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› La nobildonna entra e la principessa si mostra gelosia.

III.2 La direzionalità comunicativa

Nelle arie di Don Girone, oltre la patina di comicità, si trovano sintetizzate strutture comunicative, tematiche e caratteristiche formali riconoscibili anche su un piano più gene- rale: per questo motivo lo utilizzerò come esempio per l’analisi di alcuni caratteri validi per tutti i pezzi chiusi del Carceriere.

Prima fra tutte mi interessa sottolineare la “direzionalità” delle arie e la capacità di un certo dinamismo drammatico che essa genera. Quest’ultimo, inteso come capacità del pez- zo chiuso di mutare lo stato delle cose, o perlomeno generare una reazione di qualsiasi na- tura sulla vicenda, dipende strettamente dalla presenza sulla scena di altri personaggi; cio- nondimeno l’articolazione “direzionale” influisce attivamente sul tipo di comunicazione che il librettista decide di generare sul palco.

Mi pare possibile individuare sei categorie in cui distinguere il profilo direzionale di un’aria.

1) La prima categoria è quella delle arie in cui chi canta non si rivolge a nessuno, nem- meno a sé stesso. Non importa di che natura sia l’argomento: ciò che importa è che il per- sonaggio di turno sia solo in scena e non indirizzi la sua aria a qualcuno o qualcosa.

La prima aria di Don Girone (n. 3) risponde a queste caratteristiche: qui il personaggio non canta a sé stesso, ma commenta semplicemente ciò che prova (il peso eccessivo dell’armatura di Roberto sulle spalle), e non prevede di essere ascoltato da nessuno se non dallo spettatore in teatro.

n. 3 95

100

D.GIR Dal fornello di Vulcano non so dir se mai fu preso petto a botta così strano, tanto forte e di tal peso.

A portar per piano e monte quest’usbergo adamantino, più che cuor da Rodomonte, ci vuol spalle da facchino.

2) Alla seconda categoria appartengono tutte le arie in cui chi canta è sempre solo in scena, ma parla a sé stesso. Si tratta di quelle arie che prevedono un’autoreferenzialità pa- tente, indirizzate direttamente a sé stessi o a una parte di sé con le tipiche invocazioni «Oh me misero», «Oh mio core», «Alma mia», ecc. Ne è un esempio l’aria n. 12 di Don Girone, «Sù, pensier, tutti a capitolo»:

n. 12 375 D. GIR Sù, pensier, tutti a capitolo: la matassa è scompigliata, che la sorte sfaccendata

vuol d’ogni cosa alfin fare un gomitolo. Sù, pensier, tutti a capitolo.

3) Della terza categoria fanno parte le arie idealmente indirizzate a un altro personaggio che però in quel momento è assente. In questi casi la direzione è chiara e prevede una co- municazione che non può avere luogo a causa dell’assenza del destinatario, ciononostante tali arie sono impostate su un piano dialogico, il che si riflette, oltre che sulla forma lingui- stica, anche su quella attoriale. Con la scelta di una direzionalità piuttosto che un’altra il li- brettista stabilisce a monte l’atteggiamento che i cantanti devono assumere sul palco. Don Girone non canta alcuna aria di questa categoria, per questo motivo mostro qui la n. 15 di Laura, «Vaghe luci del sole adorato», in cui Laura indirizza il suo canto agli occhi («luci») e al volto di Roberto che non è in scena:

n. 15

490

LAU Vaghe luci del sole adorato, s’io vi miro languisce il mio cuor; caro volto da me sospirato, s’io ti perdo m’uccide il dolor.

4) Si può riconoscere una quarta categoria in cui il canto è, sì, rivolto fuori di sé, ma non a un altro personaggio, bensì a qualcosa di inanimato che non può né sentire, né risponde- re: siamo di fronte alla cartina tornasole di quella retorica poetica barocca per cui il senti- mento di turno deve prendere una forma, sia essa quella di uno strale, della chioma di un albero, di un sole, ecc.È il caso dell’aria n. 30, in cui Don Girone si rivolge al materasso e ai cuscini su cui dormirà a breve.

n. 30

1055 D.G

IR O piume beate, l’intere giornate con voi passerò; se il sonno m’inganna, la ninna, la nanna dormendo farò.

5) La maggior parte delle arie di Don Girone (n. 13, 19, 29, 36, 53, 54) appartiene però alla quinta categoria: quella delle arie in cui i contenuti sono rivolti direttamente a uno o più personaggi presenti in scena. In questi casi l’aria non è più momento introspettivo ma sem- plice nuova veste metrica (e di conseguenza musicale) per una forma di comunicazione dia- logica, in cui la battuta si dilata, senza però perdere aderenza con ciò che accade in scena, e soprattutto con gli interlocutori. In queste arie Don Girone si rivolge direttamente agli astanti, siano essi servi (Ottavio e Lesbino), soldati (Enrico) o nobildonne (Isabella).

n. 13

410

D.GIR Voi siete matti a fé! Siete matti da legare! Chi v’insegna domandare “chi va là?”

ad un uomo che si sta, e non muove punto il piè?

