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DIMENSIONI DELL'IMPRESA E STA­ BILITÀ DEL PROFITTO

(D A I BILANCI DELLE SOCIETÀ ITA LIAN E PER AZIONI NEL PERIODO 1930-1939)

1. — Della relazione fra dimensione e redditibilità dell’impresa si occupò il Lenti indagando se guadagnassero di più le grandi, le medie o le piccole imprese (1). A rispondere al quesito si richiedeva un lavoro paziente di spoglio di bilanci di imprese e di elaborazione scientifica dei dati raccolti. £ quanto fece il Lenti utiliz­ zando i dati desunti dai bilanci delle società italiane per azioni.

Seguendo gli stessi criteri ci proponiamo, col presente studio, di saggiare al lume dei dati tratti dalla stessa fonte se il fattore « dimensione » abbia altresì influenza sulla variabilità del profitto nelle diverse circostyize ambientali e di fase ciclica delle imprese, ossia se in un dato periodo offrano all’investitore rendi­ menti più stabili le grandi le medie o le piccole imprese, indagine che appartiene al genere di quelle additate dal prof. Einaudi agli storici dell'economia (2).

2. — Non sempre i dati che si possono ricavare dallo studio dei bilanci pub­ blicati possono condurre a risultati sicuri. Molte volte il bilancio è volutamente oscuro; gli utili pubblicati sono talora superiori e talora inferiori a quelli effettiva­ mente conseguiti; riserve latenti servono ora a integrare l'utile conseguito nell’anno, ora ad assorbirne una parte. Se poi l’impresa fa parte di un complesso privato o semi pubblico, dalla comune dipendenza azionaria, spesso discendono vincoli per le imprese collegate e riflessi di vario ordine e di varia portata sui bilanci delle singole società, tali da influenzare vantaggiosamente o svantaggiosamente i risultati econo­ mici delle singole aziende collegate.

* \ .

(1) L. Lenti, Guadagnano d i più U grandi le m edie o le piccole intraprese? Studio

sui bilanci d elle società italiane per azioni nel periodo 1927-1931 in « La riforma sociale », gennaio-febbraio 1935.

(2) Cfr. L. Einaudi, Tem a per gli storici dell'econom ia: negli investimenti d i capi­

tali è p referibile il fum o o l’arrosto?, nel quaderno del dicembre 1939 di questa rivista.

i 77 12* 111.

17tì GUIDO ROSSkTTI

Altri inconvenienti sono stati lucidamente messi in rilievo del prof. Einaudi circa l'attendibilità dei dati dei bilanci delle grandi imprese:

« A mano a mano che l'impresa ingrossa, e ingrossandosi, riesce a fornirsi di capi­ tale con emissione di azioni, di obbligazioni, di aperture di credito, diventa sempre più dif­ ficile sapere se si guadagni o si perda. La linea di distinzione fra spese in conto esercizio per riparazioni ammortamenti svalutazioni c quelle in conto investimenti è cosi sottile che perdite annose, pur gravi e gravide di malessere, possono a fatica essere rintracciate al pas­ sivo dei bilanci sotto la specie di aunenti di capitale o di indebitamento ed all'attivo sotto quella di accresciuto valore degli impianti. Soltanto un grosso improvviso ostacolo riesce a rendere manifesta la malsania propria dell'impresa » (3).

Ciò nondimeno riteniamo che i rilievi esposti abbiano importanza minore di quelli che potrebbero essere fatti nei riguardi di altre rilevazioni statistiche che pur forniscono materiale prezioso allo studio dell’andamento economico del paese.

Ci sembra pertanto di poter concludere che, nonostante i vizi che li intaccano, i dati di cui si discute costituiscano un materiale atto a darci visioni d'insieme ab­ bastanza attendibili della dinamica di taluni fenomeni economici.

3. — I dati utilizzati in questa indagine sono tratti dai bilanci delle società per azioni di natura industriale contenuti nella XV I edizione del volume della « Associazione fra le società italiane per azioni » con capitale superiore ad un milione. Al fine di elaborare materiale perfettamente omogeneo sono state consi­ derate soltanto le società che hanno avuto vita completa durante il 1930-1939, pe­ riodo al quale si estende l'indagine, e nelle quali le variazioni del capitale sociale, riserve comprese, siansi mantenute entro i limiti delle classi di capitale secondo le quali sono state ripartite le società per modo che i dati riflettessero le stesse imprese.

Nella classificazione delle società secondo l'ammontare del capitale abbiamo seguito il criterio adottato dal Lenti nello studio innanzi ricordato ripartendole in otto classi :

da 1 a 2 milioni da 25 a 50 milioni

» 2 » 5 » » 50 » 100 »

» 5 » 10 » » 100 » 250 »

» 10 » 25 » oltre i 250 milioni

Il capitale più la riserva sono espressi in lire correnti. Il tempo considerato va come abbiamo detto dal 1930 al 1939. Gli anni dal 1930 al 1935 sono caratte­ rizzati da brusche variazioni dei rendimenti e da una persistente eccedenza dei disin­ vestimenti azionari sugli investimenti. Il successivo periodo (1936-1939) risente in pieno del mutamento della congiuntura con un incremento sensibile del capitale azionario e con una distribuzione abbastanza regolare dei profitti. I dati elaborati rispecchiano dunque un periodo che comprende tanto anni di prosperità quanto anni di depressione.

