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IL CONFLITTO DI INTERESSI NELL'INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

Il conflitto di interessi nell’intermediazione

finanziaria

Il Candidato

:

Il Relatore:

Jaira Veracini Prof.ssa Ilaria Kutufà

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“I dolori, le delusioni e la malinconia

non sono fatti per renderci scontenti

e toglierci valore e dignità, ma per maturarci.”

Hermann Hesse

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INDICE

Introduzione ………. 6

Capitolo primo

Il conflitto di interessi: la nozione ………. 8

1.1 Analogie e differenze fra disciplina generale e disciplina speciale ………..…. 8

1.2 Il conflitto di interessi nella rappresentanza ……… 10

1.3 Il conflitto di interessi nel mandato ………... 13

1.4 Il conflitto di interessi nel diritto societario ………..……… 14

1.5 Il conflitto di interessi nei contratti del mercato finanziario ………. 19

Capitolo secondo

L’evoluzione della disciplina ……… 23

2.1 Premessa ………. 23

2.2 La legge bancaria del 1936 ……… 24

2.3 La legge SIM ……… 25

2.4 La direttiva 93/22/CEE (c.d Direttiva ISD) ………. 27

2.5 Il recepimento della ISD: il decreto EUROSIM e la convergenza nel TUF ……… 29

2.6 Le vicende e le riforme dei primi anni duemila in Italia ……… 32

2.7 La Direttiva MIFID ………. 33

2.8 La Direttiva MIFID di secondo livello del 10 agosto 2006 …………... 37

2.9 Il recepimento della MIFID e la regolamentazione italiana post MIFID ……….………. 39

2.10 La MIFID 2 ………. 41

2.11 I recenti sviluppi: la MAR e il regolamento Delegato UE 2016/522 ………. 42

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Capitolo terzo

Le politiche di gestione del conflitto di interessi ……… 45

3.1 Premessa ………. 45

3.2 L’identificazione delle situazioni di conflitto ……… 46

3.3 La trasparenza ………. 47

3.4 Le misure organizzative: le chinese walls ……… 50

3.4.1 Segue. Le misure organizzative: la regola della best execution ……….… 52

3.5 Gli obblighi di comunicazione: la regola della disclose or abstain ... 54

3.6 La disciplina degli inducements ………. 56

3.7 La funzione di compilance ………. 59

Capitolo quarto

L’identificazione dei conflitti di interesse nell’intermediazione finanziaria ……… 61

4.1 Premessa ………. 61

4.2 Ricezione e trasmissione di ordini ……… 62

4.3 La negoziazione per conto proprio ………. 63

4.4 Sottoscrizione e/o collocamento con o senza assunzione a fermo nei confronti dell’emittente ……… 65

4.5 La gestione dei portafogli ………. 68

4.6 La consulenza in materia di investimenti ……… 69

4.7 I servizi accessori ………. 71

4.8 I consulenti e i promotori finanziari ……… 73

Capitolo quinto

Le autorità di vigilanza ed i sistemi rimediali ……..………. 75

5.1 Premessa ………. 75

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5.3 La nullità ……… 78

5.4 L’annullamento ……… 81

5.5 Gli interventi della giurisprudenza ………….………. 83

5.6 La violazione dei doveri di informazione ………. 86

5.7 L’azione di responsabilità e l’onere della prova ………. 87

5.7.1 Segue. L’azione di responsabilità e l’onere della prova …..………. 89

5.8 Il risarcimento del danno ……….. 91

5.9 L’innovazione: la nullità di protezione ………. 94

Conclusioni ………. 97

Bibliografia ………. 99

Sitografia ……….. 104

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6

INTRODUZIONE

Il presente lavoro si sofferma a considerare le problematiche che emergono dall’interazione degli intermediari finanziari con la loro clientela, per far luce, in un panorama vasto, complesso e in constante mutamento, su quali siano le misure adottate per disciplinare i rapporti in cui confluiscono e inevitabilmente confliggono gli interessi di questi soggetti. La consapevolezza che il conflitto degli interessi non sia evitabile è ad oggi pienamente acquisita, infatti nessuno parla più di “eliminare” o “evitare”, ma di “gestire” il conflitto di interessi. Questo contributo parte dall’analisi del conflitto di interesse in generale, soffermandosi sulla sua declinazione in ambito civile, con riferimento al contratto di rappresentanza e di mandato, e in ambito societario, spiegando le ipotesi di conflitto di interessi del socio nelle società per azioni e dell’amministratore nelle società di capitali. Nel secondo capitolo si è proposta un’analisi dell’evoluzione normativa della disciplina sul conflitto di interesse, partendo dalle disposizioni presenti nella legge bancaria del 1936 per poi proseguire su tutte le novità legislative sia italiane che europee, fino a giungere alle nuove direttive europee del 2014 e al regolamento delegato del 2016. Ricostruito il contesto normativo, si è passati all’analisi della gestione del conflitto di interessi, spiegando i due canali utilizzati dagli intermediari finanziari per cercare di arginare il pericolo che il conflitto di interessi si trasformi in un evento patologico: questi due canali sono rappresentanti dalle misure organizzative che gli intermediari devono adottare e dagli obblighi di comunicazione che essi devono rispettare nei confronti della clientela. Il quarto capitolo si sofferma sull’analisi dei singoli contratti di intermediazione finanziaria per cercare di individuare e di gestire i potenziali conflitti di interesse che possono sorgere nello svolgimento di tali servizi e attività finanziarie. Infine l’ultimo capitolo,

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ha preso in esame il problema centrale relativo all’apparato rimediale a disposizione del risparmiatore, in caso di mancato perseguimento del suo interesse da parte dell’intermediario, facendo un accenno alle autorità di vigilanza che supervisionano sul conflitto di interessi nell’intermediazione finanziaria, spiegando le varie soluzioni adottate dalla giurisprudenza negli anni, proseguendo l’analisi sul rapporto tra il contratto di intermediazione finanziaria e il contratto di consumo per introdurre la nullità di protezione all’interno del rapporto finanziario e per giungere alla conclusione della necessità di rivedere le previsioni normative vigenti in modo da renderle più idonee a tutelare l’investitore nell'ottica della società attuale.

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CAPITOLO PRIMO

IL CONFLITTO DI INTERESSI: LA NOZIONE

1.1 Analogie e differenze fra disciplina generale e

disciplina speciale

Di frequente viene utilizzata la locuzione conflitto di interessi senza prima averne dato una sufficiente definizione, perciò il primo passo da fare per poter affrontare questo tema è proprio quello di definire il fenomeno partendo dalla stessa definizione che troviamo in letteratura. Il conflitto di interessi reale o attuale è la situazione in cui l’interesse secondario di una persona tende a interferire con l’interesse primario di un’altra parte, verso cui la prima ha precisi doveri e responsabilità. Questa definizione ha volutamente carattere generale in quanto si adatta alle fattispecie di conflitto che possono riguardare gli individui e le organizzazioni nei diversi ambiti, restando fermi i suoi elementi essenziali1. Ritroviamo tale locuzione anche nel codice civile in tema di rappresentanza, di mandato e in ambito societario ma in nessuno di queste ipotesi viene offerta una nozione specifica di conflitto di interessi. La disciplina generale che troviamo nel codice civile può, però, essere accostata alla disciplina speciale dei servizi di investimento e ciò è giustificato da almeno tre profili: innanzitutto anche alla base dei servizi di investimento troviamo in linea di principio il rapporto di gestione del mandato, nel senso che l’intermediario agisce nell’interesse o per conto del cliente, inoltre possiamo trovare

