• Non ci sono risultati.

Le minoranze linguistiche in Europa

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Le minoranze linguistiche in Europa"

Copied!
136
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

Le minoranze linguistiche in Europa

Candidata: Relatore:

Aurora Ciarrocchi Chiar.mo Prof. A. M. Calamia

(2)
(3)

I

Indice

Introduzione 1

I. DEL CONCETTO DI LINGUA E DI MINORANZA LINGUISTICA 1.1 La lingua: un dialetto che ha fatto carriera………. 4 4 1.2 La definizione di lingua regionale e minoritaria……….. 6

1.3 Le isole e le penisole linguistiche……… 8

1.4 L’alloglossia, il bilinguismo, la diglossia e la dilalia………. 9

1.5 Le lingue minacciate secondo l’ UNESCO………..…... 11

1.6 L’interpretazione dottrinale del concetto di minoranza…………. 13

1.6.1 La differenza fra il concetto di minoranza e di popolazione indigena……… 15

1.6.2 I diritti linguistici fra individuo e collettività……….. 16

1.6.3 Le “minorities by will” e “minorities by force”………. 19

II. GLI STRUMENTI A TUTELA DELLE MINORANZE ELABORATI A LIVELLO UNIVERSALE 2.1 Il Protocollo finale del Congresso di Vienna: le prime forme di tutela……….. 21

2.1.1 Una discriminazione nella discriminazione……… 22

2.1.2 Le teorie classiche della nazione a cavallo fra il XVIII e il XIX secolo………. 25

2.2 La Società delle Nazioni sulla scia del Presidente Wilson………… 26

2.3 La nascita dell’ ONU e la Carta delle Nazioni Unite………. 27

2.4 La Dichiarazione Universale dei diritti umani: un nuovo approccio alla tutela delle minoranze………. 28

2.5 I diritti linguistici nel Patto internazionale sui diritti civili e politici. 2.6 La Dichiarazione dell’ Assemblea Generale dei diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche………. 33

(4)

II

III. GLI STRUMENTI A TUTELA DELLE MINORANZE ELABORATI A LIVELLO EUROPEO

Sezione I

La protezione offerta dal Consiglio d’Europa alle minoranze linguistiche

3.1 La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’ uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e il principio di non

discriminazione……… 41

3.2 La Carta europea per le lingue regionali e minoritarie (ECRML). 44 3.2.1 L’applicazione della ECRML in Serbia……… 46

3.2.2 La Slovacchia e la ECRML……… 47

3.2.3 L’attuazione della ECRML in Polonia………. 49

3.3 La Convenzione - quadro per la protezione delle minoranze nazionali……… 50

Sezione II La protezione offerta dall’Unione Europea alle minoranze linguistiche 3.4 Il Trattato istitutivo della Comunità Europea e i suoi sviluppi: Il TUE e il TFUE……… 52

3.5 La Carta di Nizza e l’art. 19 del TFUE………. 54

IV. LE MINORANZE LINGUISTICHE IN EUROPA 4.1 I Croati dell’Acqua, gli Sloveni e gli Ungheresi in Austria…………. 56

4.2 La Svezia fra i Sami e gli Scani………. 57

4.3 La Costituzione svizzera: una fonte particolarmente garantista 59 4.4 L’Ungheria e i paesi limitrofi………. 60

4.5 La Costituzione croata e le minoranze……… 62

4.6 La Grecia: una tutela solo formale……… 63

4.7 Gli articoli 3 e 6 della Costituzione italiana………. 64

4.8 Le minoranze in Moldavia……….. 65

4.9 La Germania e l’Olanda……… 67

(5)

III

4.11 Il Belgio fra valloni, fiamminghi e tedeschi………... 70

4.12 L’ indipendentismo basco………. 71

V. LA GIURISPRUDENZA EUROPEA IN MATERIA DI DIRITTI LINGUISTICI Sezione I : Analisi della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’ uomo in merito alla violazione degli artt. 6 e 14 della CEDU 5.1 L’affaire Podkolzina c. Lettonie e i Paesi Baltici………..……. 74

5.2 Le minoranze slovene a Trieste: il caso Pahor e altri c. Italia….. 81

5.3 La libertà di esprimersi nella propria lingua: il caso Senger c. Germania……… 87

5.4 Il diritto all’ integrità del nome………... 90

5.4.1 Il caso Bulgakov c. Ucraina……… 91

5.4.2 Il caso Baylac- Ferrer e Suarez c. Francia………. 101

5.5 Le discriminazioni a danno della comunità Rom: il caso Orsus e altri c. Croazia………. 106

5.6 Il ruolo dell’ interprete e del traduttore nel processo: il caso Hermi c. Italia………. 109

5.7 Le discriminazioni linguistiche a scuola in Belgio…………..……… 113

Sezione II : Analisi della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’ Unione Europea: il nesso fra libera circolazione e diritti linguistici 5.8 La tutela delle minoranze tedesche a Bolzano e il diritto a svolgere il processo in tedesco: il caso Bickel e Franz c. Italia.. 115

5.9 La tutela delle minoranze germanofone in Belgio e il diritto di chiedere che il processo si svolga in tedesco: il caso Mutsch c. Belgio……….……… 121

Conclusioni 124

(6)

IV

(7)

1

Introduzione

Nel presente elaborato ci riproponiamo di affrontare un tema assai rilevante: quello della tutela delle minoranze linguistiche in Europa. La scelta di trattare tale argomento è dovuta alla grande diffusione del fenomeno: in ciascun ordinamento europeo vi sono gruppi di soggetti numericamente inferiori alla maggioranza, che parlano una lingua diversa da quella maggioritaria. Essi, pur essendo cittadini dello Stato in cui abitano, sono svantaggiati rispetto alla maggioranza della popolazione per quanto riguarda l’accesso alla politica, allo studio e all’istruzione in genere, nonché alla possibilità di essere processati nella propria lingua, nel caso di commissione di un reato. Ciò in virtù della legislazione interna a ciascuno Stato, che spesso prevede che i componenti degli organi amministrativi e giudiziari parlino solamente la lingua maggioritaria, essendo totalmente assente la tutela della lingua minoritaria. Inoltre, gli Stati europei hanno storicamente condotto, nella maggior parte dei casi, campagne di assimilazione forzata finalizzate ad annientare le differenze culturali fra i membri dell’ ordinamento, e ad imporre una sola lingua statale, aumentando pericolosamente il rischio di estinzione della lingua minoritaria, che rappresenta un patrimonio storico e culturale. Per non parlare della globalizzazione, che in tempi recenti ha imposto l’egemonia dell’inglese, trascurando tutte le altre lingue e favorendone la scomparsa. Per queste ragioni, i principali organismi europei hanno ritenuto necessario emanare numerose fonti del diritto atte a proteggere le suddette minoranze e dare vita ad azioni di recupero delle lingue a rischio di estinzione, in modo da proteggere tanto le minoranze linguistiche, quanto le lingue minoritarie.

(8)

2

Nel primo capitolo ci occuperemo di analizzare alcuni concetti basilari, e in particolare tratteremo della lingua e della differenza filologica e giuridica fra lingua e dialetto, tale per cui quest’ultimo non riceve una protezione giuridica, con il risultato che oggi l’UNESCO stima che vi siano circa 6.000 dialetti a rischio di estinzione nel mondo. Approfondiremo poi il concetto di minoranza linguistica, un tema molto dibattuto a livello tanto dottrinale quanto giurisprudenziale, giacché appare logico individuare i destinatari della normativa internazionale, prima di analizzarla.

Nel secondo capitolo illustreremo un elenco esaustivo degli strumenti elaborati a livello universale al fine di proteggere le minoranze linguistiche, a partire dal Congresso di Vienna, per giungere alla più recente Dichiarazione delle N. U. sui diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali o etniche o religiose. Nel nostro percorso storico-giuridico, non mancheremo di sottolineare come all’ interno del discriminato genus delle minoranze, vi sia stata un’ulteriore discriminazione a livello storico, e ciò ove si consideri che le minoranze religiose hanno ricevuto una protezione giuridica in tempi decisamente anteriori rispetto alle minoranze linguistiche.

