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Le teorie classiche della nazione a cavallo fra il XVIII e il

Nel documento Le minoranze linguistiche in Europa (pagine 31-38)

II. GLI STRUMENTI A TUTELA DELLE MINORANZE ELABORAT

2.1.2 Le teorie classiche della nazione a cavallo fra il XVIII e il

Ci siamo occupati del Protocollo finale del Congresso di Vienna, ed abbiamo dunque considerato il 1815 come data formale di inizio della tutela delle minoranze linguistiche. Tuttavia, non è certo una disposizione normativa a stravolgere le concezioni storiche delle minoranze, e infatti le teorie della nazione44 elaborate tra la seconda metà del secolo XVIII e il secolo XIX parlano di una nazione come di un unicum, un ente in sé e per sé dotato di una sola lingua parlata in un solo stato. Le teorie classiche, in altri termini, ostano alla protezione delle minoranze, in quanto le stesse fuoriescono dagli schemi filosofici e storici di stato ideale. Le teorie filosofiche che hanno portato alla nascita dello stato moderno si sono fatte portatrici di un monolitismo, di uno statalismo che ha provocato l’ effetto, indesiderato o meno, di escludere dalle concezioni della nazione ogni particolarismo, ogni diversità. Si pensi ad A. M. Thiesse45, secondo cui gli elementi che ogni vera nazione deve presentare sono: una storia, una serie di eroi, una lingua, un folklore, un numero rilevante di monumenti culturali, un paesaggio caratteristico, un costume o un animale emblematico. L’idea della nazione ha avuto il suo acme nell’ Ottocento, quando l’individuale dominava il pensiero europeo, in contrapposizione alle tendenze universalistiche del secolo dei lumi. Ancora, lo storico Chabod46 parla di due metodi di concepire la nazione: quello naturalistico e quello volontaristico. Il secondo sarebbe basato sulla volontà di aderire ad

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M. STOLFO, La tutela delle lingue minoritarie fra pregiudizi teorici, contrasti ideologici e buoni motivi, reperibile presso: www.romaniaminor.net (pagina web consultata il 01.10.2016).

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A. M. THIESSE, La creazione delle identità nazionali in Europa, il Mulino Editore, Bologna, 2001.

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una nazione: gli individui scelgono di appartenervi. Il primo, invece, sarebbe basato sulla supremazia naturale di una razza e di una lingua. Si va a teorizzare un vero e proprio razzismo linguistico che osta all’accoglimento delle minoranze. In particolare, in epoca risorgimentale assistiamo al dilagare del latino e del francese47 come lingue colte parlate dalla borghesia, a scapito delle altre lingue.

2.2. La Società delle Nazioni sulla scia del Presidente

Wilson

Eccoci giunti nel 1900, un secolo che ha visto la nascita e lo sviluppo dei più grandi organismi di diritto internazionale a tutela dei diritti dell’uomo. Prima fra tutti la Società delle Nazioni: la prima organizzazione intergovernativa avente come scopo quello di proteggere la qualità della vita degli uomini. Fu fondata nell’ambito della Conferenza di pace di Parigi48 del 1919-1920 nella quale si trattò del problema delle minoranze, sulla scia dei 14 punti enunciati dal Presidente americano Wilson49. The “Fourteen Points” è proprio il nome dato ad un discorso pronunciato dal Presidente davanti al Senato degli Stati Uniti d’America e contenente i suoi propositi in merito all’ordine mondiale conseguente la Grande Guerra. In particolare, egli si faceva portavoce di una “pace senza vincitori”, al fine di promuovere un’armonia fra le nazioni basata sull’eguaglianza, senza imposizioni. Tuttavia, subordinava il riconoscimento internazionale degli stati all’impegno da parte degli stessi a fornire il

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Il francese all’ epoca era una lingua talmente diffusa, da aver generato l’espressione idiomatica: “lingua franca”, intendendosi per tale la lingua maggiormente parlata in una determinata area geografica.

48 La Conferenza di Pace di Parigi fu una riunione internazionale durante la quale i

paesi vincitori della prima guerra mondiale ridisegnarono i confini d’Europa.

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Thomas Woodrow Wilson è stato il ventottesimo presidente degli Stati Uniti d’America. In carica dal 1913 al 1921, fu attivo anche a livello accademico e ricevette il Premio Nobel per la Pace.

