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La diplomazia proattiva di Abe Shinzo

Introduzione: la rielezione di Barack Obama e il cambiamento di leadership in Cina e Giappone

3.5 La diplomazia proattiva di Abe Shinzo

Come accennato in precedenza, nel suo discorso inaugurale Abe annunciò che durante il suo mandato avrebbe cercato di ripristinare una politica diplomatica dal carattere “proattivo”, attraverso cui aumentare il coinvolgimento del Giappone in ambito internazionale e migliorare la difesa degli interessi nazionali giapponesi. Tuttavia, la strategia politico-diplomatica di Abe fu caratterizzata da una costante dicotomia, dove la promozione della cosiddetta value-oriented

diplomacy93 contrastò con l’approccio muscolare e revisionista che Abe condusse

in ambito securitario e nella politica regionale. Infatti, durante la sua presidenza Abe reiterò in vari forum internazionali la volontà del suo governo di ergere il Giappone a promotore dei valori democratico-liberali, come i diritti umani, la pace e la democrazia; tuttavia, in ambito securitario l’intenzione manifesta di Abe fu quella di avviare una profonda riformulazione delle politiche difensive giapponesi per reinsediare il paese all’interno del novero delle grandi potenze, così da allontanare definitivamente il paese dal “regime post-guerra”94 e dalla

dottrina Yoshida.95

92 Emma CHANLETT-AVERY et al., “Japan-U.S. Relations: Issues for Congress”, Congressional

Research Service, RL33436, 2017, p. 28

93 Con value-oriented diplomacy si intende una politica diplomatica caratterizzata dalla promozione

dei principali valori delle liberal-democrazie, come per l’appunto democrazia, libertà, diritti umani, ruolo della legge e economia di mercato. Si veda

94 Cit. Giulio PUGLIESE & Aurelio INSISA, op. cit., p. 68

95 La dottrina Yoshida fu il nome della strategia in cui venne identificata la strategia adottata dal

Giappone a seguito della Seconda guerra mondiale, quando il primo ministro Yoshida Shigheru concentrò gli sforzi del paese nella ricostruzione e nello sviluppo economico, adottando una politica estera dal basso profilo orientata all’alleanza con gli Stati Uniti. Si veda: Hugo DOBSON, “Is Japan Really Back? The “Abe Doctrine” and Global Governance”, Journal of Contemporary

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Una delle prime azioni compiute nella riformulazione strategica nell’ambito diplomatico-securitario fu la creazione nel dicembre 2013 di un’agenzia intergovernativa controllata dal gabinetto chiamata “Consiglio sulla sicurezza nazionale”, la quale il 17 dicembre 2013 pubblicò il primo white paper sulla sicurezza strategica nazionale giapponese.96 Il documento conteneva un’ampia

disamina sul cambiamento politico-securitario in Asia orientale ed espresse la necessità per il Giappone di compiere degli sforzi proattivi in ambito internazionale e regionale attraverso una modalità “commensurabile alle sue capacità nazionali”.97 Il documento infatti incoraggiò un maggior coinvolgimento

del Giappone nelle istituzioni internazionali, tramite l’ampliamento del ruolo giapponese nelle operazioni di peacekeeping e anti-terrorismo, oltre a una crescita nell’impegno di Tokyo nei programmi di assistenza allo sviluppo; inoltre, il white paper si concentrò sull’ambito securitario, promuovendo un rafforzamento delle capacità difensive giapponesi e un aumento dell’interoperabilità militare nell’alleanza Tokyo-Washington.98

Inoltre, lo stesso 17 dicembre 2013 vennero pubblicate le linee guide della Difesa, che introdussero il nuovo concetto strategico di “Forze dinamiche congiunte”. Questa nuova strategia difensiva avrebbe previsto una maggior coordinazione delle forze di auto-difesa giapponese, attraverso esercitazioni congiunte tra le forze aree, di mare e di terra per migliorare l’efficacia delle SDF nel fungere da deterrente a possibili minacce nei confronti del territorio giapponese e nel rapportarsi alle cosiddette “zone-grigie”.99Tuttavia, queste linee guida che