Nel terzo capitolo ci occuperemo degli strumenti elaborati a livello europeo, e soprattutto in seno al Consiglio d’Europa, al fine di proteggere le minoranze, con particolare attenzione a quelle linguistiche.

Nel quarto capitolo analizzeremo gran parte delle minoranze linguistiche oggi presenti in Europa. Riteniamo opportuno, infatti, che sia chiara la diffusione e onnipresenza del fenomeno, di cui la stampa a nostro avviso tace. Parleremo degli Scani in Scandinavia, dei Croati

(9)

3

dell’Acqua, delle minoranze in Francia, delle comunità franco-provenzali in Italia, e di altri gruppi linguistici che abitano gli Stati europei.

Nel quinto capitolo ci addentreremo nell’analisi della giurisprudenza europea in materia di diritti linguistici. Analizzeremo casi concreti sottoposti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, per poi occuparci di alcune questioni decise dalla Corte di Giustizia dell’ Unione europea. Ci accorgeremo di quante siano le ipotesi di mancanza di tutela delle minoranze linguistiche, per le quali la partecipazione piena alla vita del paese è, in molti casi, un sogno tuttora lontano.

(10)

4

Capitolo I

DEL CONCETTO DI LINGUA E DI MINORANZA

LINGUISTICA

SOMMARIO: 1.1. La lingua: un dialetto che ha fatto carriera. – 1.2. La definizione di lingua regionale e minoritaria. – 1.3. Le isole e le penisole linguistiche. – 1.4. L’alloglossia, il bilinguismo, la diglossia e la dilalia. – 1.5. Le lingue minacciate secondo l’UNESCO. – 1.6. L’interpretazione dottrinale del concetto di minoranza.- 1.6.1. La differenza fra il concetto di minoranza e di popolazione indigena. – 1.6.2. I diritti linguistici fra individuo e collettività. – 1.6.3. Le “minorities by will” e “minorities by force”.

1.1. La lingua: un dialetto che ha fatto carriera

Il vocabolario di italiano1 definisce la lingua come un sistema grammaticale e lessicale per mezzo del quale gli appartenenti ad una collettività comunicano fra loro, e il dialetto come un sistema linguistico particolare, usato in zone geograficamente limitate2. Icto

oculi, il dialetto sarebbe dunque un tipo particolare di lingua. A ben

guardare, però, non tutti i filologi concordano sul tema: è stato chiesto al Prof. Ugo Vignuzzi, docente di dialettologia all’ Università La Sapienza di Roma, quale sia la differenza fra la lingua e il dialetto, e questi ha risposto alla domanda affermando che : “La lingua è un dialetto che ha fatto carriera.”3 Ma cosa intende il professore con quest’ espressione? Egli ritiene che fra la lingua e il dialetto non vi sia

1 N. ZINGARELLI, Vocabolario della lingua italiana, Undicesima edizione, a cura di

M. Dogliotti e L. Rosiello.

2

Ibidem.

3

L’ intervista, realizzata da Reporter Nuovo, è reperibile presso:

(11)

5

alcuna differenza ontologica: essi coincidono, in quanto sono entrambi dei linguaggi che permettono di comunicare. Tuttavia, un dialetto che riesca ad essere parlato da un ampio numero di persone, assurge al rango di lingua. Si pensi al fiorentino delle tre corone (Dante, Boccaccio e Petrarca), che è diventato l’italiano.4 La distinzione fra lingua e dialetto è squisitamente di natura politica, continua il professore, in quanto ogni dialetto può diventare lingua, ma il potere politico sceglie quali dialetti innalzare al rango di lingua, e quali no.5 Scendendo a fondo nell’analisi dei due concetti, ci accorgiamo di un’altra differenza: il dialetto è la lingua primaria identitaria del gruppo, che serve a parlare di argomenti quotidiani. La lingua, invece, è dotata di un lessico scientifico, burocratico, amministrativo, di termini forbiti. Cambia l’oggetto di dialetto e lingua: da un lato le cose semplici, dall’altro quelle sia semplici, che complesse. Ma cambia anche l’origine: un dialetto nasce dall’uso, una lingua si crea e si codifica, e necessita quindi di un impegno politico. Per non parlare della eterogeneità dei dialetti, che prolificano a decine e cambiano da città a città, mentre la lingua no. Inoltre il dialetto viene spesso utilizzato come elemento identitario da cantanti e poeti, i quali prestano la propria opera utilizzando il lessico specifico della propria area geografica, in luogo della lingua maggioritaria del paese.

Ma venendo all’aspetto che maggiormente ci interessa, sussistono altre due grandissime differenze fra il dialetto e la lingua: la prima consiste nel fatto che i dialetti non ricevono alcuna tutela legislativa.

4 Ibidem. 5

Il Prof. Vignuzzi specifica, però, che l’italiano si distingue da molte altre lingue per il fatto che non è il frutto di un potere politico. E’ una lingua “senza impero”, che non è stata imposta, ma che si è imposta.

(12)

6

Gli strumenti universali ed europei che analizzeremo6 si occupano di proteggere le lingue minoritarie e regionali, ma non i dialetti. Tuttavia, ci sono circa 6.000 dialetti7 a rischio di estinzione nel mondo, ed essi rappresentano un patrimonio storico e letterario unico, che non può essere ignorato. Le lingue, invece, sono meno esposte dei dialetti al rischio di estinzione, perché sono più forti dal punto di vista dello status sociale: esse sono considerate espressione di cultura e sapere scientifico, mentre il dialetto è una lingua allo stato brado, è un proliferare di espressioni sgrammaticate e talvolta anche volgari. Ecco che le autorità sono spinte a proteggere le lingue piuttosto che i dialetti. Del resto, come è possibile garantire, ad esempio, l’ insegnamento del dialetto a scuola, se esso non è dotato di un lessico sufficientemente elevato?

1.2. La definizione di lingua regionale e minoritaria

La Carta europea per le lingue regionali e minoritarie8, di cui tratteremo in seguito9, si apre affermando che con l’espressione: “lingue regionali o minoritarie” si intendono le lingue diverse dalla lingua ufficiale, tradizionalmente parlate nell’ ambito di un territorio di uno Stato da cittadini di quello Stato, che costituiscono un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione. Tale espressione non comprende né i dialetti, né le lingue parlate dagli immigrati. Per “territorio nel quale una lingua regionale o minoritaria viene usata”, si intende l’area geografica nella quale questa lingua costituisce il modo di esprimersi di un numero di persone tale da giustificare l’adozione delle diverse misure di tutela e promozione previste dalla Carta. Con l’ espressione: “lingue sprovviste di territorio” si indicano,

6 V. capitoli II e III. 7

Secondo quanto affermato dall’ UNESCO.

8

La Carta è reperibile presso : www.coe.int (pagina web consultata il 26.09.2016).

(13)

7

invece, le lingue usate dai cittadini di uno Stato, che differiscono dalla lingua utilizzata dal resto della popolazione, ma che, benché tradizionalmente parlate nell’ambito del territorio di tale Stato, non possono essere identificate con una particolare area geografica dello stesso.

L’Unione Europea conta oltre 60 lingue regionali e minoritarie di comunità indigene, parlate regolarmente da 40 milioni di persone. In questa categoria rientrano anche le lingue parlate dalla maggior parte della popolazione di un paese, ma da una minoranza in altri paesi, oltre alle lingue di gruppi minoritari, come l’yiddish e il romaní. Tutte le comunità che parlano lingue regionali o minoritarie incontrano difficoltà sia a proteggerle, che a favorirne lo sviluppo. Spetta agli organismi internazionali e ai governi nazionali prendere iniziative di politica linguistica per tutelare le lingue minoritarie. La Commissione europea collabora con i governi nazionali e i gruppi di interesse per stabilire obiettivi comuni, contribuisce a finanziare progetti e partenariati per promuovere l’apprendimento e l’insegnamento delle lingue minoritarie, aiutandole a sopravvivere. Fra i progetti finanziati ricordiamo il CRAMLAP (Celtic, Regional and

Minority Languages Abroad Project), che incoraggia l’insegnamento

superiore di lingue celtiche e regionali, e il NPLD (Network for the

Promotion of Language Diversity), che adotta politiche di

pianificazione linguistica per le lingue costituzionali, regionali e di piccoli Stati in Europa. Nonostante l’impegno dell’Unione Europea nel senso di favorire la protezione delle lingue, gli Stati spesso non ottemperano alle previsioni dei trattati e delle convenzioni ratificate, diventando destinatari di raccomandazioni e ricorsi.