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medesimo trattamento alle maggioranze e alle minoranze di razza. Il riferimento, ancora una volta, non è diretto alle minoranze linguistiche, ma alle minoranze “di razza”. Ovviamente non possiamo non riflettere sul termine utilizzato, che non è: “etniche”, bensì “di razza”. Il presidente alludeva senz’altro alle discriminazioni perpetrate a danno delle comunità africane negli Stati Uniti d’America. E di altrettanto note discriminazioni si è macchiata anche l’Europa nei decenni a seguire, tanto che si può parlare non solo di un’ assenza totale di rispetto verso le minoranze, ma addirittura di uno sterminio di massa delle minoranze ebree da parte della Germania nazista.

2.3. La nascita dell’ONU e la Carta delle Nazioni Unite

Ma, come spesso accade in storia, le grandi crisi portano ad una controspinta, ed ecco che la vergogna del nazismo ha condotto alla creazione, nel 1945, del punto di partenza delle attività internazionali per la protezione dei diritti dell’uomo: l’ Organizzazione delle Nazioni Unite50. Ricordiamo infatti che prima del 1945 i diritti umani hanno stentato ad affermarsi sul piano del diritto positivo, sebbene vi fossero già delle prime, timide forme di tutela51. L’ ONU nasce con lo scopo specifico di dar vita ad un’azione internazionale per la promozione e la tutela dei diritti dell’ uomo in quanto tale. L’abominio delle grandi guerre ha aperto gli occhi sulla necessità di ovviare a prevaricazioni sociali ed economiche a danno dell’individuo. Nell’ art. 1, par.2 della Carta delle Nazioni Unite52 si inserisce come scopo dell’ organizzazione, quello del: “rispetto per i diritti dell’ uomo

50 Nacque il 24 ottobre del 1945, sul finire della seconda guerra mondiale.

Anch’essa fu creata sulla scia dei “14 punti” del Presidente Wilson.

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V. capitolo II, paragrafi n° 1 e 2.

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La Carta delle Nazioni Unite è l’ accordo istitutivo dell’ ONU. E’ reperibile presso:

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e le libertà fondamentali per tutti, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione.” Finalmente un riferimento espresso alle minoranze linguistiche, grande passo avanti nella storia del diritto internazionale. A ben guardare, però, si può ritenere che il diritto delle minoranze, in questa fase storica, sia ascrivibile piuttosto al più ampio genus del diritto umano e al principio di non discriminazione. Non si assiste ancora ad un’autonomia dei diritti linguistici, ad una legiferazione specifica a tutela degli stessi, i quali sono ancora appannaggio del diritto umanitario in genere, intendendo per tale quella branca del diritto che si occupa dei diritti inalienabili dei membri della società umana.

2.4. La Dichiarazione universale dei diritti umani: un

nuovo approccio alla tutela delle minoranze

Dobbiamo fare un piccolo salto indietro nel tempo per occuparci di una fonte del diritto internazionale che ci sta particolarmente a cuore: la Dichiarazione universale dei diritti umani53. Essa presenta una peculiarità rispetto alle altri fonti: l’ aggettivo “universale”. Non è una dichiarazione statale, né europea, né mondiale: è universale, e il termine è chiarito nel Preambolo, nel quale si afferma che i diritti umani devono ottenere un riconoscimento universale. Essi sono riferiti all’uomo in quanto singolo, in quanto individuo. Ma la dichiarazione è universale, perché si applica a tutti gli uomini dell’universo. E’ una concezione normativa molto moderna, che si afferma con prepotenza nel panorama internazionale. Ci è particolarmente a cuore, perché quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la proclamò, nel 1948, diede istruzioni al Segretario

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La Dichiarazione universale dei diritti umani è un documento sui diritti individuali, firmato a Parigi il 10 dicembre 1948. E’ reperibile presso:

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Generale di provvedere a diffonderla non solo nelle cinque lingue ufficiali54 dell’organizzazione, ma anche in tutte le altre lingue, usando ogni mezzo a sua disposizione. Inoltre, i primi due articoli della stessa si mostrano prepotentemente garantisti: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.” Così si apre l’art. 1, il quale non sancisce che tutti gli esseri umani nascono uguali, bensì che, nella loro diversità, devono godere di pari diritti e dignità. Si ha dunque un riferimento allo scopo della dichiarazione: quello di tutelare le libertà dell’uomo in ossequio al principio di uguaglianza: anche chi è diverso dalla maggioranza deve avere gli stessi diritti, la stessa possibilità di partecipare alla vita culturale del proprio paese. Ma l’articolo continua: “Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.” Tale affermazione presenta invece alcuni profili di criticità: non tutti gli uomini, infatti, nascono dotati dello stesso grado di ragione e coscienza. Si pensi a coloro che sono affetti da sindrome di down o da altre menomazioni cerebrali, tali per cui non sono in grado di ragionare compiutamente sulle proprie azioni e conseguentemente di essere giuridicamente responsabili per esse. Inoltre, cos’è la coscienza? La ragione può facilmente essere ricondotta al cervello, che è un organo del corpo e dunque esiste, ma la coscienza? Cos’è la coscienza? Tuttora, a distanza di decenni, è controversa la nozione in psichiatria: il premio Nobel per la medicina Francis Crick55 ne “La struttura della coscienza” si fa portavoce di un riduzionismo biologico atavico, tale per cui la coscienza afferirebbe ad un substrato puramente biologico: la coscienza è oggetto di indagine puramente scientifica, e la scienza insegna che non si può affermare che tutti gli

