307.
[319v-320r] Intende per parti oziose tutte quelle nelle quali il poeta parla in sua persona. Vedi bene carte 319 e 320.
§ 39 Lettere, I, n. 82, p. 202: «Falso è c'Omcro [...] in persona del poeta non lodi, che non biasimi, che non interponga il giudicio: e mostra [il Castelvetro\ di non aver ben letto Omero, e di non aver pur visti molti nobilissimi autori greci [...]».
§ 40 II Forno overo della nobiltà, in Dialoghi, IH, pp. 56-57, §§ 168-169: «[Turno]
Fugge perché la spada gli sera rotta: e questa fuga non solo è tolerabile per l'essempio della fuga d'Ettore, eh e appresso Omero, ma in rispetto di quella è quasi lodevole:
percioché Tumo fugge per diffetto d'arme ed Etlorre per mancamento d'animo, e sì come in questo è da preporre Virgilio ad Omero, così ancora è da anteporre nell'osservanza del decoro de' seguilori. Percioché molto bene è verisimile ch'Enea, ch'avea trafitta la gamba, non potesse così tosto giunger Tumo e ritessesse cinque lunghissimi giri su gli occhi de' due esserciti prima che con esso lui potesse raccozzarsi; ma non è punto verisimile Ch'Achilie, velocissimo sovra tutti gli uomini dell'età sua, il quale da Omero perpetuamente è lodato dalla velocità de' piedi, corra tante volte intorno a Troia, città così grande, prima che possa giunger Ettorre, del quale non si legge che fosse mollo veloce corridore»; Discorsi del poema eroico, pp.
160-161: «Non sono ancora pari le ragioni nel timor d'Ettorre e di Turno: perché Tumo è descritto audace e temerario giovenc, Ettorre prudente anzi che no; e oltre a questo, Turno è spaventato da le Furie, laonde il suo timore pare in lui non difetto di natura, ma violenza del Fato, maggiore ch'in Ettorre. Era ancora assai conveniente che '1 giovene inamorato si descrivesse temerario; ma '1 tiranno, come Mezenzio, è descritto intrepido ne la sua morte [...]»; Il Porzio overo de le virtù, in Dialoghi, II, n.pp. 1002-1003, §§ 177-180: «[...] lafugadiTumo non pareamolti che possaessere scusata, perché la temerità non si scusa ne l'età matura, e molto meno quella d'Ettorre;
tuttavolta Turno fugge con minor vergogna, essendosegli rotta la spada [...]. La fuga nondimeno è simile a quella del cervo [...]. Altrove Turno fugge, o si ritira più tosto, come leone circondato da l'arme e da' cacciatori [...]. Ma in tutti i modi è più tosto
41 [325r] Cappe fatte alla spagnuola. Usanza antica de' soldati romani quando erano alla guerra: e sono effigiate nell'arco di marmo1 trionfale di Severo imperadore in Roma.
[326v] T. Né credo già eh'Amor in Cipro avessi. Amor vocativo, e avessi seconda persona. E' '1 Bembo ripreso, che la fa terza. Nondimeno il Petrarca altrove la fa terza: E 'n vista parve s'accendessi. Né vi è risposta.
42 [327r-v] Aristotele credette che la cognizione delle scienze e dell'arti non fosse necessaria al poeta: altrimenti non averebbe detto che i peccati delle scienze e delle arti fossero accidentali al poeta e scusabili.
[330r] Omero, e Virgilio ncW'Eneide, non demostra1 mai tempo alcuno2 dell'anno3 per nascimento o cadimento di stelle, se non conosciute dal vulgo.
Erra in ciò Lucano e Dante. Ovidio.
[330v-331r] Ripreso nel Petrarca: Aprasi la prigion ond'io son chiuso.
43 [338r] Concede Aristotele che talor si ricevano alcune cose incredibili perché il fine del poeta riesca più meraviglioso. Oppone egli in questo: Noi non ci meravigliamo se non per quello che crediamo, perché delle cose non credute non nasce meraviglia. Adunque le cose incredibili non posson fare che '1 fine riesca più meraviglioso.