(14)

8

1.3. Le isole e le penisole linguistiche

La geografia linguistica, una branca della dialettologia, ha evidenziato come il mondo sia caratterizzato dall’esistenza di continuità e discontinuità linguistiche.10 Va specificato che esistono, sebbene poco comunemente, le isole linguistiche, intendendosi per tali le comunità in cui si parla una varietà linguistica che interrompe la continuità propria di un’area. Il processo di formazione delle isole linguistiche è dato principalmente dalla discontinuità etnica, ossia dai grandi movimenti di popoli. L’avanzata delle popolazioni di lingua indoeuropea in Europa ha emarginato le comunità linguistiche precedenti, come quella basca e quelle caucasiche, alle estremità dell’Europa, creando delle discontinuità in uno spazio che doveva essere un continuum. L’isola basca è ciò che rimane in Europa di uno stato linguistico pre-neolitico, così come l’isola ungherese, in mezzo ad un continuum essenzialmente slavo, è il frutto di emigrazioni posteriori a quella europea.

Esistono anche le penisole linguistiche: discontinuità linguistiche che abitano il territorio, e che sono continue rispetto a varietà presenti in territorio straniero: si tratta di varianti linguistiche che superano i confini nazionali, a riprova del fatto che le frontiere politiche non coincidono necessariamente con quelle linguistiche e culturali. Si pensi alle penisole linguistiche italiane, come quella franco-provenzale, che si estende dalla valle d’Aosta alle valli confinanti del Piemonte, o quella slovena nella Provincia di Trieste.

La conclusione di questa impostazione teorica consiste nel fatto che per quanto possa sembrare assurdo, la lingua non esiste. Esiste solo

10

M. SVOLACCHIA, Lingue e linguaggio tra mito e realtà. Corso di sopravvivenza contro miti e pregiudizi linguistici, reperibile presso la pagina web:

(15)

9

la forma di manifestazione della lingua, che si identifica con la continuità o discontinuità linguistica.

Ci sentiamo di dissentire da questa teoria, giacché l’esistenza delle lingue è un dato fenomenologico innegabile. Piuttosto, si può affermare che le lingue si manifestano difficilmente in modo netto e assoluto, in quanto sono calate in una realtà multietnica e geograficamente complessa. Negare l’esistenza delle lingue, inoltre, renderebbe prive di significato tutte le iniziative adottate dall’Unione Europea al fine di proteggerle, giacché tali progetti risulterebbero privi di oggetto.

1.4. L’ alloglossia, il bilinguismo, la diglossia e la dilalia

Sinora abbiamo cercato di comprendere che cos’è una lingua.

Una volta chiarito questo concetto, è opportuno chiederci come la lingua si rapporti allo Stato. Abbiamo già sottolineato come la questione sia abbastanza complessa, giacché i confini linguistici non coincidono con quelli politici. Tuttavia, la filologia ha costruito delle categorie che cercano di formalizzare le correnti linguistiche in degli schemi, in modo da studiare il binomio Stato - lingua in maniera più chiara.

Il termine “alloglossia” è un sostantivo femminile che deriva dal greco: “allos: altro” e “glossa: lingua”. Esso indica la situazione particolare di una comunità linguistica che parla una determinata lingua o varietà linguistica diversa e minore numericamente all’interno di uno Stato o di una regione invece caratterizzati per la maggior parte da persone che parlano un’ altra lingua maggiore. Un esempio di alloglossia è quello della comunità tedesca in Alto Adige, che parla una lingua minoritaria se rapportata all’italiano.

(16)

10

Quando la lingua minoritaria è riconosciuta e tutelata negli ambiti pubblici e privati, si parla di bilinguismo amministrativo11. Quella del bilinguismo è dunque una costruzione umana, una scelta politica e legislativa. Possiamo distinguere diversi casi: il bilinguismo monolinguistico12, quello perfetto e quello imperfetto. Il primo si realizza quando la lingua locale assume maggiore importanza e surclassa la lingua dello Stato, il cui utilizzo diviene secondario. Il secondo si realizza quando il legislatore sceglie di attribuire a due sistemi linguistici pari dignità politica, sociale e culturale.

Infine, abbiamo il bilinguismo imperfetto, che coincide con la diglossia. Il termine deriva dal greco, ma si tratta di un concetto sviluppato da Charles A. Ferguson13: implica la presenza di due idiomi che non hanno la stessa valenza politica, sociale e culturale, e che quindi vengono utilizzati a seconda del contesto. Di solito c’è un codice linguistico standard, che può essere quello ufficiale, che viene percepito come prestigioso, ed un altro invece che viene considerato come “basso”: il primo viene utilizzato in contesti formali e insegnato a scuola e nelle Università, mentre il secondo viene usato solo in contesti informali. Se considerate all’interno di un preciso contesto sociale, le due lingue hanno delle precise caratteristiche funzionali e simboliche, e quindi vengono usate in maniera specialistica a seconda della situazione. La nozione di diglossia è esemplificata da Ferguson facendo riferimento al rapporto che sussiste fra arabo classico ed egiziano, o fra tedesco e svizzero tedesco in Svizzera.

11 Da tenere distinto dal bilinguismo personale, che si verifica quando un individuo

padroneggia perfettamente due lingue.

12 Secondo la definizione data dall’ Enciclopedia Treccani, reperibile presso la

pagina web: www.treccani.it (pagina web consultata il 28.09.2016).

13

Charles A. Ferguson è stato un linguista statunitense, docente all’ Università di Stanford. Rientra fra i fondatori della sociolinguistica ed è noto proprio per l’invenzione del termine “diglossia”.

(17)

11

Il termine dilalia, introdotto da Gaetano Berruto14, disegna una situazione estrema di diglossia, in cui la lingua finisce per sostituirsi al dialetto anche nei contesti informali. E’ una realtà molto comune, che presuppone che il dialetto venga parlato solo nei contesti familiari e informali, accanto alla lingua.

1.5. Le lingue minacciate secondo l’ UNESCO

L’ Organizzazione delle Nazioni Unite per l’ Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) è stata fondata nel 1945 con lo scopo di contribuire al mantenimento della pace e della sicurezza, rafforzando le scienze e la cultura. Nel corso degli ultimi decenni si è occupata di un problema sempre più allarmante: quello della scomparsa dei dialetti e delle lingue minoritarie. Esistono fra 6.000 e 12.000 lingue al mondo15, e gli esperti prevedono che nel 21° secolo circa il 90 per cento delle lingue e dei dialetti siano destinati ad estinguersi. Le ragioni sono molteplici, a partire dalla globalizzazione e dall’ utilizzo sempre maggiore di tecnologie avanzate, che comportano l’uso monopolistico del c.d. “global English”, a scapito delle altre lingue. Si è portati a parlare e scrivere in inglese e, anzi, parlare il proprio dialetto viene percepito dal locutore come simbolo di ignoranza, per cui si tende a non insegnare alla prole le espressioni dialettali. Si noti come, peraltro, l’inglese venga spesso utilizzato in maniera sgrammaticata e scorretta, favorendo la scomparsa di termini forbiti anche in questa lingua, sebbene essa sia la più competitiva sul mercato. Per fermare questo fenomeno, negli anni novanta l’ UNESCO ha pubblicato il “Libro rosso delle lingue in pericolo”, un

14 Gaetano Berruto è un linguista italiano particolarmente attivo nel campo della

sociolinguistica.

15

La stima varia notevolmente per il fatto che alcune lingue sono estinte ma alcuni filologi continuano a considerarle esistenti. Inoltre, per la stessa lingua esistono nomi varianti. Ancora, vi sono zone della Terra poco conosciute linguisticamente.

