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I diritti linguistici nel Patto internazionale sui diritti civili e politici.

Nel documento Le minoranze linguistiche in Europa (pagine 38-45)

II. GLI STRUMENTI A TUTELA DELLE MINORANZE ELABORAT

2.5 I diritti linguistici nel Patto internazionale sui diritti civili e politici.

Il Patto internazionale sui diritti civili e politici59 è un Trattato delle Nazioni Unite adottato nel 1966 al fine di garantire il rispetto dei diritti civili e politici dell’uomo. Il postulato di partenza della convenzione è che tutti i soggetti siano dotati di pari dignità e di diritti uguali e inalienabili. Ogni individuo ha dei doveri verso gli altri, al fine di garantire la giustizia e la pace nel mondo. L. art. 27 afferma che: “In quegli stati, nei quali esistono minoranze etniche, religiose o linguistiche, gli individui appartenenti a tali minoranze non possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di professare e praticare la propria religione, o di usare la propria lingua in comune con gli altri membri del proprio gruppo.” La disposizione è particolarmente moderna e si sofferma proprio sui diritti linguistici. Mostra che l’Europa sta guardando con particolare attenzione alle minoranze, anche linguistiche. Vi sono dei veri e propri diritti linguistici, delle controversie relative alle violazioni dei diritti dei cittadini di stampo civile e politico. In particolare, ci occuperemo di analizzare alcune casistiche che ci forniscono la prova del fatto che la lingua, oltre ad essere uno strumento d’unione, può essere anche fonte di discriminazione nell’accesso alla politica, allo studio e, più in generale, alla vita pubblica. Nel Trattato non solo si fa riferimento alla presenza di minoranze linguistiche, ma si afferma anche l’esistenza del diritto ad usare la lingua in comune con gli altri membri del proprio gruppo. Tale diritto, all’epoca in cui veniva redatto il Trattato, era violato soprattutto del generale Franco60, il quale faceva volontariamente distruggere tutti i testi spagnoli contenenti poesie,

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E’ reperibile presso: www.admin.ch (pagina web consultata il 02.10.2016).

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scritti, leggi e regolamenti redatti nella lingua della Comunità Autonoma di riferimento. Aveva cercato di eliminare ogni differenza culturale, bandendo ogni lingua e dialetto diversi dal castigliano. Con la sua politica abolizionistica, generò l’esigenza di far nascere dei veri e propri diritti linguistici in senso moderno.

2.6. La Dichiarazione dell’ Assemblea Generale sulle

minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche

La “Dichiarazione dei diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche”61 è stata adottata nel 1992 dall’ Assemblea Generale62 delle Nazioni Unite. In essa si ribadisce che uno degli scopi delle Nazioni Unite è quello di promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzione alcuna. Nel Preambolo della stessa si fa riferimento alla necessità di rispettare le minoranze al fine di garantire lo sviluppo della società e di contribuire al rafforzamento dell’amicizia e collaborazione fra gli stati, nonché di rispettare gli

standards minimi imposti dai principi democratici.

“Gli Stati proteggeranno l’esistenza e l’identità nazionale o etnica, culturale, religiosa e linguistica delle minoranze all’interno dei rispettivi territori e favoriranno le condizioni per la promozione di tale identità.” Il primo comma dell’art. 1 fa riferimento alla protezione e alla promozione dell’identità linguistica delle minoranze. Si coglie un primo aspetto fondamentale, assente nelle fonti del diritto internazionale precedentemente analizzate: la lingua è uno strumento volto a formare un’ identità. Gli individui si identificano

61 E’ reperibile presso: www.regione.molise.it (pagina web consultata il

02.10.2016).

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L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite è il più rappresentativo organo dell’ONU. E’ composto da rappresentanti di tutti gli Stati membri e ha principalmente funzioni consultive.

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nella propria lingua, che ha dunque un valore individuale e sociale. Non abbiamo più una sola lingua in un unico stato, ma il binomio si amplia, fino a ricomprendere altre identità. Lo Stato è una somma di identità aventi uguali diritti, e l’identità non si riferisce solo al singolo, all’ individuo. Essa si riferisce anche ad una pluralità di soggetti, parlanti la medesima lingua all’ interno di un più ampio sistema. Il secondo comma della disposizione si preoccupa, invece, di garantire effettività a quanto affermato nel primo, prevedendo che gli Stati adottino misure legislative volte a conseguire gli obiettivi prefissati nel primo comma.

