za di veder1 persone cascare2 e dal solletico3.
22 [52r] Aristotele non mette il ridicolo per materia propria della comedia nova ma della vecchia, essendo materia della nova una favola che abbia altronde1 il diletto.
riso delle cose brutte (come dechiara il Maggio in quel suo libro De' ridicoli ch’egli compose separatamente); e da questa operazione della comedia nasce il giovamento, perché noi, ridendoci della bruttezza che veggiamo ne gli altri, ci vergognamo di far cose che siano bruite egualmente [...]. Ma Omero, come dice Aristotele, fu nella magnificenza tra gli altri massimamente poeta, e fu ancora il primo che fece vedere l'imitazione della comedia, avendo rappresentata non villania, ma cosa da far ridere;
e quantunque il mover riso e il dir villania non sia il medesimo, nondimeno spesso, dicendo villania, si muove riso, sì come, lodando, si genera meraviglia. [...] Molti hanno creduto che '1 diletto che nasce dalle cose piene di grazia e '1 riso sia l'istesso;
però in tutte hanno cercato di muoverlo, e tutte le scritture hanno pieno di questo loro artificio [...] [nella perfetta tragedia] il riso non avrebbe per aventura alcun luogo, come non l'ha nel poema eroico, se non in quel modo che se detto, pieno di acerbità e di spavento e lontano dalla disonestà; anzi questo non è propriamente riso, perché il riso nasce dalle cose brutte, senza dolore. Le parole dunque che metteno inanzi agli occhi la bruttezza, possono muover a riso; le quali, essendo quasi imagini delle cose brutte, sono brutte parole. Ma le belle parole sono cagione di quel grazioso diletto ch'ai poeta eroico e al lirico oltre tutti gli altri è conveniente; e conviene ancora alla tragedia, ma non tanto. Da cagioni opposte dunque nascono il riso e '1 grazioso: cioè l'uno dalle belle, e l'altro dalle brutte [...]».
§ 22 Cfr. il § 23.
Il Gianluca overo de le maschere, in Dialoghi, II, II, pp. 677-678, §§ 22-23: «[...]
senza dubbio è reo l’imitator de' peggiori, [...] e tanto peggiore quanto sono peggiori gli imitati: perch'alcune comedie rassomigliano in modo a l'ordinaria vita de' cittadini che l'imitazione par de' simili o de gli eguali. E s'Aristotele chiamò la comedia
§21 1 di >vedcr< - l'integrazione è dovuta alla mano a 2 persone >cascare< -l’integrazione è dovuta alla mano a 3 dal sollecito solletico
§ 22 1 aluoxx* - la correzione è dovuta alla mano a
[57 r-v ] Il p ro lo g o fu a g g iu n to 2 a lla c o m e d ia la tin a p e r d a r q u a lc h e n o tiz ia d e lla fa v o la , e s s e n d o d 'a z io n e ig n o ta , e p e r q u e s to fa; m a c h i l’a n tip o n e a lle tra g e d ie , n o n 3 si p u ò s c u s a r q u e s to e rro re se n o n co n un m a g g io re , c io è c h e 4 la f a v o la d e 5 la tra g e d ia sia ig n o ta .
[57v] Il prologo toglie verisimilitudine6 all'azione.
23 [58r-v] Fra i prologhi che son parte della favola e quelli che son totalmen
te disgiunti, v'è una terza specie mista, quali sono alcuni d'Euripide che dicono alcune cose passate pertinenti alla favola.