(18)

12

elenco esaustivo delle lingue a rischio di estinzione nel mondo, redatto da Stephen Wurn16. Nel 1992 il Comitato Internazionale Permanente dei Linguisti (CIPL) dedicò il XV congresso alle lingue in pericolo, favorendo diverse pubblicazioni in materia. Nel 1996, sotto la direzione di Wurn, venne emanata la prima edizione dell’ “Atlante delle lingue in pericolo”, che ha sostituito il Libro Rosso. Esso ha lo scopo di stimolare le autorità pubbliche e le persone di tutto il mondo sulla necessità e l’urgenza di tutelare e salvaguardare la diversità linguistica nel mondo. Le lingue vengono divise in sette livelli di vitalità, e quelle minacciate in cinque categorie.

1) Innanzitutto abbiamo le lingue vulnerabili (colore bianco): la maggior parte dei bambini parla la lingua, ma essa è utilizzata solo in alcuni contesti, per esempio la famiglia.

2) Incontriamo poi le lingue in pericolo (colore giallo): i bambini non imparano più la lingua come lingua materna a casa. 3) La terza categoria corrisponde alle lingue seriamente in

pericolo (colore arancione): la lingua è parlata dagli anziani, dai nonni: i genitori capiscono ma non parlano la lingua né fra di loro, né con i bambini.

4) Quando si ha una situazione critica (colore rosso), significa che la lingua viene parlata solo dagli anziani, che tuttavia non la utilizzano in tutte le occasioni, ma solo parzialmente e poco frequentemente.

5) La lingua è estinta (colore nero) quando non ci sono persone che la parlino.

(19)

13

1.6. L’interpretazione dottrinale del concetto di

minoranza

Un’altra questione preliminare che appare logico affrontare prima di scendere più nello specifico nella trattazione delle minoranze linguistiche in Europa, è quella del concetto di “minoranza”. La nozione è molto dibattuta in dottrina e appare problematica sia per la varietà della prassi rilevante in materia, sia per l’evoluzione rapida del fenomeno minoritario. Tuttavia, sembra essere consolidato nella prassi l’orientamento secondo cui l’esistenza di una minoranza dipende dall’ accertamento di due elementi costitutivi.17

1) Il primo elemento, di natura oggettiva, consiste nel fatto che la minoranza sia effettivamente tale dal punto di vista quantitativo, dovendo essere formata da un gruppo di individui sensibilmente inferiore alla maggioranza della popolazione, sia sotto il profilo qualitativo, non dovendo godere di una posizione dominante all’ interno della comunità statale. E’ necessario che i membri della minoranza siano cittadini dello Stato ove essa è stabilita, che la minoranza abbia caratteristiche culturali, etniche, religiose, linguistiche differenti da quelle proprie della maggioranza della popolazione statale.

2) Il secondo elemento, di natura soggettiva, consiste nell’esistenza di un elevato senso di appartenenza alla

17

P. PUSTORINO, Brevi riflessioni in materia di tutela delle minoranze nel diritto internazionale, il cui testo è reperibile presso: www.iila.org (pagina web consultata il 31.10.2016).

(20)

14

minoranza, avvertito dai suoi componenti e finalizzato a preservare l’identità specifica del gruppo minoritario18.

Si segnala, a riguardo, la nozione di minoranza elaborata da Francesco Capotorti19, la quale parla di un gruppo “numericamente inferiore al resto della popolazione di uno Stato, in una posizione non-dominante, i cui membri – essendo cittadini dello Stato – posseggono caratteristiche etniche, linguistiche o religiose che differiscono da quelle del resto della popolazione e mostrano, quanto meno implicitamente, un senso di solidarietà inteso a preservare la loro cultura, religione o lingua”. Nella sua definizione, il Capotorti sottolinea che con il termine “minoranza” si fa riferimento necessariamente a soggetti che siano titolari della cittadinanza nello Stato di riferimento. Tuttavia, si deve segnalare la presenza di una tendenza evolutiva che è rappresentata dal parziale superamento della condizione della cittadinanza nazionale ai fini del riconoscimento del gruppo minoritario da parte dello Stato. Ancora, nel General Comment adottato dal Comitato per i diritti dell’uomo, si legge che il contenuto dell’ art. 27 del Patto sui diritti civili e politici va interpretato nel senso che “the individuals designed to be

protected need not to be citizens of the State party.” Si assiste inoltre

anche ad un’ altra tendenza evolutiva, che attiene al grado di stabilità richiesto dal diritto internazionale per attivare la protezione delle minoranze. Se in passato si riteneva necessario un forte radicamento sul territorio nazionale, recentemente la prassi sembrerebbe riconoscere la tutela internazionale anche ai componenti delle

18 Ibidem.

19 nel Rapporto speciale della sottocommissione delle Nazioni Unite per la lotta

contro la discriminazione e la protezione delle minoranze dal titolo “Etude des droits des personnes appartenant aux minorités ethniques, religieuses et linguistiques”

(21)

15

minoranze che non risultino particolarmente radicati sul territorio nazionale. E’ d’uopo infine ricordare che il riconoscimento di una minoranza all’ interno di un ordinamento, obbliga automaticamente lo Stato ad intervenire al fine di proteggerla, in quanto il rispetto degli obblighi internazionali in materia non è subordinato al riconoscimento unilaterale del gruppo minoritario da parte dello Stato territoriale, ma rappresenta una conseguenza ricollegata ipso

iure all’ accertamento della sussistenza dei parametri stabiliti dal

diritto internazionale.

1.6.1. La differenza fra il concetto di minoranza e di

popolazione indigena

E’ altresì necessario ricordare come il concetto di minoranza sia sensibilmente differente rispetto al concetto di popolazione indigena. Il primo profilo distintivo fra i due concetti è dovuto alla diversa origine storica dell’insediamento territoriale delle popolazioni indigene, che si trovano sul territorio dello Stato da tempi antichissimi, e quindi prima di ogni tipo di colonizzazione. Inoltre, non sempre nelle popolazioni indigene è riscontrabile l’ elemento oggettivo relativo all’ inferiorità numerica rispetto al resto della popolazione, giacché vi sono casi, come in alcuni ordinamenti del Sud America20, in cui le popolazioni indigene sono pari alla resto della popolazione. Tuttavia, va specificato che la nozione di popolazione indigena, pur essendo distinta da quella di minoranza, deve essere ricondotta nell’ambito della disciplina normativa prevista per i gruppi minoritari. Tale prassi risponde ad un’esigenza di tutela delle

20 Secondo le statistiche del Censo Nazionale del 2001, in Bolivia il 20,97% della

popolazione nazionale è aymara, il 30,47% è quechua e il resto è una combinazione di gruppi andini e amazzonici, e alla domanda “Che lingua parli?” il 49,95% della popolazione boliviana ha risposto adducendo di parlare una lingua indigena, e non il castigliano.

(22)

16

popolazioni indigene avvertita del diritto internazionale, che non le protegge abbastanza con normative ad hoc. Tra esse, sostanzialmente, si deve ricordare la Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni, redatta e dibattuta per più di 20 anni, per poi essere adottata dall’ ONU il 29 giugno 2006, la Convenzione sulla biodiversità e la Convenzione n° 169 dell’ Organizzazione Internazionale del lavoro. Al di fuori di questi atti, si può ritenere pressoché inesistente la tutela delle popolazioni indigene, ed ecco perché all’atto pratico i due concetti di “minoranza” e “popolazione indigena” subiscono lo stesso trattamento normativo.

1.6.2. I diritti linguistici fra individuo e collettività

Prima di analizzare il regime giuridico internazionale a tutela delle minoranze, è d’uopo riflettere su chi siano gli effettivi destinatari delle normative a tutela delle stesse. Se i diritti linguistici siano riferibili al singolo o alla collettività, è una vexata quaestio tuttora dibattuta.

Secondo un primo orientamento dottrinale, i diritti linguistici avrebbero natura individuale21 ed il fatto che essi siano attribuiti, ai sensi dell’ art. 27 del Patto sui diritti civili e politici22, “in community

with the other members of their group”, non li trasformerebbe in

diritti di natura collettiva.