1 EMILIANO DI CARLO, Il conflitto di interessi nelle organizzazioni produttive, Rivista

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anche l’elemento della rappresentanza se gli intermediari agiscono in nome dei propri clienti. Il secondo motivo di accostamento tra le due discipline risiede proprio nella stessa configurazione del codice civile che non fornisce una definizione del fenomeno, lacuna che nel corso degli anni è stata colmata dalla giurisprudenza, la quale ha elaborato dei criteri per individuare i casi rilevanti di conflitto di interessi. Infine sia nella disciplina civile sia nei servizi di investimento troviamo un comune denominatore che consiste nell’autorizzazione al conflitto, per cui se essa viene rilasciata dal diretto interessato, il conflitto di interessi non è più rilevante, viene quindi neutralizzato2. Confrontando la disciplina generale con quella speciale non risultano presenti solo similitudini, invero, tra le due discipline è presente anche una notevole differenza: nell’elaborazione tradizionale del concetto di conflitto di interessi nella rappresentanza e nel mandato, il conflitto è considerato

un’anomalia nei rapporti fra rappresentante e

rappresentato/mandante e mandatario, una vera e propria deviazione nell’esercizio dei poteri del rappresentante/mandante. Nella disciplina dei servizi di investimento, invece, si parte dal presupposto che il conflitto di interessi sia un dato assolutamente normale ed infatti nella disciplina di settore si riscontrano numerose norme che fanno un riferimento continuo all’obbligo degli intermediari di prevenire ed evitare il più possibile la comparsa dei conflitti3. Il dato della normalità del conflitto di

2 GIOVANNI STELLA, Il conflitto di interessi nei rapporti di gestione e di

rappresentanza: principi generali del codice civile e disciplina dei servizi di investimento, in il conflitto di interessi nei rapporti di gestione e rappresentanza, Giuffrè 2007

3 GIOVANNI STELLA, Il conflitto di interessi nei rapporti di gestione e di

rappresentanza: principi generali del codice civile e disciplina dei servizi di investimento, in il conflitto di interessi nei rapporti di gestione e rappresentanza, Giuffrè 2007

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interessi nei mercati finanziari non è altro che la conseguenza del concetto di banca universale: “La gamma sempre più ampia di attività che molte imprese di investimento esercitano simultaneamente ha aumentato le possibilità che vi siano conflitti tra queste diverse attività e gli interessi dei clienti. È pertanto necessario prevedere regole volte a garantire che tali conflitti non si ripercuotano negativamente sugli interessi dei loro clienti”4. Il fenomeno del conflitto di interessi, per essere compreso al meglio, va anche distinto dal più semplice fenomeno della concorrenza di interessi fra le parti. Questo secondo fenomeno si concretizza ogni volta in cui il rappresentante ha un proprio interesse nella stipulazione del contratto ma tale interesse si concilia con quello del rappresentato e quindi il contratto concluso dal rappresentate realizza congiuntamente l’interesse di entrambi senza pericolo di danno per il rappresentato. Questa distinzione che avviene nella disciplina generale deve essere riportata anche nella disciplina speciale, in quanto è corretto distinguere i casi di vero e proprio conflitto di interessi dai casi di semplice concorrenza di interessi fra le parti senza pericolo di danno per il cliente5.

1.2 Il conflitto di interessi nella rappresentanza

La figura del conflitto di interessi nella rappresentanza è disciplinato all’articolo 1394 c.c., nel quale non viene definito il fenomeno ma viene previsto in modo astratto spiegando solo la sua

4 Direttiva MIFID 2004/39/CE relativa ai mercati degli strumenti finanziari, 29°

considerando

5 GIOVANNI STELLA, Il conflitto di interessi nei rapporti di gestione e di

rappresentanza: principi generali del codice civile e disciplina speciale dei servizi di investimento, in il conflitto di interessi nei rapporti di gestione e rappresentanza, Giuffrè 2007

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relativa sanzione: annullamento del contratto riconducendo così tale figura alla fenomenologia dei vizi della volontà. A causa di questo vuoto normativo la dottrina e la giurisprudenza hanno proposto tre diverse letture dell’art. 1394 c.c. sulle quali si configurano altrettanti differenti modelli di conflitto di interessi. Secondo alcuni studiosi e parte della giurisprudenza, il conflitto di interessi che rende annullabile il contratto concluso dal rappresentante, ricorre quando esso sia portatore di interessi contrastanti con quelli del rappresentato, senza che sia necessario che l’atto compiuto sia svantaggioso per il rappresentato o che lo stesso abbia subito un concreto pregiudizio (tesi c.d. del conflitto come situazione oggettiva preesistente al contratto). Secondo un’altra opinione il conflitto di interessi rileva ai fini dell’annullabilità del contratto quando il rappresentante, anziché tendere alla tutela degli interessi del rappresentato, persegua interessi suoi propri o di un terzo incompatibili con quelli del rappresentato in modo tale che ad esso possa essere provocato un danno (tesi c.d. del pericolo di danno). Per altri studiosi il contratto rappresentativo è annullabile per conflitto di interessi solo quando per tale conflitto non è possibile realizzare il migliore rendimento che il rappresentato poteva attendersi dalla conclusione del contratto (tesi c.d. del pregiudizio effettivo). Solo tramite l’ultima lettura dell’art. 1394 c.c. è possibile costruire una norma funzionale alla ratio iuris dello stesso articolo che corrisponde alla volontà di creare una protezione in presenza di una reale lesione in capo al rappresentato6. Nel contratto di rappresentanza il conflitto di interessi inficia il rapporto rappresentativo stesso in quanto il rappresentante dà vita ad un negozio pregiudizievole per il

6 ANGELO LUMINOSO, Il conflitto di interessi nel rapporto di gestione, in il conflitto di

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rappresentato, rapporto nell’ambito del quale il rappresentato può far valere nei confronti del terzo contraente la lesione subita a causa della presenza del conflitto. L’ordinamento in questo caso deve bilanciare la tutela del rappresentato con la tutela del terzo e questo bilanciamento viene operato dello stesso art.1394 c.c. che esclude l’annullabilità del contratto quando il terzo contraente ha fatto affidamento incolpevole sullo stesso, o meglio quando ha ignorato il conflitto e non è stato in grado di averne percezione con l’impiego dell’ordinaria diligenza7. Per richiedere l’annullabilità del contratto di rappresentanza viziato dal conflitto di interessi non sono necessari la colpa o il dolo nel comportamento del rappresentante, infatti l’annullamento del contratto rappresentativo non comporta un pregiudizio nei confronti del rappresentante dato che la misura caducatoria non fa ricadere sul rappresentante né gli effetti giuridici né quelli economici del contratto stesso. Proprio per questo motivo non avrebbe avuto senso, da parte del legislatore, fondare l’annullabilità del contratto sulla colpa o sul dolo del rappresentante, essendo in questo caso in gioco solamente gli interessi del rappresentato e del terzo. La colpevolezza del rappresentante è invece indispensabile affinché il rappresentato possa chiedere al rappresentante il risarcimento del danno8.

7 ANGELO LUMINOSO, Il conflitto di interessi nel rapporto di gestione, in il conflitto di

interesse nei rapporti di gestione e rappresentanza, Giuffrè 2007

8 ANGELO LUMINOSO, Il conflitto di interessi nel rapporto di gestione, in il conflitto di

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1.3 Il conflitto di interessi nel mandato

Il codice civile, nell’ambito del mandato, non contempla espressamente l’ipotesi del conflitto di interessi e solo una norma tratta della cattiva gestione del mandato: l’art. 1711 I comma c.c., che disciplina l’eccesso di mandato, ossia l’ipotesi in cui l’atto gestorio risulta non conforme all’oggetto del mandato o alle istruzioni successive. Alla luce di ciò il trattamento da riservare al conflitto di interessi corrisponde a quello applicabile alla generalità dei casi di cattiva cura dell’interesse del mandante con la relativa sanzione prevista che corrisponde all’imputabilità al mandatario stesso dell’attività ulteriore compiuta in carenza di potere oltre al risarcimento del danno in caso di contrazione di un pregiudizio economico. A differenza di quanto avviene nel rapporto di rappresentanza, in questo caso il mandatario, agendo in nome proprio, non pregiudica il rapporto che va ad instaurare con il terzo contraente, fatte salve ovviamente le ipotesi di collusione fraudolenta tra mandatario e terzo contraente, perché, avendo il mandatario agito in nome proprio, non ha creato un rapporto diretto tra mandante e terzo e perciò il mandante non è legittimato a far valere rimedi contrattuali nei confronti del terzo contraente9. L’art. 1710 c.c. pone a carico del mandatario un dovere di condotta, infatti esso deve eseguire il contratto con la diligenza del buon padre di famiglia. Da questa previsione si desume che affinché vi sia inadempimento rilevante occorre in ogni caso la colpa del mandatario. La mancanza di una simile previsione renderebbe troppo gravoso l’incarico posto in capo al mandatario poiché qualsiasi atto che non realizzi il miglior risultato per il mandante lo