[60r-v] La tragedia non ha riceuta la longhezza della epopeia perché ella è ristretta1 dal luogo e dal tempo, non potendo passare il giro di un sole2; ed è ristretta3 dentro tai termini per commodità de gli uditori, i quali non potriano stare più lungo spazio contenti a lo spettacolo, né si potria loro dare ad intendere che nello spacio di dieci o dodici ore fossero passati più giorni o un mese o un anno.
imitazione de' peggiori, intese de la comedia vecchia [...]. Veramente la comedia che fu detta nuova, a di fferenza di quella di Aristofane e de gli antichi, è quasi maestra de la vita civile [...]»; Discorsi del poema eroico, pp. 85 e 104: «[...] quelli che scrivono cose in tutto false, se non sono imitatori, non sono poeti, e i suoi componimenti non sono poesie, ma finzioni più tosto [...]. Fra costoro sono i comici dellanuovacomedia, nata dopo la morte d'Aristotele; perché la vecchia, la quale fiorì a' suoi tempi, introduceva nella scena le vere persone, onde erano in qualche modo imitazioni del vero. Si concedeva nondimeno alla vecchia comedia, o a quella che fu meno antica, il fingere i nomi, come dice Aristotele medesimo [...]. Ma la nuova, o perché alcuna legge il condannasse, o perché rappresenti ancora fazioni vili e popolaresche, sempre suol finger le persone e fazioni e i nomi a sua voglia [...]. [...] ma bellissimo è l'amore, [...] ma s'egli non fosse né bello né brutto, [...] non però conviene alle comedie, le quali dilettano con le cose brutte, e con quelle muovono a riso. Laonde la comedia vecchia deeesserperaventurapiùlodata, comecredeva il Maggio, perchélanovacihadepinto alcuna voltai'amore così bello che per poco non si poteva descrivere nel poema eroico con più be' colori».
Lettere, n. 61, p. 155: «[...] traleparti quantitative dela tragedia, quella che si chiama prologo (nome ch'equivocamente s'attribuisce a quella diceria eh e fuor de la tragedia o de la comedia) è la prima in ordine, ed è inanzi a l'entrata del coro: ed in questa parte, secondo l'uso de' migliori tragici, si narra tutto quello che si ha da narrare de le cose passate, la notizia de le quali è necessaria accioché s'intendano quelle c'hanno a seguir ne la favola: e chi ciò non facesse ne le prime scene, il lettore andarebbe al buio. Con questa parte de la tragedia detta prologo deve (a mio giudizio) conformarsi, se non nel nome almeno ne l’offizio c ne gli effetti, la parte de l'epopeia che prima in ordine [...].
§ 22 2 fu go aggiunta A 3 ne A 4 cioè >che< - l'integrazione è dovuta alla mano a 5 da A 6 verisimile* - la mano a corregge in verisimil(itudi)ne
§ 23 1 nxxxxxa* - la correzione è dovuta alla mano a 2 il giorno di un sole A un (il) giro del sole C - il Mazzucchelli restaura senz'altro la lezione diC (un giro del sole) 3 ristretto A
24 [60v] Plauto nell'Anfitrione1 e Terenzio ne YEautontimorumenos2 hanno errato in far l'azione più lunga di dodici ore.
[60v] L'epopeia, benché non ristretta da tempo o da luoghi, non de' esser più longa di quello che l'epopeio la possa racontare al popolo commodamente in una fiata.
[60v-61r] Omero divise egli istesso i suoi libri, i quali poi, confusi de gli scrittori, Aristarco3 riordinò.
[61r] Aristarco4 ripreso nella divisione, avendo distinta la narrazione di Ulisse ad Alcinoo, che fu fatta una sera, in quattro libri.
25 [61r] Virgilio ripreso per aver diviso la narrazione (l'Enea in due1.
[6Ir] Platone peccò nel verisimile, facendo i dialogi della república tanto lunghi che non è possibile che passassero in una sera come egli introduce.
[70v] Quello che Aristotele chiama sentenzia nella Poetica è quello che nella ritorica si dice invenzione.
[7Ir] Loda Aristotele più que'2 tragici antichi che usavano la sentenzia civilmente che i più moderni che l'usaro3 pomposamente e4 retoricamente5.
26 [71r] Quintiliano rimove Lucano da' poeti e '1 ripone fra gli oratori perché usa la sentenzia retoricamente.