Secondo un differente orientamento dottrinale, coesisterebbero un carattere individuale e uno collettivo dei diritti spettanti alle minoranze: la titolarità dei diritti spetta tanto agli individui, quanto al gruppo. Un’altra impostazione dottrinale interna a questo secondo

21 P. PUSTORINO, Brevi riflessioni in materia di tutela delle minoranze nel diritto

internazionale, il cui testo è reperibile presso: www.iila.org (pagina web cit. supra n° 17 e consultata il 31.10.2016).

(23)

17

orientamento, si sofferma sulla natura giuridica dei diritti e non sulla titolarità degli stessi, affermando che la normativa internazionale contempla diritti sia individuali, che collettivi.

Parte della dottrina23 afferma che la prassi sembrerebbe orientata a ritenere che la normativa internazionale sia rivolta tanto agli individui, quanto alle minoranze intese come entità distinte. Tale orientamento critica le tesi che negano la titolarità di situazioni giuridiche soggettive in capo al gruppo, in quanto ritiene che esse non colgano il nesso indissolubile fra posizioni individuali e collettive in tema di diritti delle minoranze.

Altra parte della dottrina24 si sofferma su alcuni pregiudizi che rendono difficile la tutela delle lingue minoritarie nello Stato. Uno di essi consisterebbe nella presunta antinomia fra individuo e collettività, basata su quattro presupposti:

1) Dimensione individuale e realtà collettiva sono rigidamente distinte

2) I diritti possono essere attribuiti solo agli individui

3) La libertà di lingua è un fatto esclusivamente individuale, privato

4) Il riconoscimento dei bisogni espressi dalla collettività rischia di soffocare il singolo.

Secondo tale filone, viene presentata una visione eccessivamente astratta dell’ individuo e dei suoi diritti, ma non è accettabile l’ idea di un singolo chiuso in se stesso che si gode le proprie libertà senza

23

V. il Prof. Pustorino, nel suo saggio intitolato: “Brevi riflessioni in materia di tutela delle minoranze nel diritto internazionale” reperibile presso www.iila.org (pagina web cit. supra n° 17 e consultata il 31.10.2016).

24

V. il Prof. Stolfo nel suo saggio: “La tutela delle lingue minoritarie tra pregiudizi teorici, contrasti ideologici e buoni motivi”, reperibile presso la pagina web www.romaniaminor.net (consultata il 01.10.2016).

(24)

18

contatti con l’ esterno. Già Aristotele parlava dell’uomo come “zoon

politikon”, che vive in contatto con i propri simili. Si può sintetizzare il

pensiero del Prof. Stolfo, sottolineando come tutti gli individui vivano ed esprimano la propria individualità in relazione con gli altri, e ciascuna relazione comporta la nascita di un’ entità collettiva. Perciò le esigenze del gruppo rispondono ai bisogni dei singoli individui che lo compongono.

A nostro avviso, non vi è dubbio che gli strumenti elaborati a livello universale ed europeo siano riferiti alla minoranza come gruppo, e ciò si evince anche dalla definizione di minoranza data dalla Carta europea per le lingue regionali e minoritarie25, in base alla quale essa sarebbe costituita da un “gruppo numericamente inferiore rispetto alla popolazione di uno Stato”. Tuttavia, la giurisprudenza europea in materia di diritti linguistici26 che analizzeremo ci mostra chiaramente come tali diritti abbiano una natura individuale e non collettiva, giacché in alcuni casi il singolo li vanta autonomamente in seno ad un processo, in altri casi si ha una riunione processuale dovuta alla trattazione di identiche questioni, ma non si ha mai una trattazione collettiva dei diritti. Si pensi al caso Orsus c. Croazia27, nel quale la comunità Rom lamenta una discriminazione etnico-linguistica: in tale ipotesi i ricorrenti sono plurimi, ma sono sempre identificati nominativamente, e mai in qualità di “appartenenti ad una comunità”. Del resto, a livello puramente processuale, va evidenziato come nei casi che analizzeremo ciascun ricorrente agisca come singolo e non in virtù di un gruppo. La nostra opinione, in sintesi, è la seguente: la natura dei diritti è individuale, giacché essi possono

25 V. supra. 26 V. capitolo V. 27

Il testo della sentenza della Grande Camera della CtEDU del 16 marzo 2010, ricorso n° 15766/03 è reperibile presso: www.duitbase.it (pagina web consultata il 22.10.2016).

(25)

19

essere esercitati individualmente, ma la titolarità dei diritti è collettiva, ed essa costituisce il presupposto di applicabilità degli strumenti a tutela del diritto. Se il singolo non appartiene alla minoranza, non può esercitare il diritto. Conseguentemente, l’opinione maggiormente condivisibile è quella del Prof. Stolfo, che riconosce come, tutto sommato, non vi sia una grande antinomia tra l’individuo e la collettività, in quanto l’uomo è un animale sociale e non esiste in natura “in sé e per sé”, essendo possibile solo rilegare all’ immaginazione un uomo astratto e scevro di contatti esterni.

1.6.3. Le “minorities by will” e “minorities by force”

All’interno del concetto di minoranza, occorre poi distinguere le c.d. “minoranze volontarie”, dalle c.d. “minoranze discriminate”. La distinzione è stata coniata da A. Pizzorusso28, il quale afferma che nelle minoranze by will, la contrapposizione di maggioranza e minoranza deriva da qualificazioni differenziate che la maggioranza vorrebbe valorizzare fino ad imporre l’assunzione delle proprie anche da parte degli appartenenti al gruppo contrapposto, per cui le aspirazioni della minoranza sono rivolte al mantenimento della differenza ed alla difesa contro l’assimilazione.

Nelle minoranze by force, invece, si riconducono i casi nei quali la contrapposizione di maggioranza e minoranza si risolve in una forma di discriminazione degli appartenenti a quest’ultima che comporti per essi un trattamento deteriore in relazione a tutta la serie di situazioni concrete, per cui le aspirazione delle minoranze sono rivolte alla

28

A. PIZZORUSSO, I diritti degli individui, dei gruppi e delle minoranze, in Vitale (a cura di) Diritti umani e diritti delle minoranze, Feltrinelli, Milano, 2000.

(26)

20

rimozione delle discriminazione così alla realizzazione di una situazione di eguale dignità di tutti29.

A seconda del diverso tipo di minoranza, si attuerà diversamente il principio di uguaglianza30: nel caso delle minorities by force basterà adottare regole uguali per tutti, ripristinando l’ eguaglianza formale. Nel caso delle minorities by will, questo sarebbe insufficiente: è necessario adottare provvedimenti speciali mediante i quali autorizzare deroghe alle norme che fanno riferimento alla lingua, alla religione, e alla cultura della maggioranza.

A riguardo, va sottolineato come la presenza di minoranze volontarie rappresenta per lo Stato una minaccia per l’integrità territoriale dello stesso. Conseguentemente, tutelare le minoranze significa non solo rispettare eticamente un gruppo di uomini, ma anche proteggere l’ordine interno di uno stato.

29

Ibidem.

(27)

21

Capitolo II

GLI STRUMENTI A TUTELA DELLE MINORANZE

ELABORATI A LIVELLO UNIVERSALE

SOMMARIO: 2.1. Il Protocollo finale del Congresso di Vienna: le prime forme di tutela. – 2.1.2. Una discriminazione nella discriminazione. – 2.1.3. Le teorie classiche della nazione a cavallo fra il XVIII e il XIX secolo. – 2.2. La Società delle Nazioni sulla scia del Presidente Wilson.- 2.3. La nascita dell’ONU e la Carta delle Nazioni Unite. – 2.4. La Dichiarazione universale dei diritti dell’ uomo: un nuovo approccio alla tutela delle minoranze. – 2.5. I diritti linguistici nel Patto internazionale sui diritti civili e politici. – 2.6. La Dichiarazione dell’Assemblea Generale dei diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche. – 2.7. Il gruppo di lavoro sulle minoranze: il WGOM.