Il primo comma dell’art. 2 afferma che: “. Le persone appartenenti alle minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche hanno il diritto di beneficiare della loro cultura, di professare e praticare la loro religione e di usare la loro lingua, in privato e in pubblico, liberamente e senza interferenza o qualsiasi altra forma di discriminazione.” La disposizione in esame, dunque, si preoccupa di garantire l’uso della lingua parlata dalla minoranza, sia nei luoghi privati, che nei contesti pubblici. Con la locuzione “luoghi privati” si intende alludere al diritto di utilizzare la propria lingua nella propria dimora, nella corrispondenza privata, nelle comunicazioni telefoniche e in qualsiasi altro luogo privato. Con l’espressione “in pubblico” ai allude invece alla possibilità di parlare la propria lingua nei pubblici uffici, in sede processuale, a scuola e più in generale nelle varie interazioni con gli organi pubblici. Ma le minoranze non devono solo poter parlare la propria lingua, esse devono poterlo fare “liberamente e senza interferenza” o discriminazione. La lingua evoca una libertà fondamentale: quella di manifestare la propria opinione. Poter parlare è un diritto, e un soggetto che venga discriminato è dunque un soggetto cui si lede una libertà fondamentale.

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Il secondo comma dell’articolo afferma che: “Le persone appartenenti a minoranza hanno il diritto di partecipare effettivamente alla vita culturale, religiosa, sociale, economica e pubblica.” Esso richiama il principio di effettività, per cui è inutile affermare a livello sostanziale che sia necessaria una tutela del diritto a utilizzare la propria lingua, se poi lo Stato non adotta concrete misure a tal fine.

“Le persone appartenenti a minoranza hanno il diritto di partecipare effettivamente alla presa delle decisioni sul piano nazionale e, ove opportuno, sul piano regionale quando riguardino la minoranza alla quale esse appartengono o le regioni in cui esse vivono, in maniera non incompatibile con la legislazione nazionale.” Il terzo comma coglie un punto molto problematico della materia: la possibilità delle minoranze di partecipare alle elezioni del paese di appartenenza e alla vita politica. Quello politico è uno degli ambiti in cui storicamente ci sono state maggiori occasioni di violare i diritti delle minoranze63 “Le persone appartenenti a minoranza hanno il diritto di costituire e mantenere proprie associazioni.” E’ data la facoltà alle minoranze di riunirsi tanto in comunità religiose, quanto in associazioni a tutela dei diritti linguistici di una particolare zona geografica. Si pensi a “Drets”, (in catalano: diritto), un’associazione fondata da avvocati catalani al fine di difendere i diritti dei membri dell’omonima Comunità spagnola di fronte agli “attacchi e insulti perpetrati dai mezzi di comunicazione di massa.”

Ma ancora, il comma 5 afferma che: “Le persone appartenenti a minoranza hanno il diritto di costituire e mantenere, senza alcuna

63 (Infra, p.73) Ci occuperemo in seguito di prendere in esame alcuni casi concreti

verificatisi nei Paesi Baltici che mostrano come la lingua abbia rappresentato un ostacolo alla possibilità dei partecipare alla vita politica del paese di appartenenza della minoranza.

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discriminazione, contatti liberi e pacifici con altri membri di altri gruppi e con persone appartenenti ad altre minoranze, nonché contatti al di là dei confini con cittadini di altri Stati ai quali esse siano collegate da legami nazionali o etnici, religiosi o linguistici.” Basti pensare alla comunità basca, che si estende dalle regioni spagnole fino a quelle francesi, attraversando i Pirenei.

L’articolo 3 fa riferimento diretto all’ esercizio dei diritti: tutti i diritti enucleati nella dichiarazione devono essere rispettati e garantiti alle minoranze, che devono poterli esercitare senza subire nessuno svantaggio dall’ utilizzo degli stessi. La disposizione intende alludere al fatto che, a titolo esemplificativo, non si può subordinare all’esercizio di un diritto una sanzione o un trattamento discriminatorio nei confronti del titolare dello stesso.

“Gli Stati adotteranno misure, ove necessario, per assicurare che le

persone appartenenti a minoranza possano esercitare pienamente ed effettivamente tutti i loro diritti umani e libertà fondamentali senza alcuna discriminazione e in piena eguaglianza davanti alla legge.” Così si apre l’art. 4, che sancisce il principio di uguaglianza in un’ ottica di effettività: l’esercizio dei diritti di cui si tratta nell’ art. 3, viene ora ulteriormente specificato: esso deve essere pieno ed effettivo. “Gli Stati adotteranno misure allo scopo di creare condizioni favorevoli a far sì che le persone appartenenti a minoranza possano esprimere le proprie caratteristiche e sviluppare la loro cultura, lingua, religione, tradizioni, tranne quando specifiche pratiche sono in violazione della legge nazionale e contrarie agli standard internazionali.”: il secondo comma della disposizione vuole dirci da un lato che lo Stato non ha solo un ruolo passivo di rispetto delle minoranze, ma anche un ruolo attivo di intervento al fine di favorirne