§ 24 Discorsi del poema eroico, pp. 124-125: «Senza alcun dubbio maggior dee essere la favola epica della comica e della tragica, la quale aveva due termini, l'uno artificioso, l'altro privo d'arte: senza artificio era il tempo assegnatole dalla clepsidra, ma prendeva artificiosamente il suo termine dalla mutazione della fortuna felice nell'infelice, o dall'avversa alla prospera [...]. Ma non so che l'epopeia avesse alcuna misura o termine estrinseco, quantunque io abbia letto in Ateneo e ne gli altri che Y Iliade e VOdissea solcano essere recitate nella scena. Ma senza fallo dee avere il suo termine naturale e artificioso [...]».
§ 26 Cfr. il § 30.
Discorsi dell'arte poetica, p. 20: «Questa condizione dell'integrità mancherebbe parimente neW'Iliade d'Omcro, se vero fosse che la guerra troiana avesse presa per argomento del suo poema; ma questa opinione di molti antichi, refiutata e confutata da i dotti del nostro secolo, chiaramente per falsa si manifesta; e se Omero stesso è buon testimonio della propria intenzione, non la guerra di Troia, ma l'ira d'Achille si canta né\\lIliade [...]. E tutto ciò che della guerra di Troia si dice, propone di dirlo come annesso e dependente dall'ira d'Achille, e in somma come episodii che la gloria d'Achille e la grandezza della favola accrescano [...]» (e cfr. Discorsi del poema eroico, pp. 123-124); Lettere, I, n. 61, p. 156: «Voglio io conceder quel che niega il
§ 24 1 >T\clV<Amphì(liìQne) - l’integrazione è dovuta alla mano a 2 Eautenti(morumenos) A 3 Aristaxxo* - la correzione è dovuta alla mano a 4 Arista/Wo* - la correzione è dovuta alla mano oc
§ 25 1 dxt* - la correzione è dovuta alla mano a 2 più che - la correzione è dovuta alla mano a. 3 Vusano usaro 4 et et 5 ret(oricame)>nte< - la correzione è dovuta alla
mano oc
[7Ir] Il medesimo si contradice lodando Euripide, perché in questa parte è simile a gli oratori.
[72v] La sentenzia tiene il terzo luogo nella poetica, ma il primo della retorica, perché l’invenzione quivi è principale1.
[87(89)r] L'ordine poetico non dee esser differente dall'istorico2, perché la poesia è imitata dall'istoria.
[88(90)r] Il soggetto decll>'Odissea3 comincia non dalla partita di Troia ma di Calipso, e quel dcWEneida dalla tempesta.
Castelvetro, che '1 terzo libro [dellUneide], nel quale sono contenuti molti degli errori d'Enea, sia parte de la favola; ma non veggio come l'arte di Sinone descritta con tanti ornamenti, e lapresadi Troia sia parte de la favola [...]. Omero parimente nel principio del terzo libro [...] de l'Odissea introduce Nestore, che narra il ritorno ed i vari successi de' principi greci; e poi Menelao nel quarto narra i suoi medesmi errori [...].
Finalmente Omero nel fine del quinto libro comincia a parlare d'Ulisse; e subito ch'egli l’ha condotto a l'isola de' Feaci, l'introduce a raccontare i suoi errori»; ivi, n.
64, p. 163: «A quel che dicono contra fi revisori], che non pare ex arte, che si narrin prima le cose fatte prima, risponde Aristotele e l'uso di tutti i poeti: ma io non mi credea che questa opinione de i grammatici, cavata da alcune parole d'Orazio, fosse più in rerum natura, dapoi che s'è comincio a vedere Aristotele»; Discorsi del poema eroico, p. 121: «[...] l’ordine osservato da Lucano non è l'ordine proprio de' poeti, ma l'ordine dritto e naturale in cui si narran le cose prima avvenute; e questo è commune all'istorico. Ma nell'ordine artificioso, che perturbato chiama il Castelvetro, alcune delle prime deono esser dette primieramente, altre posposte, altre nel tempo presente deono esser tralasciate e riserbate a miglior occasione, come insegna Orazio. [...] Ma non voglio già ostinatamente affermare che l'ordine artificioso sia nell'uno e nell'altro poema d'Omero; ma se nell'uno è il naturale, nell’altro è l'artificioso senza fallo, perché, secondo l'ordine della natura, le cose prima succedute, o siano parte della favola o non siano, dovrebbono esser prima raccontate. Ma nell'ordine naturale ancora non dee cominciar il poeta da principio troppo remoto e, come dice Orazio, ab ovo»; Giudizio, in Prose diverse, I, pp. 455-456: «E qui si potrebbe considerare quel che dice Polibio nella sua Istoria, che non è l'istesso la causa ed il principio della guerra; e considerar similmente con quale artificio abbiamo tralasciato il principio dcH'impresa, cominciando da l'anno sesto: nondimeno abbiamo narrate le cagioni.