2.1. Il Protocollo finale del Congresso di Vienna: le prime

forme di tutela

Nell’autunno del 1814 le più grandi potenze europee si riunirono nel Castello di Schӧnbrunn31, l’allora capitale dell’Impero asburgico, al fine di ridisegnare i confini d’Europa. Il Congresso di Vienna rappresentò l’occasione per dar vita ad una nuova era storica: quella che venne definita l’era della “Restaurazione”32, ossia della riassegnazione del trono ai sovrani che erano stati spodestati nel periodo napoleonico. Come presentato dagli storici, il Congresso di Vienna appare dunque come uno strumento diplomatico volto

31

All’epoca le più grandi potenze europee erano principalmente: l’Austria, la Prussia, il Regno Unito, la Francia e la Russia.

32 La Restaurazione è il processo di ripristino del potere dell’Ancién Regime, ma

come ogni evento storico trascende il piano puramente politico e si identifica, più in generale, con un movimento culturale successivo alla sconfitta di Napoleone basato sulle filosofie dell’ idealismo.

(28)

22

unicamente a restituire vigore a sovrani ormai depauperati dall’irrompere delle campagne napoleoniche. E’ curioso constatare come esso rappresenti sì il cuore della restaurazione del passato, ma contenga anche una forte spinta di innovazione: è infatti la prima sede nella quale storicamente siano state tutelate le minoranze linguistiche. In particolare, il Protocollo finale33 del Congresso di Vienna riconobbe esplicitamente diritti alle minoranze polacche site in Russia, Austria e Prussia, al fine di garantire loro un’ esistenza nazionale libera da qualsiasi attacco, a prescindere dal sistema politico a cui erano costrette a sottostare.

2.1.1 Una discriminazione nella discriminazione

Nell’atto allora redatto, compariva il termine “minoranze nazionali”, locuzione abbastanza generica che non impediva di far ricomprendere nell’ambito di applicazione della norma anche le minoranze linguistiche. Tale interpretazione estensiva ci permette di sottolineare come in epoca precedente, ben più florida fosse stata la legislazione nata al fine di tutelare le minoranze religiose. Si è trattato di una discriminazione nella discriminazione, tale per cui i diritti religiosi vennero riconosciuti e costituirono oggetto di legislazione, sebbene spesso solo formalmente, mentre i diritti linguistici vennero ignorati. Una prova ne è il celebre Editto di Nantes34 del 1598, con il quale il sovrano Enrico IV riconobbe alle sue genti la libertà di praticare un culto diverso da quello statale. L’editto aveva lo scopo principale di porre fine alle guerre di religione che

33L’ atto finale del Congresso di Vienna venne pubblicato in Italia nell’ aprile del

1859, ne: “Atto finale del Congresso di Vienna del 9 giugno 1815 ed altri Trattati che vi si riferiscono e la Convenzione fra Austria e Sardegna del 4 ottobre 1754.”, Libreria di Francesco San Vito, Milano. E’ oggi reperibile il testo del trattato alla pagina web: www.archive.org (consultata il 30. 09.2016).

34

L’ Editto di Nantes si occupò, in particolare, di regolare la posizione degli Ugonotti: un movimento di protestanti di confessione calvinista.

(29)

23

avevano sconvolto la Francia e venne ben presto revocato e sostituito dall’Editto di Fontainebleau35 da parte di Luigi XIV, ma fu pur sempre un primo formale tentativo di tutela delle minoranze religiose. Ancora, va ricordato il Trattato di Vienna36 del 1606, con il quale il re d’Ungheria e il principe di Transilvania chiusero una rivolta feudale trasformatasi in guerra civile, consentendo alla minoranza protestante residente nei territori di loro giurisdizione, di professare la propria religione. Impossibile non menzionare uno dei più grandi controcolpi nella storia della tutela delle minoranze, il Trattato di Westfalia37 del 1648, che sancì il principio del “cuius regio, eius

religio”, in base al quale i sudditi furono obbligati a professare la

religione di stato. In tale fase storica la tutela delle minoranze religiose era ancora in uno stadio embrionale ed era appannaggio delle politiche belliche dei sovrani, tant’è che in un periodo intellettualmente brillante come quello rinascimentale38, fu possibile occultare una libertà così fondamentale. Ma ancora, ricordiamo il Trattato di Parigi39 del 1763, il Trattato di Breslau40 del 1742, di

35 L’editto in questione venne emesso il 18 ottobre 1685, sebbene l’ operazione di

smantellamento dell’ editto di Nantes fosse già iniziata nel 1661, con l’ emissione di altri decreti che vietavano di professare la religione al di fuori dei templi.

36 Il Trattato di Vienna venne firmato il 23 giugno 1606 da Istvàn Bocskai, voivoda di

Transilvania, e dall’ Arciduca Mattia d’ Asburgo. Garantì in entrambi i regni (Transilvania e Ungheria) il diritto di praticare il culto ai magiari.

37 La pace di Westfalia del 1648 pose fine alla celebre guerra dei trent’anni, che

dilaniò l’ Europa centrale.

38

Il Rinascimento viene descritto e ricordato dagli umanisti come un periodo particolarmente felice a livello culturale, nel quale si risvegliò l’ interesse degli uomini colti nei confronti del passato e degli antichi classici, favorendo al tempo stesso il recupero del patrimonio storico passato, ma anche il progresso di quello contemporaneo. Ciononostante, i diritti dell’ uomo e le libertà fondamentali non erano ancora al centro della tutela legislativa.

39

Con questo trattato la monarchia britannica ottenne l’espulsione dei francesi dall’ America settentrionale conseguendo il controllo del Canda e dell’ Ohio, mentre gli inglesi occuparono numerosi territori francesi nell’ America centrale.

40

E’ un accordo preliminare di pace firmato l’ 11 giugno 1742 al termine della prima guerra di Slesia. Fu siglato dall’ Arciduchessa Maria Teresa d’Austria e dal re Federico II di Prussia e regolò i negoziati di pace.

(30)

24

Dresda41 del 1745, tutti accomunati dal tentativo di garantire il culto alle minoranze religiose. Arriviamo dunque al 1789, anno in cui venne emanata la “Dichiarazione dei diritti dell’ uomo e del cittadino”42, la quale stabiliva, all’ art.10, che: “nessuno può essere inquietato per le sue opinioni, nemmeno per quelle religiose, purché la loro manifestazione non turbi l’ordine stabilito dalla legge.”

Il nostro rapido viaggio all’interno degli strumenti adottati dai regnanti per tutelare le minoranze religiose, ci fa riflettere sulla totale assenza di altrettante forme di protezione delle minoranze linguistiche, fino al 1815. Non resta che da chiederci come mai storicamente la libertà di culto sia stata considerata dai legislatori come maggiormente degna di tutela rispetto alla libertà delle minoranze linguistiche di partecipare alla vita sociale e culturale del paese. La risposta la si trova analizzando la diversa natura storico-giuridica della religione e della lingua. La religione, infatti, non è soltanto pura fede: essa ha anche una forza politica e giuridica. Al contrario, la lingua è pura parola, senza che vi sia uno stato nazionale a tutela della stessa, come ad esempio la Chiesa43. Ecco che difficilmente le minoranze linguistiche sono riuscite a far sentire la propria voce nel mondo, anche dopo l’adozione dei primi atti a tutela delle stesse.

41

Fu siglato il 25 dicembre 1745 fra Prussia, Austria e il Principato di Sassonia e pose fine alla seconda guerra di Slesia.

42

E’ un testo giuridico elaborato nel corso della rivoluzione francese contenente un elenco dei diritti dell’ uomo e del cittadino. E’ stata emanata il 26 agosto del 1789 ispirandosi alla Dichiarazione d’ indipendenza americana. E’ reperibile al seguente sito: www.dircost.unito.it. (pagina web consultata il 30.09.2016).

43 Lo Stato della Città del Vaticano è una città-stato indipendente: il più piccolo

stato al mondo per popolazione ed estensione. La Chiesa Cattolica culmina in una monarchia assoluta teocratica elettiva di tipo patrimoniale: ha una sua forza politica ed economica.