9 ANGELO LUMINOSO, Il conflitto di interessi nel rapporto di gestione, in Il conflitto di

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esporrebbe alle conseguenze previste dall’articolo 1711 c.c.10. L’ordinamento crea, quindi, una graduatoria dei rimedi applicabili a fronte dell’inadempimento dell’obbligazione gestoria corrispondenti alla gravità dell’inadempimento stesso. In caso di cattiva cura degli interessi del mandante quest’ultimo può sempre richiedere il risarcimento del danno mentre solo in caso di inadempimento non di scarsa importanza piò decidere di rifiutare gli effetti pratico-sostanziali del negozio e soltanto con la configurazione del conflitto di interessi, il mandante può chiedere la risoluzione del contratto11. Nel rapporto di mandato, quindi, il conflitto di interessi tra mandante e mandatario assume rilevanza nella misura in cui viene tradotto nella cattiva cura operata al mandatario nei confronti degli interessi del mandante.

1.4 Il conflitto di interessi nel diritto societario

La fattispecie del conflitto di interessi, nel nostro ordinamento, è prevista espressamente all’art. 2373 c.c., articolo che disciplina il conflitto di interessi del socio all’interno delle società per azioni. Affinché si configuri il conflitto di interessi tra socio e società, occorre che il primo si trovi nella condizione di essere portatore di un contrapposto interesse, con riferimento ad una specifica delibera, rispetto all’interesse della società. Questa duplicità di interessi è tale per cui il socio non può realizzare il proprio interesse se non sacrificando quello della società, ma come si determina l’interesse della società? Sull’argomento sono state elaborate due

10 ANGELO LUMINOSO, Il conflitto di interessi nel rapporto di gestione, in Il conflitto

di interessi nei rapporti di gestione e rappresentanza, Giuffrè 2007

11 ANGELO LUMINOSO, Il conflitto di interessi nel rapporto di gestione, in Il conflitto

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diverse teorie per definire che cosa sia l’interesse sociale: da una parte troviamo la teoria istituzionalistica, in base alla quale l’interesse sociale è una sorta di interesse superiore della società che non corrisponde solo all’interesse comune dei soci, ma si estende a quello portato da una serie di soggetti diversi, seppure legati alla società (ad esempio l’interesse dei dipendenti, dei creditori, ecc.); dall’altra troviamo la teoria contrattualistica, secondo la quale l’interesse sociale è l’interesse comune dei soci all’esercizio di un’attività economica a scopo di lucro. In tale dibattito dottrinale ha avuto un ruolo fondamentale l’interpretazione di Pier Giusto Jaeger che con la sua monografia del 1964 ha abbandonato l’interpretazione istituzionale dell’interesse sociale ed ha fissato l’interesse della società in termini contrattualistici. L’interesse della società si risolve nell’interesse comune dei soci inteso come interesse di tutti i membri del gruppo sociale nella causa del contratto di società nel quale trova posto tanto l’interesse finale dei soci a conseguire un lucro attraverso la ripartizione degli utili, quanto l’esercizio di un’attività economica da parte della società, che è lo strumento per raggiungere questo risultato12. Tale concezione dell’interesse sociale è largamente prevalente nella nostra dottrina anche perché trova un sicuro fondamento normativo nel dettato dell’art. 2247 c.c., che fornisce la nozione di società, ed in particolare nella matrice contrattuale dell’istituto societario. Alla luce di tale interpretazione dottrinale, versa, quindi, in conflitto di interesse il socio che in una determinata delibera ha, per conto proprio o altrui, un interesse personale contrastante con l’interesse della società. In presenza di tale situazione al socio non è più fatto divieto di votare come

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prevedeva la precedente disciplina, infatti in base al testo attuale dell’art. 2373 c.c. il socio è libero di votare o di astenersi, ma se vota la delibera approvata con il suo voto determinante è impugnabile a norma dell'art. 2377 c.c. qualora possa recare danno alla società. Perciò la delibera adottata con il voto di un soggetto in conflitto di interessi non è senz’altro annullabile, affinché ciò avvenga è infatti necessario che ricorrano due ulteriori condizioni: che il voto del socio sia stato determinante e che la delibera possa danneggiare la società. In particolare, se non ricorre quest’ultima condizione la delibera resta inattaccabile anche se approvata con il voto determinante di chi versa in conflitto di interessi. In conclusione nulla impedisce al socio di perseguire con la delibera adottata anche un proprio interesse personale, purché ciò non avvenga a discapito del patrimonio sociale13. Una simile previsione la ritroviamo anche in materia di conflitto di interessi degli amministratori nelle società di capitali, regolato dal nuovo art. 2391 c.c.: disposizione fondamentale perché l’interesse sociale non sarebbe efficientemente tutelato se fosse prevista una disciplina che riguardasse solo i soci e non anche gli amministratori, posto che soprattutto questi soggetti, sfruttando il ruolo svolto all’interno della società, potrebbero far prevale un interesse personale sull’interesse sociale procurando un danno all’intera compagine sociale. Nella vigenza della vecchia disciplina, la norma dettata all’art. 2391 c.c., imponeva all’amministratore che, con riguardo ad una determinata operazione, avesse un interesse in conflitto con quello della società amministrata, di dare notizia di ciò agli altri amministratori e al collegio sindacale, nonché di astenersi dal partecipare alla deliberazione riguardante l’operazione stessa. In

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caso di inosservanza di tali prescrizioni, egli avrebbe personalmente risposto delle perdite derivate alla società dal compimento dell’operazione. Quanto alla delibera consiliare assunta con il voto determinante dell’amministratore in conflitto di interessi, nel vecchio art. 2391 c.c., si prevedeva che essa sarebbe potuta essere impugnata dagli amministratori assenti o dissenzienti entro tre mesi dalla sua data, mentre nulla si disponeva quanto agli effetti esterni dell’atto compiuto o del contratto concluso dall’amministratore munito del potere di rappresentanza, con il risultato che il regime degli stessi veniva ravvisato negli artt. 1394 e 1395 c.c., ossia nella disciplina di diritto comune del conflitto di interessi e del contratto con sé stesso concluso dal rappresentato. Con la riforma del diritto societario, attuata tramite il D.lgs. 6/2003, l’art. 2391 c.c., viene modificato profondamente. La riforma ha introdotto importanti novità, prima fra tutte la previsione di uno specifico dovere di informazione in capo all’amministratore in conflitto di interessi. Infatti se la vecchia disciplina prevedeva genericamente che l’amministratore portatore di un interesse in conflitto dovesse darne notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale, adesso la riforma prevede che l’amministratore debba precisare “la natura, i termini, l’origine e la portata” dell’interesse di cui è portatore in relazione ad una determinata operazione della società. L’amministratore risponde ovviamente della verità e completezza delle informazioni date sia sotto il profilo civilistico tramite l’azione di responsabilità verso la società disciplinata dagli articoli 2393 e 2393 bis c.c. sia, nei casi più gravi, sotto il profilo penalistico ai sensi dell’articolo 2634 c.c. disciplinante il reato di infedeltà patrimoniale. Un tale dovere informativo non è invece previsto in relazione alla fattispecie del conflitto di interessi del socio; la disciplina dell’articolo 2373 c.c. prevede, infatti, che la

