti, condividere con tutti gli stakeholders in particolare con l’utente in base a criteri il più possibili omogenei anche rispetto alle esperienze passate.