L'artificio è senza dubbio simile a quel di Omero, il qual volle cominciare da l'anno nono della guerra Troiana; e a quel di Virgilio, che dal settimo anno si prese a descrivere gli errori d'Enea, lasciando a dietro quel che era succeduto negli altri sei [...]. [...] Sono adunque simili il poeta e ristorico nell'addurre le cagioni divise da gli avvenimenti; diversi, nel variare l'ordine naturale de' tempi: e s'io non m'inganno, l'ordine naturale è variato dal poeta; il quale, come dice Orazio, s'affretta di giunger al fine, per fuggir il fastidio d'una lunga narrazione, e per ¡schifar molte cose basse e minute, che porta seco necessariamente la cognizione dell'istoria».
§ 26 1 è triumphale - la correzione è dovuta alla mano a, che omette però di cassare la lezione sostituita 2 historia (historio*) A - correzione del Mazzucchelli 3 Udisea A
27 [186v] Aristotele biasima in Omero che1 Pallade discenda a far che Ulisse ritenga2 i Greci che volevano ritornare3 <a casa>4, quasi soluzione per machina.
[260r] Terenzio ripreso che schivi troppo il parlar del vulgo.
[31 r] I difetti delfarte non si conoscono così nelle pitture e negli idoli piccoli come nelle grandi. Il simile nella poesia. Però5 è da esser proposto Omero a Virgilio.
[91 r] Risponde a proporzione alle figure grandi il descriver minutamente le cose, come fa Omero: perché la distinzion delle parti è simile a la distinzion6 delle membra, che si vede esattamente nelle figure grandi.
§ 27 Lettere, I, n. 43, p. 106: «Resta solo ch'io le dica, ch'io confesso di non intendere questo termine machina, o soluzion per machina; perché in tutto il mio libro non ve ne riconosco altro che una, e quella tolta di peso da Omero e Virgilio. [...] Vostra Signoria mi faccia favore d'avisarmi come gli altri intendano questo termine; che in quanto a me, non ciò ch'è maraviglioso è per machina: ma de his hactenus»; ivi, n. 44, p. 107: «Di grazia, fatevi dichiarare che significhi soluzion per machina, o machina;
perché dicendo che ve ne son molte nel mio libro, non intendono il termine: pur a questa volta non mi ci corranno; ch'io non vo' scriver la mia opinione prima ch'intenda la loro. Scrivo al Signore che mi dichiari il termine; imparatelo ancor voi»; ivi, n. 45, p. 108-110: «Ne le favole sceniche i nodi alcuna volta erano da i poeti in guisa intrigati, che a sciorli non bastava l'arte di que' tali, volendo sciorli con le medesime persone con le quali le avevano avviluppate, cioè con persone umane; di maniera che erano astretti di ricorrere a li dei. [...] Questo termine poi di soluzione per machina s'è steso anche a queste soluzioni de' poemi epici, che sono fatti da li dei, o da altre persone che operino sopraumanamente: e si dicono per machina, non perché c'intervenga machina, che non può intervenire in que' poemi che non si rappresentano a la vista, ma sono oggetto semplicemente de lo udito; ma si dicono così, perché somigliano in natura a le soluzioni de la tragedia, le quali sono fatte per machina. [...]