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deliberazione approvata con il voto determinante del socio in conflitto, qualora possa arrecare danno alla società, sia impugnabile a norma dell’articolo 2377 c.c. Di conseguenza il dovere posto a carico dell’amministratore è un dovere informativo più stringente rispetto a quello posto in capo al socio e ciò trova giustificazione nella volontà di rendere edotto l’organo collegiale rispetto a tutti gli elementi necessari per valutare l’operazione su cui lo stesso organo dovrà esprimersi in modo tale da tutelare maggiormente la società. Il secondo comma dell’art. 2391 c.c., infatti, dispone che nei casi in cui un componente del consiglio di amministrazione abbia un interesse in una determinata operazione della società, lo stesso organo deve motivare le ragioni che giustificano la realizzazione dell’operazione nonostante il conflitto di interessi dell’amministratore. Inoltre il terzo comma dell’art. 2391 c.c., nel disciplinare la legittimazione ad impugnare le deliberazioni inficiate da conflitto di interessi, prevede che “l’impugnazione non può essere proposta da chi ha consentito con il proprio voto alla deliberazione se sono stati adempiuti gli obblighi di informazione previsti dal primo comma”. Ne discende, a contrario, che nel caso in cui non siano stati adempiuti i doveri informativi previsti dal primo comma, sono legittimati a impugnare la deliberazione anche coloro che abbiano votato in favore della deliberazione stessa. Questa è una novità introdotta dalla riforma in quanto la previgente disciplina stabiliva che legittimati ad impugnare fossero soltanto, oltre ai sindaci, gli amministratori assenti o dissenzienti. La previsione di questo stringente dovere informativo previsto in capo agli amministratori potrebbe essere analogicamente applicato anche ai soci delle società per azioni, infatti, coerentemente con la ratio della disciplina dettata all’art. 2373 c.c., tali adempimenti informativi contribuirebbero a tutelate

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con più forza la compagine sociale e nello specifico la correttezza dei rapporti endosocietari, da queste fattispecie di abusi.

1.5 Il conflitto di interessi nei contratti del mercato

finanziario

I contratti del mercato finanziario, ed in particolare i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento, fino ai primi anni ’90, quando era in vigore l’abrogata legge 2 gennaio 1991, venivano ricondotti all’area della cooperazione gestoria e per di più alcuni di essi venivano identificati tout court con il mandato. Con l’entrata in vigore del TUF il legame tra queste due tipologie di contratto si è allentato ma dottrina e giurisprudenza ritengono ancora che la categoria dei contratti del mercato finanziario mantenga un’affinità con la cooperazione gestoria14. La connessione tra queste due fattispecie contrattuali è venuta meno a causa delle notevoli differenze che riscontriamo tra le due discipline. Innanzitutto, per quanto attiene alla normativa dei contratti di investimento, il TUF regola non solo le ipotesi di infedeltà dell’intermediario ma anche quelle di negligente cura dell’interesse del cliente. Per quanto riguarda i rimedi praticabili a conflitto avvenuto, il TUF contempla espressamente soltanto quello risarcitorio che può essere richiesto solo nel caso in cui l’intermediario abbia agito in modo colposo (similitudine con il contratto di mandato)15. La normativa primaria derivante dal TUF e quella regolamentare della Consob, dettate appositamente per i contratti del mercato finanziario, offrono una

14 ANGELO LUMINOSO, Il conflitto di interessi nel rapporto di gestione, in Il conflitto

di interessi nei rapporti di gestione e rappresentanza, Giuffrè 2007

15 ANGELO LUMINOSO, Il conflitto di interessi nel rapporto di gestione, in Il conflitto

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disciplina specifica volta a regolare il conflitto di interessi tra investitore e intermediario: disciplina complessa e bifasica in quanto ha come scopo primario quello di prevenire il conflitto di interessi, considerato un fenomeno intrinseco a tali tipi di contratti, e in secondo luogo fissa i criteri e i parametri di comportamento a cui l’intermediario deve attenersi a conflitto avvenuto. Il coordinamento tra queste due sfere della disciplina del conflitto di interessi in ambito finanziario è operato tramite un coordinamento gerarchico dei parametri comportamentali previsti in capo all’intermediario e si applicano soltanto laddove le misure di prevenzione del conflitto non hanno realizzato il loro obiettivo. Le norme speciali previste in ambito finanziario in primo luogo tutelano l’interesse del pubblico mercato, piuttosto che l’interesse individuale dell’investitore, assecondando in questo modo l’esigenza di ordine pubblico e di efficienza del mercato16. Per comprendere a pieno il fumoso concetto di conflitto di interessi nell’ambito dei contratti del mercato finanziario, bisogna capire quali sono gli interessi coinvolti, ovvero quali sono gli interessi che fanno capo agli investitori e quali sono quelli riconducibili agli intermediari. L’interesse dei primi è quello di massimizzare il profitto minimizzando il rischio mentre l’interesse dei secondi è spiccatamente lucrativo17. Definiti gli interessi delle due parti coinvolte, bisogna ora comprendere qual è la condizione al verificarsi della quale si realizza il conflitto di interessi: essa coincide con l’autonomia decisionale di cui gode l’intermediario nell’amministrazione del patrimonio del suo cliente/investitore. Questa condizione denota che tra investitore e intermediario esiste

16 ANGELO LUMINOSO, Il conflitto di interessi ne rapporto di gestione, in Il conflitto di

interessi nei rapporti di gestione e rappresentanza, Giuffrè 2007

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una relazione fiduciaria che dà all’intermediario il potere di agire con discrezionalità: maggiore è la fiducia che viene data a quest’ultimo, maggiore è la discrezionalità con cui agisce e maggiore è il rischio che ponga in essere comportamenti opportunistici finalizzati all’ottenimento di un vantaggio patrimoniale diverso dal legittimo compenso per l’attività svolta18. Alla luce di ciò, l’ordinamento giuridico reagisce, quindi, alla violazione della fiducia che un soggetto debole ripone in un altro soggetto più forte, o nel caso specifico, più informato in quanto la più grande differenza che intercorre tra le parti è la quantità di informazioni possedute in merito al contratto di investimento: il cliente/investitore non possiede, infatti, le conoscenze specialistiche necessarie per il compimento delle operazioni finanziarie e per questo preferisce affidarsi al patrimonio conoscitivo specialistico posseduto dall’intermediario. Quindi per attivare la fattispecie del conflitto di interessi non sembra rilevare un uso non diligente del potere gestorio ma il suo abuso volto al conseguimento di un’utilità illegittima in capo all’intermediario19. La fiducia tra investitore e intermediario si concretizza, infatti, in un impegno che l’intermediario assume nei confronti del cliente/investitore di comportarsi in modo leale nell’esecuzione del rapporto finanziario. Infatti, a colui che assume l’incarico di gestire l’interesse altrui è richiesta una diligenza ed un’attenzione superiore a quella che avrebbe impiegato se l’interesse fosse stato il proprio, invero la diligenza che viene utilizzata come parametro per valutare il comportamento dell’intermediario non è quella del buon padre di famiglia, richiesta invece per il mandato, ma in

18 FILIPPO SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Giuffrè 2004 19 FILIPPO SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Giuffrè 2004

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questo caso viene in considerazione la diligenza professionale prevista all’art. 1176, secondo comma c.c., secondo la quale gli intermediari devono svolgere la loro attività per far raggiungere all’investitore, loro cliente, il risultato migliore. In quest’ottica non si impone all’intermediario di raggiungere l’obiettivo sperato dal risparmiatore poiché l’intermediario in nessun caso si assume il rischio del mercato, ma è obbligato a tenere il comportamento necessario affinché il suo cliente possa raggiungere il risultato sperato. Pertanto le operazioni che presuppongono l’applicazione delle regole sul conflitto di interessi prevedono che l’intermediario violi le regole di diligenza e di correttezza, intesa come obbligo propositivo di una parte di porre in essere tutte quelle attenzioni volte ad evitare il pregiudizio delle posizioni dell’altro contraente, che stanno alla base del contratto finanziario, ovvero l’operatore finanziario deve funzionalizzare la discrezionalità di cui è investito a vantaggio esclusivo del cliente. Quindi la correttezza, intesa in questo caso come buona fede oggettiva, rappresenta un criterio oggettivo e flessibile di comportamento che permea l’intera condotta dell’intermediario. Il rispetto di questo criterio da parte dell’intermediario può quindi essere valutato solo ex post, a evento accaduto, facendo un’indagine sugli interessi coinvolti e sul comportamento concretamente tenuto. La correttezza e la diligenza richiesta all’intermediario diviengono, così, uno strumento volto a calibrare gli interessi delle parti, a garantire l’effettività della tutela civilistica del risparmiatore e l’integrità del mercato20.