audace o temerario che forte, come dice il poeta medesimo [...]. Laonde il poeta non merita biasimo nel costume descritto, quantunque potesse meritarlo la persona descritta, la quale con somme lodi è talora levata sino al cielo: e molto meno merita d'esser ripreso Enea per la vendetta»; Giudizio, in Prose diverse, I, p. 536: «Due sono i luoghi eccessivamente trattati da questi due grandissimi poeti: l'uno da Omero nella morte d'Ettore, l'altro da Virgilio in quella di Mezenzio e di Lauso: perché quella di Tumo a tutti non piace egualmente; anzi la sua fuga, come quella di Ettore, da tutti non c lodata. Io, non perché biasimi la fuga di Ettore o diTumo, o perchéla stimi senza difesa, ma perché è più lodevole la morte intrepida e senza paura, ho descritti Argante e Solimano intrepidi fino alla morte. Nella morte d'Argante imito quella di Ettore;
nell'uccisione di Solimano e di Amuralto, l'uccisione di Mezenzio e di Lauso. Nella prima Argante nella fuga non somiglia ad Ettore, però ch’egli non vuol fuggire; ma questo timore del fuggire si descrive nella persona d'un suo fratello giovane e delicato, al quale era più conveniente [...]».
§41 TdM n i2 6 .
§ 42 Cfr. T. TASSO, Rime, n. 759, v. 3.
§ 43 Discorsi dell'arte poetica, pp. 7-8: «Ma bench'io stringa il poeta epico ad un obligo perpetuo di servare il verisimile, non però escludo da lui l'altra parte, cioè il
§ 41 1 ma>r<mo
§ 42 1 le prime due lettere sono parzialmente erose da un foro 2 le ultime due lettere sono parzialmente erose da un foro 3 la d iniziale è parzialmente erosa da un foro
[338r-v] T. Rispondi quel ch'accenna anch'egli: ch'un'altra parte contenente cose credibili, per la disposizione della precedente contenente l'incredibile, sarà quella che riuscirà più meravigliosa. L'essempio d'Ulisse trasportato dormendo, che fa più mirabile l'occisione de i proci.
44 [340r] Aristotele vuole che molte opposizioni si possono solvere per la figura chiamata trasportamento, cioè quando si trasporta ciò che si costuma al tempo del poeta al tempo delle persone di cui ragiona: come Sofocle1 fa che ne' giochi Pitii si tenzonasse al corso delle carrette, il che non s'usava a' tempi d'Oreste, se ben s'usava a' tempi2 di Sofocle3. Questa soluzione non approva il Castelvetro, come quello ch'<è> errore nell'istoria, il quale errore non è scusabile, oper accidens, perché toglie il verisimile, sì come non è scusabile l'errore nella grammatica e nel versificare.
[340r-v] La figura del trasportamento del tempo si concede solo nelle denominazioni de' nomi, come Dante: Esso atterrò l'orgoglio de gli Arabi; e '1 Petrarca: Che f é ’ in Germania e 'n Francia tal ruina.
meraviglioso; anzi giudico ch'un'azione medesima possa essere e meravigliosa e verisimile; e molti credo siano i modi di congiungere insieme queste qualità così discordanti [...]. Attribuisca il poeta alcune operazioni, che di gran lunga eccedono il poter de gli uomini, a Dio, a gli angioli suoi, a' demoni [...]. Queste opere, se per se stesse saranno considerate, maravigliose parranno, anzi miracoli sono chiamati nel commune uso di parlare. Queste medesime, se si avrà riguardo alla virtù e alla potenza di chi l'ha operate, verisimili saranno giudicate [...]. Può esser dunque una medesma azione e meravigliosa e verisimile: meravigliosa riguardandola in se stessa e circon
scritta dentro a i termini naturali, verisimile considerandola divisa da questi termini, nella sua cagione, la quale è una virtù soprannaturale, potente e avezza ad operar simili meraviglie» (e cfr. Discorsi del poema eroico, pp. 96-97); Lettere, I, n. 46, p. I li:
«[...] a quel ch'ella mi chiede, come si possono ridurre a cagioni naturali alcuni effetti maravigliosi [...]; credo che mi basti per risposta l'addurre una dottrina d'Aristotele, de la quale egli si valse per difender Omero egli altri poeti da gli antichi critici. I poeti (dice egli) rappresentano le cose o come sono ed erano, o come son possibili e devono essere, o come paiono o son dette e credute. [...] Or sotto il terzo membro di questa divisione si riparano e si difendono da le calunnie tutti i maravigliosi, come è stato notato anco da altri, ed in particolar dal Castelvetro; sì che mi par soverchio il cercar quant'oltre si stenda la potenza de l'arte maga, o sia naturale o demonica».
§ 44 1 l'ultima lettera è parzialmente erosa da un foro 2 al tempo* 3 Sofolle A
45 [340v] Biasimato Virgilio ch'usa male il trasportamento del tempo in Didone.