(3) L. Einaudi, Prime lin ee d i una teoria d ei doppion i, in «Nuovi Saggi», Torino,

DIMENSIONE DELL'IMPRESA E STABILITA DEL PRO FILO 179

Per quanto concerne l'omogeneità monetaria dei dati elaborati, gli anni dal 1930 al 1936 possono ritenersi di relativa stabilità, quelli dal 1936 al 1939 risen­ tono invece gli effetti del mutato ragguaglio aureo della lira da grammi 0,07919 a grammi 0,04677. Per avere accanto alla omogeneità contabile dei dati anche quella monetaria si sarebbero perciò dovute ridurre le lire correnti in unità aventi lo stesso contenuto aureo in tutto il periodo considerato, ma abbiamo lasciato da parte questa ulteriore indagine per non rendere ancora più complicati i complessi calcoli, ed anche perché abbiamo considerato che il risultato della elaborazione non potesse essere infirmato da un fenomeno influenzante in ugual misura i rendimenti di tutte le imprese, tanto grandi che piccole.

Distribuiti i bilanci fra le classi di capitale come innanzi stabilite, abbiamo calcolato anno per anno e per ogni classe di capitale la somma complessiva dei profitti e delle perdite nette, indi abbiamo misurata la variabilità assoluta dei profitti per ogni classe di capitale mediante lo scostamento medio semplice (4). Rapportando infine tale scostamento alla media, abbiamo ricavato un indice di variabilità relativa dei rendimenti netti positivi o negativi per ogni classe di capitale.

La seguente tabellina dà i risultati del calcolo per tutte le società industriali prese in considerazione. Sono stati, in totale, spogliati oltre cinquemila bilanci. La lunga ed omogenea serie di dati elaborati ci induce a ritenere i risultati attendibili. Gli indici di variabilità dei profitti sono i seguenti per le diverse classi di società:

Capitale Capitale

1 Da

1

a

2

milioni 0.82 V Da 25 a 50 .milioni 0.18

li »

2

»

5

» 0.80 VI » 50 » 100 » 0.36

III »

5

»

10

» 0.54 VII » 100 » 250 » 0.32

IV »

10

»

25

» 0.54 V ili Oltre 250 » 0.40

Dall'esame della tabella si scorge subito* che l'indice più basso, ossia la mag­ gior stabilità del profitto si ha per una classe di capitale media: la quinta; per le classi di capitale minori o maggiori l’indice si eleva e molto più sensibilmente per le classi più piccole che per quelle più grandi. L’indice non varia a caso, decresce gradualmente a mano a mano che si passa dalle classi minori alle maggiori fino a quella che raccoglie i capitali da 25 a 50 milioni, ove tocca il minimum minimorum,

per poi risalire e ritornare, dopo una leggera inflessione, poco al disotto dell’indice delle classi terza e quarta.

(4) Gli statistici indicano come più appropriato in elaborazioni di questa specie, il calcolo della differenza media, ma la preferenza data a questo procedimento metodologico discende da considerazioni puramente concettuali; dal punto di vista formale è del pari le­ gittimo l’uso dello scostamento semplice dalla media aritmetica, indice classico del quale del resto è stata dimostrata la relazione con la differenza media quando, come nella nostra in­ dagine, il numero delle osservazioni sia abbastanza grande.

A scopo d'assaggio abbiamo calcolato, ma solo per la elaborazione di prima appros­ simazione, anche la differenza media. I risultati in ordine di classi di capitale sono i se­ guenti: 1,13-1^13-0,75-0,76-0,26-0,51-0,49-0,59. Essi come è facile vedere esprimono relazioni pressoché equivalenti a quelle ottenute col calcolo dello scostamento medio, perciò abbiamo creduto che non valesse la pena di rinunziare nei calcoli ulteriori alla maggiore semplicità e comodità del procedimento prescelto.

180 GUIDO ROSSETTI

Questo risultato ci dice dunque che nel periodo considerato, nelle società industriali operanti in Italia esisteva una relazione fra variabilità dei profìtti e di­ mensione dell’impresa e precisamente che la stabilità del profitto era massima nelle imprese di media dimensione, minima in quelle di piccola dimensione.

Occorre ora verificare se la relazione accertata per tutte le imprese considerate nel loro complesso, sussista per le singole categorie industriali. A questo punto ci siamo trovati dinanzi alla grossa difficoltà di classificare le società secondo la dimen­ sione nell'ambito delle varie categorie industriali. La distinzione della grande dalla piccola e dalla media impresa non si fonda soltanto né principalmente sopra carat­ teri quantitativi. A misura che cresce 1’ estensione dell’ industria viene aumentata l’estensione dei mezzi di produzione, ma non è possibile determinare con criteri as­ soluti quale ammontare di capitale e quale rapporto fra questo e gli altri elementi siano caratteristici del tipo piccolo o medio o grande di impresa.