ora raccogliete da le cose dette, che le soluzioni fatte da persone sopravvenienti, purché le sieno persone c'oprino con arte umana, non si possono dire per machina, né strettamente né largamente. Voglio anco che consideriate, che ne le soluzioni per machina sceniche pare che vi sia per lo più poca arte; perché altre sono le persone ed i modi con che si fa il nodo, altre quelle e quelli con che si scioglie; perché gli uni sono umani, gli altri sopraumani. [...] Quando dunque il poeta epico comincia a far il nodo non per mezzo di persone ordinarie né per vie umane, ma sopraumane, se la soluzione è sopraumana, è quale deve essere e quale è necessario che sia [...]. Or questo avviluppare per via maravigliosa non si trova ne le favole sceniche, ma si trova solamente lo sciogliere. [...] Non si può dunque ne' poemi epici, ne' quali s’avviluppa maravigliosamente, chiamare il nodo in alcun modo per machina [...]»; Discorsi del
§ 27 1 le prime cinque parole risultano erroneamente cassate in A 2 ritengano A 3 la parola risulta erroneamente cassata in A 4 congettura del Mazzucchelli; la lacuna èsegnalatainA da uno spazio bianco di mm. 35 5 >p(er)ò< - l'integrazione è dovuta alla mano a 6distria A - correzione del Mazzucchelli, sulla scorta del precedente disti(nti)on
28 [96(98)v] E' vero quel che dice Socrate nel fine del Convito, che una stessa è l'arte del far le comedie e le tragedie, avendo riguardo alla constituzion della favola.
[77v-78r] Se '1 costume1 è parte accessoria2 della favola, seguita che errino quelli, fra' quali è lo Scaligero, che vogliono3 che '1 fine d'Omero o Virgilio sia il dipingere uno sdegnato in4 supremo o un magnanimo; ché se5 ciò fosse6, il fine lor principale sarebbe il costume, sendo lo sdegno e la magn<an>imità costume.
[78r] Se ciò fosse vero, simil7 materia non sarebbe poetica ma filosofica.
29 [78r] Il fine di Omero o di Vergilio fu la bella favola, e i costumi fur presi acciò riuscisse più bella.
poema eroico, p. 73: «[...] le machine rade volte si lodano nella tragedia; ma nell'epopeia spesso scendono dal cielo gli iddìi e gli angeli, e s'interpongono nell'operazioni de gli uomini dando consiglio e aiuto [...]».
Discorsi dell'arte poetica, p. 21: «[...] sì come ne' piccioli corpi può ben essere eleganza e leggiadria, ma beltà e perfezione non mai, così anco i piccioli poemi epici vaghi ed eleganti possono essere, ma non belli e perfetti, perché nella bellezza e perfezione, oltra la proporzione, vi è la grandezza necessaria»; ivi, p. 15: «Meravi
glioso fu in questa parte il giudizio d’Omero, il quale, avendo propostasi materia assai breve, quella, accresciuta d'episodii e ricca d'ogni altra maniera d'ornamento, a lodevole e conveniente grandezza ridusse. Più ampia alquanto la si propose Virgilio [...]; ma non però di tanta ampiezza la scelse che 'n alcuno di que' duo vizii sia costretto di cadere. Con tutto ciò se ne va alle volte così ristretto e così parco ne gli ornamenti che, se ben quella purità e quella brevità sua è maravigliosa e inimitabile, non ha per avventura tanto del poetico quanto ha la fiorita e faconda copia d’Omero» (e cfr.
Discorsi del poema eroico, pp. 124-125 e 114-115).
§ 28 Cfr. il § 29.
Il padre di famiglia, in Dialoghi, H, I, pp. 387-388, §§ 178-179: «[...] sì come il principe dal privato per ispezie è distinto e sì come distinti sono i modi del lor commandare, così anco distinti sono i governi delle case de'principi e de'privati [...].