[341r-v] Si può usar la denominazione antica in luogo della moderna, et e contra, solamente quando la persona che l'usa può aver cognizion’ dell'una e2 dell'altra, o quando la lingua in cui si parla non abbia altra voce che la moderna: così Dante e '1 Petrarca. Però errò Virgilio3 che fe' dire a Palinuro Portus require Velinos', Plauto nell 'Anfitrione, che fa giurar per Ercole quando non era nato4. L'Ariosto fa dir maraño5 a Ferraù.
46 [342r] Ripreso il Petrarca che disse: del nocchier1 di Stige. Opinion gentile.
[342r] Si diis placet, per deos immortales: ripreso nel2 Sadoleto e nel3 Longolio. Riprende il medesmo Lattanzio4 ne' cristiani5 scrivendo6 a Celso.
§ 45 Discorsi dell'arte poetica, pp. 17-18: «[...] il divino Virgilio [...] così ne gli errori d'Enea come nelle guerre passate fra lui e Latino, andò dietro non a quello che vero credette, ma a quello che migliore e più eccellente giudicò: perché non solo è falso l'amore e la morte di Didone, [...] ma le battaglie passate fra lui e i popoli del Lazio descrive altrimente di quello ch’avvennero secondo la verità [...]. Ma sì come in Didone confuse di tanto spazio l'ordine de' tempi per aver occasione di mescolare fra la severità dell'altre materie i piacevolissimi ragionamenti d'amore e per assegnare un'alta ed ereditaria cagione della inimicizia fra Romani e Cartaginesi [...], così anco alterò la morte di Turno, tacque quella d'Enea, v'aggiunse la morte d'Amata, mutò gli avvenimenti [...] per accrescer la gloria d'Enea e chiuder con un fine più perfetto il suo nobilissimo poema. Alle quali sue finzioni fu molto favorevole l'antichità de' tempi»;
Discorsi del poema eroico, pp. 118-119:«Virgilio ancora negli errori d'Enea e nella guerra fatta fra lui e Latino non scrisse solamente le cose che vere estimò, ma quelle che giudicò migliori e più eccellenti [...]. Egli in Didone confuse di tanto spazio l'ordine [ed. Poma-, d'ordine] de' tempi con quella figura che da' Greci è detta Òcvot- Xpovtapós, o più tosto con quella licenza che fu prima di Platone e de' poeti greci, ch'introdussero insieme a ragionare persone vissute in secoli differenti, come nota Ateneo nel Convito de' dinosofisti. Questa licenza fu parimente d'Ovidio nelle sue Trasformazioni [...]. La medesima dottrina o '1 medesimo artificio del mescolare il vero co '1 falso o co ì finto si può raccogliere da Orazio [...], e molto prima da' platonici scrittori e da Platone medesimo e da Senofonte nel suo Ciro [...]. Con queste autorità e de' nuovi e de' vecchi scrittori può esser difeso Virgilio; ma egli forse cercò occasione di mescolare tra le severità dell'altre materie i piacevoli ragionamenti d'amore [...]; o più tosto volle assignare un'alta ed ereditaria cagione delle inimicizie tra Romani e Cartaginesi [...]».
§ 45 1 condition A - correzione del Mazzucchelli (cognizione) 2 dell'una o A -correzione del Mazzucchelli 3x Virgilio 4 la seconda lettera è parzialmente erosa da un foro 5 Maxano* - la correzione è dovuta alla mano a
§ 46 1 la quinta e la sesta lettera sono parzialmente erose da un foro 2 l'ultima lettera è parzialmente erosa da un foro 3 la prima lettera è parzialmente erosa da unforo 4 Origene C - il Mazzucchelli emenda senz'altro su C la lezione di A, difficilmente attribuibile però a un incidente di tradizione 5 s « c r iv » e n d o ne' cristiani - la parola espunta è parzialmente erosa da un foro 6 le lettere centrali sono parzialmente erose da un foro
[38 lr-v] Non si può far comedia o tragedia che sia lodevole che non abbia due favole, ma l'una principale, l'altra accessoria. Falsissimo: nasce da un falso proposito7, che dalle più combinazion di persona nascano più favole.
47 [381r-v] Attribuisce ad Aristotele che dica ch'un corpo grande non possa aver un'anima sola, e per conseguente che l'epopeia, secondo lui, non possa avere una sola favola: a che il Castelvetro contradice dando l'essempio del gigante e della balena, che sono informati1 da una anima sola. Ma egli non intende Aristotele, perché non dice che la favola della epopeia non possa essere una, ma che non possa essere una d'unità così simplice come è quella della tragedia: è questo vero.