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CAPITOLO SECONDO

L’EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA

2.1 Premessa

La ricostruzione della disciplina di riferimento del settore finanziario, in materia di conflitto di interessi, è certamente un’operazione delicata e complessa. Per ripercorere questo percorso storico dobbiamo partire dalla legge bancaria del 1936 nella quale la disciplina del mercato finanziario coincideva con quella dell’attività bancaria, non esisteva, dunque, una disciplina specifica relativa all’attività di intermediazione finanziaria svolta al di fuori dei confini dell’attività bancaria. Questo quadro inizia a mutare a partire dagli anni 80 del secolo scorso in cui il mercato finanziario è stato oggetto di radicali e repentini mutamenti, e tale percorso di innovazione ha preso le mosse dall’istituzione della commissione nazionale per le società e la borsa, la Consob, per vedere poi un’accelerazione negli anni ‘90 dove inizia ad intervenire sulla materia anche l’Unione Europea. Un profondo riordino della disciplina dei mercati finanziari, a livello italiano, si ha nel 1998 con l’introduzione del testo unico della finanza, Tuf, il quale raccolse tutte le varie regolamentazioni sulla materia finanziaria fino ad allora in vigore. Il sistema così predisposto dal legislatore italiano non si è però rivelato particolarmente efficiente e l’emergere di un’internazionalizzazione degli scambi finanziari dei primi anni duemila ha reso necessario l’introduzione di una nuova regolamentazione unitaria che è avvenuta a livello europeo: direttiva numero 2004/39/CE, conosciuta come la direttiva Mifid, la quale ha riordinato e uniformato l’intera materia finanziaria a

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livello europeo. Adesso analizzeremo singolarmente i punti fondamentali dell’evoluzione della disciplina in riferimento al settore finanziario facendo particolare attenzione alla materia del conflitto di interessi.

2.2 La legge bancaria del 1936

I primi interventi pubblici per frenare il fenomeno del conflitto di interessi in Italia, si ebbero a partire dagli anni ’30 con la prima legge bancaria del 1936, legge redatta con l’intento di porre rimedio ai danni provocati all’economia italiana dalla struttura della banca mista, per evitare che le crisi d’impresa coinvolgessero anche il risparmio italiano. I vari fallimenti bancari nel corso di questi anni e i conseguenti interventi di salvataggio da parte dello Stato, evidenziarono l’erronea gestione da parte delle banche dei crediti mobiliari, industriali e a breve scadenza, causati dalla presenza del conflitto di interessi21. Tale conflitto si configurava poiché, da un lato le banche erano tenute a difendere la loro liquidità e quindi i diritti dei depositanti, ma dall’altro, erano spinte a sostenere il settore industriale di cui erano partecipanti. Alla luce di ciò si cercò di superare questo ostacolo attuando due strategie: Il modello della banca pura e la separazione del settore bancario da quello industriale. Con il modello di banca pura l’attività bancaria fu divisa tra aziende di credito, le quali raccoglievano risparmi ed erogavano credito a breve termine, e istituti di credito speciale che potevano raccogliere risparmi solo a medio-lungo termine e potevano effettuare prestiti a medio e a lungo termine. Per quanto riguarda l’obbligo di separatezza, si posero limitazioni alle partecipazioni

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azionarie delle banche nelle imprese al fine di limitare la sottomissione di un settore all’altro e di evitare che la crisi di uno di essi risultasse la conseguenza della crisi anche dell’altro settore22. Questo sistema, delineato dalla legge del 1936, rimase immutato fino agli inizi degli anni ’80 quando divenne impossibile far perdurare la separazione tra le due attività di raccolta del risparmio ed erogazione del credito a causa dell’emersione degli intermediari finanziari europei in cui non era presente tale differenza, ma solo negli anni ’90 venne introdotta in Italia la figura delle società di intermediazione mobiliare. Fino ad allora, infatti, non era stata predisposta una disciplina generale in materia, ma esistevano solo norme riferite agli agenti di cambio e alla borsa.

2.3 La legge SIM

Il quadro italiano muta radicalmente con la legge 2 gennaio 1991 n.1 “Disciplina dell’attività di intermediazione mobiliare e diposizioni sull’organizzazione dei mercati mobiliari” (c.d. legge Sim). Questa legge rappresenta il primo testo organico sulla materia al cui interno si erano regolamentati anche i conflitti di interesse tra intermediario e cliente. Infatti, all’articolo 6, primo comma lettera g), stabiliva che gli intermediari, comprese le banche, “non possono effettuare operazioni con o per conto della propria clientela se hanno direttamente o indirettamente un interesse conflittuale nell’operazione, a meno che non abbiano comunicato per iscritto al cliente la natura e l’estensione del loro interesse nell’operazione, e il cliente non abbia preventivamente ed espressamente acconsentito per iscritto alla effettuazione

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dell’operazione” e imponeva precisi obblighi informativi23. All’articolo 9, secondo comma lettera b, prevedeva che la Consob, d’intesa con la Banca d’Italia, avrebbe dovuto dettare norme atte a garantire “che nello svolgimento delle attività (d’intermediazione) non si abbia scambio di informazioni e di responsabilità di gestione tra chi opera nelle diverse attività”, mentre, all’articolo 9, quinto comma lettera c, la Banca d’Italia, d’intesa con la Consob, avrebbe dovuto determinare i criteri contabili e organizzativi necessari per assicurare “la separazione delle varie attività esercitate e delle connesse responsabilità di gestione”. Con specifico riferimento alle banche, l’articolo 16, secondo comma, prevedeva che le stesse dovessero “tenere distinte le attività (d’intermediazione) tra loro rispetto alle altre attività esercitate, sia per gli aspetti contabili che per l’organizzazione interna”24. Il sistema adottato dalla legge 1/1991 faceva quindi perno su due pilastri: da un lato precludeva la stipulazione di un contratto di investimento alla banca che si fosse trovata in una situazione di conflitto o di concorrenza di interessi in assenza di un consenso scritto da parte dell’investitore senza però imporre particolari doveri alla banca nella gestione del conflitto. Dall’altro disponeva una rigida applicazione di un sistema organizzativo all’interno degli intermediari volto a segmentare il flusso di sensitive information fra le diverse attività esercitate, al fine di evitarne l’uso non appropriato e di salvaguardare l’efficienza del mercato. Il loro rispetto sembrava sufficiente per considerare diligente il comportamento della banca che avesse concluso un contratto in conflitto di interessi senza il rispetto degli obblighi di

23 RENZO COSTI, Banca universale e conflitti di interesse, in Il conflitto di interessi nei

rapporti di gestione e rappresentanza, Giuffrè 2007

24 RENZO COSTI, Banca universale e conflitto di interesse, in Il conflitto di interessi nei

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disclosure, ignorando il conflitto stesso per effetto della separazione organizzativa, così come non poteva essere considerato negligente il comportamento della banca che, pur non avendo realizzato un’adeguata separazione organizzativa, avesse rispettato l’obbligo di disclosure25.