Tutta volta, se vero è quel che nel Convito di Platone da Socrate ad Aristofane è provato, eh'ad un medesimo artefice appertenga il comporre la comedia e la tragedia, se ben la comedia e la tragedia sono non sol diverse di spezie ma quasi contrarie, vero dee esser in conseguenza ch'il buono economico non meno sappia governar la famiglia d'un principe che la privata [...]».
§ 29 Discorsi dell'arte poetica, p. 24: «[...] presupponendo che la favola sia il fine del poeta (come afferma Aristotele, e nissuno ha sin qui negato), s'una sarà la favola, uno sarà il fine [...]» (e cfr. Discorsi del poema eroico, p. 127); ivi, p. 37: «E' la favola (s'ad Aristotele crediamo) la serie e la composizion delle cose imitate; questa, sì come è la
§28 1 della favola. Se 'I costume I Sa '1 costume 2 assessorio A 3 vogliamo A 4im in 5 >se< 6 facesse fosse 7 simile
[79r] I costumi nella pittura sono la prima parte, secondo Leon Battista Alberti, per la difficultà.
Nota che '1 Castelvetro in più luoghi vuol che la principalità nasca della difficultà: il che è falso.
[82r] Ovidio, Lucano, Euripide ripresi nella sentenza per usarla troppo retoricamente.
[82v] Livio ripreso perché si mostra appasionato, chiamando i Romani i nostri e gli altri i barbari.
30 [86(88)v] Giaccomo1 Pelattiere2 retore vuol che Lucano non sia poeta perché non serva l'ordine prepostero.
[86(88)v] S'ingannano Orazio e Rodolfo Agricola Ch'Omero servasse l’ordine prepostero.
[153v] La persona buona affatto è soggetto di tragedia perché, ancora che fosse vero che generi sdegno, genera nondimeno compassione e spavento.
Vedi il suo discorso intorno a ciò.
[153 V -154r] Non esser vero che '1 buono patendo generi sdegno3contra Dio.
Aggiungi tu: tal almeno nella nostra religione, nella quale4si crede la felicità o la miseria esserci serbata nell'altro mondo: ma nella religione de' gentili esser ciò stato vero, nella quale diede i precetti Aristotele.
principalissima parte qualitativa del poema, così ha alcune parti che di lei sono qualitative [...]»; Sopra il parere di Francesco Patricio, in Prose diverse, I, p. 424:
«[...] perché il Patricio da l'umiltà delle persone par che argomenti che l'Odissea non sia poema eroico; rispondo che l'argomento sarebbe forse bastevole a provare, se il poema fosse imitazione degli agenti: ma egli è principalmente imitazione dell'azione;
laonde essendo eroica l’azione, il poema è necessariamente eroico»; Discorsi del poema eroico, p. 166: «In somma si dee aver gran considerazione a tutte quelle cose le quali sono considerate da Aristotele nel secondo della Retorica e da Orazio nella Poetica: perché questa parte del costume da molti è stimata poco meno dell'altra, ch'è la principale, e non si può quasi separare, avegna che l'azione sempre sia fatta da qualche agente; ma l'agente convien ch'abbia qualche qualità o buona o rea, o degna di lode o di riprensione» (e cfr. le pp. 148-149).
§ 30 Discorsi dell'arte poetica, p. 12: «Richiede la tragedia persone né buone né cattive, ma d'una condizion di mezzo: tale è Oreste, Elettra, Iocasta»; Lettere, IH, n. 904, p.
266: «In quanto a l’opposizione fatta a la tragedia dal Clarissimo, rispondo [...] che Torrismondo non è persona scelerata né malvagia, ma colpevole di qualch'enrore, per lo quale è caduto in infelicità; laonde per questa cagione è più atto a muover misericordia, che non sono i buoni in tutto, come insegna Aristotele medesimo».
266: «In quanto a l’opposizione fatta a la tragedia dal Clarissimo, rispondo [...] che Torrismondo non è persona scelerata né malvagia, ma colpevole di qualch'enrore, per lo quale è caduto in infelicità; laonde per questa cagione è più atto a muover misericordia, che non sono i buoni in tutto, come insegna Aristotele medesimo».