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Nel 21 aprile del 2004, dal parlamento europeo e dal consiglio europeo, viene emanata la Direttiva 2004/39/CE relativa ai mercati degli strumenti finanziari, consacrata alla storia come Direttiva Mifid, la quale va a sostituire la direttiva ISD. L’attuazione della Mifid ha avuto un forte impatto sul mercato mobiliare e sulla disciplina del conflitto di interessi creando regole organizzative volte a impedire il sorgere del conflitto stesso e l’adeguamento a tali regole da parte degli intermediari è divenuto requisito essenziale per ottenere l’autorizzazione alla prestazione di servizi di investimento, tanto che il loro mancato rispetto rappresenta motivo di revoca dell’autorizzazione rilasciata. Questa impostazione comunitaria è evidentemente stata favorita dai benefici che la procedura Lamfalussy34 porta con sé in termini di massima armonizzazione della disciplina ai vari livelli e quindi riesce a imporre il rispetto diffuso delle sue prescrizioni. Ciò conduce a ritenere che, al di là di quel che la ISD e la Mifid stabiliscono in punto di presidi organizzativi, è solo quest’ultima che ha saputo far emergere tale aspetto come prevalente rispetto alla disclosure nella gestione della situazione di conflitto35. La Mifid conserva il

33 RENZO COSTI, Banca universale e conflitto di interessa, in Il conflitto di interesse

nei rapporti di gestione e rappresentanza, Giuffrè 2007

34 PROCEDURA LAMFALUSSY: procedura legislativa comunitaria articolata in quattro

livelli, introdotta nel 2001 al fine di razionalizzare la produzione normativa comunitaria in materia finanziaria.

35 FABRIZIO MAIMERI, La tutela del cliente e la disciplina del conflitto di interessi, in

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modello di banca universale e viene incrementato il catalogo dei servizi di investimento con nuove figure che potranno essere esercitate anche dalle banche che vedranno così ampliata la loro attività. Viene inoltre individuato un canale alternativo ai mercati regolamentati per la negoziazione dei titoli che causerà l’obbligo della concentrazione dei mercati regolamentati e farà sì che la negoziazione dei titoli quotati possa essere effettuata dagli stessi intermediari autorizzati in proprio seno. L’introduzione di questo canele alternativo diminuirà il peso dei mercati regolamentati e trasferirà una parte delle negoziazioni alle banche provocando un grado di trasparenza più contenuto rispetto a quello garantito dai mercati. Tutto ciò determina un fortissimo incremento del ruolo delle banche nel mercato mobiliare con il conseguente moltiplicarsi delle situazioni di conflitto di interessi36. In questa prospettiva assume una rilevanza sempre maggiore la disciplina sul conflitto di interessi che la stessa direttiva cerca di risolvere facendo perno sia su regole organizzative, sia su regole di trasparenza, ma tali interventi non sembrano particolarmente stringenti e ciò desta evidente preoccupazione soprattutto perché i singoli Stati Membri non possono adottare per i propri intermediari norme più restrittive di quelle della direttiva, pena la loro espulsione dal mercato 37. Le norme sul conflitto di interessi sono dettate all’art. 13, terzo comma e art. 18 della Direttiva. La prima norma esordisce prevedendo l’obbligo di applicare e mantenere disposizioni di carattere organizzativo e amministrativo che permettono di adottare misure ragionevoli volte ad evitare che i conflitti di

36 RENZO COSTI, Banca universale e conflitto di interesse, in Il conflitto di interessi nei

rapporti di gestione e rappresentanza, Giuffrè 2007

37 RENZO COSTI, Banca universale e conflitto di interesse, in Il conflitto di interessi nei

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interesse, definiti all’art. 18, incidano negativamente sui loro clienti. In questo articolo, il legislatore comunitario, sceglie di affiancare all’obbligo di predisporre un’organizzazione adeguata la necessità di mantenerla nel tempo ma nulla dice sulla natura, genere e contenuto di tali disposizioni, si limita ad esigerle ragionevoli e destinate ad evitare un’incidenza negativa sul cliente. Per evitare il danno ai clienti, l’art. 18, primo comma della Mifid impone che “ Gli Stati membri prescrivono che le imprese di investimento adottino ogni misura ragionevole per identificare i conflitti di interesse che potrebbero insorgere tra tali imprese, inclusi i dirigenti, i dipendenti e gli agenti collegati o le persone direttamente o indirettamente connesse e i loro clienti o tra due clienti al momento della prestazione di qualunque servizio di investimento o servizio accessorio o di una combinazione di tali servizi”. Il legislatore quindi si preoccupa affinché gli intermediari creino un sistema idoneo ad individuare le situazioni di potenziale conflitto utilizzando il criterio della ragionevolezza e usando misure che siano idonee alla loro particolare natura e alle loro peculiari caratteristiche. Sotto il profilo dei doveri di trasparenza e di gestione dei conflitti, l’art. 18, secondo comma della Direttiva stabilisce che “Quando le disposizioni organizzative o amministrative adottate dall'impresa di investimento a norma dell'art. 13, paragrafo 3 per gestire i conflitti di interesse non sono sufficienti per assicurare, con ragionevole certezza, che il rischio di nuocere agli interessi dei clienti sia evitato, l'impresa di investimento informa chiaramente i clienti, prima di agire per loro conto, della natura generale e/o delle fonti di tali conflitti di interesse”. Da questa norma sembra evidente che se le modalità organizzative previste ai sensi dell’art. 13 assicurano all’intermediario la ragionevole certezza che il rischio di nuocere

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agli interessi del cliente sia evitato, l’intermediario stesso non ha particolari doveri di informazione e trasparenza nei confronti del cliente. Questi doveri, quindi, nascono solo quando l’organizzazione non consente quella certezza. La direttiva sembra infatti pretendere solo il consenso del cliente ad effettuare l’operazione nella quale l’operatore finanziario ha un interesse concorrente o contrapposto a quello dell’investitore stesso, ma non sembra imporre all’intermediario di assicurare al cliente un equo trattamento ossia la prevalenza dell’interesse del cliente a discapito dell’interesse dell’operatore. È inoltre opportuno soffermarsi per notare come il giudizio circa la sufficienza delle misure adottate dall’impresa per gestire i conflitti sia demandato all’impresa stessa così che lo stesso intermediario abbia l’onere di auto-valutare le proprie misure organizzative adottate e solo quando il risultato della valutazione ha esito negativo deve darne comunicazione al cliente, mentre se l’intermediario giudica sufficienti le proprie misure adottate e omette, in buone fede, di comunicare al cliente la presenza di un potenziale conflitto, esso non può essere responsabile nei confronti del cliente neppure se questo ha subito un danno. A causa di questa generalità adottata dal legislatore comunitario, lo stesso art. 18 della Direttiva demanda alla Commissione di adottare una c.d. direttiva di secondo livello per definire le misure, per rilevare, prevenire e gestire i conflitti di interesse. Questa previsione è però predicata solo con riferimento alle ipotesi in cui le imprese di investimento prestino più servizi allo stesso tempo e dunque per i soli conflitti da plurifunzionalità, tralasciando tutte le altre ipotesi di conflitti e tralasciando anche la previsione di divieti o di doveri di astensione

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agli intermediari che versino in ipotesi di conflitto di interessi38. Alla luce di tutto ciò si ha l’impressione che questa disciplina sul

conflitto di interessi offra un grado di tutela dell’interesse del cliente minore di quello che viene garantito dall’ordinamento italiano attraverso il TUF.

2.8 La Direttiva MIFID di secondo livello del 10 agosto

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