Per ridurre al minimo l’arbitrio, abbiamo seguito il criterio adottato dal Lenti nello studio innanzi citato riclassificando cioè le imprese per categoria industriale secondo la nomenclatura adottata dall’« Associazione fra le società italiane per azioni »' c raggruppando nell’ambito di ogni categoria i bilanci in sole quattro classi e cioè: società piccole, medio piccole, medio grandi e grandi, attribuendo alla classe delle società grandi i bilanci corrispondenti alle società con capitale maggiore in quel particolare ramo industriale e distribuendo i rimanenti bilanci fra le restanti classi.

Ecco, secondo questo calcolo, gli indici di variabilità dei profitti delle varie classi di società: ì • Industrie piccole Società medio 1 medio piccole grandi grandi

E s t r a t t i v e ... 1.35 4.76 0.42 0.31 M etallurgiche... 1.82 0.90 0.18 1.89 M eccaniche... 0.90 1.47 0.73 0.93 E l e t t r i c h e ... 0.30 0.21 0.17 0.25 T e s s i li ... 2.23 1.07 0.62 0.74 Concia e lavorazione c u o i o ... 1.57 1.57 1.06 0.54 Legno ... 1.82 0.79 0.44 2.81 Edilizia e materiale da c o s tru z io n e ... 5.77 0.50 0.76 0.23 A lim e n tari... 0.48 0.44 0.20 0.13 C h i m i c h e ... 0.38 0.38 0.19 0.73 C a r ta ...• ... 7.48 0.39 0.78 0.37 Grafiche ed e d i t o r i ... 1.09 3.19 0.32 1.51 Acquedotti c g a s ... 0 0 9 0.23 0.04 0.06 N a v ig a z io n e ... 2.20 3.37 0.66 0.96 Ferrovie e trasp o rti... 3.78 6.27 0.40 0.13

Uno sguardo alla tabella conferma che la quasi regolarità già constatata per le imprese considerate nel loro complesso, si mantiene anche per le singole categorie

industriali. / ¡1

DIMENSIONE DELL'IMPRESA E STABILITA DEL PRO ETTO 181

Infatti gli indici più bassi si raccolgono in massima parte nella casella delle società medio grandi mentre i più elevati compaiono in quelle delle società piccole e medio piccole. Soltanto in sci delle quindici categorie industriali si osservano risul­ tati meno variabili per le società grandi. In tutte le altre la minore oscillazione dei profitti si ha nelle società medio grandi. In nessuna industria gli indici toccano il va­ lore minimo per la classe delle società piccole ed in due sole categorie si osservano, per le società medio piccole, indici inferiori a quelli delle società medio grandi.

Naturalmente i risultati per singole categorie industriali non presentano la regolarità osservata per il complesso di tutte le industrie, ma è illusorio, in calcoli di questa specie, inseguire una maggiore precisione formale.

4. — I risultati ottenuti i quali mettono in evidenza oscillazioni notevoli di reddito nella quasi totalità delle industrie per le società piccole e medio piccole, denotano che malgrado gli asseriti vantaggi dell’esercizio in piccolo non si ha nelle società di piccola dimensione la combinazione dei fattori produttivi più favorevole alla costanza dei rendimenti e che, d'altra parte, neppure la struttura economica della grande impresa, nonostante l'alto grado di razionalizzazione dei procedimenti tecnici, è tale da consentire la maggiore stabilità dei profitti.

I risultati indicherebbero invece che è la dimensione della media impresa quella meglio adatta a conseguire il livellamento e la persistenza dei profitti : si avrebbe cioè nell’impresa di tipo medio non la combinazione più favorevole pro tempore,

ma quella che meglio coordina le disponibilità attuali alle possibilità future, sì da consentire uno sfruttamento medio delle capacità produttive quale può darsi effetti­ vamente nella fase di normalità del ciclo.

5. — Nell’indagine innanzi ricordata il Lenti accertò una distribuzione di profitti relativamente maggiore per le società.di-m edia dimensione. Dal nostro studio abbiamo ricavato che le società le quali danno un rendimento più costante sono ugualmente quelle di tipo medio. Se è lecito extrapolare i risultati dell’indagine del Lenti nel vicinissimo futuro rappresentato dal periodo da noi considerato, ad esclusione dei primi due anni (1930-1931) comuni alle due indagini, potremmo altresì affermare l’esistenza di una relazione fra percentuale del profitto e stabilità del profitto, e concludere che sarebbero le imprese di media dimensione quelle che realizzerebbero al tempo stesso più alti e più costanti rendimenti (5).

Gu id o Ro s s e t t i.

(5) £ superfluo avvertire che le nostre conclusioni come quelle dell'indagine condotta dal Lenti hanno valore soltanto per le imprese aventi la veste dell'anonima. Non sarebbe perciò lecito estenderle sic et sim pliciter alla generalità delle imprese poiché non sappiamo se e fino a quale punto una società di certa dimensione sia rappresentativa delle imprese di carattere individuale di eguale dimensione operanti in uno determinato mercato. Per questo si veda l'ar­ ticolo già citato del Lenti.

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