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Le dimensioni sociali della corruzione

di Gianni Belloni e Antonio Vesco

2. Le dimensioni sociali della corruzione

Il racconto delle pratiche concrete messe in atto da politici e imprendito- ri coinvolti nel caso Mose permette di mettere in luce due elementi che hanno favorito il successo del sistema corruttivo che ruotava intorno al CVN. Innanzitutto, le diverse vicende ricostruite dai magistrati mostrano la parziale coincidenza tra l’organizzazione dei meccanismi corruttivi e l’organizzazione formale/ufficiale del Consorzio: le risorse di quest’ultimo – autorità, ruoli e routine organizzativa – sono infatti state messe al servizio del comitato d’affari. Alla gestione dei fondi neri e alla distribuzione delle tangenti erano dedicati uffici appositi inseriti nell’organigramma del CVN. Le gerarchie formalizzate – presidente, direttore, peso in termini azionari dei diversi soci – e l’autorità che ne derivava erano messe al servizio delle pratiche corruttive. In secondo luogo, come vedremo, il sapere e le reti fi- nalizzate a compiere attività illecite utilizzate dal CVN si erano strutturate precedentemente alla sua fondazione.

Un primo aspetto in grado di mettere in evidenza l’uso delle reti del consorzio a fini corruttivi riguarda le procedure finalizzate all’accantonamento dei fondi neri. Queste erano dettate da regole consuetu- dinarie: di fatto, quando si presentava la necessità, il direttore e presidente del CVN Giovanni Mazzacurati contattava separatamente le quattro realtà imprenditoriali più significative del Consorzio, ovvero le tre imprese mag- giori e il gruppo delle cooperative rosse, che erano «molto rilevanti negli equilibri generali» (Interrogatorio Baita, 28 maggio 2013). Le imprese «sti- pulavano così con il Consorzio fittizi contratti per prestazione di servizi e assistenza, oppure formulavano istanze di anticipazione delle riserve sovra- dimensionate nell’importo» (Tribunale di Venezia 2014, p. 236). A quel punto, le imprese venivano pagate dal CVN e procedevano a “retrocedere” il denaro contante a Mazzacurati, tramite i suoi incaricati, «per un importo pari al 50% del valore indicato nel contratto stesso o nell’istanza di antici- pazione» (ivi, p. 236). Il denaro in nero così accumulato era destinato al pagamento delle tangenti.

Era un meccanismo rodato, che coinvolgeva le imprese principali e al- cuni collaboratori di Mazzacurati. Questi ultimi, oltre a provvedere alla «distribuzione» delle tangenti, fornivano anche le strutture e gli uffici in cui venivano concretamente messe in atto le operazioni illecite.

Interessante annotare come la percezione di sé dei dipendenti e dei diri- genti del CVN non si risolveva nell’immagine di un’organizzazione dedita a pratiche illegali. Tra i tecnici e i professionisti che partecipavano a vario titolo alle attività del CVN era forte l’immagine di una società consortile che stava realizzando una delle opere più importanti al mondo e che si av- valeva di consulenti e collaboratori di ottimo livello.

Vorrei che si capisse che il Consorzio non era solo la società che distribuiva tangenti, in realtà era una realtà che funzionava, dove i problemi che sorge- vano ai cantieri venivano analizzati e risolti. Eravamo chiamati in tutto il mondo per raccontare il nostro progetto (Intervista ex dipendente CVN, 18 maggio 2016)

D’altra parte, era in qualche modo possibile essere dipendenti del CVN e non conoscere la realtà corruttiva. Possiamo infatti ritenere plausibile quanto dichiarato dallo stesso intervistato:

Si capiva che c’era qualcosa di strano. Capivamo che l’Ingegnere [Maz- zacurati, nda] era molto potente e che grazie a lui venivano concessi finan- ziamenti anche in periodi di ‘vacche magre’. Certo, giravano molti soldi, gli stipendi erano alti e, per dire, i commessi vestivano abiti di sartoria, ma non avrei mai immaginato quello che è venuto fuori (ivi).