96 Giulio PUGLIESE, “Japan 2014: Between a China Question and A China Obsession”, in: TORRI

Michelguglielmo & MOCCI Nicola (Eds.) Asia Maior 2014, vol. 25, Bologna, Emil di Odoya, 2015, p. 57

97 “National Security Strategy”, Cabinet Secretariat of Japan, 2013, p. 7. [PDF] Presso:

<http://www.cas.go.jp/jp/siryou/131217anzenhoshou/pamphlet_en.pdf>

98 Cristopher W. HUGHES, op. cit., p. 30

99 Le zone grigie sono situazioni in tempo di pace riguardanti sovranità e interessi territoriali che

125 esprimevano la necessità per un ruolo più attivo delle SDF nella cooperazione internazionale e nell’ambito securitario regionale cozzavano con l’interpretazione dell’articolo 9 della costituzione “pacifista” giapponese, che proibiva al Giappone di utilizzare la forza militare per risolvere i conflitti internazionali e limitava allo stesso tempo le operazioni di auto-difesa collettiva, impedendo ad esempio il sostegno militare del Giappone agli Stati Uniti qualora fossero sotto attacco.100

L’unica modalità per Abe di avviare una tangibile riformulazione della strategia diplomatico-securitaria fu attraverso lo studio di una possibile reinterpretazione della carta costituzionale. Durante il suo primo mandato, Abe nominò una commissione di esperti per analizzare le possibili basi legali di una reinterpretazione dell’articolo 9, tuttavia il gruppo d’indagine venne sciolto in seguito alle dimissioni di Abe; richiamato durante il secondo gabinetto Abe, il gruppo presentò un report definitivo nel maggio 2014, nel quale si considerò legalmente legittimo sia l’esercizio dell’autodifesa collettiva sia la partecipazione attiva a operazioni securitarie sotto l’egida delle Nazioni Unite.101 A seguito di

una lunga trattativa con gli alleati del Komeito, il 1 luglio 2014 il gabinetto Abe annunciò la nuova reinterpretazione dell’articolo 9 della costituzione, decisione che venne interpretata dai critici dell’amministrazione come un “colpo di stato costituzionale”.102 Tuttavia le trattative con il Komeito condussero il governo ad

adottare solamente in maniera parziale le disposizioni presenti nel report della commissione di esperti. Infatti, la nuova interpretazione avrebbe concesso il diritto alla difesa collettiva solamente a seguito del verificarsi di tre particolari

“Evolution of Japan’s National Security Policy Under the Abe Administration”, in: Gilbert ROZMAN (ed.), Asia’s Alliance Triangle, New York, Palgrave MacMillan US, 2015, p. 117

100 Takashi INOGUCHI, “A call for a new Japanese foreign, policy: the dilemmas of a stakeholder

state”, International Afffairs, vol. 90, no. 4, 2014, p. 955

101 Hiroshi NAKANISHI, “Reorienting Japan? Security Transformation Under the Second Abe

Cabinet”, Asian Perspective, vol. 39, no. 3., 2015, pp. 412-413

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condizioni, ovvero a) quando la minaccia al Giappone o a un paese alleato era tangibile, b) quando non vi erano altre opzioni disponibili e c) l’uso della forza era limitato allo stretto necessario.103 Tuttavia, ogni possibile dispiegamento delle

truppe di auto-difesa a supporto di un paese alleato sarebbe comunque dovuto passare attraverso il voto della Dieta.