(31)

25

2.1.2 Le teorie classiche della nazione a cavallo fra il XVIII

e il XIX secolo

Ci siamo occupati del Protocollo finale del Congresso di Vienna, ed abbiamo dunque considerato il 1815 come data formale di inizio della tutela delle minoranze linguistiche. Tuttavia, non è certo una disposizione normativa a stravolgere le concezioni storiche delle minoranze, e infatti le teorie della nazione44 elaborate tra la seconda metà del secolo XVIII e il secolo XIX parlano di una nazione come di un unicum, un ente in sé e per sé dotato di una sola lingua parlata in un solo stato. Le teorie classiche, in altri termini, ostano alla protezione delle minoranze, in quanto le stesse fuoriescono dagli schemi filosofici e storici di stato ideale. Le teorie filosofiche che hanno portato alla nascita dello stato moderno si sono fatte portatrici di un monolitismo, di uno statalismo che ha provocato l’ effetto, indesiderato o meno, di escludere dalle concezioni della nazione ogni particolarismo, ogni diversità. Si pensi ad A. M. Thiesse45, secondo cui gli elementi che ogni vera nazione deve presentare sono: una storia, una serie di eroi, una lingua, un folklore, un numero rilevante di monumenti culturali, un paesaggio caratteristico, un costume o un animale emblematico. L’idea della nazione ha avuto il suo acme nell’ Ottocento, quando l’individuale dominava il pensiero europeo, in contrapposizione alle tendenze universalistiche del secolo dei lumi. Ancora, lo storico Chabod46 parla di due metodi di concepire la nazione: quello naturalistico e quello volontaristico. Il secondo sarebbe basato sulla volontà di aderire ad

44

M. STOLFO, La tutela delle lingue minoritarie fra pregiudizi teorici, contrasti ideologici e buoni motivi, reperibile presso: www.romaniaminor.net (pagina web consultata il 01.10.2016).

45

A. M. THIESSE, La creazione delle identità nazionali in Europa, il Mulino Editore, Bologna, 2001.

(32)

26

una nazione: gli individui scelgono di appartenervi. Il primo, invece, sarebbe basato sulla supremazia naturale di una razza e di una lingua. Si va a teorizzare un vero e proprio razzismo linguistico che osta all’accoglimento delle minoranze. In particolare, in epoca risorgimentale assistiamo al dilagare del latino e del francese47 come lingue colte parlate dalla borghesia, a scapito delle altre lingue.

2.2. La Società delle Nazioni sulla scia del Presidente

Wilson

Eccoci giunti nel 1900, un secolo che ha visto la nascita e lo sviluppo dei più grandi organismi di diritto internazionale a tutela dei diritti dell’uomo. Prima fra tutti la Società delle Nazioni: la prima organizzazione intergovernativa avente come scopo quello di proteggere la qualità della vita degli uomini. Fu fondata nell’ambito della Conferenza di pace di Parigi48 del 1919-1920 nella quale si trattò del problema delle minoranze, sulla scia dei 14 punti enunciati dal Presidente americano Wilson49. The “Fourteen Points” è proprio il nome dato ad un discorso pronunciato dal Presidente davanti al Senato degli Stati Uniti d’America e contenente i suoi propositi in merito all’ordine mondiale conseguente la Grande Guerra. In particolare, egli si faceva portavoce di una “pace senza vincitori”, al fine di promuovere un’armonia fra le nazioni basata sull’eguaglianza, senza imposizioni. Tuttavia, subordinava il riconoscimento internazionale degli stati all’impegno da parte degli stessi a fornire il

47

Il francese all’ epoca era una lingua talmente diffusa, da aver generato l’espressione idiomatica: “lingua franca”, intendendosi per tale la lingua maggiormente parlata in una determinata area geografica.

48 La Conferenza di Pace di Parigi fu una riunione internazionale durante la quale i

paesi vincitori della prima guerra mondiale ridisegnarono i confini d’Europa.

49

Thomas Woodrow Wilson è stato il ventottesimo presidente degli Stati Uniti d’America. In carica dal 1913 al 1921, fu attivo anche a livello accademico e ricevette il Premio Nobel per la Pace.

(33)

27

medesimo trattamento alle maggioranze e alle minoranze di razza. Il riferimento, ancora una volta, non è diretto alle minoranze linguistiche, ma alle minoranze “di razza”. Ovviamente non possiamo non riflettere sul termine utilizzato, che non è: “etniche”, bensì “di razza”. Il presidente alludeva senz’altro alle discriminazioni perpetrate a danno delle comunità africane negli Stati Uniti d’America. E di altrettanto note discriminazioni si è macchiata anche l’Europa nei decenni a seguire, tanto che si può parlare non solo di un’ assenza totale di rispetto verso le minoranze, ma addirittura di uno sterminio di massa delle minoranze ebree da parte della Germania nazista.

2.3. La nascita dell’ONU e la Carta delle Nazioni Unite

Ma, come spesso accade in storia, le grandi crisi portano ad una controspinta, ed ecco che la vergogna del nazismo ha condotto alla creazione, nel 1945, del punto di partenza delle attività internazionali per la protezione dei diritti dell’uomo: l’ Organizzazione delle Nazioni Unite50. Ricordiamo infatti che prima del 1945 i diritti umani hanno stentato ad affermarsi sul piano del diritto positivo, sebbene vi fossero già delle prime, timide forme di tutela51. L’ ONU nasce con lo scopo specifico di dar vita ad un’azione internazionale per la promozione e la tutela dei diritti dell’ uomo in quanto tale. L’abominio delle grandi guerre ha aperto gli occhi sulla necessità di ovviare a prevaricazioni sociali ed economiche a danno dell’individuo. Nell’ art. 1, par.2 della Carta delle Nazioni Unite52 si inserisce come scopo dell’ organizzazione, quello del: “rispetto per i diritti dell’ uomo

50 Nacque il 24 ottobre del 1945, sul finire della seconda guerra mondiale.

Anch’essa fu creata sulla scia dei “14 punti” del Presidente Wilson.

51

V. capitolo II, paragrafi n° 1 e 2.

52

La Carta delle Nazioni Unite è l’ accordo istitutivo dell’ ONU. E’ reperibile presso:

(34)

28

e le libertà fondamentali per tutti, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione.” Finalmente un riferimento espresso alle minoranze linguistiche, grande passo avanti nella storia del diritto internazionale. A ben guardare, però, si può ritenere che il diritto delle minoranze, in questa fase storica, sia ascrivibile piuttosto al più ampio genus del diritto umano e al principio di non discriminazione. Non si assiste ancora ad un’autonomia dei diritti linguistici, ad una legiferazione specifica a tutela degli stessi, i quali sono ancora appannaggio del diritto umanitario in genere, intendendo per tale quella branca del diritto che si occupa dei diritti inalienabili dei membri della società umana.

2.4. La Dichiarazione universale dei diritti umani: un

nuovo approccio alla tutela delle minoranze

Dobbiamo fare un piccolo salto indietro nel tempo per occuparci di una fonte del diritto internazionale che ci sta particolarmente a cuore: la Dichiarazione universale dei diritti umani53. Essa presenta una peculiarità rispetto alle altri fonti: l’ aggettivo “universale”. Non è una dichiarazione statale, né europea, né mondiale: è universale, e il termine è chiarito nel Preambolo, nel quale si afferma che i diritti umani devono ottenere un riconoscimento universale. Essi sono riferiti all’uomo in quanto singolo, in quanto individuo. Ma la dichiarazione è universale, perché si applica a tutti gli uomini dell’universo. E’ una concezione normativa molto moderna, che si afferma con prepotenza nel panorama internazionale. Ci è particolarmente a cuore, perché quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la proclamò, nel 1948, diede istruzioni al Segretario

53

La Dichiarazione universale dei diritti umani è un documento sui diritti individuali, firmato a Parigi il 10 dicembre 1948. E’ reperibile presso:

(35)