2.4 La Direttiva 93/22/CEE (c.d. Direttiva ISD)

Alcuni anni dopo l’emanazione della legge Sim, anche la comunità europea è entrata nel merito della questione emanando la Direttiva 1993/22 del Consiglio relativa ai servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari, conosciuta come direttiva ISD. In essa erano prevalentemente affermati principi generali che lasciavano ai singoli Stati Membri ampia autonomia in materia, ma imponeva che le imprese di investimento di ogni Stato fossero strutturate ed organizzate in modo da ridurre al minimo il rischio di conflitto di interessi tra clienti e intermediari. La prima norma europea in materia di conflitto di interessi non menziona quindi l’obbligo di astensione da parte dell’intermediario nell’operazione in caso di conflitto, come invece prevedeva la legge Sim, ma pone la sua attenzione sulle misure organizzative che le varie aziende devono assumere per arginare il rischio di conflitto di interessi. L’art. 11 della direttiva si soffermava, infatti, sulle norme di comportamento che gli Stati dovevano elaborare per le imprese nell’esercizio della loro attività; tale norme imponeva dei criteri minimi a cui tutti gli Stati dovevano attenersi e precisava che tali criteri dovevano essere applicati in modo da tenere conto della natura professionale della

25 RENZO COSTI, Banca universale e conflitto di interessi, in Il conflitto di interessi nei

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persona a cui era fornito il servizio. L’impresa era perciò obbligata ad agire, nell’esercizio delle sue attività, in modo leale ed equo, nell’interesse dei sui clienti e dell’integrità del mercato26. Per conseguire questo obiettivo, il prestatore di servizi e attività finanziarie era obbligato a conoscere il cliente, ossia ad interrogarlo circa la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi e le sue competenze in materia di investimenti. Esso inoltre era tenuto ad agire con la competenza, l’impegno e la diligenza necessari nell’interesse dei suoi clienti e dell’integrità del mercato, a sforzarsi ad evitare i conflitti di interesse e, qualora ciò non fosse stato possibile, provvedere a che i suoi clienti fossero trattati in modo equo e infine gli era richiesto di conformarsi a tutte le normative applicabili nell’esercizio delle sue attività in modo da promuovere, per quanto possibile, gli interessi dei suoi clienti e l’integrità del mercato27. Il primo parametro per verificare la legittimità dell’operato dell’intermediario era diventato il fair treatment dei clienti, proporzionale alle loro peculiarità e non più alle questioni formali legate all’autorizzazione preventiva28. A dimostrazione dell’interesse verso il comportamento del cliente da parte del legislatore, l’esordio dell’art. 11 della direttiva precisava che le norme di comportamento dovevano tener conto della diversa natura professionale della clientela e dunque del fatto che alcune categorie di clienti hanno meno bisogno di tutela regolamentare in quanto dispongono di per sé di particolari capacità e risorse professionali29. L’applicazione di questa direttiva è però stata un

26 DIRETTIVA 1993/22 art.11 paragrafo 1 27 DIRETTIVA 1993/22 art.11 paragrafo 1

28 FILIPPO SARTORI, Il conflitto di interessi tra intermediari e investitori: prime

riflessioni, in rivista di diritto bancario 2002

29 Comunicazione della commissione – Applicazione delle norme di comportamento

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parziale insuccesso in quanto il suo recepimento nei singoli stati membri è avvenuto in modo estremamente difforme a causa proprio della generalità dei principi sanciti e dall’ampia autonomia lasciata agli Stati.

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Il recepimento della ISD: il decreto EUROSIM e la

convergenza nel TUF

Le disposizioni contenute nella direttiva 93/22/CEE vennero recepite nel nostro Paese tramite il d.lgs. n. 415/96 noto anche come Decreto Eurosim che abrogò il regime previgente dettato dalla legge Sim. Questa norma abbandonava il criterio dell’autorizzazione-informata e obbligava l’intermediario ad organizzarsi per ridurre al minimo l’insorgere dei conflitti di interesse, permettendo all’intermediario di operare nei casi di conflitto ma al tempo stesso obbligandolo ad assicurare ai clienti trasparenza ed equo trattamento. Il Decreto Eurosim ha però avuto vita breve perché è stato sostituito dal decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 58 conosciuto come TUF, Testo Unico della Finanza, che ha mutato l’intero quadro normativo precedente abrogandolo. Con l’introduzione del TUF è stata riconfermata l’esigenza di imporre un’adeguata struttura organizzativa all’interno delle banche ma è invece cambiata la prospettiva nella quale si colloca l’obbligo di disclosure. Infatti per poter porre in essere un’operazione nella quale la banca ha un interesse concorrente, non basta più l’informazione scritta al cliente e il suo consenso scritto, come avveniva in precedenza, ma, anche in presenza di tali formalità, l’intermediario deve agire in modo da assicurare al cliente un equo trattamento, ossia deve in ogni caso far prevalere l’interesse del cliente sacrificando il proprio nella

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misura in cui il suo interesse sia in conflitto con quello del cliente30. Quindi la nuova normativa abbandona nuovamente il criterio dell’autorizzazione-informata e impone all’articolo 21, primo comma lettera c) del TUF, che: “Nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitto di interessi e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento”. Pertanto il legislatore delegato, da una parte impone alle imprese di investimento di strutturarsi in modo tale da evitare, per quanto possibile, una mera concorrenza di interessi con gli investitori, dall’altra, preso atto dell’ineluttabile compresenza di situazioni conflittuali, impone alle stesse di informare i clienti della situazione e di agire nell’esclusivo interesse dell’investitore. L’elemento organizzativo, imposto da tale normativa, è intimamente connesso al profilo della polifunzionalità degli intermediari, in quanto uno stesso intermediario può svolgere più servizi di investimento potenzialmente configgenti l’uno con l’altro. Per evitare, quindi, tale distorsione il legislatore ha delegato la Consob ad emanare disposizioni finalizzate ad evitare lo scambio di informazioni e la Commissione della Consob ha risposto con il regolamento n.11522/98 che ha imposto, all’art. 56, di innalzare barriere interaziendali per separare l’attività dei diversi dipartimenti all’interno di uno stesso intermediario. Si tratta delle c.d. “muraglie cinesi” finalizzate ad evitare lo scambio di informazioni tra diversi comparti di una stessa azienda31. L’art. 57 del regolamento n.

30 RENZO COSTI, Banca universale e conflitto di interesse, in Il conflitto di interessi nei

rapporti di gestione e rappresentanza, Giuffrè 2007

31 FILIPPO SARTORI, Il conflitto di interessi tra intermediari e investitori: prime

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11522 imponeva, poi, la costituzione di un organo di controllo interno che fosse totalmente indipendente da tutte le aree sottostanti e che potesse monitorare le attività a rischio, prevenire le operazioni conflittuali e offrire suggerimenti sui comportamenti da tenere. Tale regolamento ha inoltre posto l’accento anche sul comportamento che gli intermediari non devono tenere per evitare la comparsa di conflitti di interesse: si prevedeva un sistema di obblighi conformandosi ai quali poteva diminuire di molto il rischio che gli investitori diventassero soggetti passivi di condotte di gestioni infedeli32. Il regolamento ha, poi, preso atto della possibilità che nella prassi si verificassero operazioni in cui il conflitto di interesse non è eliminabile e per arginare questo fenomeno, l’art. 27 faceva ricorso alla regola del disclose or abstain: l’intermediario era tenuto ad informare per iscritto il cliente non solo dell’esistenza del conflitto ma anche della natura e dell’estensione del medesimo, affinché il cliente potesse dare il suo consenso informato. In caso di mancata comunicazione, nei confronti dell’intermediario poteva essere esercitata l’azione di responsabilità ovvero dichiarata invalida l’operazione, mentre in caso di mancato assenso l’intermediario doveva astenersi dal procedere. Alla fine degli anni ’90 questo sistema delineato dal Tuf e dal suo regolamento attuativo sembrava capace di assicurare efficienza agli intermediari e tutela agli investitori.

