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L’azione di responsabilità e l’onere della prova

Il terzo rimedio applicato a tutela del cliente, quello che più appare coerente con l’ordinamento giuridico e con la disciplina speciale, è il risarcimento dei danni subiti per responsabilità dell’intermediario eventualmente correlato alla domanda di risoluzione del contratto. Alcuni autori si sono chiesti per quale motivo questa strada non sia stata percorsa, e per molto tempo la risposta pare essere stata solo

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di natura pratica: agire attraverso la responsabilità precontrattuale, infatti, implica un risarcimento di incerta qualificazione, mentre la richiesta di nullità o di risoluzione implicano entrambe la restituzione dell’intera somma investita dal cliente99. La sanzione giuridica risarcitoria, prima delle sentenze della Cassazione del 2004 e poi del 2007, poteva affiancare sia le dichiarazioni di nullità del contratto-quadro che quelle di annullamento, mentre adesso essa viene considerata autonomamente per il fatto che le recenti modifiche dottrinali hanno smesso di considerare la nullità come una soluzione. Infatti oggi è consolidata la prassi da parte del risparmiatore danneggiato, di porre nell’atto introduttivo innanzitutto la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, per poter ottenere la restituzione di quanto investito, e poi, in via subordinata, porre la domanda di risarcimento del danno subito100. Dobbiamo adesso capire quale sia la responsabilità dell’intermediario che conduce al risarcimento del danno al cliente. Inizialmente la giurisprudenza dava rilevanza unicamente alla responsabilità dell’intermediario per i danni arrecati al cliente, ossia in altre parole al nesso causale che sorgeva fra la violazione dell’obbligo di astensione ed il pregiudizio patito dal cliente, il che consiste nella perdita totale o parziale dell’investimento. Tale teoria da qualche tempo non è più condivisa, ed anzi si ritiene oggi che l’indagine sul nesso causale sia del tutto irrilevante: infatti, l’intermediario non è più considerato responsabile per aver arrecato un danno al cliente, ma piuttosto di avere accertato erroneamente, o di aver omesso di accertare che il

99 LAURA CALVI, Il conflitto di interessi nei servizi di investimento mobiliare e la

responsabilità dell'intermediario, in Responsabilità civile e previdenza 2007

100 LAURA CALVI, Il conflitto di interessi nei servizi di investimento mobiliare e la

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conflitto di interessi non ha condizionato l’operazione, in questo modo la responsabilità in questione non assume la veste oggettiva ma piuttosto quella extracontrattuale101.

5.7.1 Segue. L’azione di responsabilità e l’onere della

prova

Un altro aspetto analizzato dalla dottrina per la corretta applicazione del rimedio della responsabilità riguarda la presenza della colpa o del dolo nelle operazioni viziate da conflitto. Sul punto, alcuni autori consideravano i doveri di comunicazione alla stregua degli obblighi precontrattuali, imponendo così all’intermediario un comportamento secondo buona fede, come previsto dall’art. 1337 c.c., ed ogni qualvolta la buona fede fosse venuta meno, tale comportamento veniva considerato sempre come doloso. Oggi, però, non è possibile sostenere la necessaria corrispondenza tra il dolo e la mancata comunicazione per configurare il conflitto di interessi. Infatti, la dottrina principale ritiene che il dolo non è un presupposto del comportamento in conflitto d’interessi né nella fattispecie disciplinata dal c.c. all’art 1394, né nella disciplina speciale in tema di prestazione di servizi e attività d’investimento, poiché non vi è ragione di credere che l’intermediario sia sempre perfettamente consapevole della situazione di conflitto ovvero della sussistenza della volontà di arrecare un danno al cliente102. Alla luce di ciò l’intermediario non può essere investito della responsabilità per comportamenti dolosi e, inoltre, per dimostrare

101 SERGIO SCOTTI CAMUZZI, La normativa sul conflitto di interessi fra intermediari e

clienti nella prestazione dei servizi di investimento, in Banca borsa e titoli di credito 2011

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la sua estraneità dalla responsabilità non può bastare l’assenza del dolo dall’operazione posta in essere, ma è necessario valutare la sua diligenza nel compimento dell’azione. Infatti l’intermediario, per non vedersi imputata la responsabilità e la conseguente richiesta di risarcimento del danno, deve dimostrare di aver agito con la specifica diligenza prevista per l’operatore professionale, così come è disposto in via speciale dall’art. 23 TUF e dai Regolamenti di attuazione103. La dimostrazione della diligenza prevista, che non si sostanzia solo nella diligenza professionale richiesta all’intermediario, ma più concretamente nell’adozione di quella ragionevole certezza che egli deve adoperare per evitare il danno al cliente, può avviarsi da strade differenti. Secondo una prima possibile interpretazione, la correttezza dell’applicazione del criterio della “ragionevole certezza” può essere dimostrata provando che l’operazione in questione non fa correre nessun rischio al cliente. Così sostenendo, la disposizione in questione sarebbe parificata a una norma di precauzione: con una ragionevole valutazione ex ante, l’intermediario ha verificato l’assenza di rischio per il cliente e il danno che si è verificato ex post è da imputarsi a cause sopraggiunte, impreviste ed imprevedibili. Tuttavia, è possibile obiettare che in pratica questa interpretazione incontra la difficoltà di poter individuare ex ante le operazioni prive di rischio e perciò tale commento diventa un’interpretazione precauzionale a tutela dell’ordine pubblico del mercato104. Un’altra linea di difesa che l’intermediario può adottare verte sulla

103 SERGIO SCOTTI CAMUZZI, La normativa sul conflitto di interessi fra intermediari e

clienti nella prestazione dei servizi di investimento, in Banca borsa e titoli di credito 2011

104 SERGIO SCOTTI CAMUZZI, La normativa sul conflitto di interessi fra intermediari e

clienti nella prestazione dei servizi di investimento, in Banca borsa e titoli di credito 2011

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considerazione che l’operazione non è influenzata in alcun modo dalla presenza di un interesse contrapposto a quello del cliente; la ragionevole certezza, in questo caso, si riassume nella ragionata convinzione da parte dell’intermediario di essere riuscito ad eliminare non tanto il rischio dell’operazione, bensì il rischio del conflitto. Infatti, ciò che l’intermediario deve addurre come prova per un comportamento diligente è il fatto che, nonostante la presenza di un interesse personale, differente o addirittura in conflitto con quello del cliente, esso sia riuscito ad operare unicamente nell’interesse del cliente. L’art. 21 del Tuf è chiaro su tale punto, difatti indica che se le politiche messe in atto dall’intermediario non hanno condotto ad una ragionevole certezza di tutela del cliente, gli intermediari devono informare chiaramente i clienti. Se l’informazione non è fornita, a prescindere dal danno che poi conseguirà o meno a questo inadempimento, l’intermediario sarà responsabile, e per tale motivo potrà solo cercare di dimostrare che sono sopraggiunte cause legittime che lo hanno portato ad essere esonerato dal suddetto obbligo. Contrariamente da quanto disposto dall’art. 2043 c.c., il legislatore, in questo caso, pone l’onere della prova carico del danneggiante ed è quindi lui stesso che deve dare la prova dell’assenza di colpa. Questa assegnazione in capo al danneggiante dell’onere della prova è stata pensata per tutelare la parte debole del rapporto contrattuale.

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