[38lv] Il corpo dell'epopeia non dee esser di determinata misura, e tanto meno d'una2 sì grande ch'una favola sola no '1 possa empire.
§ § 47- Discorsi dell'arte poetica, pp. 38-39: «M a in un altro modo ancor s'intende la favola 48 del poema esser composta. Composta si dice, ancora che non abbia riconoscimento o mutazione di fortuna, quando ella contegna in sé cose di diversa natura, cioè guerre, amori, incanti eventure, avvenimenti or felici e or infelici, che or portano seco terrore e misericordia, or vaghezza e giocondità; e da questa diversità di nature ella mistane risulta; ma questa mistione è molto diversa dalla prima, e si può trovare in quelle favole ancoraché sono semplici, cioè che non hanno né mutazionené riconoscimento.
Di questa seconda maniera intese Aristotele quando, disputando qual dovesse esser preposto di degnità, o '1 poema tragico o l'epico, disse molto più semplici esser le favole della tragedia che quelle dell'epopeia [...]. Questa maniera di composizione così è biasimevole nella tragedia come in lei è lodevole quell'altra che nasce dalla peripezia e dalla agnizione [...]. Quella medesima ch'è biasimevole nella tragedia, è a mio giudicio lodevolissima nell'epico, e molto più necessaria che quell'altra che deriva dal riconoscimento o dalla mutazion di fortuna. E per questo anco la moltitudine e la diversità degli episodii è seguita dall'epico; [...] perché la varietà de gli episodii in tanto è lodevole in quanto non corrompe l'unità della favola, né genera in lei confusione. Io parlo di quell'unità ch'è mista, non di quella ch'è simplice e uniforme e nel poema eroico poco convenevole» (e cfr. Discorsi del poema eroico, pp. 141 e 144-145)\Lettere, I, n. 82, pp. 200-201: «[...] io non prendo a cantar se non quel solo che, dopo sei anni di guerra, fu fatto in tre o quattro mesi per la espugnazion sola di Gerusalemme; e cerco d'unirlo in maniera in un nodo, che non si possa dubitare de l'unità de l'azione: e non hanno punto dubitato che la mia azione sia una e intiera e di convenevol grandezza, il Barga e lo Sperone, per altro severissimi. Ma il Trissino canta tutta la guerra intiera fatta per la liberazione d'Italia; sì che v'è non solo ciò che si fa intorno a Roma, ma ciò che si fa per tutta Italia, con l'espugnazione di molte città.
Io non ardirei però mai di dire, che queste fosser molte azioni, come apertamente
§ 46 7 prosipito - il Mazzucchelli emenda per congettura in presupposto
§ 47 1 conformati 2 ch’una A
48 T. Vero dice Aristotele ch’una favola sola, che sia simplice e non sia mista, no 1 può empire. Vedi tutto il discorso della comparazione della epica <che>
sia meno una che la tragica, e ricordati della distinzion mia d'unità più1 <o>
men simplice, che solve ogni cosa.
[384r] L'epopeia porge diletto più largo2 che la tragedia, ma meno intenso3, secondo la proporzione.
[274v] T. E' lecita la varietà delle lingue anco nelli epici vulgari; e chi dicesse che le nostre lingue d'Italia non son nobili come le greche, non avendo scrittori, rispondi che questo rispetto può fare ch'alle parole prese dal lombardo o dal veneto si dia4 la terminazion toscana, non che però si lassi del tutto.
dicono lo Sperone e '1 Barga; parendomi che tutti quei fatti dipendano da un principio, e tendano ad un fine; sicché si può salvare che l'azione sia una. Pur questa unità così larga, e composta di tante azioni, non è approvata da Aristotele, quand'egli dice, che bene fece Omero a non descriver tutta la guerra troiana. Confesso nondimeno, che la mia azione è alquanto più ampia e più composta di quella de l'Iliade: ma s'io mi fossi proposto altro fine che l'acquisto di Gerusalemme, non avrei potuto esser così vario ne gli episodi, com'io desiderava; oltre c'avrei fatto quel medesimo che fece Omero prima, e poi l'Alamanno».
§ 48 Cfr. Discorsi dell’arte poetica, p. 45: «Le parole straniere devono essere tratte da quelle lingue che similitudine hanno con la nostra, come la provenzale, la francesa e la spagnola; a queste io aggiungo la latina, pure che a loro si dia la terminazione della favella toscana» (e cfr. Discorsi del poema eroico, pp. 184-185).
§ 48 1 pare - la correzione è dovuta alla mano a 2 la>r<go 3 intento A - correzione del Mazzucchelli 4 si dice A - correzione del Mazzucchelli