32 GIANLUCA SCARCHILLO, La gestione infedele di portafogli, in I contratti del mercato

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2.6 Le vicende e le riforme dei primi anni duemila in Italia

Il sistema predisposto dal legislatore nazionale in recepimento della direttiva ISD non si è, alla prova dei fatti, dimostrato efficiente sul piano della prevenzione delle ipotesi patologiche di conflitto di interessi, e ciò è stato reso evidente dagli scandali finanziari dei primi anni Duemila, che hanno dimostrato carenze negli assetti organizzativi di alcuni intermediari. È doveroso ricordare, infatti, che i fallimenti del mercato non possono essere risolti esclusivamente nell’ambito del conflitto di interessi e che era l’intera struttura del rapporto banca-investitore ad essere messa in crisi a causa della sua configurazione nel testo unico. La risposta più immediata alla condivisa necessità improrogabile di cambiare le regole è stata data attraverso l’emanazione della cosiddetta legge sulla tutela del risparmio, legge 28 dicembre 2005 n. 262, il cui intervento si è basato direttamente sulla modifica dell’articolo 6 del TUF, aggiungendo il comma 2 bis che impone alla “Banca d’Italia, d’intesa con la Consob, di disciplinare i casi in cui, al fine di prevenire conflitti di interesse nella prestazione dei servizi di investimento, anche rispetto alle altre attività svolte dal soggetto abilitato, determinate attività debbano essere prestate da strutture distinte a autonome”. Questa disposizione non ha però saputo risolvere in modo netto e deciso le problematiche organizzative che hanno reso necessario la riforma, intatti tale previsione risulta da un lato un po’ anacronistica, in quanto riporta la questione ai tempi della legge 1/1991, che imponeva la separazione delle varie attività esercitate nell’ambito della struttura dei singoli intermediari, e dall’altro avrebbe consentito alla Banca d’Italia di imporre che determinate attività di intermediazione mobiliare venissero svolte da soggetti distinti dalle banche, soluzione che però risulterà in

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conflitto con la Direttiva Mifid che non impone la separatezza soggettiva. Proprio per questi motivi le previsioni della legge 262 del 2005 non hanno avuto seguito33.

2.7 La Direttiva MIFID

Nel 21 aprile del 2004, dal parlamento europeo e dal consiglio europeo, viene emanata la Direttiva 2004/39/CE relativa ai mercati degli strumenti finanziari, consacrata alla storia come Direttiva Mifid, la quale va a sostituire la direttiva ISD. L’attuazione della Mifid ha avuto un forte impatto sul mercato mobiliare e sulla disciplina del conflitto di interessi creando regole organizzative volte a impedire il sorgere del conflitto stesso e l’adeguamento a tali regole da parte degli intermediari è divenuto requisito essenziale per ottenere l’autorizzazione alla prestazione di servizi di investimento, tanto che il loro mancato rispetto rappresenta motivo di revoca dell’autorizzazione rilasciata. Questa impostazione comunitaria è evidentemente stata favorita dai benefici che la procedura Lamfalussy34 porta con sé in termini di massima armonizzazione della disciplina ai vari livelli e quindi riesce a imporre il rispetto diffuso delle sue prescrizioni. Ciò conduce a ritenere che, al di là di quel che la ISD e la Mifid stabiliscono in punto di presidi organizzativi, è solo quest’ultima che ha saputo far emergere tale aspetto come prevalente rispetto alla disclosure nella gestione della situazione di conflitto35. La Mifid conserva il

33 RENZO COSTI, Banca universale e conflitto di interessa, in Il conflitto di interesse

nei rapporti di gestione e rappresentanza, Giuffrè 2007

34 PROCEDURA LAMFALUSSY: procedura legislativa comunitaria articolata in quattro

livelli, introdotta nel 2001 al fine di razionalizzare la produzione normativa comunitaria in materia finanziaria.

35 FABRIZIO MAIMERI, La tutela del cliente e la disciplina del conflitto di interessi, in

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modello di banca universale e viene incrementato il catalogo dei servizi di investimento con nuove figure che potranno essere esercitate anche dalle banche che vedranno così ampliata la loro attività. Viene inoltre individuato un canale alternativo ai mercati regolamentati per la negoziazione dei titoli che causerà l’obbligo della concentrazione dei mercati regolamentati e farà sì che la negoziazione dei titoli quotati possa essere effettuata dagli stessi intermediari autorizzati in proprio seno. L’introduzione di questo canele alternativo diminuirà il peso dei mercati regolamentati e trasferirà una parte delle negoziazioni alle banche provocando un grado di trasparenza più contenuto rispetto a quello garantito dai mercati. Tutto ciò determina un fortissimo incremento del ruolo delle banche nel mercato mobiliare con il conseguente moltiplicarsi delle situazioni di conflitto di interessi36. In questa prospettiva assume una rilevanza sempre maggiore la disciplina sul conflitto di interessi che la stessa direttiva cerca di risolvere facendo perno sia su regole organizzative, sia su regole di trasparenza, ma tali interventi non sembrano particolarmente stringenti e ciò desta evidente preoccupazione soprattutto perché i singoli Stati Membri non possono adottare per i propri intermediari norme più restrittive di quelle della direttiva, pena la loro espulsione dal mercato 37. Le norme sul conflitto di interessi sono dettate all’art. 13, terzo comma e art. 18 della Direttiva. La prima norma esordisce prevedendo l’obbligo di applicare e mantenere disposizioni di carattere organizzativo e amministrativo che permettono di adottare misure ragionevoli volte ad evitare che i conflitti di

36 RENZO COSTI, Banca universale e conflitto di interesse, in Il conflitto di interessi nei

rapporti di gestione e rappresentanza, Giuffrè 2007

37 RENZO COSTI, Banca universale e conflitto di interesse, in Il conflitto di interessi nei

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interesse, definiti all’art. 18, incidano negativamente sui loro clienti. In questo articolo, il legislatore comunitario, sceglie di affiancare all’obbligo di predisporre un’organizzazione adeguata la necessità di mantenerla nel tempo ma nulla dice sulla natura, genere e contenuto di tali disposizioni, si limita ad esigerle ragionevoli e destinate ad evitare un’incidenza negativa sul cliente. Per evitare il danno ai clienti, l’art. 18, primo comma della Mifid impone che “ Gli Stati membri prescrivono che le imprese di investimento adottino ogni misura ragionevole per identificare i conflitti di interesse che potrebbero insorgere tra tali imprese, inclusi i dirigenti, i dipendenti e gli agenti collegati o le persone direttamente o indirettamente connesse e i loro clienti o tra due clienti al momento della prestazione di qualunque servizio di investimento o servizio accessorio o di una combinazione di tali servizi”. Il legislatore quindi si preoccupa affinché gli intermediari creino un sistema idoneo ad individuare le situazioni di potenziale conflitto utilizzando il criterio della ragionevolezza e usando misure che siano idonee alla loro particolare natura e alle loro peculiari caratteristiche. Sotto il profilo dei doveri di trasparenza e di gestione dei conflitti, l’art. 18, secondo comma della Direttiva stabilisce che “Quando le disposizioni organizzative o amministrative adottate dall'impresa di investimento a norma dell'art. 13, paragrafo 3 per gestire i conflitti di interesse non sono sufficienti per assicurare, con ragionevole certezza, che il rischio di nuocere agli interessi dei clienti sia evitato, l'impresa di investimento informa chiaramente i clienti, prima di agire per loro conto, della natura generale e/o delle fonti di tali conflitti di interesse”. Da questa norma sembra evidente che se le modalità organizzative previste ai sensi dell’art. 13 assicurano all’intermediario la ragionevole certezza che il rischio di nuocere

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agli interessi del cliente sia evitato, l’intermediario stesso non ha particolari doveri di informazione e trasparenza nei confronti del cliente. Questi doveri, quindi, nascono solo quando l’organizzazione non consente quella certezza. La direttiva sembra infatti pretendere solo il consenso del cliente ad effettuare l’operazione nella quale l’operatore finanziario ha un interesse concorrente o contrapposto a quello dell’investitore stesso, ma non sembra imporre all’intermediario di assicurare al cliente un equo trattamento ossia la prevalenza dell’interesse del cliente a discapito dell’interesse dell’operatore. È inoltre opportuno soffermarsi per notare come il giudizio circa la sufficienza delle misure adottate dall’impresa per gestire i conflitti sia demandato all’impresa stessa così che lo stesso intermediario abbia l’onere di auto-valutare le proprie misure organizzative adottate e solo quando il risultato della valutazione ha esito negativo deve darne comunicazione al cliente, mentre se l’intermediario giudica sufficienti le proprie misure adottate e omette, in buone fede, di comunicare al cliente la presenza di un potenziale conflitto, esso non può essere responsabile nei confronti del cliente neppure se questo ha subito un danno. A causa di questa generalità adottata dal legislatore comunitario, lo stesso art. 18 della Direttiva demanda alla Commissione di adottare una c.d. direttiva di secondo livello per definire le misure, per rilevare, prevenire e gestire i conflitti di interesse. Questa previsione è però predicata solo con riferimento alle ipotesi in cui le imprese di investimento prestino più servizi allo stesso tempo e dunque per i soli conflitti da plurifunzionalità, tralasciando tutte le altre ipotesi di conflitti e tralasciando anche la previsione di divieti o di doveri di astensione

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agli intermediari che versino in ipotesi di conflitto di interessi38. Alla luce di tutto ciò si ha l’impressione che questa disciplina sul

conflitto di interessi offra un grado di tutela dell’interesse del cliente minore di quello che viene garantito dall’ordinamento italiano attraverso il TUF.