Garantire per lunghi anni il funzionamento del sistema corruttivo ha ri- chiesto il consolidamento di alcune norme essenziali condivise. Innanzitut- to, l’autorità riconosciuta a Giovanni Mazzacurati, che ha rivestito il ruolo di direttore del Consorzio fin dalla sua nascita, divenendone anche presi- dente a partire dal 2005. Mazzacurati manterrà un ferreo controllo sulle di- namiche relazionali esterne, sebbene negli anni le dinamiche si evolveranno e con il proseguire dei lavori del Mose aumenterà il peso delle imprese consorziate, in particolare della Mantovani e del suo amministratore Pier- giorgio Baita, a discapito del Consorzio. Mazzacurati, comunque, secondo i magistrati inquirenti e come sintetizza l’ordinanza, «decide il fabbisogno di fondi extra-contabili, decide chi deve eventualmente anticipare nei momen- ti di crisi le somme necessarie e decide a chi debbano andare i soldi, tiene i rapporti con il potere politico centrale, cioè con coloro i quali deliberano gli stanziamenti che mantengono in vita e consentono al consorzio stesso di operare, decide in occasione delle campagne elettorali quali somme desti- nare al finanziamento dei partiti e come ripartirli» (Tribunale di Venezia 2014 p. 237).

Stando a Piergiorgio Baita (Interrogatorio del 6 giugno del 2013), era Mazzacurati il custode delle regole tacite che governavano il funzionamen- to della corruzione esercitata dal Consorzio. Ed era Mazzacurati a traman- dare le regole ai nuovi venuti assicurando così la stabilità del sistema. Co- me vedremo, egli poteva far leva su reti di conoscenze diversificate: le in- dagini mostrano come egli fosse in grado di trattare con i piccoli imprendi- tori di Chioggia – ergendosi a soggetto in grado di tutelarne i diritti – e di colloquiare con i più alti rappresentanti istituzionali. «Dopo un colloquio con lui erano tutti convinti di aver avuto ragione, in realtà non era così, è una persona capace di darti l’impressione di assecondarti, dicendoti in real- tà di no» (Intervista ex dipendente CVN).

L’autorità personale di Mazzacurati – custode, come abbiamo visto, del- la rete di alleanze e favori che faceva capo al Consorzio – eccedeva il suo ruolo formale di direttore e presidente del CVN: «Il vecchio pensa di essere onnipotente. Il peggio è che gli altri sotto di lui credono di essere coperti da lui per cui possono fare tutto. È come se un Gesù Cristo... tanto c’è Dio so- pra di me che mi protegge» (in Amadori, Andolfatto, Dianese, 2014, p. 22).

Il colorito ritratto di Mazzacurati fornito da Franco Morbiolo, presidente del Coveco (Consorzio Veneto Cooperativo), richiama il superamento dell’impersonalità del potere proprio della modernità e l’utilizzo della pro- pria autorità personale per modificare le regole del gioco (Della Rocca e Fortunato 2006). Un passo indietro rispetto alle caratteristiche – consacrate da Weber – delle organizzazioni moderne, basate sull’impersonalità del po- tere e sulla separazione tra sfera privata e sfera pubblica. Un ritorno alle forme di amministrazione delle società fondate sulla personalizzazione del potere, sull’assenza di separazione tra beni privati del signore e mezzi dell’amministrazione (da qui l’utilizzo di rilevanti risorse del CVN per re- galie ai membri della famiglia), su rapporti di riverenza e fedeltà. Non si tratta di una semplice riedizione della tradizione, ma di una pratica conta- minata dal nuovo contesto di istituzioni moderne, regolata da norme uni- versalistiche fondate sulla sovrapposizione tra regole formali e informali, tra la sfera pubblica e privata (Della Rocca, 2008).

In quanto soggetto privato che amministrava risorse pubbliche e gover- nava processi pubblici, il CVN ha rappresentato una vera e propria innova- zione giuridica e amministrativa. L’intrecciarsi, nella stessa organizzazione e tramite i medesimi ruoli, di procedure e pratiche legali e illegali ha certa- mente eroso il carattere formale e procedurale dell’autorità moderna. Esemplare, in questo senso, è la prassi diffusissima dell’assunzione dei figli come merce di scambio per i favori concessi. Nelle pratiche corruttive del CVN assistiamo allo stratificarsi di logiche diversificate. Una di queste è un tratto caratteristico della corruzione che, in questo contesto come altrove, può essere letta come una mutuazione in ambito burocratico- imprenditoriale delle logiche del dono (Olivier de Sardan, 2008). In questo contesto, i funzionari rimangono prigionieri di una rete di obbligazioni re- ciproche ineludibili ricevute in consegna dall’appartenenza familiare o so- ciale e a cui possono fare fronte solo a spese delle risorse legate al loro ruo- lo pubblico.

Nel CVN troviamo, mescolate in un groviglio inestricabile, le formalità delle procedure che garantiscono, ope legis, la corruzione e l’ufficiosità delle relazioni che scivolano in pratiche clientelari. In questo contesto as- sume particolare rilievo, nell’assicurare la continuità delle regole e dei meccanismi corruttivi e facilitare le nuove cooptazioni, il ruolo dalle reti