54 Le lingue ufficiali sono: il cinese, l’inglese, il francese, il russo e lo spagnolo. 55

Francis Crick (1916-2004) è stato uno scienziato britannico, Premio Nobel per la Medicina nel 1962 perché congiuntamente a Watson realizzò il primo preciso modello della struttura del DNA.

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uomini siano dotati di coscienza. Ci si sarebbe dovuti limitare a dire che gli uomini devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. Non perché dotati di coscienza, ma perché la dichiarazione così statuisce. E’ stato infatti dimostrato, a titolo esemplificativo, che alcuni serial killer presentano delle deformazioni cerebrali tali per cui non sono in grado di provare empatia verso le vittime, né ritengono che esse siano effettivamente tali.56 Esse meritano di subire il reato, in quanto colpevoli di qualcosa. Tali serial

killer, non hanno certo un alto grado di coscienza di sé e degli altri

individui. Tuttavia non possiamo che lodare questa disposizione, che ha il pregio di fondare un altro principio del diritto internazionale: il principio della fratellanza, teorizzato in primis dalla Scuola francese, ma poi affermatosi in tutta Europa. Esso nasce sulla scia della rivoluzione francese e non esita ad affermarsi nelle politiche statali e governative europee. Tuttavia, cosa dobbiamo intendere per fraternità? Essa rileva come forma di solidarietà nei confronti dei propri fratelli, ed evoca dunque l’idea di una complicità fra soggetti posti sullo stesso piano.57 Non si può parlare di spirito di fratellanza fra padre e figlio, bensì tra fratelli. E chi sono i fratelli? E’ sufficiente ritenere un popolo inferiore, per violarne i diritti umani pur rispettando il principio di fraternità. E, come abbiamo già detto, le lingue minoritarie per lungo tempo non sono state considerate dal comune apprezzamento quali lingue paritarie alla lingua statale,

56 Il padre della scienza della fisiognomica è stato il criminologo italiano Cesare

Lombroso: egli riteneva che il criminale fosse tale “per nascita”. La criminologia odierna assiste a uno sviluppo scientifico tale, da non ritenere completamente condivisibili le teorie lombrosiane. Nonostante ciò, è stato dimostrato che un incidente lavorativo o stradale possono provocare un danno cerebrale tale, da trasformare un buon padre di famiglia in un criminale. Inoltre, l’analisi del serial killer dimostra come non vi siano generalmente motivazioni evidenti per reiterare il reato. A riguardo si veda C.LOMBROSO, L’uomo delinquente, Milano, Hoepli, 1876 e M. PICOZZI, A. ZAPPALA’: Criminal profiling, Edizione Mondadori, 2001.

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F. PIZZOLATO, Il principio costituzionale di fraternità, Città Nuova Editore, Roma, 2012.

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bensì quali lingue, per così dire, inferiori. Risulta inoltre problematico parlare di fraternità quando il compito di garantirla proviene dallo Stato, da un’autorità58. Dobbiamo, dunque, lodare la disposizione perché menziona la fratellanza, ma dobbiamo anche criticarla, in quanto la fratellanza non è un connotato dello spirito, una scelta. La fratellanza è una lex naturalis che si afferma con evidenza universale: tutti gli uomini sono ugualmente uomini, sebbene con le proprie diversità. Ma il requisito affinché si possa parlare di un uomo, è proprio l’umanità. E quindi, essendo tutti sullo stesso piano, sono tutti fratelli. Allo stato non deve essere affidato il compito di affermare il principio della fratellanza, bensì quello di garantirlo. Ma proseguendo con la lettura del testo della dichiarazione, ci imbattiamo nell’art. 2: “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità.” Ecco che abbiamo un riferimento puntuale, preciso e diretto alla lingua: le minoranze linguistiche devono avere una tutela specifica, e gli stati devono adottare delle fonti idonee a garantirla.

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2.5. I diritti linguistici nel Patto internazionale sui diritti

Nel documento Le minoranze linguistiche in Europa (pagine 31-38)

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