Il nuovo approccio securitario giapponese passò anche attraverso un nuovo allentamento del bando all’export delle armi, in continuità con le disposizioni del precedente governo Noda. Il gabinetto Abe introdusse i “Tre principi concernenti la vendita di tecnologia ed equipaggiamento militare”, che vietarono la vendita di armi agli stati coinvolti in conflitti internazionali o colpiti da risoluzioni ONU, permettendo tuttavia alle aziende giapponesi di commerciare materiale bellico con i propri partner strategici e accrescere con gli stessi la ricerca congiunta in ambito militare.104

In seguito alle elezioni del dicembre 2014, Abe rafforzò il suo potere all’interno della Dieta e nel settembre 2015 riuscì a far approvare dal parlamento una legge che autorizzò le forze di auto-difesa a partecipare attivamente a missioni militari all’estero, fermando restando il divieto costituzionale dell’ingaggio diretto.105

Inoltre, nella strategia di ristrutturazione dell’assetto securitario dello stato, il parlamento approvò una legge sul segreto di stato, che impose sanzioni penali a coloro i quali avessero divulgato informazioni sensibili riguardanti la sicurezza nazionale.106

Questa nuova strategia intrapresa dal governo giapponese fu approvata dall’amministrazione Obama e a seguito del 2+2 sulla sicurezza, i due paesi

103 Yuichi HOSOYA, “Japanese Politics Concerning Collective Self-Defense”, in: Gilbert

ROZMAN (ed.), op. cit., p. 132

104 Giulio PUGLIESE & Aurelio INSISA, op. cit., p. 69

105 Emma CHANLETT-AVERY & Ian E. RINEHART, “The U.S.-Japan Alliance”, Congressional

Research Service, RL33740, 2016, pg. 5

127 avviarono le discussioni per rivedere le linee guida dell’alleanza, al fine rispondere in maniera più efficace alle possibili problematiche come la sicurezza regionale, il terrorismo e la pirateria.107 Il 27 aprile 2015, Stati Uniti e Giappone

annunciarono la completa revisione delle linee guida sulla difesa bilaterale, che posero un miglioramento nel coordinamento militare e aumentarono la cooperazione congiunta riguardo a cyber-sicurezza, sviluppo spaziale e sistemi missilistici difensivi, tematiche non presenti nelle precedenti linee guida del 1997. Inoltre, i due alleati stabilirono il “Meccanismo di coordinamento dell’alleanza”, un organo che avrebbe coordinato in maniera integrata le risposte dei due paesi rispetto alle possibili contingenze nell’area asiatico-pacifica.108

La diplomazia proattiva invocata da Abe Shinzo fu ampiamente funzionale per la strategia del rebalancing statunitense. Infatti, i rinnovati impegni in Medio oriente e la guerra nel Donbass spostarono l’attenzione di Washington dall’Asia- Pacifico e la presenza di un alleato più autonomo avrebbe assicurato una maggiore stabilità degli interessi statunitensi nella regione. Inoltre, lo stesso Giappone durante la seconda presidenza Abe aumentò i propri legami securitari con Australia, India, Filippine e Vietnam, in linea con i desideri statunitensi di una più ampia collaborazione tra i suoi diversi partner strategici nella regione.109

In definitiva, come affermato dal The Economist, la strategia economico-politica di Abe guardava allo slogan 富国強兵 (Fukoku kyōhei), “paese ricco, esercito

forte”, cercando da un lato di rivitalizzare la stantia economia giapponese e dall’altro di reinsediare il Giappone all’interno della cerchia delle grandi potenze non solamente economiche, ma anche politico-diplomatiche.110

107 “The Guidelines for Japan-U.S. Defense Cooperation”, Ministry of Foreign Affairs of Japan, 27

aprile 2015. [PDF] Presso: <http://www.mofa.go.jp/files/000078188.pdf>

108 Emma CHANLETT-AVERY et al., op. cit., p. 24 109 Giulio PUGLIESE & Aurelio INSISA, op. cit., p. 62 110 Hugo DOBSON, op. cit., p. 7

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Nonostante la nuova struttura difensiva delineata dall’asse Tokyo-Washington e il superamento delle costrizioni interpretative della costituzione giapponese, come vedremo nelle prossime pagine le controverse dichiarazioni di Abe, intrise di revisionismo storico intensificarono le già esistenti tensioni regionali e allarmarono l’alleato statunitense.111

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