29

Generale di provvedere a diffonderla non solo nelle cinque lingue ufficiali54 dell’organizzazione, ma anche in tutte le altre lingue, usando ogni mezzo a sua disposizione. Inoltre, i primi due articoli della stessa si mostrano prepotentemente garantisti: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.” Così si apre l’art. 1, il quale non sancisce che tutti gli esseri umani nascono uguali, bensì che, nella loro diversità, devono godere di pari diritti e dignità. Si ha dunque un riferimento allo scopo della dichiarazione: quello di tutelare le libertà dell’uomo in ossequio al principio di uguaglianza: anche chi è diverso dalla maggioranza deve avere gli stessi diritti, la stessa possibilità di partecipare alla vita culturale del proprio paese. Ma l’articolo continua: “Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.” Tale affermazione presenta invece alcuni profili di criticità: non tutti gli uomini, infatti, nascono dotati dello stesso grado di ragione e coscienza. Si pensi a coloro che sono affetti da sindrome di down o da altre menomazioni cerebrali, tali per cui non sono in grado di ragionare compiutamente sulle proprie azioni e conseguentemente di essere giuridicamente responsabili per esse. Inoltre, cos’è la coscienza? La ragione può facilmente essere ricondotta al cervello, che è un organo del corpo e dunque esiste, ma la coscienza? Cos’è la coscienza? Tuttora, a distanza di decenni, è controversa la nozione in psichiatria: il premio Nobel per la medicina Francis Crick55 ne “La struttura della coscienza” si fa portavoce di un riduzionismo biologico atavico, tale per cui la coscienza afferirebbe ad un substrato puramente biologico: la coscienza è oggetto di indagine puramente scientifica, e la scienza insegna che non si può affermare che tutti gli

54 Le lingue ufficiali sono: il cinese, l’inglese, il francese, il russo e lo spagnolo. 55

Francis Crick (1916-2004) è stato uno scienziato britannico, Premio Nobel per la Medicina nel 1962 perché congiuntamente a Watson realizzò il primo preciso modello della struttura del DNA.

(36)

30

uomini siano dotati di coscienza. Ci si sarebbe dovuti limitare a dire che gli uomini devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. Non perché dotati di coscienza, ma perché la dichiarazione così statuisce. E’ stato infatti dimostrato, a titolo esemplificativo, che alcuni serial killer presentano delle deformazioni cerebrali tali per cui non sono in grado di provare empatia verso le vittime, né ritengono che esse siano effettivamente tali.56 Esse meritano di subire il reato, in quanto colpevoli di qualcosa. Tali serial

killer, non hanno certo un alto grado di coscienza di sé e degli altri

individui. Tuttavia non possiamo che lodare questa disposizione, che ha il pregio di fondare un altro principio del diritto internazionale: il principio della fratellanza, teorizzato in primis dalla Scuola francese, ma poi affermatosi in tutta Europa. Esso nasce sulla scia della rivoluzione francese e non esita ad affermarsi nelle politiche statali e governative europee. Tuttavia, cosa dobbiamo intendere per fraternità? Essa rileva come forma di solidarietà nei confronti dei propri fratelli, ed evoca dunque l’idea di una complicità fra soggetti posti sullo stesso piano.57 Non si può parlare di spirito di fratellanza fra padre e figlio, bensì tra fratelli. E chi sono i fratelli? E’ sufficiente ritenere un popolo inferiore, per violarne i diritti umani pur rispettando il principio di fraternità. E, come abbiamo già detto, le lingue minoritarie per lungo tempo non sono state considerate dal comune apprezzamento quali lingue paritarie alla lingua statale,

56 Il padre della scienza della fisiognomica è stato il criminologo italiano Cesare

Lombroso: egli riteneva che il criminale fosse tale “per nascita”. La criminologia odierna assiste a uno sviluppo scientifico tale, da non ritenere completamente condivisibili le teorie lombrosiane. Nonostante ciò, è stato dimostrato che un incidente lavorativo o stradale possono provocare un danno cerebrale tale, da trasformare un buon padre di famiglia in un criminale. Inoltre, l’analisi del serial killer dimostra come non vi siano generalmente motivazioni evidenti per reiterare il reato. A riguardo si veda C.LOMBROSO, L’uomo delinquente, Milano, Hoepli, 1876 e M. PICOZZI, A. ZAPPALA’: Criminal profiling, Edizione Mondadori, 2001.

57

F. PIZZOLATO, Il principio costituzionale di fraternità, Città Nuova Editore, Roma, 2012.

(37)

31

bensì quali lingue, per così dire, inferiori. Risulta inoltre problematico parlare di fraternità quando il compito di garantirla proviene dallo Stato, da un’autorità58. Dobbiamo, dunque, lodare la disposizione perché menziona la fratellanza, ma dobbiamo anche criticarla, in quanto la fratellanza non è un connotato dello spirito, una scelta. La fratellanza è una lex naturalis che si afferma con evidenza universale: tutti gli uomini sono ugualmente uomini, sebbene con le proprie diversità. Ma il requisito affinché si possa parlare di un uomo, è proprio l’umanità. E quindi, essendo tutti sullo stesso piano, sono tutti fratelli. Allo stato non deve essere affidato il compito di affermare il principio della fratellanza, bensì quello di garantirlo. Ma proseguendo con la lettura del testo della dichiarazione, ci imbattiamo nell’art. 2: “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità.” Ecco che abbiamo un riferimento puntuale, preciso e diretto alla lingua: le minoranze linguistiche devono avere una tutela specifica, e gli stati devono adottare delle fonti idonee a garantirla.

(38)

32

2.5. I diritti linguistici nel Patto internazionale sui diritti

civili e politici

Il Patto internazionale sui diritti civili e politici59 è un Trattato delle Nazioni Unite adottato nel 1966 al fine di garantire il rispetto dei diritti civili e politici dell’uomo. Il postulato di partenza della convenzione è che tutti i soggetti siano dotati di pari dignità e di diritti uguali e inalienabili. Ogni individuo ha dei doveri verso gli altri, al fine di garantire la giustizia e la pace nel mondo. L. art. 27 afferma che: “In quegli stati, nei quali esistono minoranze etniche, religiose o linguistiche, gli individui appartenenti a tali minoranze non possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di professare e praticare la propria religione, o di usare la propria lingua in comune con gli altri membri del proprio gruppo.” La disposizione è particolarmente moderna e si sofferma proprio sui diritti linguistici. Mostra che l’Europa sta guardando con particolare attenzione alle minoranze, anche linguistiche. Vi sono dei veri e propri diritti linguistici, delle controversie relative alle violazioni dei diritti dei cittadini di stampo civile e politico. In particolare, ci occuperemo di analizzare alcune casistiche che ci forniscono la prova del fatto che la lingua, oltre ad essere uno strumento d’unione, può essere anche fonte di discriminazione nell’accesso alla politica, allo studio e, più in generale, alla vita pubblica. Nel Trattato non solo si fa riferimento alla presenza di minoranze linguistiche, ma si afferma anche l’esistenza del diritto ad usare la lingua in comune con gli altri membri del proprio gruppo. Tale diritto, all’epoca in cui veniva redatto il Trattato, era violato soprattutto del generale Franco60, il quale faceva volontariamente distruggere tutti i testi spagnoli contenenti poesie,

59

E’ reperibile presso: www.admin.ch (pagina web consultata il 02.10.2016).

Riferimenti

Documenti correlati

Capuano acquisì nell’ambito del settore elettrico fece sì che nell’arco della sua esistenza riuscisse ad accumulare un gran numero di cariche, diverse delle quali di grande

A fronte di questa lettura della sentenza del Tribunale costituzionale austriaco, l’Oberster Gerichtshof sospende il procedimento e sottopone alla Corte di

318 I risultati della ricerca sono consultabili alla pagina: http://www.giuntiscuola.it/sesamo/cultura-e-.. insegnanti) ha cercato di valutare come gli insegnanti vivono la

Il tema delle migrazioni si collega anche alle azioni che i paesi europei svolgono verso i Paesi coinvolti in conflitti bellici o verso i Paesi più poveri, in particolare

In queste sentenze, le disposizioni nazionali che riportano le disposizioni del diritto dell’Unione non avevano manifestamente limitato l’applicazione di queste ultime …Invero,

incostituzionali, in quanto in palese violazione non solo dell'articolo 32, ma anche degli articoli 13 e 3 della nostra Carta, circa la libertà individuale, il rispetto della

Quest’ultima, come si evince dalla circolare in esame, sempre nel limite delle risorse disponibili, consente ai lavoratori già destinatari della misura di continuare a percepire

Keywords: Soil basal respiration, dehydrogenase activity, specific enzyme activity, metabolic 29.. potential,