Voi siete matti a fé!

6) Mi pare che una sesta categoria si possa individuare in quel genere d’arie rivolte agli spettatori, che sfondano la quarta parete tra il palco e il resto del teatro. Anche in questo caso la direzionalità è chiara, ma la comunicazione non può essere a doppio senso: il pub-

blico può reagire empaticamente allo stimolo diretto, ma, a livello drammatico, non ha pos- sibilità di maggiore interazione se paragonato a quelle terze entità di cui si è detto sopra a proposito della quarta categoria. Nel Carceriere di sé medesimo c’è una sola aria che pare rivolta direttamente agli spettatori: è la n. 62, in cui Roberto si rivolge oltre la quarta parete con un generico «amanti» (v. 2075) cui il principe suggerisce come comportarsi in ambito amoroso.

n. 30 2074 ROB. Amanti, costanti soffrite il martire del nume d’Amor, che al vero gioire fa scorta il dolor.

Per sintetizzare quanto esposto finora mostro qui uno schema riassuntivo delle possibili caratteristiche “direzionali” dell’aria (per chiarire il concetto propongo tra tonde un esem- pio ideale):

Direzione

1. Assente (es. «Soffro!»)

2. Sé stessi o parte di sé (es. «Oh mio cuore, quanto soffri!»)

3. Personaggio fuori scena (es. «Amato mio, quanto soffro») o parte del personaggio fuori scena («Occhi amati, quanto soffro»)

4. Terza entità (es. «Aspro Cielo, quanto soffro!»)

5. Personaggio in scena (es. «Amato mio, ti dico che soffro!») o parte del personag- gio in scena (es. «Mie stelle adorate, vi dico che soffro!»)

6. Spettatori (es. «Amanti fedeli, quanto soffro!»)

Applicando questi parametri a tutti i pezzi chiusi dell’opera si trova che: 21 arie non hanno direzionalità (prima categoria), 17 sono rivolte a un personaggio in scena (quinta ca- tegoria) e 8 a sé stessi (seconda categoria).6 In 7 casi chi canta indirizza l’aria a una terza en- tità (quarta categoria),7 e si presenta un solo caso in cui il canto è indirizzato a un personag- gio fuori scena (terza categoria) e uno in cui i destinatari sono gli spettatori (sesta categoria). Infine al novero delle arie monodirezionali vanno aggiunti 8 pezzi bistrofici (n. 21, 23, 25, 37, 47, 52, 59, 60), dal carattere “misto”, che ricadono, cioè, in due categorie. Solitamente si tratta di una categoria direzionale (come la quarta o la quinta) associata alla prima (senza di- rezionalità), ma c’è anche un caso (n. 2) in cui chi canta (Isabella) si rivolge prima alla sorte e poi al proprio cuore. Questo genere di promiscuità direzionale potrebbe avere luogo an- che all’interno di una stessa strofa (benché nel Carceriere ciò non accada), ma il fatto che i versi a disposizione siano solitamente pochi limita le possibilità di tale polidirezionalità.

6 I pezzi della seconda categoria sono indirizzati: ai propri occhi [n. 8], al proprio cuore [n. 9, 39, 41], ai propri pensieri [n. 12], al proprio seno [n. 20], e infine alla propria anima [n. 43, 61].

7 I n. 11, 14 e 40 sono rivolti a Cupido e Fortuna, ma non si tratta di personaggi realmente esistenti – la trama non li prevede – bensì di semplici personificazioni di entità astratte.

categorie I II III IV V VI n. 2, 3, 5, 17, 18, 24, 26, 27, 31, 32, 33, 34, 35, 42, 45, 48, 51, 55, 56, 58, 63 8, 9, 12, 20, 39, 41, 43, 61 15 4, 11, 14, 28, 30, 40, 46 1, 6, 7, 10, 13, 16, 19, 22, 29, 36, 38, 44, 49, 50, 53, 54, 57 62 categorie miste 21 (1 a), 23 (2a), 37 (2a), 47 (1a), 52 (1a), 59 (1a), 60 (1a) 23 (1a), 25 (2a), 37 (1a) - 21 (1 a), 25 (1a), 47 (2a), 52 (2a), 59 (2a) 60 (2a) -

Da questo elenco emerge un dato abbastanza chiaro: Adimari concepisce l’aria princi- palmente come una riflessione adirezionale del personaggio o come una forma alternativa di comunicazione dialogica. L’abbondante presenza di arie della quinta categoria, cioè di quelle capaci di tenere il dramma in movimento, può aiutarci a ridimensionare l’impressione che il numero di pezzi chiusi nell’opera di Adimari sia sproporzionatamente elevato rispetto allo sviluppo dell’azione: guarda caso 4 (n. 22, 29, 49, 50) dei 9 componi- menti di soli quattro versi fanno parte delle arie di quest’ultima categoria, dunque ai 17 pez- zi vanno aggiunte 5 di quelle 9 quartine, per un totale di 22 pezzi chiusi concepiti, sì, per colorare e variare il dramma, ma senza con ciò rallentarlo.

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