2.8 La Direttiva MIFID di secondo livello del 10 agosto

2006

Con la direttiva 2006/73/CE, recante modalità di esecuzione della direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda i requisiti di organizzazione e le condizioni di esercizio dell’attività delle imprese di investimento, il legislatore comunitario ha introdotto una politica di gestione dei conflitti e non una serie di divieti o di obblighi di astensione neppure nelle ipotesi in cui lo stesso intermediario renda la dichiarazione di possibile insufficienza delle misure organizzative adottate al fine di eliminare il rischio di nuocere agli interessi dei clienti39. L’art. 22 della Direttiva 2006/73/CE, rubricato “politica di gestione dei conflitti di interesse”, elenca come deve essere siffatta politica di gestione imponendo: la sua forma per iscritto, la sua adeguatezza alle dimensioni, all’organizzazione dell’impresa, alla natura e alla complessità dell’attività svolta. Questa disciplina di dettaglio, alla luce di tale previsione, è al quanto deludente dato che contiene esclusivamente proposizioni di carattere generale non

38 RAFFAELE LENER, Il conflitto di interessi nelle gestioni di patrimoni, individuali e

collettive, in Il conflitto di interessi nei rapporti di gestione e rappresentanza, Giuffrè 2007

39 RAFFAELE LENER, Il conflitto di interessi nelle gestioni di patrimoni, individuali e

collettive, in Il conflitto di interessi nei rapporti di gestione e rappresentanza, Giuffrè 2007

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particolarmente innovative40. Le uniche misure meritevoli di essere evidenziate nella disciplina comunitaria di secondo livello sono quelle dedicate alle singole persone fisiche che all’interno dell’impresa di investimento occupano posizioni di direzione e controllo o comunque esercitano compiti delicati in ruoli potenzialmente conflittuali. Bisogna, infatti, garantire che tali soggetti abbiano un grado di indipendenza adeguato, che fra di essi non vi sia scambio di informazioni rischiose, che siano sottoposti a vigilanza separata e che nessuno di essi eserciti una influenza indebita. In quest’area il legislatore impone dei divieti, infatti all’art. 22, terzo comma lettera c), si impone “l’eliminazione di ogni legame diretto tra la retribuzione dei soggetti rilevanti che esercitano prevalentemente un’attività e la retribuzione di altri soggetti rilevanti che esercitano prevalentemente un’altra attività, nel caso in cui possa sorgere un conflitto di interesse in relazione a dette attività”. Altro potenziale divieto è posto sempre all’art. 22, terzo comma lettera e), in cui si sollecita il legislatore nazionale ad adottare “misure miranti a impedire o a controllare la partecipazione simultanea o consecutiva di un soggetto rilevante a servizi di investimento o accessori o attività di investimento distinti, quando tale partecipazione possa nuocere alla gestione corretta dei conflitti di interesse”. Da ciò si rileva la volontà del legislatore comunitario di optare per forme organizzative di gestione del conflitto che vincolano in modo minimo il comportamento dell’intermediario facendo affidamento su un controllo ex post demandato all’autorità di vigilanza e all’autorità giudiziaria in sede di verifica di onestà e correttezza dell’azione dello stesso

40 RAFFAELE LENER, Il conflitto di interessi nelle gestioni di patrimoni, individuali e

collettive, in Il conflitto di interessi nei rapporti di gestione e rappresentanza, Giuffrè 2007

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intermediario. Viene inoltre lasciata autonomia ai legislatori dei singoli stati nell’adottare misure più stringenti, imponendo veri e propri obblighi di comportamento o doveri di astensione a carico degli intermediari con riguardo alle ipotesi in cui un conflitto non può essere gestito41.

2.9 Il recepimento della MIFID e la regolamentazione

italiana post MIFID

La Direttiva Mifid viene recepita in Italia con il decreto attuativo n. 164 del 17 settembre 2007 che apporta significative modifiche all’articolo 21 del TUF. Questo decreto, innanzi tutto, rivede le disposizioni in tema di vigilanza regolamentare presenti nell’art 6 del Tuf richiedendo, al comma 2-bis, che entrambi gli organi di vigilanza regolino congiuntamente la gestione dei conflitti di interesse potenzialmente pregiudizievoli per i clienti nella prestazione di servizi di investimento e nella gestione collettiva del risparmio. Significative modifiche sono state apportate anche all’art. 21 del Tuf con l’introduzione del comma 1-bis il quale recita: “nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e dei servizi accessori, le Sim, le imprese di investimento extracomunitarie, le Sgr, le società di gestione armonizzate, gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco previsto dall'articolo 107 del testo unico bancario, le banche italiane e quelle

extracomunitarie: a) adottano ogni misura ragionevole per identificare i conflitti di

41 RAFFAELE LENER, Il conflitto di interessi nelle gestioni di patrimoni, individuali e

collettive, in Il conflitto di interessi nei rapporti di gestione e rappresentanza, Giuffrè 2007

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interesse che potrebbero insorgere con il cliente o fra clienti, e li gestiscono, anche adottando idonee misure organizzative, in modo da evitare che incidano negativamente sugli interessi dei clienti; b) informano chiaramente i clienti, prima di agire per loro conto, della natura generale e/o delle fonti dei conflitti di interesse quando le misure adottate ai sensi della lettera a) non sono sufficienti per assicurare, con ragionevole certezza, che il rischio di

nuocere agli interessi dei clienti sia evitato; c) svolgono una gestione indipendente, sana e prudente e adottano

misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati.” Si sottolinea come la lettera a) dell’articolo, in linea con i principi comunitari, non fa più riferimento né al tentativo di ridurre al minimo il rischio di conflitto di interessi né alla volontà di eliminarlo, ma pone l’accento sulla gestione delle situazioni potenzialmente sfavorevoli ai clienti. Per dare più completezza alla materia e per rispettare gli obblighi di vigilanza imposti dal nuovo comma 2-bis dell’art. 6 del Tuf, Consob e Banca d’Italia predispongono il Regolamento congiunto adottato con delibera n. 16190 del 29 ottobre 2007. L’articolo 23 del Regolamento sintetizza i concetti espressi dagli articoli 13 e 18 della Direttiva Mifid di primo livello indicando i momenti i cui la disciplina sul conflitto di interessi si snoda: identificazione, politica di gestione e obbligo di disclosure. Con riferimento all’identificazione dei conflitti di interessi, l’art. 24 non fa riferimento alla generalità degli stessi, ma prende in esame solo i conflitti che recano un danno al cliente, elencando categorie di collisioni che hanno lo scopo di fungere da linee guida nell’individuazione delle tipologie dei conflitti di interessi, elenco con funzione non tassativa ma esemplificativa. L’art. 25 del Regolamento congiunto, intitolato “politica di gestione dei conflitti di interesse”, recepisce in toto l’art. 22 della Direttiva Mifid di

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