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lo sviluppo. D’altro canto, però, statuisce dei limiti ai diritti delle minoranze: la legge nazionale e gli standards internazionali. E’ una disposizione molto dibattuta, che vuole alludere al fatto che vi sono pratiche e costumi che non si conciliano con la cultura europea e che non sono accettabili. Si pensi all’infibulazione, molto praticata in varie comunità africane, o alla pratica islamica di coprire il corpo delle donne mediante il Burqa64, che è stata reputata illegittima da alcuni ordinamenti perché contrastante con le norme in materia di sicurezza pubblica: è necessario essere in grado di identificare tutte le persone nei luoghi pubblici, e coprirsi il volto con il velo rappresenta dunque un rischio per la sicurezza pubblica.

“Gli Stati adotteranno appropriate misure in modo che, quando possibile, le persone appartenenti a minoranza abbiano adeguate possibilità di apprendere la loro madrelingua o di essere istruite nella loro madrelingua.”

“Gli Stati, ove necessario, adotteranno misure nel campo dell'educazione, al fine di incoraggiare la conoscenza della storia, delle tradizioni, della lingua e della cultura delle minoranze esistenti nel proprio territorio. Le persone appartenenti a minoranza dovranno avere adeguate possibilità di acquisire la conoscenza della società nel suo insieme.”

Il terzo e quarto comma si occupano di garantire l’ istruzione delle minoranze nella propria lingua. Questo dovere è stato ampiamente rispettato in Belgio, stato nel quale valloni e fiamminghi sono tenuti a imparare a scuola anche la lingua dell’altra comunità, garantendo dunque un’istruzione bilingue e una possibilità di circolare su tutto il territorio belga.

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E’ nota, inoltre, la discussione pubblica relativa al divieto di indossare il burkini in alcune aree della Francia.

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“Gli Stati prenderanno in considerazione appropriate misure in modo che le persone appartenenti a minoranza possano partecipare pienamente al progresso economico e allo sviluppo nel proprio paese”: il quinto comma fa riferimento alla necessità delle minoranze di lavorare. Esse devono poter avere gli strumenti linguistici per partecipare alla vita lavorativa del paese e garantire il progresso della società.

L’art. 5 fa riferimento agli interessi legittimi, intendendo per tali quei diritti che il singolo vanta nei confronti degli organi pubblici. Orbene, le politiche nazionali e i programmi di cooperazione65 e di assistenza fra Stati devono essere elaborati tenendo conto anche degli interessi legittimi delle minoranze.

L’art. 6 afferma che gli Stati devono cooperare, anche mediante lo scambio di informazioni e di esperienze, al fine di promuovere la reciproca comprensione e fiducia. La disposizione, evocando i canoni astratti della comprensione e della fiducia, rischia di essere troppo generica. Inoltre all’atto pratico lo scambio di informazioni e di esperienze può essere frenato dalle ostilità che di fatto vi sono fra gruppo dominante e gruppo minoritario, o dalle difficoltà concrete nel comunicare.

L’art. 7 si occupa di stabilire che gli Stati devono cooperare al fine di garantire il rispetto dei diritti enucleati nella dichiarazione. Si vuole affermare che l’attività dello stato non deve essere unilaterale, ma deve essere collaborativa. Gli Stati devono unirsi per tutelare i diritti delle minoranze.

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La cooperazione rappresenta un vero e proprio istituto del diritto internazionale, volto a garantire una collaborazione fra gli Stati nell’ottica di sostenere lo sviluppo dei paesi più svantaggiati del mondo e, nel caso di specie, delle minoranze.

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L’art. 8 è rivolto agli Stati: l’ Assemblea Generale chiarisce che la dichiarazione non pregiudicherà gli obblighi internazionali degli Stati in relazione alle minoranze.

Particolarmente interessante è il secondo comma dell’articolo, in base al quale si afferma che l’osservanza della normativa in questione non preclude il godimento da parte delle maggioranze, dei diritti umani e delle libertà fondamentali riconosciuti dalle fonti universali. Gli ultimi due commi si occupano invece di rievocare il principio di uguaglianza, dell’ integrità territoriale e dell’ indipendenza come canoni ineluttabili e inviolabili.

Siamo giunti al termine dell’analisi di questa importante Dichiarazione, la quale si conclude garantendo che gli organi delle Nazioni Unite si attivino, secondo le proprie competenze, al fine di garantire il rispetto dei principi e dei diritti di cui sopra.

Nel documento Le minoranze linguistiche in Europa (pagine 38-45)

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